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Il castello di carte, la fine dell’europa
Sono bastate tre settimane per far crollare tutto il castello di carte su cui si poggiava la retorica guerrafondaia contro la Russia, a sostegno dell’apparentemente mai morente ucraina nazista.
Pale, lavatrici (con cui sono stati capaci di costruire missili ipersonici senza competizione, a quanto pare), torte avvelenate e barattoli di cetrioli non sono bastati per fermare l'”armata rotta” di Putin, che da sola (e no, senza la balla dei nordcoreani) è riuscita non solo a demilitarizzare de facto l’Ucraina, ma l’occidente intero. Paesi come l’Italia hanno dato tutto, così tanto da rimanere indifesi, inermi da ipotetiche invasioni che, secondo certe stime, Paesi apparentemente insignificanti come l’Albania ci metterebbero meno di 72 ore a farci capitolare.
Gli Orsini e i “putiniani” che da tre anni hanno sin dal primo giorno detto come sarebbe andata (me compreso)… avevano ragione.
Questioni come la profondità strategica, le risorse enormi in mano alla Russia e la sua capacità produttiva in contrasto con i lenti ritmi della Nato e degli Usa stessi, la capacità dei russi nell’avanzare e creare sacche, mattatoi, eccetera, ecco che si rivelano essere tutt’altro che “fuffa intellettuale da espertoni del primo momento”, ma pura realtà oggettiva, che ha portato la Russia ad avere le palesissime condizioni materiali per vincere questa guerra.
Non solo avevamo ragione sul come sarebbe andata a finire, ma anche sul perché tutto questo sia iniziato. “C’è un aggredito e un aggressore”, dicevano (e questa retorica è comunque caduta nel ridicolo dopo il doppiopesismo che si è usato con la questione palestinese), “la Russia se non viene fermata invaderà tutta l’Europa”, “non è l’espansione della Nato la causa, ma il desiderio imperiale dello zar ad aver fatto scoppiare la guerra”. Persino le parole di papa Francesco – di cui non nutro personalmente particolare simpatia, ma che rappresenta un’istituzione storicamente considerata bene dai media italiani – sono state attaccate per la giusta affermazione “la Nato ha abbaiato davanti le porte della Russia”. Ed ecco qua che cade tutto, la propaganda si dissolve, con Trump e Vance che ammettono esplicitamente che sia stata la promessa dell’ingresso nella Nato ad aver fatto scoppiare la guerra.
E l’europa? Ma l’europa non esiste! Anche questo è stato detto più e più volte; l’europa non ha MAI avuto un ruolo decisionale, è nata per volere degli americani, e la sua esistenza ormai non è più tanto necessaria all’impero, che sta riconoscendo piuttosto l’indispensabilità di una profonda riforma. L’europa non ha avuto un ruolo autonomo né tantomeno indipendente in questo conflitto, se non con pochi esempi isolati come Fico (che si è beccato più di una pallottola) od Orban (o il presidente romeno di fatto estromesso con l’accusa di “putinismo”; fatto che Vance(!) ha denunciato a Monaco), ed ha sempre, sempre seguito ad occhi chiusi gli ordini d’oltreoceano, fino a spogliarsi, per non usare un altro modo di dire non poco volgare.
Si è finiti con una censura che ricordava, senza esagerazioni, i tempi del ventennio, ed una automutilazione della propria identità, ma soprattutto della propria dignità, che persino allo stesso padrone americano sta facendo ribrezzo. È come esser degenerati sotto un insegnante nazista e, appena arriva l’insegnante dell’ora successiva, ci si ritrova con i banchi pieni di svastiche e nel pieno imbarazzo di certi, e sconcerto di altri nel sentirsi rimproverati per ciò che si reputava esser stato il giusto.
E che vuole negoziare una realtà che ha preso parte nel conflitto per conto di terzi? Di fatto l’europa ha agito da colonia, e da colonia non ha nulla da negoziare, né da intermediare, cosa che invece Paesi come la Cina, l’Arabia Saudita, il Brasile o l’India, ma anche l’Ungheria o la Slovacchia, se occorre, potranno fare, essendosi comportati da Paesi sovrani.
Per questo, l’europa si merita il peggio. Se esiste una giustizia su questo mondo – si possa essa definire divina o naturale –, l’europa deve esser destinata a subire le stesse sorti che ha voluto far subire alla Russia e all’Africa: esser isolata davvero dal mondo, tagliata fuori con sanzioni, dazi, e ridimensionamenta del proprio status; e finire nel dimenticatoio della storia, un nuovo “terzo mondo”, sottosviluppato e considerato come entità inferiore, all’ultimo posto rispetto tutte le altre Civiltà e continenti.
