Oltre l’eurocentrismo: su José Carlos Mariátegui

Tradotto da Eros R.F. da Verso books.

Nota di Verso books

Aníbal Quijano, il famoso studioso peruviano e uno dei fondatori degli studi decoloniali, è morto il mese scorso all’età di 87 anni. In questo testo, un’introduzione agli scritti essenziali di José Carlos Mariátegui sulla politica e la cultura socialista, pubblicati nel 1991 dal Fondo de Cultura, Quijano sottolinea la potente influenza che Mariátegui ha esercitato sullo sviluppo teorico del pensiero critico latinoamericano.

Quella che segue è una versione leggermente ridotta e commentata della prefazione di Aníbal Quijano a Textos Básicos, una raccolta degli scritti essenziali di José Carlos Mariátegui sulla politica e la cultura socialista, pubblicata nel 1991 dal Fondo de Cultura. Quijano, morto il mese scorso all’età di 87 anni, era un noto studioso peruviano e uno dei fondatori, insieme a Walter Mignolo, degli studi decoloniali. Qui e in altri scritti, Quijano sottolinea la potente influenza che Mariátegui ha esercitato sullo sviluppo teorico del pensiero critico latinoamericano, rintracciabile in idee come la “colonialità del potere” e la “geopolitica della conoscenza” (rispettivamente di Quijano e Mignolo). Quijano pone particolare enfasi sulla capacità di Mariátegui di navigare tra l’essenzialismo culturale di figure patriottiche come Victor Raúl Haya de la Torre e le tendenze astratto-universaliste concorrenti del Comintern (che Quijano identifica nel testo con l’eurocentrico razionalismo).

Nota di Katéchon

José Carlos Mariátegui è una delle figure più sottovalutate se non ignorate dagli ambienti marxisti, specialmente quelli occidentali. Il soprannome “Gramsci latinoamericano” dovrebbe ben far capire la portata del pensiero del rivoluzionario peruviano. Abbiamo voluto ripubblicare questa introduzione di Quijano, che nel complesso è valida e affronta bene la questione cruciale della multilinearità dialettica della storia, che è stata purtroppo osteggiata a lungo sia dai marxisti ad ovest che ad est della cortina di ferro. I fatti riportati da Quijano, come la denuncia di Mariátegui da parte della III Internazionale, sono veri, seppur lontani dall’esser considerati un bollo ufficialeche scomunichi l’Amauta o la totalità del suo pensiero, ed è giusto analizzare con un occhio fortemente critico il passato, pur di successo e positivo che sia stato. L’autore va oltre, e si spinge lì dove Mariátegui non si è sicuramente spinto, esponendo chiaramente le proprie posizioni trotskiste e da marxisti occidentali, addirittura anti-leniniste ed anti-marxiste, addirittura denunciando la posizione bolscevica a Kronstadt – insomma perfettamente in linea con la narrativa liberale di un despotismo staliniano su tutta la sfera socialista, praticamente persino a livelli planetari. Si legga il saggio con la capacità di discernere tra l’opinione dell’autore e l’esposizione del pensiero rivoluzionario e controcorrente di Mariátegui.

Oltre l’eurocentrismo

La permanenza di ogni scrittura dipende dalla sua capacità di produrre – o forse meglio, svelare – un significato originale, spesso imprevisto, nei recessi interiori del tempo o negli spasmi periodici della storia. Difficilmente questo nuovo significato avrà carattere specifico, offrendo idee, proposte o visioni precise. Più probabilmente sarà un modo di vedere, una prospettiva, un modo di immaginare una relazione cognitiva con il mondo.

