Due mesi che dureranno due anni

Come hanno già detto in molti, con la formalizzazione dell’approvazione americana all’utilizzo di missili a lungo raggio in territorio russo, l’amministrazione “Biden” (o meglio di chiunque lo manovri come un burattino) ha scoccato il suo ultimo(?) colpo di coda, accelerando pericolosamente il ticchettio del Doomsday clock, l’orologio dell’apocalisse.

La situazione è assolutamente imparagonabile a quella della estremamente citata crisi missilistica di Cuba (e Turchia), in quanto entrambi i Paesi erano a molti più chilometri di distanza dai centri delle rispettive superpotenze nemiche (Usa e Urss), c’era appunto un bilanciamento – dato che l’Urss poté rispondere alla minaccia turca utilizzando il territorio cubano, in maniera piuttosto speculare –, e le tecnologie distruttive di allora non erano comparabili a quelle di oggi. Sembra inoltre paradossale pensarlo, ma, nonostante la “guerra fredda” e la divisione relativamente netta del mondo in quei due opposti schieramenti, c’era più dialogo e rispetto tra le parti allora di quanto non ce ne sia oggi – pur essendo vero che, pare, sia ancora in uso la storica “linea rossa” tra i due Paesi, nata un anno dopo la crisi missilistica del ’62.

Ebbene oggi la situazione è assai peggiore. Gli Usa sono un impero oggettivamente decadente, e nessuno oramai, a parte certi personaggi clowneschi che hanno fortuna giusto nei salotti demenziali della colonia Italia, mette in dubbio questa nuda realtà. L’elezione di Biden, nonostante più di 3 anni passati a rinnegare la sua palese demenza senile, è stata piuttosto esemplare nel rappresentare la visiva degenerazione dell’impero.
Così come è altrettanto nuda la realtà della dedollarizzazione, seppur si faccia di tutto per non parlare di multipolarismo (un anatema impronunciabile nei media occidentali) e istituzioni alternative come i BRICS.

Il dramma è che, nonostante gli Usa e l’impero a cui fanno capo è in declino e al prossimo collasso, ciò accade proprio in un mondo rimasto con i confini marchiati dall’espansionismo degli Usa, durante il suo “glorioso” apice dopo il crollo del blocco sovietico. Quell’unipolarismo sfrenato che ha portato a milioni di morti nei vari Paesi del cosiddetto terzo mondo, ma anche nel cuore dell’Europa (si pensi alla Jugoslavia). Sono una molteplicità di contingenze storiche che, proprio per via dell’espansione e della forza degli Usa, e per via della presa del potere dei siloviki in Russia e della resistenza della Cina alle ingerenze occidentali (da Tiananmen alla globalizzazione usata come propria arma), ci hanno portato alla situazione in cui siamo ora: un impero al collasso ma con i missili non più solo puntati, ma addirittura in volo contro la Russia – un Paese imparagonabile a quel gigante in ginocchio che poteva essere negli anni ’90.

Una dottrina nucleare per evitare il disastro nucleare

La nuova dottrina nucleare russa non è molto diversa dalla dottrina nucleare precedente. Eviterò di esporre l’evoluzione della dottrina russa (dal ’93, al 2000, 2010 e 2020), ma possiamo chiaramente notare come col passare del tempo la sostanza è rimasta invariata: è cambiata invece la forma arricchita di dettagli, e non di poco. Se nel ’93 si parlava di utilizzo dell’atomica solo in risposta ad un attacco nucleare, nel 2000, con Putin, si è introdotto il fattore delle “minacce esistenziali” (che può appunto essere anche un’invasione, una forma di balcanizzazione fomentata dall’esterno, o missili convenzionale contro le strutture nucleari, o di difesa nucleare), nel 2010 si è specificata la funzione deterrente delle stesse testate, giustificandone quindi il possesso in chiave di difesa verso un potenziale avversario, e infine, nel 2020, ribadisce il concetto, andando più nel dettaglio.

