Pasolini e il tempo della violenza genocidaria

L’indifferenza sostanziale al genocidio in corso in Palestina necessita di risposte e di ricerca. Le rade manifestazioni di solidarietà con il popolo palestinese e la passività di tanti che assistono “indiffferenti” al ripetersi di un genocidio sono il sintomo della marcescenza occidentale. La crisi etica è palese e con essa la politica si inabissa fino ad evaporare dall’esistenza dei singoli e dei popoli. La politica è stata sostituita dal calcolo edonistico e degli interessi personali. La creatività, il pensiero e l’empatia muoiono sotto il cono d’ombra del capitalismo senza Katechon.

La Risposta che a suo tempo, nel 1963, diede Hannah Arendt ne “La Banalità del male” oggi appare assai insoddisfacente. La filosofa individuò nell’assenza di pensiero critico la causa della complicità con cui uomini ordinari si lasciarono coinvolgere nel genocidio. Uomini come Adolf Eichmann erano affetti dal “non pensiero”, in quanto il totalitarismo aveva divorato i corpi medi e assorbito ogni dimensione all’interno dello Stato-Partito. La tesi della Arendt discutibile già a suo tempo appare oggi impraticabile per leggere il nostro tragico presente. Il genocidio è crimine contro l’umanità e risponde a genetiche storiche che mutano nel tempo. L’indifferenza del nostro tempo non è sovrapponibile alla criminale complicità che si consumò durante il genicidio ebraico. Cercare le ragioni della normalizzazione del male, ormai percepito come fatale, significa individuare il “male” nella sua nuova forma e metamorfosi. Il sistema procede nella sua marcia atomistica e coloro che “cadono” sono solo gli sconfitti e i perdenti. L’indifferenza del nostro tempo è il peso inerte della storia, e specialmente sostiene il sistema con i suoi crimini. Innocenza e colpa si fondono e confondono. La ragione di tale profonda “patologia strutturale” che attraversa in modo conclamato le società e gli stati a capitalismo pienamente realizzato è stata analizzata da Pier Paolo Pasolini.

In occasione del referendum sul divorzio nel 1974, lo scrittore palesa che la vittoria non è il “segno” della crescita qualitativa degli italiani, ma la ragione della vittoria è da identificarsi nella conversione degli italiani, a prescindere dallo schieramento politico, al consumismo. Il divorzio è parte della logica dell’usa e getta organica all’edonismo di massa. Un principio condivisibile in una cornice segnata dall’utilitarismo e dall’individualismo acefalo diventa un mezzo per affermare il personale narcisismo. Il diritto si trasforma in un’arma. Il capitalismo è dunque il nuovo fascismo, in quanto omologa e divide e nel contempo coltiva in ogni individuo la sudditanza al consumismo. Ne consegue la regressione del “senso sociale e della sensibilità politica”. Il narcisismo edonistico è il nuovo fascismo che ha abbandonato limiti e divieti imposti per dominare con “l’atomistica delle solitudini”:

Sia il Vaticano che il partito comunista hanno dimostrato di aver osservato male gli italiani e di non aver creduto alla loro possibilità di evolversi anche molto rapidamente, al di là di ogni calcolo possibile.
Ora il Vaticano piange sul proprio errore. Il PCI, invece, finge di non averlo commesso ed esulta per l’insperato trionfo.
Ma è stato proprio un vero trionfo?
Io ho delle buone ragioni per dubitarne. Ormai è passato quasi un mese da quel felice 12 maggio e posso perciò permettermi di esercitare la mia critica senza temere di fare del disfattismo inopportuno.
La mia opinione è che il cinquantanove per cento dei «no», non sta a dimostrare, miracolisticamente, una vittoria del laicismo, del progresso e della democrazia: niente affatto: esso sta a dimostrare invece due cose:
1. che i «ceti medi» sono radicalmente – direi antropologicamente – cambiati: i loro valori positivi non sono più i valori sanfedisti e clericali ma sono i valori (ancora vissuti solo esistenzialmente e non «nominati») dell’ideologia edonistica del consumo e della conseguente tolleranza modernistica di tipo americano. È stato lo stesso Potere – attraverso lo «sviluppo» della produzione di beni superflui, l’imposizione della smania del consumo, la moda, l’informazione (soprattutto, in maniera imponente, la televisione) – a creare tali valori, gettando a mare cinicamente i valori  tradizionali e la Chiesa stessa, che ne era il simbolo.
2. che l’Italia contadina e paleoindustriale è crollata, si è disfatta, non c’è più, e al suo posto c’è un vuoto che aspetta probabilmente di essere colmato da una completa borghesizzazione, del tipo che ho accennato qui sopra (modernizzante, falsamente tollerante, americaneggiante ecc.).1

