Ungheria, tra turanismo e baluardo cattolico

Da Inimicizie.

Ultimamente si è tornato a parlare molto di Ungheria in occasione della rielezione di Orban, a causa della neutralità del paese nella guerra russo-ucraina, che ha stupito molti e raggelato i rapporti con i suoi alleati lontani (USA) e vicini (Visegrad).
Chi vi scrive è anche in parte ungherese, quindi un approfondimento su questo paese, tutt’altro che irrilevante nello scenario europeo – e per molti versi unico – era ormai dovuto.

Per spiegare la geopolitica dell’Ungheria – e la sua storia recente – occorre analizzare le sue due “anime geopolitiche”, presenti sia nell’alta politica dello stato che nella bassa cultura di tutti i giorni: Quella di “baluardo cristiano” dell’Europa, e quella di paese “turanico”, discendente dai nomadi delle steppe centroasiatiche. Esiste anche, ed è stata influente in determinati momenti (come la rivoluzione del ’56, o il tardo periodo austroungarico) una terza cultura “liberal“, geopoliticamente declinabile oggi in senso atlantista-europeista, che però rimane piuttosto ai margini.

Partiamo quindi da quella più antica in senso temporale, oltreché meno conosciuta in Europa: L’anima pan-turanica.

I magiari: un popolo asiatico

La storia degli ungheresi – o magiari – nella zona d’Europa in cui oggi sono stanziati inizia a cavallo tra il nono e il decimo secolo, quando la confederazione delle tribù magiare, guidata dal “Re” Arpad, diventò sedentaria nel bacino dei Carpazi. Di dove fosse originaria precisamente è oggetto di dibattito, sicuramente però si trattava di una confederazione di tribù nomadi provenienti da una zona compresa tra gli urali, la siberia e il mar caspio. La lingua ungherese, infatti, appartiene al ceppo “ugro-finnico”, totalmente distinto da quelli slavo, latino o germanico.

Con lo stanziamento venne anche la cristianizzazione ma, nonostante il passaggio dei secoli, i magiari mantennero sempre una qualche forma di identità “asiatica”.

Questa identità prese il nome di “turanismo” – ed assunse la sua forma attuale – durante il diciannovesimo secolo, elaborata da studiosi orientalisti – una corrente culturale molto in voga all’epoca in Europa – e dalle loro frequenti spedizioni in Asia Centrale alla ricerca del luogo natio della nazione, in quell’atmosfera di romanticismo europeo in cui, irrompendo i popoli nella sovranità degli stati, si elaboravano e codificavano identità nazionali; e sovranazionali.

Il pan-turanismo viene così elaborato: Una comunanza storica e identitaria dei popoli originari del turan, la zona di Asia Centrale a nord dell’Iran, che secondo l’interpretazione più estensiva in assoluto comprende tutti i popoli mongoli, tutti i popoli turchi, i magiari, gli estoni, i finlandesi e finanche coreani e giapponesi.

Inizialmente, il turanismo era più che altro appannaggio dell’alta cultura nobiliare, facente capo alla corona ungherese della monarchia duale austro-ungarica, che vedeva con timore la nascita del pan-slavismo e soprattutto del pan-germanismo (in Austria, si discute già di anschluss dalla metà del diciannovesimo secolo).

La corona ungherese teme che la nazione venga isolata – e in ultimo divorata – dalle nascenti narrative meta-geopolitiche. Quindi riscopre la propria guardando ad est, in particolare all’Impero Ottomano. Iniziarono importanti scambi culturali tra Ungheria e “Turchia”, e venne persino costruita una moschea a Budapest. Possiamo dire che questa riscoperta amicizia culturale cementò l’alleanza degli Imperi Centrali.

La sconfitta nella prima guerra mondiale – e la conseguente “umiliazione di Trianon” – contribuirono a far coincidere il sentimento revanchista e anti-occidentale (anche anti-russo, ma la Russia è di fatto una nazione sconfitta della prima guerra mondiale, che non partecipa alle trattative di Versailles) con quello pan-turanista. Nel regime “prussiano” di Miklos Horty e in quello fascista delle croci frecciate, l’idea pan-turanica esercitò delle notevoli influenze.
Va anche menzionato che proprio il padre della geopolitica – Karl Hausofer – si fece sostenitore di una dottrina eurasiatica, il cui punto focale era un’alleanza tra le potenze tellurocratiche: Germania, Russia e Giappone. E’ la teoria sottostante al patto Molotov-Ribbentrop, nonostante l’antibolscevismo spinto di Hitler, Mussolini, Horty e l’antifascismo di Stalin.
E’ noto come andò a finire, ma è proprio grazie all’asse Berlino-Mosca che l’Ungheria riconquista la Transilvania, la Voivodina, la Transcarpazia.