La sostanza, soprattutto dal 2010 in poi, è rimasta davvero invariata, ed è andata piuttosto a particolareggiarsi. Con la dottrina del 2024 ciò è assai più chiaro, e fa ben pensare che tale revisione del testo sia più rivolta all’esterno di quanto non lo sia verso la burocrazia interna – e d’altronde le dottrine nucleari di tutti i Paesi che la posseggono sono pubbliche proprio per determinare e far conoscere le proprie linee rosse. Ciò è evidente soprattutto se pensiamo al fatto che questa sia stata formulata e pubblicata (ma non approvata) quando si iniziava a parlare di autorizzazione all’utilizzo di missili a lungo raggio occidentali. Dopo l’annuncio della “nuova” dottrina, gli Stati uniti hanno abbandonato, nella formalità, l’idea dell’approvazione all’utilizzo di missili a lungo raggio su territorio russo, spingendo ad andare avanti solo i zerbini del vecchio continente: Regno unito, Francia e Germania, con gli scalp e storm shadows, i vari Paesi-falchi come Polonia, Baltici, Cechia, e gli “ex-neutrali riscoperti falchi”, cioè Svezia e Finlandia (che, come Assange rivelò, de facto erano parte della Nato già da decine di anni). Non solo loro; anche l’Italia, al parlamento europeo, ha approvato l’utilizzo di missili a lungo raggio (in generale, “non nostri“) su territorio russo, con la sola opposizione di certi membri di Lega e Movimento 5 stelle.

Non è la prima volta infatti che missili occidentali vengano utilizzati per colpire obiettivi su suolo russo, e Mosca ha preferito tenere saldi i nervi e non rispondere azzardatamente.
Non solo. Ciò che è accaduto quest’estate, con i quattro attacchi ai radar EWS (early warning system, o sistemi di allerta precoce), è stato di una gravità inaudita che ci hanno portato davvero sull’orlo dell’inverno nucleare – mentre ovviamente i media occidentali o evitavano di parlarne, o non solo minimizzavano (non parlando direttamente di “radar anti-atomici” ma di generici “radar anti-missilistici”), ma anzi festeggiavano il “record di chilometri coperti dai droni ucraini senza esser visti” [articolo del Quotidiano nazionale come esempio], quando molto più probabilmente erano partiti da Finlandia o Paesi baltici; il tutto per lasciare i cittadini occidentali sprovvisti di cognizione di causa, finendo per condannare Mosca nel caso questa avesse giustamente risposto al tentativo di acciecamento dei propri radar anti-atomici (che, ricordiamo, non potevano esser obiettivo giustificato per gli ucraini dato che non servono a nulla in questo conflitto attuale: individuano solo l’arrivo di testate atomiche entro certi raggi).

Dopo aver testato le linee rosse di Mosca, abbiamo continuato ad alzare l’asticella dell’escalation con l’invio di altre armi e procedendo con altre provocazioni.
Se siamo ancora in piedi, oggettivamente è grazie alla pazienza e la calma dell’orso.

L’ultimo colpo di coda, e il “nocciolo” rivelato

A meno di due mesi dall’insediamento del nuovo presidente, però, è accaduto ciò che assolutamente non doveva accadere, e cioè fare proprio quello che la Russia ci aveva avvisato di non fare nel documento della nuova dottrina nucleare, ora, giustamente, ratificata. Da monito, è diventata realtà.

La dottrina nucleare del 2024, approvata il 19 novembre, cioè appena i (6) primi missili americani Atacms sono stati ufficialmente usati con l’approvazione statunitense. Il giorno dopo, il 20, è toccato ai Storm shadow britannici. I primi diretti verso Bryansk, i secondi verso Kursk. Tutti i 6 Atacms e i 2 (qualcuno afferma addirittura 12) Shadows sono stati intercettati, ma in ambedue i casi le schegge hanno provocato danni, tra cui morti e feriti nel caso di Bryansk. È interessante notare comunque come i 6 Atacms fossero diretti verso un deposito non particolarmente in uso, mentre i 2-12 Shadows verso un centro di comando. Sembra dunque più un test delle capacità (e delle linee rosse, ormai superate e ri-superate) russe che un vero e proprio attacco serio verso infrastrutture strategiche. Con gli Usa “più cauti” rispetto ai britannici, dato che questi ultimi hanno mirato direttamente un centro di comando.
Ciò basta e avanza nella corsa all’escalation, essendo un precedente gravissimo.

