Dal sito ufficiale della KFA Italia.
Saggio scritto dal compagno Jean-Claude Martini, Delegato Ufficiale della KFA Italia, per il 110° anniversario della nascita del Presidente Kim Il Sung, dietro parere favorevole dell’Associazione dei Sociologi di Corea (KASS).
L’anno 2022, in cui cadono l’80° anniversario della nascita del grande Dirigente compagno Kim Jong Il e il 110° anniversario della nascita del grande Leader compagno Kim Il Sung si presenta come una grande occasione per un decisivo balzo in avanti nell’assimilazione delle idee rivoluzionarie del kimilsungismo-kimjongilismo da parte dei comunisti italiani come di tutti i paesi imperialisti. Esso affonda le sue radici nelle idee del Juche, elaborate dal Presidente Kim Il Sung come linea direttrice per la rivoluzione coreana e l’edificazione indipendente e sovrana del socialismo, a partire dall’applicazione creativa del marxismo-leninismo alla realtà specifica della Corea. Col tempo e con l’elaborazione teorica sia del Presidente Kim Il Sung che del Presidente Kim Jong Il, esse si sono evolute sino a divenire una teoria rivoluzionaria originale e universalmente valida, come afferma lo stimato compagno Kim Jong Un:
«Le grandi idee del Juche, in quanto concezione del mondo incentrata sull’uomo, teoria e metodo rivoluzionari, sono l’ideologia più razionale, universale e valida, con cui tutti coloro che aspirano all’indipendenza possono prontamente identificarsi ed accogliere come propria. […] Le idee del Juche sono un’ideologia rivoluzionaria enciclopedica che rappresenta l’intera storia dell’attuazione della causa dell’indipendenza delle masse, la causa del socialismo, e una grande ideologia che guida l’umanità verso il futuro»1.
Indice
Introduzione
Le origini del Juche, innestandosi sui principi rivoluzionari per i quali le masse popolari sono le artefici della rivoluzione e che quest’ultima va condotta in modo indipendente e creativo, ha spianato la strada ad altre scoperte e innovazioni teoriche da tradurre e applicare nella pratica concreta della rivoluzione nel proprio paese. Ciò va fatto a partire dai principali apporti del kimilsungismo-kimjongilismo alla scienza comunista, di cui oggi costituisce la punta di lancia e la fase suprema, apporti che io sintetizzo in 13 punti:
- Il ruolo principale dell’uomo nella rivoluzione e nell’edificazione;
- La definizione di indipendenza, creatività e coscienza come attributi fondamentali dell’essere sociale che forgia in autonomia il proprio destino;
- Il ruolo del leader nel processo rivoluzionario e nella costruzione del socialismo;
- La ridefinizione della questione nazionale e l’essenza e il significato del nazionalismo;
- La riconduzione su binari scientifici e concreti del materialismo dialettico e del principio di unità e lotta degli opposti;
- La ridefinizione creativa su base pratica della questione della classe dirigente della rivoluzione e dell’appartenenza di classe;
- L’indipendenza come cardine di ogni azione del partito comunista sia sul fronte interno che su quello estero;
- La questione della successione: il leader non deve limitarsi a ereditare il lascito ideologico del suo predecessore, ma anche e soprattutto acquisirne i tratti e le virtù morali;
- I comunisti dirigono la rivoluzione basandosi sulle proprie forze e sulla propria responsabilità e partendo dalle specificità del contesto in cui operano, non su ordine di qualcun altro;
- La teoria dell’edificazione del socialismo tramite le tre rivoluzioni: ideologica, tecnica e culturale;
- La strategia per l’unità del movimento comunista internazionale (rispetto dell’indipendenza reciproca, lotta contro l’imperialismo e sostegno ai movimenti rivoluzionari);
- La linea di classe affiancata alla linea di massa;
- L’analisi dell’imperialismo moderno.
Analizziamo ora più nel dettaglio questi apporti, che, ripetiamo, sono a mio avviso i principali ma non gli unici.
Per il marxismo il ruolo principale è svolto dal movimento economico; la teoria rivoluzionaria del kimilsungismo-kimjongilismo non nega l’importanza del fattore economico ma mette al centro l’azione cosciente dell’uomo. Il materialismo dialettico servì a suo tempo per smascherare il carattere arretrato e reazionario dell’idealismo e della metafisica, che facevano da base ideologica al regime reazionario delle classi sfruttatrici: esso infatti afferma che la coscienza è il riflesso del mondo materiale, ma non giunge a specificare il ruolo della coscienza nelle attività dell’uomo, cosa scoperta solo dopo, dal Presidente Kim Il Sung.
Marx a questo fine prese ciò che di giusto e progressivo c’era nel materialismo e nella dialettica del suo tempo e creò il materialismo dialettico; poi applicò le sue scoperte allo studio dell’evoluzione della società e creò il materialismo storico. Ma non vide la differenza fondamentale che esiste tra il movimento della natura e il movimento della società e quindi né lui né i suoi successori chiarirono la legge alla base di quest’ultimo. È un aspetto fondamentale che è stato spiegato soltanto dalla filosofia del Juche, in base al principio che le masse popolari sono il soggetto della storia e ogni movimento ed evoluzione della società è dato dal loro intervento indipendente, creativo e cosciente. Ciò vale anche, specificamente, per il principio di unità e lotta degli opposti. I classici del marxismo-leninismo hanno messo al centro questo principio per spiegare le contraddizioni socio-economiche del capitalismo e la legge alla base della lotta di classe, ma non ha senso basarsi su di essa per comprendere le leggi di sviluppo della società socialista.
Il Presidente Kim Jong Il ha chiarito:
«La legge dell’unità e della lotta degli opposti è un importante principio del materialismo dialettico marxista. Ebbene, non bisogna esaminarla semplicemente dal punto di vista scientifico, ma storicamente, dal punto di vista della pratica rivoluzionaria, com’è per tutti i problemi teorici affrontati dal marxismo-leninismo. Se il materialismo dialettico marxista pose l’accento su questo, fu in quanto all’epoca era importante districare dal punto di vista filosofico le contraddizioni socio-economiche del capitalismo e la legge della lotta di classe. È per molti versi irrazionale, a mio avviso, farvi ricorso per delucidare la legge dello sviluppo della società socialista. Perciò non abbiamo menzionato molto questo principio sviluppando la filosofia del Juche»2.