La vittoria russa, la sconfitta americana
Giornali che fino a neanche un mese fa davano per spacciata la Russia e per “illusi” coloro che volevano negoziare invece che spedire ancora altre armi, ora (persino gli stessi autori!) ammettono che la vittoria è effettivamente russa.
Tutto sta, per gli americani, nell’uscirne in tempo, senza replicare il buco nero che fu l’Afghanistan (dato che tra l’altro, se guardiamo solo la media annuale, è stata la guerra non-mondiale più costosa della storia subito dopo… l’ucraina stessa), e, come ho scritto in un altro articolo assai più analitico [pubblicherò la seconda parte nei prossimi giorni], nel sfruttare questo momentum per ristrutturare l’impero e focalizzarsi sulla propria influenza nel continente americano e l’accesso alle tratte commerciali più importanti (Mediterraneo, Artico, Suez/Israele, chiaramente Panama, e probabilmente Hormuz), così da assicurarsi una pensione come già si preparò l’impero britannico – che appunto non è mai morto del tutto, ma si assicura la sopravvivenza grazie ai possedimenti in giro per il mondo, dalle Falkland a Gibilterra, al pacifico e l’oceano indiano. Gli americani, insomma, seppur da sconfitti, avranno la possibilità (ma non la certezza, essendo pieni di contraddizioni e in un periodo delicato come quello della perestrojka) di sopravvivere, prepararsi e adattarsi alla nuova era che sta sorgendo (e magari sognare di superare di nuovo questa “fase Monroe” e ricominciare ad interessarsi all’oltreoceano), ma l’europa chiaramente no, non ha tale possibilità, o decisamente molto meno rispetto gli americani.
La Russia è la vera vincitrice. Seppure non si possa dire che abbia raggiunto da sola tutti gli obiettivi che si era prefissata, è verosimile che con i negoziati riuscirà ad assicurarsi le garanzie che da decenni chiede per la propria sicurezza, che è da sempre una questione esistenziale russa.
Gli obiettivi fissi della Russia, che sono stati ripetuti più e più volte dal 24 febbraio 2022 in poi (e in genere ignorati o distorti dai media occidentali), sono semplici:
- demilitarizzazione (ed eventuale denuclearizzazione) dell’ucraina,
- ucraina neutrale permanentemente fuori dalla Nato,
- denazificazione dell’ucraina,
- tutela delle minoranze russe.
La demilitarizzazione si può dire compiuta: sin dalle prime ore dell’operazione speciale l’ucraina è stata mutilata della propria flotta marittima ed aerea, e nel corso dei tre anni la Russia, come si diceva, è riuscita non solo a distruggere tutti gli armamenti e l’arsenale ucraino, ma anche buona parte di quello europeo e nordamericano, sconfiggendo così sul campo di battaglia, di fatto, la Nato intera.
L’ucraina, che si spacciava come già inevitabile nuovo membro dell’alleanza atlantica, è finita col riconoscere che l’ingresso non ci sarà mai. Inizialmente si vociferava di 20 anni di sospensione dall’ingresso nella Nato, posticipando di fatto la risoluzione del problema, mentre ora, con Trump, specialmente dopo la chiamata con Putin che c’è stata, si è esplicitamente detto che l’ucraina non è destinata ad entrarci mai.
La denazificazione dell’ucraina è il punto più controverso, perché se è vero che grandissima parte dell’esercito regolare ucraino associato a battaglioni come l’Azov e il Pravy sektor sono stati annientati (soprattutto a Mariupol e Kursk), è anche vero che i nazisti pare non finiscano mai, con foto e video di fascisti ucraini che spuntano ancora come funghi, uccisi settimanalmente se non quotidianamente. L’Azov stesso si è riformato dopo la sconfitta a Mariupol, e non è inverosimile che un colpo di Stato, o comunque una guerra civile intestina avvenga dopo le trattative che porteranno l’ucraina a riconoscere i territori russi e la fine della guerra.