La dottrina nucleare russa è dunque ora in vigore, ed è stata accompagnata da un singolo missile russo piuttosto simbolico, ma di cui a livello mediatico si sta evitando di parlare, se non minimizzandolo. Il missile ha colpito un centro di produzione missilistica di Dnipro (città simbolo della produzione di missili, sin dai tempi dell’Urss, ora riconvertito segretamente in centro di produzione per il regime nazista di Kiev) [articolo di Reuters], e non un edificio residenziale o una stazione come hanno detto certi rimbambiti che vogliono minimizzare l’escalation, con tanto di interviste fuori contesto di residenti che hanno detto che “le mura per fortuna hanno retto” (certo, da un missile ipersonico a mach 10-11); in realtà, sono edifici che hanno subito danni relativi per via dell’onda d’urto del missile, il che fa capire la potenza di tale vettore.

L’attacco è davvero limitato, ma è un segnale chiarissimo: la Russia ha un missile (se non missili) che ancora non ha rivelato, che l’occidente non conosce e che, soprattutto, non può intercettare. In verità, il Paese ne ha già diversi di ipersonici a lungo raggio (così come anche Iran e Cina, a differenza degli Stati uniti, che a distanza di anni ancora non ne riescono a testare con successo neanche uno), ma questo è particolare, almeno simbolicamente, per il nome: “Oreshnik“, ovvero “nocciolo” in russo. È stato infatti specificato esplicitamente: “in questo caso non ha testata nucleare” [discorso di Putin, dal sito ufficiale del Cremlino]

La guerra mondiale potrebbe essere ufficialmente iniziata, se non torniamo indietro

Se già si poteva dire da almeno due anni che la guerra era diventata ormai mondiale, oggi può esser considerata tale anche ufficialmente. Nello stesso discorso di Putin del 21 novembre è stato infatti affermato che questo conflitto ha raggiunto tutte le connotazioni di una “natura globale”.

Ma si può forse tornare indietro?
Potenzialmente sì. D’altronde le richieste di sicurezza russe sono rimaste invariate, se ignoriamo il riconoscimento dell’acquisizione dei territori avvenuti dopo il 2022, volta a garantire almeno in (larga) parte la garanzia di sicurezza delle minoranze russe sotto il regime nazista ucraino. Per il resto, gli obiettivi sono i medesimi: Ucraina fuori dalla Nato, senza basi straniere e de-militarizzata, o perlomeno permanentemente de-nuclearizzata.
Basterebbe una telefonata di Biden, o chi ne fa le veci al povero demente, per porre la fine al conflitto, ratificando poi nero su bianco l’accordo di sicurezza.
Ma parliamo di sogni, apparentemente. L’impero americano non pare assolutamente incline ad arrendersi, perlomeno non in questi due mesi – due travagliati e lunghissimi mesi sul filo del rasoio.

Basterebbe comunque fermarsi coi missili lanciati verso il territorio russo – come già accadde con lo stop dopo i quattro attacchi ai radar EWS –, e la situazione almeno si congelerebbe, fino all’insediarsi della prossima amministrazione alla Casa bianca. E sia chiaro, che sto ponendo per vere le parole di Trump sulla “telefonata in 24 ore”, ma nulla è certo quando il tycoon parla; d’altronde gli interessi in ucraina sono vitali per la lobby della morte.

La nuova dottrina nucleare russa e le fasi dell’armageddon

Perché l’escalation si fermerebbe se l’occidente si fermasse a lanciare missili su territorio russo (a prescindere dall’efficacia di questi)? Perché la dottrina nucleare stessa della Russia appena ratificata specifica tre fasi.