Il dibattito sui rapporti tra il materialismo dialettico e la filosofia jucheana, tuttavia, iniziò già negli anni ’70 e il compagno Kim Jong Il ne diede conto già in due opere monumentali come Su alcuni problemi posti nell’interpretazione della filosofia del Juche (2 aprile 1974) e Per una comprensione corretta dell’originalità del kimilsungismo (2 ottobre 1976). Egli infatti disse:
«Storicamente parlando, il problema dell’uomo è stato per lungo tempo l’oggetto delle ricerche filosofiche e innumerevoli dibattiti sono stati intrapresi intorno a questo problema, senza tuttavia esser giunti ad una soluzione filosofica soddisfacente. I teorici marxisti classici hanno formulato un’opinione dialettica materialista su questo problema, compiendo così un enorme progresso nella delucidazione filosofica della natura dell’uomo. Per essi, la natura dell’uomo è costituita dall’insieme dei rapporti sociali, la produzione materiale e i rapporti socio-economici costituendo i fattori più determinanti di ogni azione umana. Malgrado il loro punto di vista dialettico materialista sul problema dell’uomo, essi non hanno potuto tuttavia evidenziare completamente le caratteristiche essenziali dell’uomo in quanto essere che domina e trasforma la natura e la società.
La filosofia jucheana è stata la prima a dimostrare che il senso di libertà, la creatività e la coscienza sono gli attributi dell’essere sociale che è l’uomo. Essa ha inoltre totalmente delucidato la natura dell’uomo e colto in modo giusto il problema filosofico della sua posizione e del suo ruolo in quanto padrone della natura e della società che egli sottomette alla sua volontà e trasforma»3.
E aggiunse:
«La dialettica materialista ha già dimostrato che il mondo è costituito dalla materia e non dallo spirito o dall’idea, che muta e si evolve in funzione delle leggi sue proprie e non sotto l’impulso di una forza sovrannaturale qualsiasi. Non si può negare il fatto che il mondo, di cui la materia è sostanza, sia una totalità materiale e che il suo movimento e la sua evoluzione si reggano su leggi loro proprie. La filosofia jucheana, per parte sua, tenta di rispondere alla nuova domanda: chi è il padrone del mondo e qual è la forza che lo trasforma e lo modifica? Essa sviluppa una nuova percezione del mondo secondo la quale la natura e la società sono dominate e trasformate dall’uomo, portando così a termine, con successo, il principale compito filosofico della nostra epoca nella quale le masse popolari sono divenute padrone del loro destino, soggetti della storia.
La filosofia jucheana spiega così il fatto che l’uomo è il padrone del mondo, che lo domina, ma essa non suggerisce affatto che il mondo materiale abbia per componente essenziale la specie umana. Ugualmente, questa filosofia sottolinea che è l’uomo che modifica il mondo, ma non ammette che l’uomo sia l’autore di tutti i cambiamenti che sopravvengono nel mondo. L’opinione per la quale il mondo materiale si limita essenzialmente all’uomo o che tutte le trasformazioni del mondo dipendano dall’uomo è dovuta a una cattiva comprensione della filosofia jucheana. Per poter comprendere il mondo secondo la spiegazione che ne propone la filosofia jucheana, si devono apprezzare correttamente la posizione ed il ruolo dell’uomo»4.
Due anni dopo, egli si addentrò più a fondo nell’argomento e delineò con la stessa esattezza i limiti del materialismo dialettico marxista, le differenze con la filosofia jucheana e gli apporti di quest’ultima al pensiero filosofico comunista:
«Le idee del Juche, quintessenza del kimilsungismo, costituiscono una grande scoperta nella storia del pensiero umano.
Si constata attualmente, tuttavia, una tendenza a interpretare queste idee alla luce del materialismo dialettico marxista. Per esempio, in una lettera che ho ricevuto di recente si proponevano le espressioni “materialismo jucheano” e “dialettica jucheana” per designare le idee del Juche. Questo dimostra che non si percepisce ancora chiaramente l’originalità delle idee del Juche.
Il materialismo dialettico marxista ha sollevato quale problema fondamentale della filosofia il rapporto tra la materia e la coscienza, tra l’esistenza e il pensiero e ha stabilito il primato della materia e dell’esistenza e, su questa base, ha messo in evidenza le leggi dell’evoluzione del mondo oggettivo. Nella misura in cui la materialità del mondo e le leggi generali della sua evoluzione erano state chiarite, le idee del Juche hanno sollevato come problema fondamentale della filosofia la posizione e il ruolo dell’uomo nel mondo, ha dimostrato che l’uomo è padrone di tutto e decide di tutto e, a partire da ciò, ha determinato la legittimità della dominazione, della modificazione e dello sviluppo del mondo da parte dell’uomo. Essa considera l’uomo come un essere sovrano in relazione al mondo, e non semplicemente come una parte del mondo. Questo principio filosofico delle idee del Juche non può essere interpretato nel quadro del materialismo dialettico.
La tendenza a incatenare le idee del Juche alle teorie precedenti si fa sentire ancor più forte nella concezione della storia sociale. Nei manuali scolastici di filosofia, per esempio, si constata una tendenza ad assoggettare i principi socio-storici definiti dalle idee del Juche alla concezione materialista della storia.
La concezione materialista della storia è l’applicazione delle leggi generali del mondo materiale alla storia della società. Certo, nella misura in cui la società è parte integrante del mondo materiale, le leggi generali del mondo materiale le sono applicabili. Ciononostante, alcune leggi proprie della sua evoluzione, dunque diverse da quelle della natura, governano la società. Poiché il movimento della natura non è legato all’esistenza di un soggetto, ogni movimento socio-storico presuppone un soggetto e non può essere concepito al di fuori dell’azione e del ruolo di questo soggetto. Le idee del Juche hanno scoperto le leggi specifiche dell’evoluzione della storia sociale in quanto movimento che presuppone l’esistenza di un soggetto. La concezione della storia sociale definita dalle idee del Juche si fonda principalmente su queste leggi. Non si deve imprigionare la concezione jucheana della storia sociale nella concezione materialista della storia»5.
Ciò vuol dire, in sintesi, che il pensiero kimilsungista ha scoperto e descritto un ambito tralasciato dal materialismo dialettico, vale a dire quello del soggetto del movimento storico-sociale, che sono le masse popolari. La storia della società è sempre stata storia di lotte di classi, dicono i fondatori del socialismo scientifico. E ciò è senz’altro vero, i comunisti coreani non si oppongono a questa definizione. Questi ultimi si sono piuttosto concentrati sulle forze motrici reali e concrete di queste lotte di classi, e ne hanno analizzato l’essenza e le caratteristiche in relazione al progresso delle condizioni storiche, sociali, materiali ecc. Vale la pena di ricordare che la nozione di “uomo” nella filosofia jucheana non equivale a quella di “individuo” nella concezione borghese: l’uomo rimane sempre un essere sociale, che può sviluppare i suoi naturali attributi di indipendenza, creatività e coscienza (fattore che lo distingue dalle altre specie animali) solo in un ambito collettivo.