È da dire che comunque la tutela delle minoranze russe è stata in buona parte raggiunta, seppure non nei modi in cui era previsto inizialmente, cioè con un’autonomia delle regioni russofone in seno alla statualità ucraina (un nuovo accordo di Minsk che sarebbe dovuto stavolta funzionare). Dato che il conflitto si è protratto e l’occidente non ha voluto scendere a trattative e abbandonare le politiche naziste (specialmente dopo l’intervento di Johnson e la falsa promessa del ritiro da Kiev), la Russia si è assicurata i territori a maggioranza russa della Novorossija. Rimane comunque una questione non chiusa completamente, e occorre ancora assicurarsi che la nuova ucraina garantisca i diritti alle minoranze russe dei territori russofoni che non si è riusciti ad liberare in tempo, e cioè in particolare Odessa, Mikolajiv, Kharkiv e Dnipro, che seppure non abbiano una maggioranza russa forte come quella delle zone di Tauride e Donbass, rimangono regioni storicamente velikorusse e con una certa componente rilevante di russofoni che attualmente sono perseguitati.
Altra questione in sospeso è poi la Transnistria (Pridnestrovije), da sempre a maggioranza russa e sin dalla dissoluzione dell’URSS fortemente indipendentista (importante ricordarlo ai tanti liberali che considerano positivamente Eltsin e pensano che la questione moldava sia nata con Putin). Se i russi fossero riusciti ad annettere Odessa, finalmente l’ultima Repubblica socialista sovietica ancora in vita sarebbe riuscita a ricongiungersi con la Russia, tagliando tra l’altro l’ucraina fuori dal Mar Nero. Non è da escludere che questo tassello mancante possa risultare piuttosto importante per le sorti del mondo nei prossimi anni o decenni, se Odessa (com’è probabile) non sarà considerata negli accordi che si firmeranno nei prossimi mesi.
Altra questioni rimaste in sospeso sono la forma statuale che avrà l’ucraina. Mentre l’eventuale ingresso nell’Unione europea non è più di tanto rilevante – sia perché la stessa dirigenza russa non ha mai posto tale ingresso come linea rossa in quanto non pone direttamente a rischio la sicurezza del Paese, ma farebbe semplicemente allontanare l’ucraina dai rapporti commerciali con la Russia, sia perché come già detto prima l’Unione europea pare esser destinata alla dissoluzione o un cambio di forma radicale –, sarebbe rilevante invece sapere se saranno previste garanzie di sicurezza. Dato che l’Unione europea non è invitata al tavolo dei negoziati, se proprio ci sarà un accordo difensivo sarà firmato o con gli Stati uniti d’America, o con quel che ne rimarrà, nella forma e nella sostanza, della Nato. Dato il punto fermo sull’esclusione dell’ingresso nella Nato, è fortemente improbabile che la Russia accetti un accordo simile, e sarebbe accettabile, in linea di massima, una garanzia esclusiva firmata dagli Usa.
Il problema comunque rimarrebbe. Vance ha evidenziato sui suoi canali social che se la Russia si dimostrerà in malafede nel rispetto degli accordi, allora gli Stati uniti schiereranno le proprie truppe in ucraina. Tuttavia, ciò pone logicamente evidenza su un bluff: o gli Stati uniti stanno bluffando sulla propria sconfitta e vogliono un pretesto per intervenire nonostante l’apparente cambio di regime interno all’impero, o si sta bluffando sulla promessa di intevenire. Quest’ultima è la più probabile, essendo gli Stati uniti e l’occidente intero visibilmente indeboliti e in allerta per il proprio declino.
Da tutto ciò, risulta evidente che, dopo le elezioni che Trump pare abbia promesso implicitamente per l’ucraina prima che si arrivi a degli accordi definitivi (con Zelensky che per ora preme affinché rimanga a potere fino a quando finirà il conflitto, così da apparire forse come il soggetto che ha portato la pace, con tanto di gasdotti riaperti già dopo un mese dalla chiusura), l’ucraina diventerà un Paese neutrale, riallacciando i rapporti con la Russia e potendo iniziare un processo di integrazione nel sistema dell’Unione degli Stati, che già comprende la Russia stessa e la Bielorussia.
La fine del governo Zelensky è inevitabile, sia perché il mandato è scaduto dal maggio 2024 e non si sono volute indire elezioni con la scusa della conflitto – come se fossero nel pieno di una guerra distesa su tutto il territorio, tant’è che Kellogg stesso ha detto che è prassi normale indire elezioni anche in guerra –, ergo ogni firma che farebbe sarebbe non solo incostituzionale per l’ucraina, ma per il diritto internazionale risulterebbe nullo o perlomeno opinabile nella sua legittimità (tant’è che pare non sia neanche stato invitato in Arabia saudita per l’incontro tra Trump e Putin), e sia perché occorre togliere dalla Costituzione ucraina la volontà intransigente di entrare nella Nato e il divieto di trattare con i russi (firmato dallo stesso Zelensky che ora ci vuole negoziare), per lo stesso motivo per cui, in caso di firma degli accordi, nei successivi mesi o anni si potrebbe usare l’incostituzionalità degli accordi come scusa per riaccendere il conflitto.
