Tradotto da Eros R.F., da Monthly Review. Apparso per la prima volta su Guancha.cn.
Come “Stato-Civiltà”, la Cina ha dimostrato, attraverso la sua storia e il suo sviluppo unici, che i Paesi in via di sviluppo possono forgiare un percorso di sviluppo diverso da quello dell’Occidente e, allo stesso tempo, costruire un discorso diverso da quello dello Stato-Nazione occidentale.
Detto questo, anche altre antiche Civiltà con una lunga storia possono essere definite “Stati-Civiltà”? Qual è l’unicità della Cina come “Stato-Civiltà”?
Dopo le interviste a Zhang Weiwei, direttore del China Institute della Fudan University, e a Martin Jacques, ex senior fellow del Dipartimento di Politica e Studi Internazionali dell’Università di Cambridge, Guancha.cn (观察者网) ha invitato Vijay Prashad, direttore esecutivo del Tricontinental: Institute for Social Research, a continuare la discussione sullo “Stato-Civiltà”. In qualità di studioso indiano, Vijay approfondisce il motivo per cui l’India non può essere descritta come uno “Stato-Civiltà” da una prospettiva comparativa e come la Cina, in quanto “Stato-Civiltà”, abbia integrato la propria storia con il socialismo.
Intervista e traduzione di Guo Han da Guancha.cn.
Guancha.cn: Come intende il concetto di “Stato-Civiltà”?
Vijay: Lo “Stato-Civiltà” contiene in realtà due sotto-concetti, ossia “Civiltà” e “Stato”. Quello di “Stato” è un concetto interessante, che esiste fin dall’antichità. Oggi, nel XXI secolo, non lo menzioniamo deliberatamente, ma pensiamo automaticamente che lo “Stato” abbia un prefisso chiamato “moderno”. Oggi parliamo quindi di “Stato (moderno) di Civiltà”. Partiamo dal presupposto che il concetto di “Stato” ha in sé un elemento di modernità.
Come deve essere inteso lo Stato moderno? Dal punto di vista della storia mondiale, gli esseri umani si sono gradualmente integrati in comunità sempre più grandi con forme di organizzazione sempre più complesse. Le persone hanno scelto di accettare il monopolio della violenza da parte della forma dello Stato – piuttosto che da parte dei comuni individui – e così è nato lo Stato moderno: una serie di leggi e regolamenti sono stati stabiliti attraverso procedure per guidare la vita delle persone. In sostanza, lo Stato è una forma di governo che organizza la vita quotidiana attraverso procedure come leggi e regolamenti. Questa è la concezione comune dello Stato moderno. Alcune di queste leggi hanno sfumature socialiste e sono state ottenute solo grazie alla grande lotta delle generazioni precedenti.
Ad esempio, si può introdurre una legge che richieda che tutti siano liberi dalla scarsità e che garantisca il diritto della popolazione al cibo, alle medicine e alla casa. Quindi, alcuni Paesi moderni hanno caratteristiche socialiste, altri no. Dipende dalle leggi e dai regolamenti che sono accettabili nei rispettivi Paesi.
Il concetto di Stato riguarda fondamentalmente il modo in cui costruiamo le istituzioni e organizziamo il funzionamento della società. Credo sia importante chiarire in anticipo che quando Zhang Weiwei elabora il concetto di “Stato-Civiltà” – ho letto il suo libro in inglese – sta parlando dello Stato moderno piuttosto che dello Stato in senso astratto.
La Civiltà, invece, è un concetto più complesso. Considerando il mondo nel suo complesso, gli esseri umani hanno creato diverse società, ognuna con una storia unica, e la vita sociale nel mondo è piena di diversità, che chiamiamo diverse Civiltà. Per esempio, possiamo discutere delle origini della Civiltà cinese: può essere fatta risalire ai tempi antichi? Oppure è iniziata con la dinastia Qin (221-207 a.C.)? O ancora dalla Rivoluzione Xinhai del 1911?
L’India è una Civiltà così complessa, con 50-2.000 lingue diverse, che arricchisce la comprensione del suo passato, come le forme culturali gerarchiche della Civiltà indiana, il sistema delle caste, ecc. In Europa esistono molte culture diverse, ma tutte ruotano attorno a un “asse di Civiltà” fondamentale, cioè la “tradizione giudaico-cristiana”. Anche il sistema degli Stati nazionali in Europa ha preso forma dopo l’Impero romano.