    Differenze nominali

    Fascisti e antifascisti post 1968 si ritrovano eguali nell’idolatrico culto del consumo e nella pratica del solo interesse personale. Il “primitivismo di massa” con i suoi belati sempre pronti ad accogliere l’ultima novità che il mercato somministra abilmente è il risultato finale di tale regressione di massa, in cui il popolo si trasforma in suddito incapace di pensare e di desiderare un mondo altro. In tale contesto le differenze sono solo nominali. Fascisti e antifascisti sono intercambiabili, ciò ha anticipato la perfetta simmetria tra destra e sinistra. Il fascismo non è più da identificare con un sistema che aveva il suo punto di riferimento nel nazionalismo, nella Chiesa e nella borghesia con i suoi valori/disvalori. Oggi il fascismo è nel nominalismo, ovvero nella pratica di un nichilismo assoluto in cui il soggetto si obnubila nella corsa furibonda e bellicosa verso il consumo. Il capitalismo è stato il cattivo maestro che ha insegnato a ”non riconoscere l’altro”; l’altro è il competitore che potrebbe impedire l’ultimo piacere e un po’ di luce nella società dello spettacolo. L’omologazione è trasversale, e dunque il capitale è riuscito ad ottenere una massificazione impensabile a cui il “fascismo” non era giunto:

    Tale salto «qualitativo» riguarda dunque sia i fascisti che gli antifascisti: si tratta infatti del passaggio di una cultura, fatta di analfabetismo (il popolo) e di umanesimo cencioso (i ceti medi) da un’organizzazione culturale arcaica, all’organizzazione moderna della «cultura di massa». La cosa, in realtà, è enorme: è un fenomeno, insisto, di «mutazione» antropologica. Soprattutto forse perché ciò ha mutato i caratteri necessari del Potere. La «cultura di massa», per esempio, non può essere una cultura ecclesiastica, moralistica e patriottica: essa è infatti direttamente legata al consumo, che ha delle sue leggi interne e una sua autosufficienza ideologica, tali da creare automaticamente un Potere che non sa più che farsene di Chiesa, Patria, Famiglia e altre ubbìe affini.
    L’omologazione «culturale» che ne è derivata riguarda tutti: popolo e borghesia, operai e sottoproletari. Il contesto sociale è mutato nel senso che si è estremamente unificato. La matrice che genera tutti gli italiani è ormai la stessa. Non c’è più dunque differenza apprezzabile – al di fuori di una scelta politica come schema morto da riempire gesticolando – tra un qualsiasi cittadino italiano fascista e un qualsiasi cittadino italiano antifascista. Essi sono culturalmente, psicologicamente e, quel che è più impressionante, fisicamente, interscambiabili. Nel comportamento quotidiano, mimico, somatico non c’è niente che distingua – ripeto, al di fuori di un  comizio o di un’azione politica – un fascista da un antifascista (di mezza età o giovane: i vecchi, in tal senso possono ancora esser distinti tra loro). Questo per quel che riguarda i fascisti e gli antifascisti medi. Per quel che riguarda gli estremisti, l’omologazione è ancor più radicale”.2