Gli scritti di José Carlos Mariátegui hanno cercato di fare questo: attraversare il tempo e stabilire per ogni nuova generazione un rapporto unico con il mondo circostante e, con esso, nuove letture. Come ho suggerito altrove, questo approccio nasce da una specifica modalità di pensiero, una forma di indagine e di conoscenza che aderisce all’unità tesa tra due paradigmi che la cultura dominante – cioè la modernità eurocentrica – è riuscita a separare e poi presentare come inconciliabilmente opposti: logos e mito. Ma la tensione tra questi due elementi è stata operativa in America Latina fin dalla sua nascita; fa parte della storicità specifica della regione, dell’impronta culturale originaria che ha progressivamente permeato ogni aspetto dell’arte, della narrazione, della poesia e dell’immaginario quotidiano dei popoli da essa dominati. Fu solo con Mariátegui che questa tensione divenne la questione intellettuale centrale di un intero periodo storico.

Credo che è lì che si debba andare a cercare una spiegazione della formidabile autonomia intellettuale che caratterizzò Mariátegui, per poter cogliere la sua presenza unica all’interno del panorama socialista e marxista dei primi anni del XX secolo. Perché la sua eccezionalità non è riducibile ad una semplice variazione di tendenze preesistenti. E oggi, con il passare del tempo, la sua eredità è stata gradualmente distillata, così che siamo ora pronti a ricevere un modello del tutto alternativo alle idee storicamente eurocentriche riguardanti la ricerca intellettuale e la rivoluzione sociale. Questa questione in particolare merita un esame più approfondito.

Possiamo solo sperare, nella migliore delle ipotesi, di offrire qui un tentativo di delineare i termini fondamentali di questo dibattito. Primo: la prospettiva implicita nel pensiero di Mariátegui non va confusa con la semplice eterodossia, né può essere spiegata facendo appello alla pluralità delle fonti filosofiche da cui trasse ispirazione, né dalla sua adesione al sorelismo, né cercando di collegare le sue credenze religiose con le sue idee sociologiche e politiche. Anche rispetto a quest’ultima, che a prima vista sembra anticipare – avant la lettre  le versioni più radicali della teologia della liberazione, il pensiero di Mariátegui sembra avere più in comune con Walter Benjamin: la stessa insolita razionalità, che si è rivelata impermeabile a qualsiasi e tutte le operazioni riduzioniste; o meglio, il modo in cui, per entrambi i pensatori, la rivoluzione è concepita come un tipo unico di redenzione che non si avventura mai del tutto oltre il territorio familiare della storia. Entrambi gli intellettuali immaginavano una società di uguaglianza, solidarietà, reciprocità, amore per il prossimo, la materializzazione di queste aspirazioni nella vita sociale quotidiana senza mai fare riferimento – né dipendere – da alcun tipo di potere religioso istituzionale. Nel caso di Benjamin, sappiamo che le profonde correnti sotterranee del suo pensiero riconducevano alle pratiche cabalistiche e alla storia filosofica europea. Ma dove possiamo individuare la fonte di ispirazione di Mariátegui? Ancora oggi questa questione resta aperta.

La cultura oligarchica creola che dominava il Perù chiaramente non era una fonte di ispirazione contemporanea per Mariátegui. Direi che la stessa audacia e libertà – libertà immaginativa, ma anche intellettuale ed emotiva – che ha portato questo militante socialista peruviano dichiarato a proclamare la sua fede religiosa e ad esprimere il suo sostegno a Bergson e Sorel – nientemeno che a dispetto della supervisione stalinista [del Comintern] –, oppure la sua disponibilità ad abbracciare apertamente l’assurdo, che tutto ciò non può essere ridotto a una soggettività individuale. Meglio, la soggettività “mariateguiana” in questione partecipava ad un universo intersoggettivo più ampio, costituito attraverso i processi culturali tipici dell’America Latina degli inizi del XX secolo: una cultura alternativa alla società creola oligarchica. Questa cultura alternativa non era altro che una razionalità distinta, che già ai tempi di Mariátegui alcuni chiamavano “indoamericana”, e la cui vera voce sarebbe stata ascoltata solo decenni dopo nella lingua parlata dalle volpi di Arguedas1.