Credo che il professor Zhang abbia sviluppato il punto di vista del professor Lucian Pye. Lo “Stato-Civiltà” di cui parlano i due professori non è in realtà lo stesso concetto. Il professor Zhang si occupa di contraddizioni e relazioni dialettiche. Ovvero, le peculiarità della storia cinese e un fenomeno assolutamente interessante: la fioritura del socialismo in una terra chiamata Cina. Le peculiarità della storia cinese e le caratteristiche uniche del socialismo cinese, che egli cerca di combinare, è il modo in cui io intendo lo “Stato-Civiltaà”.
Il problema, tuttavia, è che molti elementi della cultura tradizionale cinese sono in qualche modo in ritardo rispetto allo sviluppo della società. In effetti, molti elementi feudali erano ancora presenti prima del 1949. Ad esempio, una delle culture tradizionali della Civiltà cinese era l’obbligo di legare i piedi alle donne. Fu la Rivoluzione cinese ad abolire la legatura dei piedi e una serie di altre dannose usanze. Quando il presidente Mao disse: “Le donne possono reggere metà del cielo”, la sua successiva enfasi fu quella di “trasformare” alcuni elementi della cultura e della Civiltà tradizionale cinese.
È interessante notare che non dobbiamo pensare che la proposta del professor Zhang Weiwei di uno “Stato-Civiltà” sia un concetto “arretrato”. A mio avviso, ciò che il professor Zhang vuole sottolineare è che il percorso socialista della Cina ha rimodellato e continuato la lunga storia della Cina, prendendone il meglio e rimuovendo il peggio. Vorrei sottolineare questo punto. Per lo “Stato-Civiltà”, la storia non è una fine, ma una risorsa. Non torneremo al passato e il professor Zhang ha saggiamente evidenziato la continuità della strada socialista cinese verso la Civiltà cinese.
Come vede l’interazione tra il concetto di “Stato-Civile” e la narrativa occidentale mainstream dello “Stato-Nazione”?
È un punto di vista interessante. Parliamo del concetto di Stato-Nazione. Si tratta di una questione seria: la maggior parte degli Stati è nata dalla caduta degli imperi. Lo Stato-Nazione è una delle forme che hanno assunto.
In effetti, dal declino dell’Impero romano sono emersi molti Paesi, culturalmente diversi. All’interno dell’Impero romano c’erano culture egiziane, ebraiche, assire e turche, tra le altre. Questa forma di dominio dell’impero non richiedeva necessariamente l’omogeneità culturale. L’Impero austro-ungarico era molto variegato, con diversi gruppi etnici. Lo stesso valeva per l’Impero zarista, per cui dopo la Rivoluzione d’Ottobre sono successe cose interessanti. All’epoca esisteva la possibilità di due percorsi.
Dopo la fine della Prima Guerra Mondiale, l’Impero austro-ungarico e quello turco-ottomano si disintegrarono e diversi piccoli Stati divennero indipendenti. In Europa, la dissoluzione dell’Impero austro-ungarico portò alla fondazione di Stati nazionali basati su divisioni linguistiche, come l’Ungheria e l’Austria – la prima con una popolazione prevalentemente di lingua ungherese e la seconda di lingua tedesca. Il pensatore francese Ernest Renan affermò che uno Stato nazionale deve essere omogeneo in termini di nazionalità, lingua e cultura. Sotto la sua influenza, in Europa si sviluppò una concezione molto ristretta dello Stato-Nazione.
Tuttavia, dopo la Rivoluzione d’Ottobre e la creazione dell’Unione Sovietica, Lenin aveva una concezione completamente diversa dello Stato-Nazione. La sua idea era che, anche se la nazionalità russa dominava la popolazione, nel territorio dell’URSS potevano coesistere diverse nazionalità, come quella turkmena, mongola, russa, ecc. La pratica dell’Unione Sovietica ha dimostrato che lo Stato non è necessariamente composto da un unico gruppo etnico e che uno Stato multietnico è possibile.