Analizziamola brevemente [documento dal sito ufficiale del governo]. Si indentifica innanzitutto (punto 9) un avversario in maniera indiretta, affermando che la deterrenza è volta a proteggere il Paese da “potenziali avversari”, che possono essere “Stati singoli o coalizioni militari (blocchi, alleanze) che considerano la Russia un potenziale avversario”. Il contrasto con gli Stati uniti, a cui viene fatto implicito riferimento, è piuttosto chiaro, in quanto nella dottrina americana, almeno dal National Defence Strategy del 2018, viene scritto nero su bianco che la Russia (così come anche la Cina) è l’avversario principale.

Col nuovo punto 11, si introduce formalmente il contesto reale ucraino: ogni aggressione “da uno Stato non-nucleare [es. Ucraina] con il coinvolgimento e il supporto di uno Stato nucleare è visto come un attacco congiunto dei due”. I missili americani (ma anche francesi e britannici) usati dall’Ucraina sono dunque un pericolo esistenziale per la Russia, dato che non si può sapere se insieme al vettore, gli americani hanno passato anche la testata nucleare. E l’utilizzo di questi per conto di terzi, con tanto di approvazione (ovvero “coinvolgimento e supporto”) e non di semplice vendita incosciente del missile (come lo è stato l’utilizzo di missili occidentali da parte ucraina prima dell’approvazione formale), equivale ad un “attacco congiunto”, ergo sono gli Stati uniti stessi, direttamente, ad attaccare la Russia.

Nell’elencazione sotto al punto 15 vengono inoltre citati tutti i segnali che dovrebbero far scattare la “deterrenza nucleare”, tra cui, citiamo, (b) “missili di medio, lungo e corto raggio da crociera e balistici” e (a) “i mezzi di consegna di questi tipi di armamenti”, ma anche (f) “la creazione o l’espansione di coalizioni militari” che “risultano nell’installazione di infrastrutture militari a ridosso dei confini russi”, (g) “azioni volte ad isolare parti del territorio della Federazione Russa, come il blocco di canali di trasporto” (di cui è un chiaro esempio la per fortuna breve crisi che avvenne tra Polonia, Lituania e il Kaliningrad russo nel 2022). Sono ora nella lista anche (i) le “larghe esercitazioni militari fatte da potenziali avversari lungo i confini russi”, che fino al 2022 sono state fatte per decine di volte dalla Nato (tra l’altro violando non poche volte i confini aerei), al fine di provocare e aumentare le spese per le armi alla Russia.
Tutte queste condizioni sono oggi considerate sufficienti per far scattare i meccanismi di difesa russa.

Ma andiamo al nocciolo, analizzando la fine del documento, dove vengono elencate le fasi di mobilitazione nucleare, fino a ricorrere all’utilizzo.
Il punto 18 afferma che, com’è scontato che sia (e ciò è già stato scritto nelle precedenti versioni della dottrina nucleare), l’atomica venga utilizzata istantaneamente nel caso di (b) un attacco a sua volta nucleare, o di altre armi di distruzione di massa, o (c) attacchi contro infrastrutture volte a prevenirle (ad esempio gli EWS già attaccati, fortunatamente male, dall’ucraina quest’estate), contro la Russia o anche la Bielorussia (in quanto parte dello Stato dell’Unione). È considerata come condizione sufficiente anche (d) “l’invasione convenzionale”, come può esserlo ad esempio quello effettuato dall’ucraina a Kursk, ma si specifica che tale attacco debba esser “critico verso la sovranità e/o l’integrità territoriale” russa e bielorussa; si suppone dunque critico sul lungo termine (mentre l’attacco a Kursk è dalle dimensioni relativamente irrisorie e facile, sul medio termine, da respingere).