Le condizioni, come si è capito, sono sempre le stesse, ma per la legge del taglione più l’occidente insiste nel non riconoscere la Russia come potenza sovrana che vuole sentirsi al sicuro, e più sarà l’occidente a doversi ridimensionare (per non parlare dell’ucraina stessa, che è all’avamposto e funge da agnello sacrificale). Se Boris Johnson e il suo regnucolo di mackinderiani non avessero sabotato gli accordi che si stavano per firmare ad Istanbul, l’ucraina ne sarebbe uscita assai più integra, con meno sacrifici umani, più risorse, e più territori. Se gli Stati uniti avessero accettato le richieste di sicurezza russe, poste come ultimatum nel dicembre del 2021, la Russia innanzitutto non sarebbe entrata nel conflitto ucraino. Se gli Stati uniti si avessero mantenuto le promesse degli anni ’90 e non si fossero espansi ad est, la Russia non si sarebbe armata come si è dovuta armare, ed anzi si sarebbe forse integrata maggiormente nel sistema commerciale europeo e del G7 – ma è andata bene come è andata, tirando fuori il Paese dalle catene che volevano avere e imporre i vari oligarchi nati con Eltsin –; e se gli Stati uniti non avessero tentato di fare le “rivoluzioni colorate” ovunque pur di inglobare altri Paesi nell’alleanza atlantica, non solo vi sarebbe stata pace in ucraina, senza neanche la necessità di eventuali accordi di Minsk (che come ha detto la Merkel, non c’era neanche l’intenzione di rispettarli da parte europea essendo un bluff per guadagnare tempo e armare l’ucraina), ma persino la Bielorussia di Lukashenka sarebbe rimasta neutrale come lo è sempre stata, e non si sarebbe avvicinata così tanto alla Russia. La situazione in cui siamo, in cui il sole del multipolarismo è ormai visibile a tutti lungo l’orizzonte, in un cielo che già era schiarito da anni, era sì inevitabile, ma il ritmo con cui ha preso il passo è esclusivamente dovuto dalle scelte dell’occidente stesso, che non ha voluto accettare il cambiamento e la giustizia del Tempo. L’occidente, con la sua superbia ed ipocrisia capitale, si è letteralmente scavato la propria fossa.
La vittoria del multipolarismo e del Nomos della terra
Vanno chiarite due cose, che dovrebbero essere indiscutibili per chi ha compreso davvero le dinamiche del mondo degli ultimi anni:
- Se il multipolarismo è andato a confermarsi, è grazie alla spinta che la Russia ha dato alla storia, ponendo in una difficoltà senza precedenti l’occidente con l’inizio dell’operazione speciale. La Cina compie indubbiamente il suo ruolo di traino economico e produttivo per il blocco dei BRICS, ma è la Russia che si è assicurata che i tempi e i toni con l’occidente cambiassero, costringendoli a scendere a patti con la realtà e – non esagero – salvare il mondo intero da un’eventuale guerra atomica che i neocon americani da almeno otto decenni erano disposti ad provocare, pur di non cedere lo scettro. I piani sono andati in fumo grazie all’attacco preventivo russo, dopo aver imparato dall’errore di Stalin nel non aver attaccato i tedeschi per primi.
- Se la guerra in ucraina sta finendo non è “grazie a Trump”, ma alla vittoria russa. Trump non l’avrebbero mai lasciato salire a potere in caso di un risultato positivo contro la Russia. Le élite americane hanno preso coscienza che i piani decennali volti a prendere l’Heartland russo e piegare la Cina sono andati in fumo, e piuttosto che ricorrere all’atomica, la divina provvidenza o il semplice buonsenso che risiede nell’animo umano di più o meno tutti li ha portati a preferire una ristrutturazione dell’impero. Se la Russia non si fosse dimostrata capace di reggere il confronto con l’occidente, avrebbero potuto far vincere di nuovo gli stessi rappresentanti “democratici” o repubblicani più consoni alla maschera bellicistica che si voleva mantenere, e saremmo potuto arrivare all’aperto conflitto atomico.