In uno Stato-Nazione è inevitabile affrontare il problema delle minoranze presenti nel Paese: cosa fare? La Germania si è trovata ad affrontare il cosiddetto “problema ebraico” e sappiamo tutti qual è stato il risultato, l’Olocausto. A un certo punto, lo Stato nazionale dovrà occuparsi delle minoranze al suo interno, assimilandole o uccidendole o mandandole in altri Paesi.
A mio avviso, il concetto di Stato-Nazione è altamente discriminatorio tra tutte le forme di organizzazione statale, perché presuppone che uno Stato possa avere una sola identità nazionale. Le repubbliche sovietiche avevano una concezione completamente diversa da quella della successiva Unione Sovietica, che era la pratica sociale dello Stato multietnico.
È interessante notare che, se torniamo alla Nuova Cina dopo il 1949, i cinesi Han dominano sempre, sia nel passato che nel presente. L’esperimento sociale cinese, nonostante la sua parziale omogeneità etnica, si è basato sull’esperimento socialista sovietico e la Nuova Cina ha pensato seriamente alle questioni etniche. La Repubblica Popolare Cinese è un Paese multietnico e la Cina non è mai stata un’unica cultura, ma contiene molte culture minoritarie.
Quando i vecchi rivoluzionari cinesi pensarono alle questioni etniche nei primi anni Cinquanta, fu importante che si ispirassero al quadro sovietico. Ai loro occhi, la Cina non era un paese antico e monoetnico fin dall’inizio. Come riflette il nome della Repubblica Popolare Cinese, la Cina ha compreso la propria identità multietnica fin dall’inizio.
Quando pensiamo agli Stati-Civiltà, l’errore peggiore sarebbe quello di “culturalizzare” ed “etnicizzare” il concetto di Civiltà, per poi stabilire una gerarchia tra i diversi gruppi etnici, che non sono in alcun modo correlati. Il significato di “Civiltà” in uno Stato-Civiltà è che la parte unica e di lunga data della storia cinese può essere assorbita e utilizzata oggi.
Ad esempio, si è parlato troppo di meritocrazia nella cultura cinese tradizionale. Ma siamo onesti, se leggiamo le opere di Lu Xun o di Ding Ling, sappiamo che i figli dei contadini nella vecchia società, in realtà, non potevano permettersi di sostenere gli esami per il servizio civile imperiale, giusto? Solo i figli dei proprietari terrieri potevano permettersi di studiare. Ecco perché il meccanismo della meritocrazia nella cultura cinese tradizionale mostrava ancora un accenno alle differenze di classe.
E ciò che il Partito Comunista Cinese (PCC) ha fatto è stato democratizzare e rendere popolari queste tradizioni per le masse. Quindi, quando discutiamo dello Stato-Civiltà, la grande continuazione della Civiltà cinese, dobbiamo riconoscere il fatto che il percorso socialista della Cina ha svolto un ruolo importante nella democratizzazione della cultura tradizionale cinese, ad esempio integrando l’idea della multietnicità nella pratica dello Stato moderno.
Non credo che si debba fraintendere il significato di Stato-Civiltà e pensare che si tratti semplicemente di un ritorno al passato e di un legame con la storia. La realtà è che il passato viene rimodellato per servire il socialismo.
Mao Zedong aveva un grande rispetto per la cultura tradizionale, avendo ricevuto un’educazione privata da giovane, e dalle sue opere poetiche successive emerge chiaramente che Mao era un uomo con una profonda comprensione delle tradizioni storiche cinesi, ma non accettava il ruolo della gerarchia nella Civiltà cinese. Questo era naturale e necessario, perché dopo tutto erano socialisti. Pur condividendo il quadro dello “Stato-Civiltà”, ritengo importante chiarire con precisione alcuni concetti.
Secondo Martin Jacques, lo Stato-Nazione è un prodotto del colonialismo occidentale. Molti media occidentali vedono anche lo “Stato-Civiltà” come una minaccia all’idea neoliberale. È perché lo “Stato-Civiltà” offre una soluzione teorica ai Paesi in via di sviluppo per seguire la propria strada e sfuggire al dominio occidentale?
È un’ottima osservazione. Sappiamo che la Cina ha vissuto un secolo di umiliazioni a partire dal 1840. Ciononostante, la Cina non ha mai subito il livello di colonizzazione di Africa, Asia meridionale, Sud-est asiatico e America Latina. Vorrei spiegarlo un po’, e voi potreste avere un’opinione diversa.