Ciò a cui siamo arrivati è nello specifico il punto (e), che ha provocato la ratifica del documento stesso che stiamo analizzando: “informazioni verificate di un significativo lancio di attacchi da asset aerospaziali nemici, violando i confini della Federazione Russa”;
“20. Il presidente (…) decide sull’uso delle armi nucleari.
21. Il presidente potrebbe notificare politici stranieri e militari, o organizzazioni internazionali, della prontezza o la decisione dell’utilizzo di armi nucleari, così come il [già] fatto del loro utilizzo.”

Per individuare le 3 fasi citate a inizio paragrafo, occorre avere un occhio più tecnico, dato che tra una scelta e l’altra nei vertici militari e politici russi, occorrono tempi burocratici stabiliti, ecc.; e per questo ci affidiamo a esperti militari russi come Konstantin Sivkov e Pavel Shishkin, che ha riassunto il tutto, come riportato da un articolo su You-Ng.
La risposta russa a un’escalation nucleare (salvo un attacco massiccio diretto, che farebbe rispondere la Russia istantaneamente) potrebbe prendere dai 2 ai 4 giorni, lasciando dunque un certo tempo all’avversario occidentale di fermare la corsa verso l’abisso.
Come afferma Shishkin, “Si tratta di una serie di azioni sequenziali che partono con una dichiarazione diplomatica, da parte delle autorità russe, sull’inammissibilità di certe azioni”. E questo è già successo numerose volte, in risposta a varie provocazioni occidentali, in particolare sui missili a lunga gittata.
“Se non si ottiene un risultato positivo, il Paese apporta modifiche dimostrative ai documenti fondamentali, come ha fatto la Russia”. E ci troviamo dunque in questa fase, già ratificata.
“Se il  nemico continuasse  le sue azioni”, nota ancora l’esperto, “nonostante le misure precedenti, la parte che si difende, in questo caso la Russia, inizia a prendere misure simmetriche o asimmetriche”. E forse il missile Oreshnik è proprio la risposta simmetrica di cui si parla. Se non una risposta ancora parzialmente simmetrica (in quanto in territorio ucraino e non ancora Nato).

“Se queste azioni non fermano l’avversario”, continua la spiegazione dell’esperto militare russo, e le sue azioni iniziassero “a minacciare la stabilità dello Stato, compreso il lavoro delle forze di deterrenza strategica, il Paese, cercando di evitare un’ulteriore escalation, intraprende un’azione decisiva”. Una di queste azioni potrebbe essere una dichiarazione ufficiale di un capo di Stato, come il Presidente, che sottolinea che un’ulteriore escalation minaccerebbe il territorio del Paese aggressore. Scriveva You-Ng che “anche questo step, osserviamo, è stato consumato con le reiterate dichiarazioni di Putin rivolte non tanto all’Ucraina ma alla Comunità Europea e soprattutto agli Usa, che Putin ha formalmente identificato, qualora giungesse da essi la autorizzazione a usare armi a lungo raggio, come cobelligeranti a tutti gli effetti contro la Russia”, ma nel contesto odierno sembra che la minaccia vera e propria sia arrivata oggi stesso, con la dichiarazione implicita della disponibilità russa a rispondere anche in territorio occidentale, in quanto cobelligeranti. Questa fase sembra esser la più elastica.

Il passo successivo, secondo l’esperto, potrebbe essere un attacco non nucleare contro il Paese aggressore. Se tale risposta non facesse altro che provocare azioni ancora più dure da parte del nemico, in questo caso l’impatto delle armi convenzionali sarebbe intensificato. “Se anche questo non è d’aiuto, segue una dichiarazione formale di disponibilità all’uso di armi nucleari. Poi, se l’avversario non è rinsavito, le forze strategiche vengono messe in piena allerta. Poi, se l’escalation non si è fermata” come spiega Sivkov, “la Russia può lanciare un attacco nucleare dimostrativo su una regione in cui nessuno verrà danneggiato”. “Ad esempio”, scrive Shishkin, “l’esperto militare spiega che per dimostrare la propria determinazione, la Russia potrebbe lanciare un attacco di avvertimento, ad esempio sulla calotta del Polo Nord o del Polo Sud. Se questo non suscita la risposta necessaria, il passo successivo potrebbe essere quello di far esplodere una testata nucleare nello spazio vicino, il che distruggerebbe una parte significativa dei satelliti nemici. Se ulteriormente ignorata, la Russia può colpire le strutture militari nemiche con una presenza minima di personale”. E questa sembra esser la fase successiva, che, se l’occidente continua con la traiettoria odierna, potrebbe accadere nel giro dei prossimi giorni.