Durante la sua vita, Mariátegui fu spesso accusato di “europeismo”. La base di tale accusa, mossa contro di lui da intellettuali latinoamericani come Victor Raúl Haya de la Torre, era che egli aveva incorporato la categoria di classe nei suoi studi sociologici sulla società peruviana e, così facendo, aveva annunciato un percorso socialista che contemplava come conclusione ultima la necessità della Rivoluzione. Oggi, al contrario, gli intellettuali europei tendono a considerare il rapporto di Mariátegui con il misticismo essenzialmente ambiguo, poiché la sua proposta, alla radice, era quella di presentare il socialismo sotto forma di mito in modo da ottenere l’appoggio dei contadini indigeni alla causa rivoluzionaria. Lo studioso di Mariátegui Robert Paris era pienamente consapevole della stretta relazione tra logos e mito nel progetto intellettuale del peruviano, eppure ne interpretò l’importanza nella sua rottura con l’estetica romantica, piuttosto che quello che era: come un problema epistemologico di fondo. Alla fine, due disparate letture di Mariátegui – una eurocentrica e l’altra latino-americana – sembrano convergere sulla tacita ammissione che il socialismo non era una proposta reale – né razionale – per la società peruviana dell’epoca, abitata in maggioranza da contadini e popolazioni indigene.

Lo “stalinismo”, dal canto suo, aveva bollato Mariátegui come un “populista” e un “socialista della piccola borghesia”, per aver suggerito che l’organizzazione sociale della comunità indigena avrebbe potuto fornire la vitalità necessaria per una rivoluzione socialista in Perù2.

Queste accuse in realtà ci permettono di cogliere la posizione singolare che Mariátegui occupò nei dibattiti socialisti del XX secolo, in America Latina e oltre. Come i lettori di oggi possono ben apprezzare, quell’originalità risiedeva nel suo dispiegamento di categorie – categorie basate sull’una o sull’altra versione eurocentrica della razionalità moderna – che subivano un processo di ridefinizione attraverso il loro reinserimento in una prospettiva epistemologica radicalmente diversa rispetto al loro contesto originale: diversi cioè dai marxisti europei e soprattutto dallo “stalinismo” internazionale. E questa ridefinizione non è avvenuta solo, e non da ultimo, perché tali categorie sono state “applicate” – per usare il gergo della vulgata marxista – a una realtà diversa: la loro ridefinizione avrebbe operato ugualmente sulla stessa realtà europea.

Si poteva spesso sentire gli intellettuali latinoamericani degli anni ’20 e ’30 sostenere, come forma di difesa contro l’accusa di eurocentrismo, che l’Europa e l’America Latina rappresentavano realtà essenzialmente divergenti. Questa era, ad esempio, la posizione fondamentale di Haya de la Torre. Ma è solo a partire da Mariátegui che si comincia a vedere come quell’atteggiamento iniziale si stava sviluppando in qualcosa di più vicino a una prospettiva interamente cognitiva. Non è ancora chiaro se quel punto di vista fosse il prodotto di un’elaborazione cosciente. Qualunque sia il caso, non è stato del tutto sistematico.

A differenza del razionalismo strumentale eurocentrico, la prospettiva cognitiva avanzata da Mariátegui abbraccia la totalità sociale in tutta la sua multidimensionalità. Per questo la conoscenza razionale del mondo non precluderebbe la possibilità di rapportarsi al mondo anche poeticamente (e magicamente). Al contrario, il modo poetico farebbe parte di questa conoscenza, poiché il mondo sarebbe inintelligibile o solo parzialmente intelligibile, e solo in modo riduzionistico, se non fosse così. Questo approccio rifiuta ogni sorta di positivismo evoluzionista o tecnocratismo; in altre parole, escludendo tutto ciò che riconosciamo come razionalismo strumentale che caratterizza la modalità dominante della modernità eurocentrica. Quindi, sessant’anni dopo, testi come “Cenni sull’evoluzione economica” [dai Sette saggi], “Il punto di vista antimperialista” o “Il professor Canella” e “In difesa delle sciocchezze3 possono essere visti come conservanti la loro potenza perché catturano l’atteggiamento peruviano approccio unico alla conoscenza, più di qualsiasi particolare insieme di proposizioni avanzate in quegli scritti.

