L’anarchia del capitale è la libertà malvagia di “mandarsi vicendevolmente in rovina”. Siamo nel tempo dell’anarchia capitalistica pienamente realizzata. Il capitalismo occidentale è nella sua fase anarchica. Costanzo Preve definiva l’attuale fase del “capitalismo” come “assoluta”. Il capitalismo attuale si specchia solo in stesso percependosi come astorico ed eterno e nel suo solipsismo distruttivo e diabolico ha divorato ogni limite. Esso rifugge il pensiero e il concetto, in quanto il pensiero è logos e dunque relazione comunitaria. L’anarchia malvagia del capitale con le sue oligarchie può essere percepita come onnipotente, se si associa il termine capitalismo ad assoluto (ab solutus ‒ sciolto da ogni limite). Il capitalismo assoluto in realtà è profondamente anarchico. La definizione di Costanzo Preve risulta dunque parziale. Il capitalismo è anarchico prima che assoluto. Il primo limite della definizione di Costanzo Preve è nel termine “assoluto”. Il lettore potrebbe in modo inconsapevole, come detto, associare tale parola alla fine della storia. “L’assoluto si è realizzato, un ciclo è terminato e dunque la storia ha il suo terrifico sigillo”. Oggi in molti pensano all’apocalisse ambientale, ma in pochi ipotizzano la fine storica del mondo di produzione capitalistica. D’ora in avanti, si potrebbe pensare, potranno esservi variazioni dell’assoluto ma non trasformazioni, e quindi la prassi è impossibile. Il termine assoluto presuppone l’impotenza del suddito consumatore e dei dominati della globalizzazione, ovverossia quasi tutta l’umanità. Costanzo Preve non voleva questo né mai l’ha pensato. Associare al capitalismo il termine “assoluto” resta comunque rischioso, in quanto per definizione ciò che è assoluto è astorico e ascende verso l’eternità, in quanto non riconosce “limiti e trasformabilità”, poiché è pienamente attualizzato e come l’Essere di Parmenide è omogeneo e senza contraddizioni nella sua immobilità. Il linguaggio è il nostro “essere-esserci” e dunque crea mondi e percezione dei medesimi. Con estrema facilità il termine assoluto associato al capitalismo può diventare fuorviante. L’altro limite dell’espressione capitalismo assoluto è il senso di ordine imposto che esso trasmette. Il capitalismo è storico, fortunatamente, e fomenta l’anarchia globale all’ombra dello sfruttamento generalizzato. Esso è perenne disordine, e tale disordine, è “denominato progresso”. Sfruttamento e cannibalizzazione di identità, lingue e civiltà sono le azioni che esso determina nel suo agire incontrollato. Il capitalismo anglosassone, di cui si scrive, è il prodotto semicasuale di circostanze imprevedibili, esso ha cominciato la sua corsa con la Prima rivoluzione industriale e dunque il suo futuro non è assicurato né eterno, dato che è “umano troppo umano”. Il limite del capitalismo è intrinseco allo stesso, pertanto è un falso assoluto e una divinità umana e mendace, esso è come il vitello d’oro dell’Antico Testamento. Divinità posta dagli esseri umani e divinizzata, e vissuta come “eterna”. Il capitalismo non è assoluto e non è eterno, esso è nella storia e scomparirà nella storia. Non sappiamo il modo, ma è destinato ad eclissarsi. Ciascuno di noi può contribuire alla possibilità del suo dialettico superamento. La storia sia ”noi” a porla in circostanze ben definite che con le loro contraddizioni rendono ogni umano istituto precario e oltrepassabile.