L’aspetto interessante della Cina è che la lingua rimane intatta. Che si tratti della Cina continentale o di altre regioni cinesi, compresi i cinesi d’oltremare, la prima lingua è il cinese; possono esserci altri dialetti, ma è principalmente il mandarino. Si pensa in mandarino e gli intellettuali pensano e creano in logica mandarina. Questa è una parte fondamentale della coesione nazionale.
Guardiamo ora ad altre parti del mondo. In America Latina, ad esempio, prima dell’arrivo di Colombo, la maggior parte delle popolazioni locali parlava le lingue dei gruppi etnici di origine, con molte varietà. Un tempo esistevano, ma oggi? Dobbiamo ammettere che la maggior parte degli intellettuali in America Latina parla spagnolo o portoghese brasiliano, lingue dei colonizzatori. Negli Stati Uniti e in Canada, l’inglese è la lingua prevalente, un’altra lingua dei colonizzatori. Ciò è particolarmente vero nel continente africano, dove la maggior parte degli intellettuali e delle attività culturali utilizza il francese o l’inglese, e in alcuni luoghi il portoghese. In India un tempo c’erano più di 5.000 lingue (dialetti), e io ne ho imparate cinque crescendo, ma le attività culturali usano principalmente l’inglese.
Nel sud-est asiatico, l’Indonesia, colonizzata dai Paesi Bassi, è un’eccezione. Dopo aver ottenuto l’indipendenza nel 1948, l’Indonesia ha sviluppato una lingua indonesiana ufficiale [il dialetto Riau indonesianizzato del malese; nota di Guancha.cn]. Sukarno, il padre fondatore dello Stato indonesiano, ha insistito affinché l’indonesiano fosse insegnato nelle università del Paese. In Pakistan, l’urdu è la lingua dominante, insieme al punjabi e così via. Ma il contenuto ideologico e intellettuale è articolato in inglese.
Molti luoghi del mondo sono stati distrutti dal colonialismo e tagliati fuori dalle loro tradizioni culturali in ambito intellettuale. L’ultima volta che ho visitato la Cina continentale è stato tre anni fa, e prima di allora c’ero stato molte volte. Ho visitato l’Università Tsinghua e ho interagito con il mio buon amico, il professor Wang Hui. Il professor Wang è per me una finestra per comprendere il pensiero tradizionale cinese, sul quale ha pubblicato molte opere. Non è tagliato fuori dal passato.
Da questo punto di vista, la Cina ha il vantaggio unico di non essere tagliata fuori dalle tradizioni del passato. Gli intellettuali cinesi e non solo devono capire fino a che punto molte parti del mondo hanno dovuto spingersi per ricostruire il concetto di Civiltà. A livello culturale, infatti, sono state colonizzate molto più della Cina.
Mentre stiamo chiacchierando, il vostro telefono deve essere accanto a voi. Se lo aprite, quali app state usando, WeChat, Bilibili? Sono tutte app cinesi e voi vivete nel circolo culturale cinese. La maggior parte delle persone nel mondo, invece, apre il telefono solo per trovare applicazioni statunitensi come Facebook e Twitter. Anche se posso postare in hindi su Facebook, la maggior parte dei contenuti circola in inglese. Per molti luoghi del mondo, la Cina occupa una posizione unica per quanto riguarda la costruzione della Civiltà e la continuità della cultura. E naturalmente la Cina non dovrebbe essere troppo compiaciuta della sua storia.
Credo che la Cina sia stata molto fortunata. All’epoca l’Impero britannico era desideroso di ottenere il tè dalla Cina e quando George Macartney venne a Beijing durante il periodo Qianlong (1735-96), disse che non potevano continuare a comprare il tè con l’oro e chiese se potevano scambiarlo con altre valute. L’imperatore Qianlong rispose: “Siamo il Celeste Impero a cui non manca nulla; dovete scambiare l’oro con il nostro tè”. Allora gli inglesi dissero: una delle nostre colonie, le Fiji, è ricca di cetrioli di mare, un ottimo tonico. L’imperatore Qianlong accettò, ma le forniture britanniche non erano affatto sufficienti.