L’identificazione con Horty e le croci frecciate fa sì che, quando l’Ungheria diventa un paese socialista di fatto sottomesso all’Unione Sovietica, le purghe del regime di Rakosy eliminino del tutto anche gli elementi pan-turanici.

Non c’è alcuna traccia di questa ideologia – a causa proprio della mancanza del materiale umano – nella rivoluzione del ’56, guidata da circoli anti-sovietici (generalmente di sinistra) in seno al regime socialista, e scatenata nel popolo a causa di disagi sociali uniti ad un processo riformista che ne alzò le aspettative. Forse però non è un caso che sia stato un paese “unico” come l’Ungheria a ribellarsi per primo contro il dominio sovietico?

Statua di Re Arpad - figura chiave del turanismo - a Budapest
Statua di Re Arpad – figura chiave del turanismo – a Budapest

Il neo-turanismo

In ogni caso, il turanismo riemerge in modo dirompente sulla scena politica ungherese dopo la caduta del socialismo.

Politicamente, è inizialmente parte dell’ideologia ufficiale di Jobbik, il partito di estrema destra che è stato seconda forza in Ungheria alle elezioni del 2018 – con il 20% dei voti – ed oggi è nella coalizione anti-Orban.

Il leader di Jobbik ha spesso incontrato Aleksandr Dugin, e pubblicato per riviste collegate alla dottrina geopolitica eurasiatica. Ha notoriamente dichiarato: “Gli ungheresi sono il più occidentale dei popoli orientali, e se le bugie sulle loro origini ugro-finniche dovessero essere messe da parte e gli ungheresi dovessero professare di essere i discendenti di Attila [Secondo alcune teorie, Arpad sarebbe discendente diretto di Attila, il re degli unni N.d.R.], essi troverebbero improvvisamente centinaia di milioni di persone pronte a formare la base comune di un’alleanza“.

Il turanismo però è stato cooptato anche dal partito di governo di Viktor Orban, Fidesz.

Nel 2012, uno sciamano proveniente dalla Repubblica russa di Tuva, fu ufficialmente invitato in parlamento per eseguire un rituale intorno alla corona della monarchia ungherese.

L’Ungheria è entrata a far parte nel 2018 del Turkic Council, ed Orban ha più volte rimarcato in questa sede la comunanza etnica tra magiari e turchi.

A livello popolare invece, il turanismo si trova in attività culturali, politiche, artistiche, occulte. Particolarmente interessante è il festival Kurultaj, un “raduno dei popoli turanici” che ogni anno accoglie circa 200mila partecipanti, in cui si assiste a rievocazioni storiche, giochi equestri, sport tradizionali, concerti, richiami alla medicina tradizionale. Molto seguito, con milioni di visualizzazioni su youtube, è il gruppo rock “Karpatia”, che nei suoi testi include sempre richiami all’ideologia turanista. Anche se è legato all’estrema destra (che in Ungheria è consistente) il turanismo non è suo appannaggio esclusivo, esiste anche una tradizione socialista pre-sovietica che si richiama ad uno “stato contadino turanico”, in ottica comunitarista.

E’ proprio quest’anima dell’identità geopolitica dell’Ungheria – intersecandosi con la cooperazione tra Berlino e Mosca teorizzata da Hausofer e dagli eurasianisti russi – che meglio spiega la condotta dell’Ungheria nei confronti di Mosca. Può spiegare anche il fatto che l’Ungheria sia stato il primo paese dell’UE a partecipare ad un progetto della via della seta di Pechino, la ferrovia Budapest-Belgrado, costruita con prestiti e compagnie cinesi. Più pragmaticamente l’Ungheria vede, nelle sue partnership commerciali attraverso l’Eurasia, la possibilità di ritagliarsi una nicchia a livello economico nell’UE, dove per ora è stata in grado di prosperare grazie alla delocalizzazione delle industrie tedesche e ai fondi comuni, ma dove sente anche di non essere sufficientemente competitiva nel medio periodo. A questo proposito, ha aperto ben 47 uffici commerciali in tutta l’”isola-mondo” eurasiatica.