Si può forse dire, quindi, che il kimilsungismo neghi il marxismo-leninismo e la validità del materialismo dialettico come metodo d’analisi della realtà concreta? Assolutamente no, non lo si può dire. E lo stesso Dirigente Kim Jong Il spiega perché:
«Bisogna apprezzare la teoria marxista-leninista in connessione alle condizioni dell’epoca che gli ha dato i natali. Storicamente parlando, il marxismo e il leninismo, che riflettevano l’epoca della preparazione e quella del compimento della rivoluzione proletaria, hanno messo in pratica la teoria, la strategia e la tattica della lotta rivoluzionaria per il rovesciamento del capitalismo, ciò che consideravano fin dall’inizio come proprio compito. Inoltre, i fondatori del marxismo-leninismo sono stati portati a tirare le conclusioni teoriche dalla loro propria analisi dei paesi capitalisti dove lottavano e dove la rivoluzione era all’ordine del giorno, soprattutto nei paesi capitalisti europei.
Come si vede, i limiti del marxismo-leninismo attengono alle condizioni di un’epoca determinata, al compito storico che doveva realizzare così come alle sue premesse storiche. Pertanto, è sbagliato negare il marxismo-leninismo col pretesto che le sue tesi e la sua teoria non sono conformi a tutte le esigenze della pratica rivoluzionaria attuale.
Dobbiamo apprezzare nel suo giusto valore il marxismo-leninismo e, su questa base, farci un’idea precisa del rapporto tra esso e il kimilsungismo. Per quanto riguarda questo rapporto, non si deve né tentare di negare quello di continuazione tra il marxismo-leninismo e il kimilsungismo non prendendo in considerazione l’originalità di quest’ultimo, né, al contrario, trascurare questa originalità mettendo troppo l’accento sulla continuazione che questo implica. Va da sé che di questi due aspetti, la continuazione e l’originalità, quest’ultima è la più importante. Associare i due considerando l’originalità come essenziale: questa è la giusta posizione da mantenere per comprendere il rapporto tra il kimilsungismo e il marxismo-leninismo»6.
Proseguiamo.
Il marxismo-leninismo ha sempre postulato che l’appartenenza di classe è dettata unicamente dalla propria origine di classe. Il Presidente Kim Jong Il ampliò il concetto e la definizione di “masse popolari” mettendo al centro non l’origine di classe (che pure è importante), ma l’ideologia cui ciascuno si ispira.
Egli affermò:
«Le masse popolari comprendono nel loro seno diverse classi e strati sociali, ed è necessario tener conto delle origini sociali di ognuno per giudicare se appartiene o no alle masse popolari, ma non si tratta di un criterio assoluto. I pensieri e le azioni dell’uomo non sono soggette alla sola influenza della posizione della classe cui appartiene. Chi riceve influenze rivoluzionarie e assimila un’ideologia avanzata può servire le masse popolari, a prescindere dalla posizione sociale della propria classe di provenienza. È l’ideologia cui l’uomo s’ispira, piuttosto che le sue origini sociali, che funge da principale criterio per giudicare se egli appartiene alle masse popolari oppure no. Le idee socialiste e comuniste non sono le uniche a servire da basi ideologiche per costituire le diverse classi in masse popolari. Chiunque ami il paese, il popolo e la nazione può servire il popolo e quindi integrarsi nelle masse popolari»7.
Quanto alla forza dirigente della rivoluzione, egli chiarisce che il punto di vista dogmatico della “centralità della classe operaia sempre e ovunque” è errato e bisogna invece guardare a quale classe, in ogni paese, svolge il ruolo dirigente nel movimento rivoluzionario.
Precisamente, egli affermò:
«La questione della forza principale della rivoluzione è uno dei problemi fondamentali nel potenziamento della forza motrice della rivoluzione e nello sviluppo del movimento rivoluzionario attraverso l’accrescimento del suo ruolo. Quale classe, strato o collettivo sociale diventerà la forza principale della rivoluzione è deciso dalla sua stessa posizione e dal suo ruolo nella rivoluzione e nella costruzione, dal suo senso della rivoluzione, dalla disciplina nell’organizzazione e dalle capacità di combattimento. La questione della forza principale della rivoluzione non può restare invariata per ogni era, società o rivoluzione, né è una questione che può essere risolta solo sulla base dei rapporti di classe. In conseguenza, in merito alla classe operaia come forza principale della rivoluzione sempre e ovunque, ribattiamo che si tratta dell’espressione di un punto di vista dogmatico nei confronti delle precedenti teorie e non è inoltre un principio corretto»8.
Il kimilsungismo-kimjongilismo ha chiarito anche nella prassi quali sono i metodi universali più giusti per organizzare la forza motrice della rivoluzione, il suo stato maggiore, e condurli alla vittoria. Esso ha fornito una spiegazione scientifica e rivoluzionaria di questioni come quella del nazionalismo e quella del leader, lasciate irrisolte dal marxismo-leninismo, tal per cui il revisionismo moderno ha potuto aprirvi una breccia e creare danni tutt’oggi irrisolti all’interno del movimento comunista.
Per i marxisti, il leader è comunque un individuo. Il Presidente Kim Jong Il specificò:
«In rapporto alle masse popolari, il leader occupa la posizione del cervello. Egli è il centro della loro unità e della loro coesione, il centro direttivo, come il cervello dell’uomo controlla l’insieme delle attività vitali del suo organismo. Le masse popolari non possono formare un’unità che non sia incentrata sul leader, senza il quale esse sono come un essere vivente senza cervello. Se esse non si uniscono attorno al leader, saranno smembrate e impotenti.
Il leader dirige le masse popolari, svolgendo così un ruolo determinante nella lotta rivoluzionaria. Egli le impregna delle idee rivoluzionarie rendendole coscienti, le riunisce nell’organizzazione rivoluzionaria ed esercita su di esse una direzione strategica e tattica giudiziosa per condurle alla vittoria. Il ruolo determinante delle masse popolari nella lotta rivoluzionaria non è garantita che dalla direzione del leader, ruolo che gli spetta»9.