    Nuovo fascismo

    Il nuovo fascismo è nel senso di penuria introiettato, per cui si è sempre alla ricerca dell’ultimo piacere e dell’accumulo crematistico. Si è presi da un automatismo belligerante, in cui conta solo il proprio desiderio, mentre “il mondo applaude ai nuovi vincenti”. Si aderisce ad un’ideologia in modo aprioristico e si ripete un modello nell’azione del tutto privo di ogni senso, e pertanto non resta che la violenza. L’architrave dell’ipotesi di Pasolini è l’edonismo che erode il pensiero e la consapevolezza e in tale vuoto metafisico generalizzato le differenze sono solo scenografia a cui non corrisponde nulla. Il nuovo fascismo che ha causato la mutazione antropologica è il nuovo capitalismo post 1968 con il suo edonismo massificante. La grammatica emotiva conseguente è l’incapacità acquisita di indignarsi dinanzi al male:

    Dunque il fascismo non è più il fascismo tradizionale. Che cos’è, allora?
    I giovani dei campi fascisti, i giovani delle SAM, i giovani che sequestrano persone e mettono bombe sui treni, si chiamano e vengono chiamati «fascisti»: ma si tratta di una definizione puramente nominalistica. Infatti essi sono in tutto e per tutto identici all’enorme maggioranza dei loro coetanei. Culturalmente, psicologicamente, somaticamente – ripeto – non c’è niente che li distingua. Li distingue solo una «decisione» astratta e aprioristica che, per essere conosciuta, deve essere detta. Si può parlare casualmente per ore con un giovane fascista dinamitardo e non accorgersi che è un fascista. Mentre solo fino a dieci anni fa bastava non dico una parola, ma uno sguardo, per distinguerlo e riconoscerlo.
    Il contesto culturale da cui questi fascisti vengono fuori è enormemente diverso da quello tradizionale. Questi dieci anni di storia italiana che hanno portato gli italiani a votare «no» al referendum, hanno prodotto – attraverso lo stesso meccanismo profondo – questi nuovi fascisti la cui cultura è identica a quella di coloro che hanno votato «no» al referendum.
    Essi sono del resto poche centinaia o migliaia: e, se il governo e la polizia l’avessero voluto, essi sarebbero scomparsi totalmente dalla scena già dal 1969.
    Il fascismo delle stragi è dunque un fascismo nominale, senza un’ideologia propria (perché vanificata dalla qualità di vita reale vissuta da quei fascisti), e, inoltre, artificiale: esso è cioè voluto da quel Potere, che dopo aver liquidato, sempre pragmaticamente, il fascismo tradizionale e la Chiesa (il clerico-fascismo che era effettivamente una realtà culturale italiana) ha poi deciso di mantenere in vita delle forze da opporre – secondo una strategia mafiosa e da Commissariato di Pubblica Sicurezza – all’eversione comunista. I veri responsabili delle stragi di Milano e di Brescia non sono i giovani mostri che hanno messo le bombe, né i loro sinistri mandanti e finanziatori”.2

    Se il nuovo fascismo (capitalismo) prevarrà, sarà un fascismo assolutamente nuovo per il quale non abbiamo mappe e bussole per decoficarlo, o meglio non possiamo usare le categorie del passato per comprenderlo. La resistenza è sempre possibile, ma è necessario ridisegnare le mappe e rafforzare il carattere per poter porre in atto la resistenza al nuovo fascismo:

    Se il loro fascismo dovesse prevalere, sarebbe il fascismo di Spinola, non quello di Caetano: cioè sarebbe un fascismo ancora peggiore di quello tradizionale, ma non sarebbe più precisamente fascismo. Sarebbe qualcosa che già in realtà viviamo, e che i fascisti vivono in modo esasperato e mostruoso: ma non senza ragione”.2

    Il fascismo pienamente realizzato è il grande successo del capitalismo. Per la prima volta siamo innanzi ad una omologazione totale nei gusti, nei gesti, nel linguaggio e nei corpi. Con tale tragedia bisogna confrontarsi per defatalizzare la storia. La natura umana non la si può cancellare, essa resta anche se inespressa, da questo dato bisogna partire per uscire dal dramma dell’indifferenza. Il nuovo fascismo ottunde la mente e i corpi, ma la natura etica e razionale dell’essere umano è la speranza onto-assiologica della rinascita.