Oggi sappiamo che lo stesso Marx, attraverso i suoi studi sulla Russia, si era reso conto della propria suscettibilità all’eurocentrismo, mentre inizialmente aveva proposto l’universalizzazione generale delle scoperte scientifiche sociali basate nell’Europa occidentale4. Ora sappiamo anche che questa riflessione nei nostri giorni non ha prodotto una corrispondente ricostruzione del pensiero tedesco. Ciò nonostante, Marx rimane esente dall’accusa di evoluzionismo positivista. Fu solo dopo la sua morte che quest’ultimo paradigma cominciò gradualmente ad assumere un ruolo più ampio nel discorso marxista, spesso presentandosi come un “concetto dialettico della storia”. A questo ibrido iniziale si aggiunse un secondo paradigma dopo la Seconda Guerra Mondiale: lo strutturalismo.

La sequenza storica europea, imposta come modello universalmente valido, non è stata la sola responsabile della corrosione e della mutilazione del potenziale di conoscenza che si era liberato per la prima volta attraverso Marx. Meglio, erano le conseguenze dell’evoluzionismo positivista applicato alla totalità sociale. Nonostante i limiti sopra menzionati, Marx aveva sempre insistito sulla natura storica di quella totalità; è stato solo nel successivo discorso marxista che il positivismo ha imposto la sua immagine organicista alla totalità, proprio come lo strutturalismo avrebbe poi imposto la sua immagine sistemica.

L’idea stessa di totalità storica preclude che un’unica logica possa presiedere alla costituzione e al processo storico di una concreta totalità sociale, poiché quest’ultima è storicamente eterogenea e non può non comprendere logiche diverse e disparate. Naturalmente, queste logiche sono interconnesse e di fatto producono una struttura, organizzando una logica condivisa che ne consente complessivamente la continuità; tuttavia, questo stesso movimento non può che essere diverso e discontinuo. Si tratta di una connessione tra elementi diversi, spesso antagonisti e spesso discontinui, esistenti in una struttura combinata che da sola non può avere alcuna finalità, significato o sequenza che sia data in anticipo rispetto alla propria storia. La storia è il risultato dell’interazione tra tutti questi elementi eterogenei, sempre basata, in ogni caso, sull’azione concreta di persone concrete. La conoscenza scientifica sociale può discernere le tendenze e, in questo senso preciso, le possibili direzioni che le tendenze potrebbero prendere. Può anticipare le condizioni teoriche del loro culmine; ciò che non può fare è garantire a priori che ciò avvenga come previsto. Né è possibile attribuire apertamente le stesse tendenze e gli stessi significati alle esperienze storiche concrete.

Poiché l’evoluzionismo positivista e lo strutturalismo interpretano la totalità sociale come un continuum logico – rispettivamente organico o sistemico –, sembra che le loro strutture fossero esse stesse entità viventi, macro-soggetti storici investiti di un proprio prevedibile significato, finalità e sviluppo. Esisterebbe per questo una Storia o una Società per la quale gli individui concreti sarebbero poco più che i “portatori” della sua corrispondente logica storica.

Forse Marx non si è liberato del tutto dalla posizione ambivalente assunta nei confronti della totalità. Tuttavia è stato lui il primo a insistere sul carattere storico della totalità sociale. Al contrario, la maggior parte dei suoi seguaci e fedeli, consapevolmente o in totale ignoranza, adottò un’idea organicista della totalità sociale, in particolare prima della seconda guerra mondiale, e, dopo, l’idea strutturalista con tutte le sue ramificazioni teoriche e politiche.