Il leader è dunque diverso dall’individuo in quanto il primo è il centro dell’unità volitiva e organizzativa delle masse popolari mentre il secondo no. Il limite della concezione marxista del leader ha portato molti, specialmente dopo il XX Congresso del PCUS (in cui non a caso il perno della nuova linea revisionista si incentrò sulla “lotta contro il culto della personalità”: la destra del Partito sapeva che avrebbe allargato una breccia nel movimento comunista che la teoria rivoluzionaria aveva lasciata aperta), a pensare erroneamente che per la rivoluzione basti il partito e non serva un leader.
Quanto al nazionalismo, i comunisti hanno sempre tracciato una linea di demarcazione netta tra patriottismo e internazionalismo, considerando il nazionalismo come un’ideologia solamente borghese, reazionaria e volta a promuovere divisione e discordia tra i popoli. A quel tempo era effettivamente giusto, perché l’obiettivo era rafforzare l’unità internazionale della classe operaia contro la borghesia imperialista e i suoi Stati nazionali; ma oggi che la borghesia stessa, dopo il ’68, è gradualmente divenuta cosmopolita e ostile agli Stati nazionali, difendere la sovranità e la propria identità nazionale è un compito ancor più centrale dei comunisti e delle masse popolari di tutto il mondo, giacché la rivoluzione socialista oggi può trionfare solo come insieme di rivoluzioni nazionali. Il nazionalismo, nel senso kimjongiliano del termine, è da concepirsi appunto come amore e difesa della propria nazione intesa come «comunità sociale storicamente formatasi e consolidatasi sulla base di una comune discendenza, lingua, area di stanziamento e cultura»10. Oggi, quindi, i comunisti devono non solo essere internazionalisti e patrioti, ma anche nazionalisti. In questo senso, già negli anni ’60 il grande Dirigente compagno Kim Jong Il analizzò e ampliò la teoria staliniana della questione nazionale, correggendo l’errore per il quale le nazioni si sarebbero formate nel capitalismo (la nazione coreana ha infatti più di 5000 anni di storia e non si è formata ai tempi della dominazione coloniale giapponese, come si dovrebbe concludere attenendosi alla definizione data in merito dai classici del marxismo-leninismo) e specificando che la concezione jucheana della nazione, per come impostata dal grande Leader compagno Kim Il Sung, si basa sui tratti fondamentali del sangue e della lingua comuni11.
Sulla base dell’unità unanime del partito e delle masse attorno al leader per la difesa della nazione e delle sorti del socialismo s’innestano le politiche genuine di un paese socialista. L’indipendenza e la fiducia in sé sono due pilastri della politica interna ed estera della RPDC che i grandi compagni Kim Il Sung e Kim Jong Il, lungi dall’inventarsele a tavolino, trassero dalla loro pratica rivoluzionaria, come anche dal bilancio della storia del movimento comunista internazionale e dei primi paesi socialisti. Costoro hanno sempre agito più sulla base delle indicazioni e delle esperienze dell’Unione Sovietica che sulle loro convinzioni e condizioni specifiche, adottando in blocco modelli che non si confacevano alla loro realtà e rinunciando così, di fatto, alla propria indipendenza.
La storia della rivoluzione coreana insegna precisamente a contare sulle proprie forze e ad avanzare con uno spirito indipendente: è noto l’episodio risalente al 1931, allorquando i rivoluzionari coreani chiesero all’Unione Sovietica di costruir loro una fabbrica di bombe, e questa non si degnò neppure di risponder loro. Da questo fatto, negativo, scaturì l’evento positivo della creazione autonoma, in loco, della bomba Yongil. Il Presidente Kim Il Sung trasse questi insegnamenti dalla sua esperienza rivoluzionaria in Corea, in cui, dagli anni ’20 agli anni ’40, esisteva come oggi in Italia un movimento comunista debole, frammentato e molto litigioso, con vari piccoli partiti in lotta per la patente di “vero partito comunista”. A differenza di oggi, ognuno di questi partiti si recava alla sede dell’Internazionale Comunista per riceverne il riconoscimento ufficiale e puntava a fare la rivoluzione in Corea sulla base delle sue indicazioni e col suo appoggio ufficiale come precondizione, anziché andare tra le masse, risvegliarle e mobilitarle. Come il grande Leader stesso chiarì anni dopo:
«Nel movimento comunista internazionale non esiste un’organizzazione internazionale chiamata a dirigere in modo unitario le attività dei partiti di tutti i paesi. I tempi sono cambiati e l’epoca in cui il movimento comunista aveva bisogno di un centro internazionale è già superata. Non è più esistita alcuna “direzione” e alcun “centro” del movimento comunista internazionale da dopo lo scioglimento della Terza Internazionale. Pertanto, è diventato impossibile che un “centro” della rivoluzione si sposti da un paese all’altro. A maggior ragione è impossibile che un paese diventi il “centro della rivoluzione mondiale” o che un partito diventi “partito dirigente” del movimento comunista internazionale»12.
Abbiamo ora trattato i principali apporti del kimilsungismo alla scienza comunista, nonché i limiti storici, ideologici e teorici del marxismo-leninismo che esso ha superato.
Non possiamo astenerci dal citare altri di questi contributi, frutto del genio teorico e delle grandi capacità organizzative del Presidente Kim Il Sung: la tattica e la strategia della lotta di liberazione nazionale anticoloniale, i problemi teorici e pratici concernenti la rivoluzione democratica e quella socialista in un paese ex coloniale, la costruzione del partito e del potere popolare, linee direttrici per conquistare la vittoria completa del socialismo e intraprendere l’edificazione del comunismo, la questione della vittoria definitiva del socialismo, la strategia per la rivoluzione mondiale e una serie di questioni di principio sorte nel movimento comunista internazionale e nel movimento operaio nella seconda metà del XX secolo.
Durante la lotta armata antigiapponese, egli arricchì la scienza militare del pensiero comunista trovando risposte originali a numerose questioni tattiche e strategiche della guerriglia (tra cui la definizione chiara dell’obiettivo generale e dell’obiettivo immediato della lotta armata, in linea con il compito fondamentale della rivoluzione ad ogni stadio di sviluppo del contesto oggettivo), l’associazione della lotta armata con la preparazione ideologica e organizzativa per la fondazione del partito e di un ampio movimento unitario, legando la lotta armata a quella clandestina, la creazione e il consolidamento di molteplici basi di guerriglia, la scelta di differenti tecniche di guerriglia a seconda del mutare della situazione, i compiti della rivoluzione e i metodi per costruire dei contingenti di guerriglieri.