    I nostri figli. Le colpe dei padri

    Chi paga le colpe di una società liquida che nulla ha da offrire? Le colpe sono pagate dai figli. Nelle tragedie greche le colpe dei padri ricadono sui figli, oggi lo sappiamo, le inaudite colpe dei padri e delle madri non restano confinate in recinti temporali, ma ricadono violente e distruttive sui figli resi orfani, mentre i genitori sono in vita. In realtà i figli del niente non sono figli, essi semplicemente esistono e sono esposti alle violenze della storia, per cui non possono definirsi realmente “figli” coloro che sono nati nell’incuria e nell’indifferenza. Padri e madri indifferenti e omologati crescono i propri figli ripetendo in modo ossessivo i modelli capitalistici che nulla hanno di liberale, ma tanto hanno di “totalitario”.

    La solitudine penetra tra le mura domestiche, perché i padri e le madri tacciono e lasciano parlare i media con i loro slogan e con le loro immagini. Sono ormai dei posseduti che trasmettono le parole e i gesti del nuovo fascismo. Gradualmente i genitori abbandonano il loro ruolo di educatori che si esplica con la cura amorevole e che non può non prevedere il conflitto per nascere al mondo. Il conflitto è sostituito con l’omologazione e con il buonismo con le sue parole scenografiche dietro le quali si cela solo la distanza emotiva tra gli esseri umani, nella distanza i figli periscono per mancanza d’amore e di attenzione.

    Figli tracotanti e disperati sono nutriti con le tossine dell’egualitarismo dell’ignoranza mascherata con il catechismo del diritto a tutto. I genitori alimentano con la loro indifferenza narcisistica l’infelicità dei figli, sempre più insensibili e sempre più addolorati, che si aprono al mondo già privi di progettualità, essi si limitano a ripetere stancamente e disperatamente le parole del mercato; i loro corpi tra tatuaggi e chirurgia estetica sono resi parte della produzione in serie di merci. L’industria dei corpi è tra di noi: corpo mercificato e reso banale e sostituibile. La diversità linfa della felicità perisce, mentre si affacciano alla vita “esseri generici e superflui” che recano nello sguardo e nel corpo le colpe dei padri e delle madri.

    Il nuovo fascismo ha lo sguardo permissivo dei genitori (e delle istituzioni formative) che alimentano il narcisismo che rende orbi; il dolore del mondo non è guardato e non è ascoltato. I nuovi infelici addestrati all’obbedienza degli slogan vivono le colpe dei genitori, i quali hanno detto il loro tragico “sì” al capitalismo e alle sue violenze e in quel “sì” hanno offerto in sacrificio i propri figli. In cambio hanno avuto il benessere omologato che strappa l’anima e trasforma i figli, ormai senza padri e senza madri, in barbari che coltivano spietatamente il corpo reso mostruoso dall’ipertrofia dell’ostentazione.

    Il nuovo fascismo è peggiore del trascorso fascismo, non è palese come il fascismo autoritario, ma conquista le anime rendendole schiave e violente con la seduzione e con la libertà informe del consumismo.