Sarebbe inutile cercare nell’opera di Mariátegui qualcosa che assomigli ad una riflessione sistematica su questi temi. Eppure, senza questa concezione storica e dialettica della totalità, o, allo stesso modo, una concezione totalizzante della storia e della società, la sua analisi sociologica dell’esistenza sociale peruviana e latinoamericana sarebbe resa inintelligibile; o peggio, indistinguibile dal dualismo e dall’evoluzionismo praticati da molti cosiddetti “mariáteguisti”. Allo stesso modo, la sua insistenza sull’azione – umana, collettiva e individuale – e l’enfasi che ha posto sull’intenzionalità, sulla coscienza, sull’azione e sull’eroismo come forze motrici della storia, tutte queste considerazioni precludono immediatamente qualsiasi ricorso a un macro-soggetto storico, con i suoi percorso, tappe e finalità predefinite che sarebbero fuori dalla storia.

Vale la pena ricordare che le tesi sociologiche e politiche di Mariátegui sul Perù e sull’America Latina furono denunciate nella riunione della Terza Internazionale del 1929, tenutasi a Buenos Aires; denunciato dalla versione più intellettualmente degradata – anche se politicamente potente – del “materialismo” e del socialismo storico: lo “stalinismo”. E meno di un anno dopo, poco dopo la morte dell’Amauta5, anche il fenomeno emergente dell’“Amautismo” fu rapidamente sepolto. Nonostante tutto, l’influenza di Mariátegui persisteva proprio mentre lo “stalinismo” e la versione eurocentrica dell’eredità di Marx cominciavano a cadere nel dimenticatoio e gli ultimi bastioni del razionalismo “occidentale” cominciavano a vacillare. Oppure non erano quelle le stesse versioni che lo stesso Mariátegui aveva rifiutato definendole “positivismo profondo” ed “evoluzionismo codardo”?

Il “materialismo storico” sposato dal “socialismo realmente esistente” aveva poco in comune con la prospettiva materialista della storia che guidò Mariátegui nelle sue scoperte sociologiche.

“Socialismo indo-americano”

Con la caduta del muro è crollata anche una forma di potere caratterizzata dal “dispotismo burocratico”. Durante tutta la formulazione storica e il consolidamento di quel paradigma, l’idea organicista della totalità sociale, e con essa l’evoluzionismo positivista, esercitò un ruolo preponderante. Senza la conoscenza di quella particolare concezione della totalità, sarebbe impossibile comprendere il “centralismo democratico” che ha presieduto la storia del Partito bolscevico; né l’“unità monolitica” assunta dall’organizzazione dopo aver preso il potere; né lo status giuridico privilegiato di cui godeva l’organizzazione rispetto allo Stato appena formato; né il controllo praticamente assoluto del nuovo Stato nelle mani dei membri del Partito; né la nazionalizzazione totale delle risorse; né il controllo sotto lo Stato-Partito di tutte le istituzioni formali, compresa la vita quotidiana della popolazione, fino alla sua immaginazione artistica, come codificato dallo Zhdanovismo. Allo stesso modo, senza l’evoluzionismo, difficilmente si potrebbe spiegare l’imposizione della dottrina universale delle cinque fasi di produzione6, o che la rivoluzione socialista debba avere fasi predefinite, indipendentemente da dove e quando abbia avuto luogo.

Da nessuna parte negli scritti di Mariátegui c’è una discussione esplicita, tanto meno una trattazione sistematica, di queste questioni specifiche. Questa omissione è di per sé sorprendente, se si considera che la maggior parte della sua opera fu prodotta durante quel decennio cruciale, gli anni ’20, in cui sia all’interno che all’esterno della Russia questi problemi furono oggetto di dibattiti furiosi e decisioni cruciali, con conseguenze decisive per il sistema e il movimento socialista e la Terza Internazionale. Eppure, forse, neanche questo era così sorprendente, considerando il tempo che Mariátegui aveva dedicato alle proprie ricerche e alla critica socialista della società peruviana e latinoamericana, e in una vita così breve e piena di tante avversità7. Altrettanto importante, per molti, l’aura che circondava la rivoluzione russa, che era riuscita a nascondere il vero volto dello “stalinismo”. L’esatta natura di quel regime sarebbe diventata evidente solo con i processi di Mosca, che non raggiunsero mai Mariátegui durante la sua vita.