Per quanto attiene all’edificazione del socialismo, il Presidente Kim Il Sung elaborò innumerevoli teorie e linee politiche creative e geniali, come la linea per la costituzione della base democratica rivoluzionaria, la linea del compimento in via prioritaria della rivoluzione antifeudale e democratica, la corretta definizione del compito generale del periodo di transizione dal socialismo al comunismo, la politica originale della cooperazione agricola (trasformare le forme economiche secondo parametri socialisti già prima della rivoluzione tecnologica) e quella della riorganizzazione socialista del commercio e dell’industria privata, la linea della costruzione di un’economia nazionale indipendente e la linea fondamentale dell’edificazione economica basata sullo sviluppo prioritario dell’industria pesante, contemporaneamente a quello dell’industria leggera e dell’agricoltura, la linea generale del Partito per la costruzione del socialismo (il Movimento Chollima)13 e la conquista delle due fortezze del comunismo: quella ideologica e quella materiale, con priorità assegnata in ogni caso al fronte ideologico, grazie alle Tre rivoluzioni (ideologica, tecnica e culturale). Non dimentichiamo, infine, la sua teoria sulla rivoluzionarizzazione, la trasformazione sul modello della classe operaia e l’intellettualizzazione dell’intera società. Il grande Leader ha inoltre apportato enormi contributi per quanto riguarda la scienza giuridica socialista e la lotta contro il burocratismo in regime socialista, come ben emerge dai suoi discorsi Sull’eliminazione del burocratismo (1 aprile 1955), Sull’eliminazione del formalismo e del dogmatismo e l’instaurazione del Juche nel lavoro ideologico (28 dicembre 1955) e Per l’applicazione della politica giudiziaria del nostro Partito (29 aprile 1958): la lotta ideologica ha dunque sempre svolto un ruolo fondamentale e di punta in ogni attività del Partito del Lavoro di Corea. Questo sia per quanto riguarda il partito, sia per quanto riguarda la società nel suo complesso, poiché la lotta di classe prosegue anche nella società socialista, e il pericolo che un nuovo strato borghese si formi è assai palpabile, come avverte il grande Dirigente compagno Kim Jong Il:
«Una volta istituito il regime socialista, ogni classe privilegiata cessa di esistere. Finché il potere statale e i mezzi di produzione saranno nelle mani del popolo, la classe privilegiata non potrà rinascere nella società socialista. Tuttavia, se non si combattono gli abusi di potere, la burocrazia, le illegalità e le perversioni in questa società, è possibile che alcuni quadri fiacchi si lascino degenerare, si isolino dal popolo e formino uno strato a parte»14.
Dopo l’esordio e il perfezionamento del metodo di studio e lavoro contemporaneo subito dopo la Liberazione dai giapponesi, negli anni ’60 giunse a compimento, sotto la direzione del grande Leader compagno Kim Il Sung, anche la questione rurale, grazie alla pubblicazione, il 25 febbraio 1964, delle Tesi sulla questione rurale socialista nel nostro paese. In esse il grande Leader ha dimostrato che è possibile effettuare la trasformazione socialista dei rapporti di proprietà anche quando le forze produttive non sono sviluppate. Egli è partito dalla situazione specifica della Corea, nella quale non vi era un’industria sviluppata ma la cooperativizzazione agricola era il compito più urgente del momento. Egli quindi ha fatto affidamento sulle masse popolari e ha dato impulso al movimento di cooperativizzazione agricola prima che rinascessero i contadini ricchi e medi in misura tale da potersi coalizzare contro di essa; applicando la linea di massa, egli unì i contadini poveri e quelli medi, isolando quelli ricchi e mettendoli in condizione di non nuocere, per poi portarli ad allearsi coi primi due strati contro il nemico di classe: i proprietari fondiari. Questi furono espropriati senza indennizzo e costretti a lavorare in altre località, trasformandosi così in contadini. Reprimendo i nemici di classe e i proprietari fondiari irriducibili, egli ha fatto creare brigate di sostegno alla riforma agraria, basando l’intero processo di cooperativizzazione sul principio del libero consenso, senza espropriare a forza i contadini ricchi così da non creare un eccessivo numero di elementi ostili e rieducando pazientemente coloro che si erano pentiti del nefasto cammino intrapreso in precedenza: quella che nella RPDC è tutt’oggi chiamata linea di classe, affiancata alla linea di massa. Così, la riforma agraria nella RPDC è stata realizzata in modo molto più pacifico e lineare che in altri paesi.
La Costituzione socialista, emanata per la prima volta nel 1972 e non a caso chiamata anche Costituzione di Kim Il Sung, ha risolto sia de iure che de facto altre questioni, come quella femminile, che in altri paesi socialisti erano state risolte a metà. Sotto la direzione del grande Leader compagno Kim Il Sung, il lavoro domestico è stato interamente socializzato e si sono costruiti, nei decenni, molte istituzioni per la cura collettiva dei bambini, liberando le donne dal fardello dei lavori domestici, facendo loro assumere un enorme ruolo educativo nella famiglia e inquadrandole in collettivi e brigate di lavoro e di produzione che hanno spalancato loro le porte per ogni tipo di lavoro, riservando loro una posizione di tutto rispetto nella società della RPDC e facendone ottime rivoluzionarie, mogli e madri.
Contemporaneamente, l’applicazione della linea di massa anche nella pianificazione (arma fondamentale per combattere il burocratismo) ha portato alla creazione di nuovi metodi di lavoro rivoluzionari come il metodo di lavoro Taean, lo spirito e il metodo di Chongsanri, il metodo di coltura jucheano e il nuovo sistema di direzione agricola.
Il primo è un nuovo sistema di gestione economica di tipo coreano; vide la luce in seguito alla visita del grande Leader all’allora fabbrica di macchinari elettrici (oggi Complesso di macchinari pesanti) di Taean nel dicembre 1961 e implica lo svolgimento di tutte le attività gestionali sotto la direzione collegiale del comitato di Partito, la direzione unificata e intensiva della produzione e la consegna dei materiali alle istanze inferiori da parte delle istanze superiori, oltre alla sollecitudine responsabile per la vita dei lavoratori. Questo ha determinato una gestione assai più scientifica e razionale dell’economia.
Lo spirito e il metodo di Chongsanri, affermatisi con la visita del Presidente Kim Il Sung alla comune modello di Chongsanri nel febbraio 1960, sono l’applicazione di questo sistema nel campo agricolo. Lo spirito di Chongsanri (o teoria della direzione di massa) richiede che la direzione di Partito e di Stato sia effettuata in base al principio di assumersi la piena responsabilità dell’andamento dell’economia nazionale e delle vite delle persone e che si uniscano le masse attorno al Partito educandole e trasformandole. È altresì di fondamentale importanza che, con questo spirito, la direzione del Partito e dello Stato serva a rendere ogni lavoro opera delle masse stesse. Il metodo di Chongsanri (o metodo della direzione di massa) esige che i superiori aiutino i subordinati, che entrambi applichino la linea e le politiche del Partito unendo gli sforzi, che i superiori familiarizzino direttamente con la situazione reale, afferrino i dettagli dell’andamento del lavoro e trovino soluzioni adatte ai problemi che si presentano, dando la priorità al lavoro politico, al lavoro con le masse e all’adempimento dei loro doveri mobilitando le masse a mettere in gioco il loro entusiasmo e la loro creatività.