    I figli nella loro immensa solitudine sono creature che incutono paura, perché hanno conosciuto solo la violenza della solitudine indotta. Nessuno li ha guardati nella loro individualità e umanità, per cui sono capaci di gesti di inaudita aggressività. No sono mai nati al mondo, sono creature ibride che oscillano tra l’essere e il niente. Privi del senso del sacro ed addestrati alla competizione su di essi cadono le colpe di un mondo di adulti che ha perso il lume del bene e si è piegato al culto del solo interesse personale da perseguire a qualsiasi costo. Ecco il nuovo fascismo nelle parole profetiche e oracolari di P.P. Pasolini:

    I figli che ci circondano, specialmente i più giovani, gli adolescenti, sono quasi tutti dei mostri. Il loro aspetto fisico è quasi terrorizzante, e quando non terrorizzante, è fastidiosamente infelice. Orribili pelami, capigliature caricaturali, carnagioni pallide, occhi spenti. Sono maschere di qualche iniziazione barbarica. Oppure, sono maschere di una integrazione diligente e incosciente, che non fa pietà. (…) La stereotipia li rende infidi. Il loro silenzio può precedere una trepida domanda di aiuto (che aiuto?) o può precedere una coltellata. Essi non hanno più la padronanza dei loro atti, si direbbe dei loro muscoli. Non sanno bene qual è la distanza tra causa ed effetto. Sono regrediti — sotto l’aspetto esteriore di una maggiore educazione scolastica e di una migliorata condizione di vita — a una rozzezza primitiva. Se da una parte parlano meglio, ossia hanno assimilato il degradante italiano medio — dall’altra sono quasi afasici: parlano vecchi dialetti incomprensibili, o addirittura tacciono, lanciando ogni tanto urli gutturali e interiezioni tutte di carattere osceno. Non sanno sorridere o ridere. Sanno solo ghignare o sghignazzare. In questa enorme massa (tipica, soprattutto, ancora una volta!, dell’inerme Centro-Sud) ci sono delle nobili élites, a cui naturalmente appartengono i figli dei miei lettori. Ma questi miei lettori non vorranno sostenere che i loro figli sono dei ragazzi felici (disinibiti o indipendenti, come credono e ripetono certi giornalisti imbecilli, comportandosi come inviati fascisti in un lager). La falsa tolleranza ha reso significative, in mezzo alla massa dei maschi, anche le ragazze. Esse sono in genere, personalmente, migliori: vivono infatti un momento di tensione, di liberazione, di conquista (anche se in modo illusorio). Ma nel quadro generale la loro funzione finisce con l’essere regressiva. Una libertà «regalata», infatti, non può vincere in esse, naturalmente, le secolari abitudini alla codificazione. (…)Le due storie si sono dunque unite: ed è la prima volta che ciò succede nella storia dell’uomo. Tale unificazione è avvenuta sotto il segno e per volontà della civiltà dei consumi: dello «sviluppo». Non si può dire che gli antifascisti in genere e in particolare i comunisti, si siano veramente opposti a una simile unificazione, il cui carattere è totalitario – per la prima volta veramente totalitario – anche se la sua repressi vita non è arcaicamente poliziesca (e se mai ricorre a una falsa permissività). La colpa dei padri dunque non è solo la violenza del potere, il fascismo. Ma essa è anche: primo, la rimozione dalla coscienza, da parte di non antifascisti, del vecchio fascismo, l’esserci comodamente liberarti della nostra profonda intimità (Pannella) con esso (l’aver considerato i fascisti «i nostri fratelli cretini», come dice una frase di Sforza ricordata da Fortini); secondo, e soprattutto, l’accettazione — tanto più colpevole quanto più inconsapevole — della violenza degradante e dei veri, immensi genocidi del nuovo fascismo”.3

    La colpa più grave è l’accettazione dei nuovi genocidi tradizionali e culturali. Dinanzi alla storia che mostra il volto truce del nuovo fascismo i padri e le madri tacciono, e continuano imperterriti a perseverare nel culto del carrierismo e dell’edonismo proprietario, nello sguardo dei loro-nostri figli c’è la colpa terribile del nostro tempo storico. Tutto sarà conseguenza, se continueremo per tale doloroso percorso di distruzione.

    1. Pasolini sul Corriere della sera (10 giugno 1974) e in Scritti Corsari Studio sulla rivoluzione antropologica in Italia.[]
    2. Ibidem.[][][]
    3. Pier Paolo Pasolini, Lettere luterane I giovani infelici, Einaudi, 1976.[]
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