Sorto grondante di “sangue e sudore” è probabile che il suo tramonto possa avvenire, già lo constatiamo, tra crimini e genocidi, in quanto l’oligarchia che lo manovra, non lascerà il dominio globale volontariamente. Dunque il capitalismo è anarchico più che assoluto, in quanto non è governato dalla politica e non ha principi etici; esso divora l’umanità, la sfrutta, la sorveglia e la manipola in nome dell’accumulo senza limiti. Senza leggi e senza politica, ha un’unica legge sfruttare e guadagnare, è un assoluto storico in fase anarchica e da ciò discende la fase di estrema pericolosità criminale che stiamo vivendo. L’anarchia in cui versiamo, mostra la verità del capitalismo e i suoi limiti. Oligarchie in lotta si contendono capitali, materie prime e mercati. Un nuovo colonialismo lo connota, quando può, lascia che gli stati siano formalmente indipendenti per conquistarne le strutture economiche e piegare le classi dirigenti e usarle come zerbini per le sue richieste. Il capitalismo della finanza attuale detiene immense risorse con cui può corrompere classi dirigenti formate alla crematistica e al nichilismo e dunque predisposte a lasciarsi corrompere. Gli interventi in campo scolastico e formativo sono finalizzati a formare uomini e donne competitivi e nichilisti disponibili ad assecondare le sue richieste. Sempre i totalitarismi nella storia intervengono fortemente nella formazione. Lo stato di anarchia è chiamata dagli ideologici, gli oratores e gli atei devoti come li definiva Costanzo Preve, con termini quali “liberale, liberista” termini associabili, anch’essi alla libertà, ma di libero vi è solo la pratica degli interessi personali e dei gruppi economici con le loro ballerine alleanze. Ora a Costanzo Preve dobbiamo la lettura reale del capitalismo, esso è un dispositivo di attacco frontale e capillare alla natura umana etica e sociale; esso è annichilimento di comunità e di tradizioni da porre comunque al critico vaglio della ragione:
“Il primo attacco strategico della “modernità capitalistica” alle comunità sociali subalterne del mondo feudale e signorile fu fatto in Europa, all’interno del sistema dell’accumulazione capitalistica. Queste comunità erano di diverso tipo (vedi in proposito le meravigliose opere storiche di Perry Anderson), ma la loro genesi, almeno per l’Europa Occidentale, deve essere cercata nel periodo burrascoso della fine del mondo antico, con la fusione degli schiavi agricoli e dei coloni liberi asserviti nei latifondi. In ogni caso queste comunità, base antropologica dell’unità culturale europea, durarono più di un millennio, e furono a poco a poco distrutte con la trasformazione capitalistica dell’agricoltura, completata in Europa Occidentale nell’ottocento. Il secondo attacco strategico alle comunità tribali “comunistiche”, sia pure quasi sempre comunisticodispotiche (Hosea Jaffe), avvenne con il commercio triangolare di schiavi neri e con il massacro delle popolazioni “comunistiche” in Africa e nei territori americani. La proprietà comune non venne mai riconosciuta come valida, ed in tutti i casi fu imposta la proprietà privata del diritto romano nella versione anglosassone. Il terzo attacco strategico della proprietà privata capitalistica avvenne contro i dispotismi monarchici di tipo “asiatico” (Samir Amin, Karl Wittfogel), in particolare in India, Cina, Indocina, Indonesia ed impero ottomano. Si tratta del famoso “modo di produzione asiatico”, abbondantemente illustrato da Karl Marx (cfr. Forme di produzione precapitalistiche). L’intreccio di queste tre diverse ma convergenti forme di attacco alle forme di produzione comunitarie fa parte integrante della cosiddetta storia moderna, ma i consueti manuali non permettono in genere di capire la profonda unità di questo fenomeno storico. La riscrittura radicalmente nuova della storia moderna dell’accumulazione capitalistica è preliminare ad ogni discorso sul comunitarismo oggi. In poche parole, il comunitarismo non è per gli ignoranti e per i pigri. Il comunitarismo non è per coloro che si fermano alla superficie del chiacchiericcio politico di oggi. Il comunitarismo non è per chi è troppo pigro ed ignorante per capire che senza un radicale riorientamento gestaltico nella comprensione della storia non è possibile oggi difendere con successo questo punto di vista”.1
Dunque il termine (assoluto) utilizzato da Costanzo Preve per definire l’attuale fase del “capitale”, comporta il “rischio intrinseco” di comunicare al lettore e al dominato un senso di impotenza, in quanto ciò che è assoluto implica l’intrasformabilità. Forse la definizione di “anarchia capitalistica” è maggiormente consona alla fase che stiamo vivendo, in cui, l’assoluto con il suo disordine apre spazi di manovra e di comprensione, per noi dominati, ma che non siamo tali nello spirito, in quanto conserviamo la forza creatrice del concetto.
- Costanzo Preve, Filosofia e politica del comunitarismo. Riforma, rivoluzione e conservazione.[↩]