In ogni caso, il corso generale della riflessione di Mariátegui tende ad andare controcorrente rispetto allo “stalinismo”. Il peruviano non esitò mai ad avanzare le proprie prospettive e proposte, resistendo alla pressione costante della direzione stalinista della Terza Internazionale, sia in Russia che nel Bureau Latinoamericano, proprio nel momento in cui detta organizzazione concedeva l’ammissione al Partito Socialista del Perù di Mariátegui8.

Il dispotismo burocratico aveva preso forma appropriandosi delle stesse istituzioni operaie che erano state istituite durante la rivoluzione contro lo zar, istituzioni originariamente destinate a controllare le condizioni immediate e dirette dell’esistenza sociale dei lavoratori. Fu imposto reprimendo i settori sociali e politici che lottavano per la continuazione di quelle istituzioni, come a Kronstadt. Infine, fu il dispotismo burocratico a consolidarsi attraverso l’organizzazione di un nuovo apparato statale, posto sotto il controllo dell’apparato del partito. In altre parole, attraverso la formazione di una struttura di potere che univa entrambi gli apparati rispetto all’apparato agente: il Partito-Stato contro l’organizzazione delle Comuni e il dispotismo burocratico contro la democrazia diretta, insieme formavano un edificio di potere senza precedenti.

Dato che l’insistenza di Mariátegui sul ruolo svolto dalla Comunità indigena nel corso della rivoluzione socialista in Perù e in America Latina si svolgeva contemporaneamente al consolidamento del dispotismo burocratico in Russia, il suo esempio oggi ci invita a considerare una serie di questioni precedentemente trascurate riguardanti la società e la Rivoluzione socialista. Al di là delle questioni specifiche relative ai contadini indigeni e ai problemi agrari, la proposta di Mariátegui affrontava anche la democrazia diretta che i lavoratori russi avevano cercato di costruire nella loro Rivoluzione contro lo zar. Pertanto, la proposta di Mariátegui di adottare la denominazione “indoamericano” come forma di socialismo specifica dell’America Latina non può essere semplicemente messa tra parentesi da queste discussioni più ampie. Non è un caso che il tema della democrazia diretta venga più volte denunciato dai funzionari del Comintern di Buenos Aires, e poi da Miroshevski, proprio lui che sostiene che la linea di pensiero di Mariátegui discende dal populismo russo ed è l’espressione del “socialismo piccolo-borghese”.

Note
  1. Romanzo postumo di José María Argueda del 1971 La volpe dall’alto e la volpe dal basso . Le volpi in questione si riferiscono alle voci mitologiche che rappresentano la dualità del paesaggio peruviano: la costa e le montagne.[]
  2. Questa linea fu avanzata da VM Miroshevskij, consigliere sovietico presso l’Ufficio latinoamericano del Comintern.[]
  3. Presenti nell’edizione Katéchon dei Scritti e Discorsi.[]
  4. T. Shanin et al. The Late Marx. The Russian Road. MR Press, 1984, New York[]
  5. Nota di Verso books: un soprannome comune attribuito a Mariátegui.[]
  6. Nota di Katéchon: la classica suddivisione schematica ed eurocentrica delle fasi storico-produttive (e sociali) in: comunismo primitivo – schiavitù – feudalesimo – capitalismo – socialismo (e comunismo).[]
  7. Mariátegui morì all’età di 35 anni, dopo essere stato costretto su una sedia a rotelle negli ultimi sei anni della sua vita.[]
  8. Mariátegui fu fondatore e segretario generale del Partito Socialista Peruviano, che in seguito sarebbe diventato il Partito Comunista Peruviano.[]
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