Una manifestazione plastica del turanismo ungherese: Orban insieme ai colleghi del Turkic Council, in occasione dell'apertura di una sua sede a Budapest
Una manifestazione plastica del turanismo ungherese: Orban insieme ai colleghi del Turkic Council, in occasione dell’apertura di una sua sede a Budapest

Rapporto con Russia e Ucraina

Partendo da questi elementi, si può anche sottolineare come l’idea che per l’Ungheria fosse naturale schierarsi con l’Ucraina – nell’ambito dell’invasione russa – in quanto come essa vittima dell’”oppressione russa”, derivi da una visione semplicistica (errata) sia della storia sovietica che della realtà ungherese.

Alla luce dell’ostilità odierna tra Russia e Ucraina, del periodo sovietico si ricordano selettivamente solo la repressione del nazionalismo ucraino e l’holodomor – di cui il maggior artefice fu peraltro Stalin, georgiano, e che colpì l’intera URSS- dimenticando come non solo senza l’Unione Sovietica – che non era semplicemente una “grande Russia”, cosa che invece sostengono, sbagliando, sia gli eurasiatisti russi che gli atlantisti – i territori che oggi la Russia occupa militarmente non sarebbero mai stati ucraini (la “novorussia” è stata assegnata all’Ucraina da Lenin, la Crimea da Kruschev) ma anche come gli ucraini abbiano avuto un ruolo di spicco – spesso apicale – nell’Unione Sovietica. Brezhnev, segretario del PCUS per quasi 20 anni, era ucraino, e come lui la quasi totalità dei suoi protegè – detti per l’appunto “mafia di Dnipropetrovsk” – tra cui lo stesso Chernenko (cosa che venne usata da Andropov, a sua volta accusato da Chernenko di essere ebreo, per screditarlo durante i giochi di potere che seguirono la morte di Brezhnev) penultimo segretario del PCUS.
Inoltre, è risaputo come gran parte degli ufficiali dell’armata rossa – forse addirittura una maggioranza – fossero ucraini.
Insomma, per l’Ungheria il dominio sovietico non fu tanto più russo che ucraino. Anche se le truppe di occupazione parlavano russo (e talvolta neanche quello).

Leo J. Daugherty III, "Ethnic minorities in the soviet armed forces: The plight of central Asians in a Russian‐dominated military", The Journal of Slavic Military Studies, vol 7, n 2, 1994, p 175
Leo J. Daugherty III, “Ethnic minorities in the soviet armed forces: The plight of central Asians in a Russian‐dominated military”, The Journal of Slavic Military Studies, vol 7, n 2, 1994, p 175

Infine, utile per capire la condotta di Budapest, è anche il rapporto non idilliaco tra il regime ucraino post-Maidan e i circa 150.000 ungheresi che abitano in Transcarpazia, “residuo” di Trianon poi confermato con la sconfitta nella seconda guerra mondiale.
Particolarmente contenziosa è la legge del 2017, con cui Kiev ha vietato l’insegnamento in lingua straniera nelle scuole – e quindi di fatto cancellato le numerose scuole ungheresi in transcarpazia, oltre a quelle russe, polacche e romene in altre aeree del paese – nell’ambito della sua politica di “ucrainizzazione” dell’intera nazione. In seguito a questa legge, il governo ungherese promise di mettere il veto all’entrata dell’Ucraina nella NATO, già dal 2018.

Il riconoscimento di una nuova ispirazione eurasiatica della geopolitica ungherese, dei problemi bilaterali tra Ungheria e Ucraina post-guerra fredda (soprattutto post-Maidan) e una corretta lettura della storia sovietica, rendono molto più comprensibile l’atteggiamento neutrale – o addirittura filorusso, del resto Orban ha citato direttamente Zelensky tra gli avversari che ha sconfitto vincendo le elezioni – di Budapest.

Ungheria come baluardo cristiano

Passiamo ora, più brevemente, all’aspetto più familiare – per noi – dell’identità geopolitica ungherese: Quello di baluardo dell’Europa cristiana.