Il metodo di coltura jucheano è un metodo di coltura che assicura raccolti alti e costanti adottando un approccio scientifico e tecnologico in base alle condizioni climatiche e topografiche, alle caratteristiche biologiche delle colture e alle condizioni di ogni appezzamento di terreno. In base a questo metodo, il lavoro agricolo è da svolgersi conformemente alla situazione reale affidandosi alla saggezza creativa e all’opera delle masse; in sintesi, il suo principio direttivo nella direzione dell’agricoltura consiste nel piantare i giusti semi nella giusta stagione e nel rispetto delle opinioni e delle esigenze dei contadini.
Il nuovo sistema di direzione agricolo è un sistema generalizzato applicato dalle istituzioni dirigenti di agricoltura specializzata nella RPDC che le rende in grado di dirigere l’economia rurale con metodi industriali su base coordinata, così da rafforzare la direzione tecnica sulla produzione agricola e gestire l’economia rurale nel suo insieme in maniera pianificata e organizzata. Detto sistema si basa sui comitati di gestione delle fattorie cooperative distrettuali e rende possibile esercitare un controllo unificato su tutti i materiali statali direttamente correlati all’economia rurale: le stazioni di macchine agricole, le fabbriche di attrezzi agricoli, gli uffici dell’amministrazione dell’irrigazione, i centri antiepizootici, i vari materiali tecnici, la forza-lavoro specializzata ecc., di modo da rafforzare l’assistenza tecnica dello Stato all’economia cooperativa.
L’applicazione scientifica della linea di massa nel lavoro del Partito ha portato alla creazione di quel metodo di direzione rivoluzionaria che è la direzione sul campo praticata regolarmente e continuativamente dal leader. Essa è il migliore antidoto per tutto il Partito contro le malattie del soggettivismo e del burocratismo e un fondamentale propellente per la forza congiunta delle masse popolari, le quali hanno scritto pagine gloriose nella storia della Corea socialista con movimenti potenti ed efficaci come il già ricordato Movimento Chollima, il movimento per la creazione in successione di macchinari, il Movimento per la Bandiera Rossa delle Tre Rivoluzioni a metà anni ’70, la mobilitazione per la creazione della “velocità degli anni ’80” e il movimento per la produzione di beni di consumo 3 Agosto (data, per l’appunto, della visita effettuata dal grande Dirigente compagno Kim Jong Il a una mostra di prodotti dell’industria leggera a Pyongyang il 3 agosto 1984), i movimenti per la bandiera rossa di vicinato e di unità popolare di vicinato, per la creazione dello spirito di Kanggye e delle fiamme di Hamnam, lo spirito del soldato rivoluzionario e il Movimento di Jong Chun Sil negli anni ’90, nonché le campagne di 150 e 200 giorni che tutt’oggi vengono lanciate nella RPDC ogniqualvolta si avvicinano eventi importanti per il paese o calamità impreviste, come ad esempio nel 2016 in occasione degli alluvioni nel Nord Hamgyong e a fine 2020 per salutare trionfalmente l’apertura dell’VIII Congresso del Partito del Lavoro di Corea.
Come disse il grande Dirigente compagno Kim Jong Il:
«La precedente teoria rivoluzionaria della classe operaia non ha elaborato dei metodi di direzione. Nella dottrina di Marx ed Engels non si trovano teorie sui metodi di direzione. Lenin ha proposto una certa idea in merito, ma frammentaria e non teorizzata. Dissertando sullo stile di lavoro leninista, Stalin si è accontentato di paragonarlo, senza svilupparlo, all’unione della forza intraprendente rivoluzionaria russa e dello spirito pratico americano.
Il nostro grande Leader Kim Il Sung, partendo dall’idea che la rivoluzione è fatta per e dalle masse popolari, ha fatto notare che, se si vuol condurre la lotta e lo sviluppo del paese alla vittoria, bisogna anzitutto sensibilizzare, organizzare e mobilitare le masse popolari a beneficio della rivoluzione e dello sviluppo del paese. Altresì ha accordato un’attenzione particolare al metodo di direzione volto a unire le masse popolari attorno al partito, a organizzarle e a mobilitarle per la rivoluzione.
Creando lo spirito e il metodo di Chongsanri, il nostro grande Leader Kim Il Sung ha apportato una soluzione perfetta al problema del metodo di direzione»15.
La teoria rivoluzionaria kimilsungista ha elevato la scienza comunista a un livello più alto anche per quanto concerne la sovrastruttura e, particolarmente, il campo della cultura e delle arti. Vari discorsi tenuti dal Presidente Kim Il Sung nel solo anno 1964 come Sul problema delle conflittualità nelle opere letterarie e artistiche (8 gennaio), Per la creazione di una letteratura e di arti rivoluzionarie (7 novembre) e Produciamo un maggior numero di film rivoluzionari che contribuiscano all’educazione rivoluzionaria e all’educazione di classe (8 dicembre), nonché i trattati e i discorsi del Presidente Kim Jong Il L’arte cinematografica (11 aprile 1973), L’arte lirica (4-6 settembre 1974), L’arte teatrale (20 aprile 1988), L’arte della danza (30 novembre 1990), L’architettura (21 maggio 1991), L’arte musicale (17 luglio 1991), L’arte figurativa (16 ottobre 1991) e La letteratura jucheana (20 gennaio 1992), sono documenti immortali che per la prima volta hanno definito con chiarezza una teoria scientifica rivoluzionaria e comunista nell’ambito della sovrastruttura socialista. Già negli anni ’60, la RPDC inaugurò quello che a tutt’oggi è ricordato come Rinascimento del XX secolo, per il grande auge di creazioni e cambiamenti che venne inaugurato in quegli anni quanto alla produzione di film, opere teatrali, letterarie e drammaturgiche: ricordiamo Mare di sangue, Il tempio, Lettera da una figlia, La fioraia, Una vera figlia del Partito, Il destino di un membro del Corpo di Autodifesa, La sanguinosa conferenza internazionale, An Jung Gun spara a Ito Hirobumi e il ciclo di romanzi La storia immortale, tutte opere create a cavallo tra gli anni ’60 e ’70 come risultato della meticolosa e prolungata direzione del grande compagno Kim Jong Il nei riguardi degli artisti e dei creatori e sulla base delle produzioni artistiche e letterarie del Presidente Kim Il Sung durante la guerra rivoluzionaria antigiapponese, come mezzo per risvegliare e mobilitare le masse nella resistenza all’occupante e per la liberazione della patria.