Nel 1757 la Gran Bretagna colonizzò il Bengala, la mia Patria. I colonizzatori britannici costrinsero i contadini indiani a coltivare l’oppio e a venderlo alla Cina, provocando le due guerre dell’oppio (1840-42, 1856-60). La terra indiana fu colonizzata, i suoi stessi intellettuali furono costretti a dipendere [dai coloni], il suo sistema politico fu stravolto e così via. In questo modo il colonialismo ferì profondamente l’India.
Poi, gli inglesi vendettero oppio a Shanghai, occuparono con la forza Hong Kong e aprirono la Jardine Matheson e la Barclays Bank, vendendo oppio e costringendo i cinesi a fumarlo. Ma i coloni occuparono solo i porti lungo la costa cinese; il loro potere non penetrò mai nell’entroterra e nelle vaste aree rurali della Cina.
Sapete che, anche se la Cina ha subito i “100 anni di umiliazione”, le sue forme culturali sono più o meno sopravvissute? Gli inglesi non hanno aperto scuole in tutto il vasto territorio cinese e persino il dominio dell’Impero Qing è rimasto fino al 1911. Spero che il popolo cinese si renda conto che le Civiltà di altre parti del mondo sottosviluppate, il Sud-Est asiatico, l’Asia meridionale, l’Africa, l’America Latina, sono state tutte distrutte. Gli imperi Maya, Azteco e Mongolo hanno cessato di esistere da tempo. Noi, in questi luoghi, dobbiamo lottare contro probabilità inimmaginabili.
Pensare al concetto di “Stato-Civiltà” in India oggi è molto complesso. Come ho detto prima, l’esperimento sociale della Cina è unico e non voglio esagerare. Non credo che tutti i risultati ottenuti dalla Cina derivino dal suo patrimonio culturale, ma piuttosto dalla combinazione di una lunga storia e di un percorso socialista. Ma le culture di altri Paesi sono state distrutte fin dall’inizio e devono prima essere ricostruite, a volte anche con risultati peggiori.
La durezza del sistema delle caste indiano supera di gran lunga la sua necessità e questo ha seriamente influenzato lo sviluppo della scienza e della tecnologia. In una famiglia indiana della classe media, quando la lampadina della stanza è rotta, i coniugi non la riparano mai da soli. Questo è il modo in cui il sistema delle caste ha influenzato l’India. In India, la scienza applicata non può essere divulgata adeguatamente, ma l’India ha dato grandi contributi alla ricerca scientifica teorica. Tutto questo è radicato nel sistema delle caste, dove si fa una rigida distinzione tra lavoro manuale e intellettuale.
In Cina, per le famiglie della classe media non è un problema aggiustare da soli una lampadina. Forse poteva essere un problema nella vecchia società, dove i funzionari studiosi non saltavano sulla sedia per riparare una lampadina e dicevano a un servo di occuparsene. Ma il percorso socialista che la Cina ha intrapreso negli ultimi 70 anni ha cambiato il rapporto tra lavoro intellettuale e manuale, il che significa che la Civiltà cinese ha riacquistato vitalità invece di essere rigida.
Quello che sto cercando di dire è che mentre il colonialismo ha ucciso molte Civiltà umane, la Cina ha un vantaggio. Il colonialismo ha ferito gravemente la Cina, ma non ha cancellato la vostra cultura e la vostra storia. Il popolo cinese dovrebbe riconoscerlo e, a mio avviso, dovrebbe rimanere abbastanza umile.
Può approfondire l’unicità dell’India come Stato-Civiltà? Come vede l’India la sua identità a livello etnico e religioso?
L’India è come un continente, simile alla Cina in termini di popolazione, e siamo entrambi Paesi asiatici. Ma la situazione all’interno dell’India è molto più variegata, ad esempio non abbiamo una vera e propria “lingua nazionale” ma abbiamo centinaia, se non migliaia, di lingue, 27 delle quali sono le più importanti. Le religioni locali in India non sono solo l’induismo e l’islam.
Raramente si sa che il cristianesimo si è diffuso prima in India e poi in Europa. Uno degli apostoli di Cristo, Tommaso, arrivò per primo in India e poi gli altri apostoli andarono in Europa. La storia del cristianesimo in India è più lunga che in Europa, e abbiamo comunità cristiane, ebraiche, buddiste e così via molto antiche.