I politici ungheresi spesso ricordano, nelle loro polemiche con i colleghi dell’Europa occidentale – dovute alle politiche di Budapest su famiglia o immigrazione – le numerose volte in cui l’Ungheria ha svolto il ruolo di protettore del continente contro le famose “orde asiatiche”: I tatari, i mongoli, gli ottomani e infine i bolshevichi nel ’56.

Come gli altri paesi dell’ex blocco di Varsavia, l’Ungheria ha riscoperto una forte identità cristiana (nel caso dell’Ungheria, cattolica) che informa le sue scelte di politica estera e interna. Quest’anima dell’identità ungherese è quella che spiega fondamentalmente la sua appartenenza al “gruppo di Visegrad” insieme a Polonia, Slovacchia e Cechia. L’Ungheria inoltre attua delle politiche di protezione dei cristiani all’estero – soprattutto in Medio Oriente – e finanzia la costruzione di chiese cattoliche in tutto il bacino dei Carpazi. L’identità cristiana è inscritta nella costituzione ungherese.

Notoriamente – nel 2015 – Orban giustificò le sue politiche di forte contrasto all’immigrazione clandestina, paragonando i flussi della rotta balcanica all’invasione ottomana dell’Ungheria, ed esplicitando: “Non vogliamo un gran numero di musulmani nel nostro paese, e non vedo alcuna ragione secondo cui qualcun altro ci dovrebbe obbligare a creare dei modi di vivere insieme in Ungheria che noi non vogliamo vedere“. Il 72% degli ungheresi, il numero più alto in Europa, vede l’Islam in una luce negativa.

La basilica di Ezstergom, la chiesa più grande in Ungheria
La basilica di Ezstergom, la chiesa più grande in Ungheria

Sintesi

Come conciliare, quindi, due visioni del mondo che appaiono totalmente opposte, ma che invece sono entrambe presenti sia nella società ungherese che nello stesso partito politico di governo? Possiamo dire che Orban ci stia provando, come molti altri sovrani o reggenti ungheresi ci hanno provato – alcuni riuscendoci – prima di lui.

La sintesi è raggiunta sia sulla base di nemici comuni, che anche su un terreno più costruttivo.

I nemici comuni sono: Il liberalismo occidentale, l’individualismo opposto al comunitarismo cattolico e asiatico-nomadico, il cosmopolitanismo, la finanza internazionale rappresentata plasticamente nella figura di George Soros.
E’ anche presente una certa dose di antisemitismo, anche se del tutto marginale rispetto al periodo 1918-1945, e nei fatti assente sia dalla politica ufficiale di Fidesz – che sostiene con forza Israele ed esalta le “radici giudaico-cristiane” del continente – sia da quella di Jobbik, che ha via via purgato questo elemento dal suo partito.

Il terreno costruttivo è invece quello di un’Ungheria vista come ponte tra occidente ed oriente, come nazione più europea abitata da un popolo asiatico, o come popolo più asiatico ad abitare in Europa.

L’Ungheria vuole essere vista come un partner naturale da Cina e Russia – partecipando anche alla “Via della Seta” – senza però essere vista dagli europei come “testa di ponte” di un’invasione, ricordando loro tutte le volte in cui un’invasione proveniente dall’Asia è stata fermata o combattuta da Budapest.

L’Ungheria vuole rafforzare i suoi legami con la Turchia neo-ottomana e il mondo pan-turco – con cui recentemente condivide i “distinguo” all’interno dell’Alleanza Atlantica – senza però permettere che un’immigrazione di massa da est metta in pericolo la sua identità cristiana.

L’Ungheria vuole far parte della comunità degli stati europei – con cui è integrata e di cui beneficia enormemente – pur volendo mantenere un’identità distinta e guardando con sospetto al liberalismo politico e culturale che viene dalle sue parti più occidentali.

Teme, e cerca di evitare trovando sponde esterne – a Istanbul come a Visegrad – l’egemonia di potenze più grandi: Siano esse la Russia, la Germania o gli USA.

Il ventesimo secolo è stato obiettivamente catastrofico per l’Ungheria, con due guerre mondiali perse, un ridimensionamento umiliante e quasi 50 anni sotto un’occupazione di fatto. E’ ad oggi molto lontana dai suoi fasti imperiali, ma sembra decisa a ritagliarsi un ruolo determinante nel mondo multipolare.

Se ci riuscirà ce lo dirà solo il tempo.

Indice