L’esperto militare Sivkov, prosegue verso la chiusura l’articolo, ha spiegato che tutte queste fasi sembrano molto lente nella loro descrizione, “ma in realtà esse sarebbero completate, fino all’attacco nucleare su vasta scala fra i due massimo quattro giorni”.
Come possiamo notare infatti dall’attacco missilistico del 19 alla ratifica del documento non è passato neanche un giorno, mentre dal secondo attacco del 20, alla risposta missilistica del 21, è passato un solo giorno.
I tempi, come si nota, non sono “lenti” quanto lo possono essere ad esempio le risposte dell’Iran o dell’Asse della Resistenza ad israele, o viceversa.

Come ha reagito l’occidente?

Il mondo è scontato come abbia reagito alla pazzia americana, ma l’occidente?
Dall’Ungheria Orban ha condannato la scelta sciagurata dei padroni americani mettendo in guardia dall’escalation verso l’atomica, dalla Slovacchia Fico ha dichiarato che ciò allontana la pace e che continua il massacro fraticida tra slavi in ucraina [articolo Euronews], e dalla Serbia Vučić ha avvisato a chiare lettere che “Putin non bluffa” e “non esiterà a rispondere”, anche con “il nucleare” [articolo riportato dalla testata turca AA]. Il figlio di Donald Trump ha infine accusato l’amministrazione di “Biden” di voler iniziare la terza guerra mondiale prima che salga a potere suo padre, così come ha affermato anche Elon Musk sulla stessa piattaforma X.

E l’Italia? Sarà interessante vedere le dinamiche interne alla maggioranza, dato che la premier Meloni, a capo di Fratelli d’Italia, così come Tajani, a capo di Forza Italia, hanno non solo approvato al parlamento europeo, in linea col Pd, l’utilizzo di missili a lunga gittata da parte dell’ucraina, ma hanno anche comunicato il sostegno alla decisione di Washington, reputandola legittima e giustificata, in pieno contrasto con le dichiarazioni di vari membri della Lega che, in linea col Movimento 5 stelle, hanno espresso forti preoccupazioni su una potenziale escalation, spesso criticando esplicitamente l’amministrazione “Biden”.

Uno dei bracci di Trump, Steve Bannon, un tempo “amico” della Meloni, di Salvini e di Conte, ha recentemente criticato senza giri di parole la premier italiana. In un’intervista al Corriere, ha affermato: “credo che molti, nel movimento [MAGA] qui, pensano che Meloni si è quasi trasformata in una Nikki Haley”, che è una delle più bellicose dei repubblicani, scaricata dal governo Trump a questo giro, insieme a Pompeo. “È stata tra i più grandi sostenitori della continuazione della guerra in Ucraina.”
“È evidente che [Trump] vuole porre fine a questa semi-ossessione di spingere la Nato quasi in territorio russo. Lui non l’appoggerà, ma lei l’ha fatto, è stata al gioco. È piuttosto ovvio che aveva scommesso che Trump non sarebbe più tornato, si vede dalle sue politiche. La scommessa era sbagliata, non ha pagato.” In risposta poi alla notizia che circolava sui media italiani, secondo cui Trump abbia detto alla Meloni che sarà il suo ponte tra USA e Italia, Bannon, smentendo, ha dichiarato: “Al movimento MAGA non serve un ponte, perché Le Pen, Farage e Orbán sono con noi. Raccomanderei a Meloni: sii ciò che eri quando Fratelli d’Italia era al 3%”.