Per quanto riguarda la diversità etnica, non so nemmeno da dove cominciare. Il luogo in cui sono cresciuto, al confine tra Pakistan e Afghanistan, un tempo accolse Alessandro Magno e fondò il Regno Bactriano. Poi ci furono molti gruppi etnici che arrivarono dall’Asia centrale, i mongoli, Timur, un discendente di Gengis Khan, Muhammad di Ghor. Centinaia di popoli e tribù erano giunti in India, i portoghesi, gli africani, gli arabi, la grande flotta di Zheng He e la Via della Seta marittima.
Il mondo culturale dell’India è incredibilmente ricco. Lo swahili, la lingua dei mercanti, è un misto di arabo, Asia meridionale e lingue africane locali. La cultura indiana è così varia da non poter essere ricondotta a un’origine comune. Questo è importante. Nel caso della Cina, possiamo pensare alle sue origini culturali come all’unificazione della dinastia Qin, e “Cina” non è un concetto cosiddetto “etnico”; deve includere il sistema di esami imperiali, l’insegnamento di Confucio e Mencio, ecc. Si tratta piuttosto di una tradizione culturale filosofica che unisce i cinesi.
L’India racconta una storia completamente diversa. C’è chi crede nella filosofia antica, chi crede negli Dèi fisici e chi è ateo. Prendiamo ad esempio i buddhisti, che credono nell’umanità piuttosto che in un Dio. Quindi, l’India si trova in una situazione molto diversa dalla Cina quando si tratta di costruire un concetto di Civiltà per se stessa.
Prima di diventare il primo ministro indiano, Nehru scrisse un libro intitolato La scoperta dell’India. In esso sosteneva che l’India era essenzialmente diversificata. Se si considera l’India come una Civiltà nel suo complesso, il suo valore fondamentale è la diversità. Ecco perché Nehru ha lasciato un motto per l’India: “Unità nella diversità“. È possibile costruire un’entità politica basata su questo, ma è difficile leggere l’India in termini di Stato-Civiltà se la si guarda da una prospettiva culturale ed etnica.
A mio avviso, il fattore che ha costruito l’unità più centrale della storia e della Civiltà indiana è la lotta anticoloniale, che ha rimodellato l’India. In questo senso, possiamo considerarla come una sorta di coltivazione intellettuale. L’India come Stato-Civiltà è unita sotto una Civiltà anticoloniale, quindi non si tratta dell’India in sé. Va notato che la parola stessa “India” è un concetto geografico, che significa “l’altra sponda dell’Indo”.
Come valuta il ruolo del Mahatma Gandhi nella lotta anticoloniale e nella formazione dell’identità nazionale indiana?
Questo è molto importante perché Gandhi è stato proprio una figura che ha svolto un ruolo di unificazione del movimento anticoloniale indiano. In realtà, egli ha tratto dalla vasta storia dell’India una lettura ristretta: la non-violenza, o Ahimsa, una tradizione che si trova nel buddhismo e nel giainismo. Ma il suo limite è che anche un grande uomo come Gandhi ha parlato solo di non-violenza e non ha approfondito la questione della giustizia sociale. Egli si identificava ancora con il sistema delle caste ed era ambiguo nel suo approccio al movimento operaio.
Ho quindi sottolineato più volte che il termine “Stato-Civiltà” non deve essere usato in modo arbitrario, che non possiamo dare per scontata la “Civiltà”, che non deve essere sinonimo di Stato-Nazione, ma deve avere elementi socialisti. Quindi, credo che il professor Zhang Weiwei discuta principalmente dell’esperienza cinese, e non ho ancora visto alcuna sintesi teorica della situazione al di fuori della Cina. Se uno “Stato-Civiltà” significa combinare le parti migliori della storia di ogni cultura con il socialismo, è difficile trovare esempi simili in altre parti del mondo.
Molti sembrano pensare che ciò che la Cina ha raggiunto oggi non abbia nulla a che fare con il socialismo. In realtà, nel XVIII secolo la quota della Cina nella produzione globale era molto alta, ma nel 1949 era scesa a livelli incredibili. Molti ritengono che oggi la Cina stia tornando al posto che le spetta nella storia, come se fosse una cosa ovvia, senza bisogno di alcun intervento.