Solo compreso ciò, si può riconoscere la portata storica di questa vittoria russa. Una vittoria che appunto non è solo per la Russia, ma per il mondo intero, la pace, il multipolarismo, e il Nomos della terra che sta finalmente ristabilendo l’ordine perso sin dall’epoca coloniale.
Questo conflitto è nato da contraddizioni lasciate incompiute dai nazisti tedeschi, che sono stati usati già ai tempi da inglesi e americani in funzione antibolscevica. È un conflitto nato dalle tesi geostrategiche di anglosassoni e americani formulate già dalla fine del XIX secolo, da Mackinder e Spykman a Brzezinski e Kissinger. È un conflitto nato da contraddizioni ormai millenarie tra Russia ed Europa o occidente. È un conflitto nato dalla lotta storica tra terra e mare, del continente eurasiatico contro il dominio talassocratico dell’impero prima britannico e poi nordamericano. È un conflitto nato dalle contraddizioni storico-culturali tra Polonia, col suo prometeismo e il Trimarium, e la Russia; tra l’identità ucraina, “di confine” tra Galizia e Volynia, e tra l’identità malorussa.
È un conflitto che pone una pietra tombale sui piani imperialistici dell’anglosfera, che ha da sempre voluto dominare sulla Russia. È un conflitto che pone fine all’epoca del liberalismo degenerato, del cosiddetto “woke” e della società liquida fatta sacra, confermando la vittoria del tradizionalismo e della sovranità delle nazioni e delle Civiltà. È un conflitto che porta inevitabilmente fine al modello di Stato-Nazione westfaliano, una tendenza che già è iniziata con la Cina come ha già predetto Weiwei; è il ritorno delle grandi Civiltà, delle molteplici polarità. È un conflitto che pone, forse, finalmente fine alla oscura pagina del nazismo e dell’imperialismo americano ed occidentale disteso su tutto il mondo, seppure questo continuerà ancora per anni a cercare di ritagliarsi uno spazio e una certa influenza (con la forza) sui vicini latini del sud e sui fin troppo già martoriati arabi. È un conflitto che pone fine al progetto anti-russo della Nato ormai andato in fumo, e costringerà l’alleanza atlantica a ristrutturarsi e prendere una nuova forma, più politica e meno militare, o smettere di esistere. È un conflitto che pone speriamo una fine all’ipocrisia dei media occidentali, la loro censura, basata su una narrativa così distaccata dalla realtà e basata su un universo a sé stante, che ormai quasi più nessuno ci crede ancora, soprattutto dalla tragedia palestinese che i media e i governi occidentali hanno forzatamente oscurato in tutti i modi; la vittoria schiacciante della Russia dopo questi tre lunghi anni di propaganda è l’ennesima sconfitta per l’impero morente americano, dopo l’Afghanistan e i vari golpe andati in fumo.
Per la Russia, è un conflitto che ha dimostrato chi è veramente russo, e chi ha invece nello spirito il cancro occidentale, definendo un confine netto tra traditori e alleati della Patria. È un conflitto che ha formato inevitabilmente una futura classe dirigente di veterani patrioti, così come l’Urss ci riuscì con la dottrina del suo Partito, e rinnovato quindi l’eredità dei siloviki che fortunatamente hanno preso il potere a fine anni ’90. È un conflitto che ha spinto dialetticamente la Russia a distaccarsi dall’occidente, a svilupparsi autonomamente a livello produttivo, ma anche e soprattutto forse a livello culturale; hanno vinto i Danilevskij, i Dostoevskij, i Solov’ev e i Savitskij, ha vinto lo Spirito russo, che prende coscienza del proprio sé, che non è né europeo, né asiatico. È un conflitto che ha riportato la Russia vicina alle gesta che fecero 80 anni fa gli eroici combattenti sovietici, che sconfissero i nazisti con uno sforzo storico senza precedenti, nella guerra più tragica, sanguinosa, con la vittoria più gloriosa della storia.
È un conflitto che pone fine al sogno di Hitler e degli inglesi, e si può dire che sia solo con la fine del conflitto ucraino, che è finita la seconda guerra mondiale. Sono passati 80 anni dalla liberazione di Berlino, ma tutte le vincede sin’ora accadute sono dovute proprio alla fine del conflitto ai tempi così pregna di contraddizioni – dalla Germania divisa, agli americani che hanno continuato, senza nasconderlo, con i piani antisovietici lasciati loro dai nazisti, a partire dalla corsa all’atomica e le guerre imperialiste poi, circondando il Rimland e portando la Cina (indispensabile come diceva Haushofer) dalla propria parte.