A questo punto, la decisione della Meloni di continuare con la sua linea filo-“democratica” nonostante abbia ricevuto la bacchettata dal vecchio padrone che tornerà alla Casa bianca, può portare a varie domande.
La Meloni è a conoscenza di qualche trama a cui siamo all’oscuro – come addirittura l’uccisione di Trump o una sospensione dell’insediamento a causa di uno stato di guerra –, o è semplicemente stupida? A rafforzare la seconda ipotesi ci sono svariate prove, dalle varie gaffe alla figuraccia dello scherzo telefonico di Vovan e Lexus, alla lecchinaggine senza controllo e gratuita che ci ha portato via persino il comando sud della Nato. Ma la questione rimane aperta, almeno fino all’insediamento effettivo dell’amministrazione Trump. Una cosa è sicura: se le cose andranno per il meglio, entro pochi mesi la maggioranza in Italia potrebbe sciogliersi proprio per via di una spaccatura in seno al centrodestra portata avanti dalla Lega, e a questo punto o ci sarà un governo di larga coalizione come lo fu sotto Draghi, mettendo assieme FdI, FI e addirittura Pd, o si dovrà tornare a votare, dato che Lega e M5s difficilmente potranno comporre una maggioranza con i numeri attuali. E questa crisi, chiaramente, sarebbe indotta da oltreoceano, così come avvenne già con la fine del governo Conte (per mezzo di Renzi e dell’intelligence).

La grande domanda è però un’altra: sapendo come funzionano dietro le quinte le elezioni americane, Trump è stato lasciato vincere per un’ormai evidente insofferenza di una parte significativa delle lobby verso il conflitto ucraino, che è un buco nero (senza risultati concreti e con guadagni per ora minori) che consuma giornalmente più di quanto non consumasse la guerra in Afghanistan o in Iraq (cioè le due guerre più costose dalla fine della seconda guerra mondiale: 2.3 mila miliardi distribuiti in 20 anni e 2 mila miliardi distribuiti in 12 anni, contro mille miliardi spesi in soli 2 anni).
La mossa dell’amministrazione “dem”, che non è sicuramente stata fatta senza aver consultato le strutture militari (Pentagono e intelligence) e le varie lobby che le coprono le spalle (o che ci si siedono sopra), fa pensare che o c’è una divisione ormai abissale non solo tra gli interessi delle varie lobby finanziarie ed high tech con la lobby legata all’economia reale, industriale e al carbonfossile, ma anche all’interno delle lobby finanziarie stesse, che, ricordiamo, hanno in parte sostenuto Trump (si pensi a Blackrock e Vanguard); o queste lobby sono compatte nel sostenere la continuazione del conflitto in Ucraina, ma preferivano Trump per quanto riguarda le politiche economiche. A questo punto sarà da vedere quanto l’amministrazione Trump si dimostrerà capace di discostarsi dai piani alti e seguire una propria linea, in coerenza e continuità col programma elettorale ripetuto e ribadito centinaia di volte in questi ultimi quattro anni.

Staremo a vedere. Questi due mesi saranno davvero lunghi, come fossero due anni. Non mancano intanto le analisi decisamente “ottimiste”, che considerano molto probabile l’utilizzo dell’atomica entro fine anno, o quelle che, al contrario, minimizzano gli avvisi del Cremlino e dicono o che bluffa, o che i missili a lunga gittata non provocheranno l’ira di Mosca e che anzi le “vere linee rosse” sono altre (chissà quali?).

Chiudendo con Gramsci, “Il vecchio mondo sta morendo. Quello nuovo tarda a comparire. E in questo chiaroscuro nascono i mostri”.
Possiamo dire che i mostri siano nati nel 1776, se non prima, ma in questo chiaroscuro potrebbero rivelare a pieno la propria mostruosità, a livelli inimmaginabili, ancora mai visti, incomparabili al genocidio dei nativi, alle camere a gas, al napalm sui viet, o… alle prime due bombe atomiche sul Giappone.

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