Io penso che la Rivoluzione cinese, segnata dal 1949, sia realmente intervenuta nella cultura e nella storia cinese. Non si può affermare che la storia fosse destinata ad arrivare a questo punto. E se fosse stato il Kuomintang a vincere? Temo che la classe dei proprietari terrieri avrebbe dominato il Paese e la gente nelle campagne avrebbe continuato a strisciare verso gli altri, non osando tenere la testa alta. Il popolo non sarebbe stato orgoglioso del Paese e sarebbe stato sottomesso alla classe dirigente. La Cina non sarebbe stata diversa dalla stragrande maggioranza del Sud globale; e il Covid-19 avrebbe imperversato nel Paese, uccidendo milioni di persone e altre cose del genere.
Quindi, come si fa a riportare l’orgoglio e la fiducia in una Nazione in un Paese povero e arretrato? Voglio essere onesto: è impossibile fare affidamento solo sulla cultura tradizionale. Solo affidandosi allo Stato per mantenere la propria integrità sovrana una Nazione può riacquistare la propria dignità. Questo non è un dono di Dio. L’India ha un grande passato, una storia lunga quanto quella della Cina, forse anche un po’ più interessante. Ma non basta gioire del passato; cosa può portare il passato all’India di oggi?
Mi sembra che le conquiste della Cina di oggi siano necessariamente più legate al suo background socialista, pur mantenendo la continuità della storia cinese. Ecco perché il professor Zhang ha lo spazio per spiegare l’ascesa della Cina. Spero che comprendiate che il mio punto di vista su questo punto può essere radicale.
Oltre allo “Stato-Civiltà”, si moltiplicano le contro-narrazioni contro i valori universali occidentali, tra cui i “valori asiatici” proposti dal dottor Kishore Mahbubani. Qual è la sua opinione in merito?
Mahbubani è uno studioso singaporiano molto intelligente la cui famiglia è emigrata dall’India. Ha elaborato una serie di “valori asiatici”, mettendo in evidenza la famiglia, il duro lavoro, la disciplina nel lavoro e nello studio, e così via. Egli ritiene che siano questi valori e culture asiatiche uniche ad aver portato al successo di molti Paesi asiatici. Ma c’è un problema empirico: ci sono ancora molti Paesi asiatici che non hanno avuto successo. In molte parti dell’India, centinaia di milioni di persone vivono in estrema povertà. Lo Sri Lanka non può certo essere considerato un Paese di successo. Non sono in difficoltà anche molti Paesi dell’Asia meridionale, come il Bangladesh?
Se esistono i cosiddetti valori asiatici, perché questi Paesi sono ancora in difficoltà? Se l'”Asia” è il fattore decisivo, come si spiega l’ascesa della Cina e il fallimento del Bangladesh? La risposta è molto semplice.
In secondo luogo, il concetto di valori asiatici non ci aiuta a capire l’ascesa della Cina. Se mi dite che è grazie a valori asiatici comuni che la Cina ha raggiunto un PIL così alto e presto sarà la più grande economia, mi sarà impossibile capirlo. Perché le aziende straniere non hanno lasciato Shenzhen e non si sono trasferite in Indonesia di fronte alle sanzioni? Perché queste aziende sanno che i lavoratori indonesiani non sono forti, sani e ben formati come le loro controparti cinesi. Sono più soggetti a malattie, assenteismo, ecc. nelle nuove fabbriche moderne.
In breve, Mahbubani non parla di socialismo. Il vantaggio dei lavoratori cinesi rispetto a quelli indonesiani oggi riflette i risultati del percorso socialista. Perché i lavoratori cinesi hanno livelli di nutrizione più elevati di quelli indiani? Perché, nello stesso continente asiatico, i lavoratori industriali indiani sono afflitti dall’anemia, mentre i cinesi non hanno questo problema, quindi lavorano in modo più efficiente e sono più produttivi? La risposta è il socialismo.