Sono tutti magnifici frutti, questi, dell’applicazione scrupolosa e coerente della teoria letteraria e artistica del grande Leader compagno Kim Il Sung, il quale ebbe a dire:
«Il vero critico d’arte è il popolo. Non esiste un critico più saggio del popolo. Si deve tener presente che le opere accettate dal giudizio del popolo sono buone e quelle che non lo sono, sono cattive. Il romanzo, la poesia, la musica, il cinema e tutte le altre arti devono essere accessibili alle masse popolari e mettersi al loro servizio»16.
Queste parole assumono ancor più validità laddove osserviamo attentamente il contesto della letteratura e delle arti decadenti nel nostro paese e nel mondo capitalista in generale. La cosiddetta “arte moderna” che ha preso piede negli ultimi anni è una volgarizzazione, un imbastardimento, una distruzione cosciente e organizzata dell’arte. Come nel secolo scorso questo compito fu svolto dal cubismo e dal futurismo, ai nostri giorni tale ruolo è svolto dalla cosiddetta “arte concettuale”, piuttosto che dalla Trap, dal K-Pop, dal J-Pop, dalla diffusione incontrollata dei romanzi e dei film dell’orrore, erotici e melensi che corrompono la gioventù e addormentano il suo spirito, alimentando in essa la sfiducia, il pessimismo, la rassegnazione e la volontà di fuggire dalla realtà, nonché stati d’animo corrotti e degenerati, autodistruttivi e criminali (la serie TV sudcoreana Squid Games ne è un esempio plastico e attualissimo). Lungi dall’essere accessibili alle masse popolari, questi generi letterari, artistici e musicali contribuiscono a mantenerle sottomesse sia nel corpo che nella mente al capitalismo e alla società sfruttatrice. Ben consci di questo, e sulla base del bilancio dei limiti e degli errori dei primi paesi socialisti in ambito culturale come anche, naturalmente, dei loro meriti e dei loro successi in questo campo, i compagni coreani hanno intensificato ad ogni fase e in ogni periodo l’educazione ideologica dei giovani e delle masse popolari, con nuove offensive ideologiche rivoluzionarie dinamiche rivolte anche all’esterno del paese, nel contesto della lotta di classe e culturale tra il socialismo e il capitalismo. Lo storico discorso pronunciato dallo stimato compagno Kim Jong Un il 25 febbraio 2014 e pubblicato sotto il titolo Anticipiamo la vittoria finale con un’offensiva ideologica rivoluzionaria è un eccellente manifesto di questa giusta prassi.
L’arte e la letteratura della RPDC, liberi da ogni nefasta influenza borghese e capitalista, seguono i principi delineati molti anni fa dal Presidente Kim Il Sung:
«La nostra letteratura e le nostre arti non devono mai allontanarsi dagli interessi della rivoluzione e dalla linea del Partito, né ammettere elementi che convengano al gusto e alle inclinazioni delle classi sfruttatrici. Solo una letteratura e delle arti rivoluzionarie, solidamente basate sulla linea e la politica del Partito, possono davvero godere dell’amore delle masse popolari e servire al Partito da potente arma per l’educazione delle masse lavoratrici nello spirito rivoluzionario comunista»17.
Come possono, dunque, le fatiche dei letterati e degli artisti seguire sempre e indefettibilmente questa linea? È solo prendendo gli insegnamenti del Presidente Kim Il Sung come asse portante attorno a cui ruota tutto il resto:
«L’eccellenza delle opere letterarie e artistiche dipende dal loro marcato carattere artistico e ideologico, il quale corrisponde agli imperativi dell’epoca e alle aspirazioni del popolo. Queste opere di valore non possono venir create che ricorrendo al realismo socialista che è, nell’epoca attuale, il solo metodo di creazione giusto»18.
Trattasi dunque, come si vede, di principi universali con i quali il kimilsungismo ha notevolmente arricchito e completato il pensiero comunista, e che servono da guida per i comunisti di tutto il mondo nella rivoluzione e nell’edificazione socialiste.
Per quanto concerne, poi, la mobilitazione rivoluzionaria in ambito internazionale, il grande Presidente Kim Il Sung indicò già nel suo discorso del 31 agosto 1973, intitolato Sui compiti dei docenti della Chongryon, che la rivoluzione nei paesi imperialisti avrebbe preso la forma di una «lotta rivoluzionaria di lunga durata» da parte della classe operaia, e che tale era anche il carattere della rivoluzione coreana; due anni dopo, nel suo discorso di chiusura alla X sessione plenaria del V Comitato Centrale del Partito, intitolato Consolidiamo ulteriormente il Partito, gli organi del potere e l’Esercito Popolare e facciamo progredire i grandi lavori di edificazione socialista al fine di accogliere trionfalmente un grande avvento rivoluzionario (17 febbraio 1975), egli si soffermò sulla situazione delle lotte di classe e delle manifestazioni operaie e popolari nei paesi capitalisti nel contesto della crisi del capitalismo (di cui riconobbe il carattere generale già nel suo scritto per la Pravda dedicato al centenario della nascita di Lenin: Trionfano le grandi idee di Lenin sulla lotta di liberazione nazionale nelle colonie dell’Oriente), e diede atto che del trionfo della rivoluzione in questi paesi avrebbe beneficiato anche lo sviluppo della rivoluzione coreana.
Sempre negli anni ’70, il Presidente Kim Il Sung mise a punto le sue teorie rivoluzionarie in ambito pedagogico: nel 1977 videro infatti la luce le sue Tesi sull’istruzione socialista. In esse, egli enuncia il principio fondamentale della pedagogia socialista (concretizzare nell’insegnamento lo spirito di partito e lo spirito della classe operaia; instaurare il Juche nell’insegnamento; associare l’insegnamento alla pratica rivoluzionaria; lo Stato socialista deve farsi carico dell’organizzazione dell’istruzione), e analizza poi, su questa base il contenuto dell’istruzione socialista per quanto attiene all’educazione politico-ideologica, scientifica e tecnica e all’educazione fisica, i metodi dell’insegnamento socialista (adozione di un metodo attivo, combinazione teoria-pratica, intensificazione della vita organizzativa e delle attività socio-politiche, combinazione dell’insegnamento scolastico con l’educazione civica e promozione simultanea dell’insegnamento prescolare, scolare e per gli adulti), il sistema didattico della RPDC e i compiti e i ruoli delle istituzioni didattiche, nonché le questioni attinenti alla direzione e all’aiuto statale nei riguardi dell’attività didattica.