Questo conflitto segna la fine dell’impero americano per come è a lungo stato, così come la prima guerra ne segnò la fine per quello britannico. Il Nomos del mare sta morendo, e sta tornando il Nomos della terra, basato sulle garanzie di sicurezza reciproche e il rispetto delle sovranità come ha sempre voluto la Russia, e sugli accordi economici-commerciali e i partenariati locali come ha sempre voluto la Cina. Il diritto alle sanzioni, il diritto al dominio dei mari e delle tratte commerciali, il diritto ai brevetti, il diritto al libero commercio, sono cose di altri tempi, di un’epoca fortunatamente passata, o che sta passando, e che ha portato a così tante centinaia di milioni di vittime, se non forse – senza esagerare – miliardi, dal colonialismo ad oggi.
È la fine del dominio europeo, e l’inizio del mondo multipolare. L’occidente, che ha sempre ragionato in termini universalistici, si prerogava il diritto all’impunità, e si arrogava a dettar legge ovunque, con la CIA, l’Usaid e i vari strumenti di “soft power” (spesso neanche tanto “soft“), fino a reclamare il diritto di inglobare una parte storica del mondo russo rendendola una anti-Russia. È il piacere nel dissacrare, che li ha portati alla morte.
Lì dove hanno cercato di espandersi, hanno trovato un’altra polarità; come quando un magnete della stessa polarità viene a contatto con un altro, e viene respinto senza alcuno sforzo. Il riconoscimento che la sfera americana abbia dei confini che non può prevaricare è un fatto da non ignorare. È anzi forse uno dei punti più rivoluzionari frutto di questa risoluzione. Il riconoscere che vi sia un pari, come la Russia, mette in evidenza l’esistenza di altre polarità: è finito l’unipolarismo, sia de jure, che de facto.
Ora và riformata la struttura internazionale; riformare il Consiglio di sicurezza basato (in totale parzialità) sui vincitori più rilevanti della seconda guerra mondiale, e basarlo piuttosto sulle effettive polarità che sono emerse (o anzi riemerse) sul nostro pianeta: Russia, Cina, India, Iran, ed eventualmente organizzazioni che rappresentino Africa e America latina, con altre polarità che potranno emergere nel tempo, come una reale e seria Lega araba, o dell’Asia centrale e dei Paesi turcichi. Le polarità dei principali Stati dei BRICS sono ormai chiare, e sta ora all’occidente capire come riformarsi affinché possa sopravvivere alla nuova era. Polarità americana e polarità europea? Unica polarità? O frammentazione e riformulazione degli equilibri interni al subcontinente europeo, con nuove sfere politico-culturali?
E l’ucraina? L’ucraina perdonerà i russi per i crimini dei singoli e le inevitabili tragedie famigliari per fortuna il più possibile limitate (se messi a paragone con guerre imperialiste come quelle d’Iraq, Siria, Africa o della stessa Palestina), ed anzi li ringrazierà. Così come ci sono voluti 20 anni per far dimenticare il proprio passato e rinnegare la propria famiglia, abbracciando il nazismo, così ci vorranno molti meno anni per far ricordare allo stesso popolo le proprie radici. Gli ucraini diventeranno più grati versi i russi di quanto i giapponesi, tedeschi e italiani non siano stati grati verso il (relativo) liberatore americano.
Nel febbraio del 2022 scrissi di aver visto lo Spirito del tempo a cavallo, e confermo che così è stato, e ancora per un po’ così sarà. Putin verrà ricordato come uno dei più grandi leader della storia russa (e mondiale), che ha risolto i problemi e le questioni aperte lasciate dall’esperienza comunista, che ha chiuso, forse per sempre, la questione dell’aggressività europea (europa che avrà al massimo un paragrafo nei nostri futuri libri di storia), e che ha gettato le basi per la riunificazione dei tre popoli slavi d’oriente. Grazie allo spirito d’iniziativa e la forza russa, questo 9 maggio, ottantesimo anniversario dalla sconfitta del nazismo tedesco, sarà il più importante di sempre.
La Russia ha compiuto il suo ruolo storico che le spettava sin dalla Rivoluzione bolscevica; ora sta ai russi, più patrioti e coscienti di sé che mai, continuare a guidare, insieme alla potenza cinese, la comunità umana dal futuro condiviso, che sempre più sta divenendo un presente.