Mahbubani generalizza dicendo che l’Asia ha grandi tradizioni. È vero, e ci sono effettivamente alcuni forti legami culturali, come il valore della famiglia. Ma come si spiega che in India ci sono 600 milioni di persone che vivono in povertà, mentre la Cina, anch’essa un Paese asiatico, ha eliminato la povertà assoluta? Ecco perché non vedo molto valore in questo quadro di ricerca, a meno che l’Asia non sia solo un sinonimo di cultura o di Cina. Questo non ha senso. La cultura da sola non spiega affatto come la Cina sia passata da un secolo di umiliazioni alla sua ascesa odierna.
Anche se non sono un “asiatico”, sono d’accordo con Mahbubani sul fatto che le società asiatiche hanno una storia molto lunga. Se venite in India, vedrete sul ciglio della strada case comuni che hanno migliaia di anni. Non si tratta di reperti storici, sono semplicemente vecchie. Perché è importante dire questo? In molte parti del mondo si conserva l’eredità di una lunga storia. Una lunga storia conferisce a un popolo un’umiltà speciale, e si capisce che non si può affrettare tutto e che solo il tempo lo dirà.
Il socialismo non è qualcosa di completamente nuovo. Quando raggiunse Tan Malaka in Indonesia, Ho Chi Minh in Vietnam, Mao e i suoi compagni, erano ormai lontani i tempi in cui il socialismo era un concetto sconosciuto. Gran parte di esso poteva essere compreso subito. Non c’è bisogno della teoria di Marx per capire che tutti i membri della società devono essere trattati allo stesso modo. Nella società moderna, sapevano già che questo era possibile.
La società capitalista ha accumulato grandi quantità di ricchezza. Charles Dickens non aveva letto le opere di Marx quando scrisse il suo famoso romanzo Tempi duri; erano più o meno della stessa epoca. Ma Tempi duri si legge come se l’avesse scritto Marx, e dicevano la stessa cosa: è troppo crudele che i ricchi e i poveri sembrino vivere in due regni.
Nel vecchio mondo dell’Eurasia e in alcune parti dell’Africa, il ritmo del processo politico è ancora più lento. Avete sentito parlare di fast food, ma ora c’è lo “slow food“. Gli italiani promuovono lo slow food, il sedersi a tavola con la famiglia, godersi il pasto, cucinarlo da soli, abbracciare la gioia e il relax, ecc. Questo è il mio ultimo punto: c’è una politica veloce e una politica lenta. Una lunga storia ci ha insegnato a essere più razionali, più tolleranti, a comprendere le prospettive altrui e così via. Invece di chiamarli “valori asiatici”, preferirei considerarli come i valori che ogni Civiltà di lunga data possiede.
Lei ha parlato molto bene del percorso socialista della Cina e del modello cinese. Quali lezioni pensa che possa offrire alla maggior parte dei Paesi in via di sviluppo?
Vorrei fare tre osservazioni. In primo luogo, non c’è dubbio che la Cina abbia raggiunto risultati incredibili. Per esempio, l’eliminazione della povertà assoluta, lo sviluppo della tecnologia verde. Tutto questo è molto incoraggiante per noi: il socialismo non ha fallito.
Poi, ogni Paese, ogni singola Civiltà, deve trovare il proprio percorso di sviluppo. È impossibile copiare direttamente il modello cinese e il socialismo non può essere raggiunto per semplice imitazione. In realtà, un tentativo di imitazione è una cattiva idea anche nel caso delle pratiche neoliberali. Il modello cinese non è destinato a essere “esportato” in altri Paesi, ma è innanzitutto adatto alla Cina stessa.
Infine, possiamo ancora imparare qualcosa di utile da ciò che il governo e il popolo cinese hanno già realizzato. La pratica di eliminare la povertà assoluta, ad esempio, merita uno studio approfondito e altri Paesi possono in parte mutuare questa esperienza. Sarebbe troppo irrealistico copiare l’intera serie di politiche di altri Paesi. È importante essere razionali nel trasferire l’esperienza socialista ad altri Paesi. La pratica socialista non può essere dogmatica, ma un processo di apprendimento. Si possono prendere elementi preziosi da altri Paesi, ma non è possibile copiarli meccanicamente. Non c’è nulla di male nel riconoscere le grandi conquiste della Cina, ma non possono essere confezionate all’ingrosso e vendute altrove come la Coca Cola in bottiglia.