Breve storia del Kosovo

La battaglia della piana dei Merli, perché il Kosovo è serbo

Da EastJournal.

Il 28 giugno è il giorno dedicato a San Vito, tutti gli anni un pellegrinaggio parte da Belgrado e arriva fino al monumento di Gazimestan, poco a nord di Pristina, in Kosovo. Si segue la strada che l’ultimo dei principi serbi, Lazar Hrebeljanovic, percorse andando incontro ai turchi nella celebre battaglia della Piana dei Merli, oggi Kosovo Polje.

Proviamo a fare ordine, la storia dei Balcani è assai intricata. Siamo a metà del XI° secolo. In Serbia una serie di piccoli stati e principati era vassalla ora del basileus di Costantinopoli, ora del Re d’Ungheria. In quel periodo l’impero bulgaro stava subendo una contrazione ma era ancora forte la sua pressione nei Balcani. Fu un epoca di torbidi, di ribellioni, di repressioni. Nel 1077 il primo stato serbo riconosciuto come regno indipendente dal papa si creò a Zeta, in Montenegro. Poco dopo fu il turno della Raska il cui “gran Suppano” (zupan, ovvero “principe”) Stefano Nemanja si proclamò indipendente da Bisanzio, cui era vassallo. Ben presto ampliò i suoi territori, ma fu sconfitto da Emanuele Comneno, imperatore di Bisanzio, nel 1172. Alla morte di Comneno l’impero bizantino fu travolto da una lotta per la successione che consentì a Stefano Nemanja di sganciarsi dal vassallaggio conquistando Macedonia, Metohija, Montenegro e parte del Kosovo. Stefano Nemanja fu il padre del popolo serbo, ispirandogli una forte coscienza storica, religiosa e culturale.

Passarono così due generazioni di sviluppo e di pace. Un pronipote di Stefano Nemanja, Dusan, estese i suoi domini fino al golfo di Corinto e si fece incoronare a Skopje “zar dei serbi e dei greci”. Deciso a puntare alla conquista di Costantinopoli, schiacciata dai turchi che ormai controllavano l’Anatolia, morì improvvisamente. L’unità serba si sfaldò e la conquista turca fece il resto.

Alla guida dei turchi era il sultano Murad I, deciso a estendere i suoi possedimenti su tutti i Balcani. Lo scontro finale ebbe luogo alla piana dei Merli, oggi Kosovo Polje, a nord di Pristina. Il principe serbo Lazar Hrebeljanovic e il signore della Bosnja Tvrtko Kotromanic lanciarono un esercito di 25mila unità contro 40mila soldati turchi. La battaglia non fu uno scontro di religioni, come una certa retorica potrebbe descriverlo: tra le fila di Murad I erano molti i vassalli cristiani, a dar man forte ai serbi erano invece valacchi, croati e albanesi.

Era il 28 giugno 1389, giorno dedicato a San Vito. La battaglia fu sanguinosa, il sultano vi perse la vita ma l’alleanza serba ne uscì comunque sconfitta. A questo punto la storia si mescola alla leggenda. Una serie di cicli epici racconta la battaglia di Kosovo Polje, una battaglia che è diventata simbolo dell’indipendenza del popolo serbo. Un’indipendenza che proprio alla piana dei Merli perse per secoli, ma i canti che ne narrano le vicende si accompagneranno (da allora in poi) alla speranza della resurrezione. Il Kosovo, insomma, è per l’identità serba un tassello fondamentale, un utero da cui sarebbe idealmente dovuta rinascere la patria perduta. Ecco perché oggi, che ben altre vicende lo attraversano, il Kosovo è tanto importante per i serbi.

Dal giorno di quella battaglia, ci dicono i canti popolari, cresce sulla piana dei Merli un fiore purpureo, il buzur, che ricorda il sangue versato da tanti eroi. Oggi però quell’evento è divenuto strumento retorico-ideologico nelle mani degli ultranazionalisti serbi. Nella ricorrenza dei 600 anni dalla battaglia, Slobodan Milosevic fece dell’evento un simbolo della rivalsa che era necessario prendersi sugli albanesi, inaugurando così una persecuzione che sconfinò nella pulizia etnica. Albanesi che nulla c’entravano in quel 1389 se non come alleati dei serbi. I principi albanesi, allora cattolici, combatterono accanto a Lazar Hrebelianovic e ai serbi, a Tvrtko e ai bosniaci, al principe valacco Mircea cel Batran (il Vecchio). Uno scontro che vide uniti i popoli dei Balcani e che oggi è simbolo di una divisone.

Quando il Kosovo diventa albanese

Da EastJournal.

Il Kosovo, si è visto, è il centro religioso e culturale del popolo serbo dal giorno della battaglia della Piana dei Merli, quando il 28 giugno 1389 (giorno dedicato al culto di San Vito) l’ultimo principe serbo Lazan Hrebeljanovic combattè le truppe turche del sultano Murad I. I serbi ne uscirono sconfitti e da allora il Kosovo divenne un simbolo identitario e una speranza di rinascita.

Nel corso dei secoli la regione andò però spopolandosi, a metà del XVIII secolo era quasi disabitato. L’importanza religiosa del patriarcato di Pec (cuore dell’identità serba fin dai tempi di Stefano Namanja) andò perdendo importanza durante la cattività turca. A causa della sua posizione di confine il Kosovo era costantemente soggetto a incursioni da parte dei serbi rimasti vassalli del regno d’Ungheria contro i territori turchi e viceversa.

Di quello spopolamento ne giovarono gli albanesi che, relegati nelle circostanti zone montuose, cominciarono a insediarvisi in modo sempre più massiccio. Di fede cristiana (come l’eroe nazionale Giorgio Castriota Scanderbeg che nel XV° secolo si oppose agli ottomani) più tardi passarono in buona parte all’Islam attirandosi così l’ostilità dei pochi serbi rimasti che li vedevano come un corpo estraneo associandoli -a causa della religione- ai turchi, nemici di sempre.

Con la graduale trasformazione etnica del Kosovo viene così gettato il seme dell’odio che avrebbe tragicamente germogliato nei secoli successivi, specialmente con l’affermarsi dei nazionalismi.  I serbi infatti non abbandonarono mai l’idea che il Kosovo fosse terra loro, e non si sentirono affatto compensati dall’estensione sulla riva sinistra del Danubio, verso nord. A fine settecento infatti l’Austria, dopo anni di lavori di bonifica, consegnò ai serbi la Vojvodina -una terra che sarebbe presto diventata il granaio d’Europa.

La Vojvodina, per la precisione, non fu lasciata solo ai serbi. Nella nuove terre si insediarono genti proveniente dai quattro angoli dell’impero: tedeschislovacchiungheresirumenirussi. Si delineò così quella composizione etnica che ancora oggi caratterizza la regione e le è valsa una relativa autonomia sia durante la repubblica federale jugoslava che oggi nello stato serbo.

La Vojvodina, così multiculturale (come si direbbe oggi) non sostituì mai nell’immaginario serbo il fascino corrusco del leggendario Kosovo, teatro della battaglia della Piana dei Merli.

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