In queste Tesi, dunque, viene sistematizzata l’idea kimilsungista per la quale i giovani e gli intellettuali, lungi dall’essere un mero “strato intermedio oscillante tra borghesia e proletariato”, sono potenzialmente i migliori alleati della classe operaia a fianco dei contadini: inclini a idee patriottiche e rivoluzionarie, educandoli e indirizzandoli nella giusta via si può farne una sicura avanguardia della rivoluzione. Questa innovazione apportata dal kimilsungismo alla scienza comunista è ben sintetizzata nello stemma del Partito del Lavoro di Corea, nel quale alla falce e al martello è associato il pennello da calligrafia.
Se il grande Leader compagno Kim Il Sung ebbe il merito di creare le idee del Juche, dar loro la forma di una teoria compiuta per la rivoluzione e l’edificazione del socialismo in Corea e delinearne alcuni tratti universali (l’uomo come padrone del suo destino, in grado di decidere ogni cosa, l’indipendenza in politica, l’autosufficienza nell’economia e l’autonomia nella difesa nazionale, ecc.), il grande Dirigente compagno Kim Jong Il si è guadagnato l’onore imperituro di averle sintetizzate in una filosofia rivoluzionaria nuova e originale, in un sistema ideologico completo, sistematico e autonomo che va sotto il nome di Kimilsungismo, nuova e superiore tappa del pensiero comunista dopo il marxismo e il leninismo. Egli ha spiegato come le idee del Juche si compongano di un principio filosofico (l’uomo, essere sociale, può sviluppare nel collettivo tre caratteristiche che lo differenziano da tutte le altre specie viventi: l’indipendenza, la creatività e la coscienza; tramite queste, egli può mettere la natura al suo servizio e farsi padrone dell’evoluzione della natura stessa e della società), di principi storico-sociali (le masse popolari sono il soggetto della storia sociale; la storia umana è la storia della lotta dei popoli per l’indipendenza; il movimento storico-sociale è il movimento creativo delle masse popolari; la coscienza indipendente del popolo svolge il ruolo decisivo nella lotta rivoluzionaria), di principi direttivi (il mantenimento di una posizione indipendente, l’applicazione di un metodo creativo e la messa al centro dell’ideologia), nonché di un significato storico: quella di ideologia guida dei popoli rivoluzionari del mondo nell’era dell’indipendenza, quella in cui noi attualmente viviamo.
Questi principi, analizzati e sviscerati nel suo capolavoro del 1982 Sulle idee del Juche, costituiscono i contributi filosofici del grande compagno Kim Jong Il alla nuova tappa del pensiero comunista.
A questo proposito, citiamo la sintesi di un compagno giapponese per individuare al meglio l’origine e l’essenza del kimilsungismo:
«Il kimilsungismo ha due tratti caratteristici. Il primo risiede nel suo essere conseguentemente radicato nel principio filosofico in base al quale l’uomo è padrone di tutto e decide di tutto; l’altro nel fatto che esso dà una risposta sistematica e integrale a tutti i problemi ideologici, teorici e metodologici che si pongono nella rivoluzione e nell’edificazione. Ciò che è importante qui sottolineare è che il kimilsungismo riunisce in maniera unitaria, quale suo contenuto, tre categorie (ideologia, teoria e metodo), e che non si tratta di una semplice composizione di questi tre diversi ambiti. In altre parole, il kimilsungismo è al contempo l’ideologia del Juche, la teoria del Juche e il metodo del Juche. È per questa ragione che può dare una risposta coerente basata sul principio filosofico del Juche a tutti i problemi che si presentano nella rivoluzione e nell’edificazione»19.
Possiamo dire che il kimilsungismo si è affermato come terza superiore tappa del pensiero comunista nel periodo successivo alla Seconda guerra mondiale, quando le lotte rivoluzionarie dei popoli d’Europa, Asia, Africa, America e Oceania per il socialismo e la liberazione nazionale antimperialista e anticoloniale hanno conosciuto un nuovo slancio e grandi vittorie che hanno mutato per sempre l’aspetto del mondo. A livello di elaborazione teorica, sono da considerare quali pilastri di questo nuovo sviluppo i discorsi del Presidente Kim Il Sung Il cammino della rivoluzione coreana (30 giugno 1930), Sull’eliminazione del dogmatismo e del formalismo e l’instaurazione del Juche nel lavoro ideologico (28 dicembre 1955) e le sue interviste ai giornalisti giapponesi del Yomiuri Shimbun nel 1972, insieme allo studio di oltre 30 opere classiche del marxismo-leninismo da parte dei sociologi coreani sotto la direzione personale del compagno Kim Jong Il nella seconda metà degli anni ’60, le opere di quest’ultimo Per un’analisi e un bilancio giudiziosi della storia della precedente ideologia rivoluzionaria della classe operaia (1966), Colloquio con i sociologi al termine dell’analisi e del bilancio sulla storia della precedente ideologia rivoluzionaria della classe operaia (1 luglio 1969), Per una comprensione corretta dell’originalità del kimilsungismo (2 ottobre 1976), Per un’idea e una conoscenza corrette della filosofia del Juche (25 ottobre 1990), La filosofia del Juche è una filosofia rivoluzionaria originale (26 luglio 1996) e altre.
Il kimilsungismo, scienza delle attività con la quale gli uomini fanno la loro storia, si è ulteriormente evoluto, sintetizzato, completato, e oggi si presenta come una teoria organica, integrale e totalmente originale sotto il nome di Kimilsungismo-Kimjongilismo, la quale orienta ogni idea, ogni progetto e ogni attività del Partito del Lavoro di Corea sotto la guida dello stimato compagno Segretario generale Kim Jong Un. Questa ha completato e approfondito su tutti i fronti la filosofia marxista-leninista, l’economia politica e la teoria del comunismo scientifico con nuovi principi e nuove tesi scientifiche, portando così a uno stadio più elevato l’insieme del marxismo-leninismo e della scienza rivoluzionaria. Queste sono le “tre fonti e tre parti integranti” del kimilsungismo-kimjongilismo. Poiché il Presidente Kim Jong Il apportò i suoi contributi alla scienza rivoluzionaria studiando le opere del Presidente Kim Il Sung e parallelamente e contemporaneamente a queste, si può dire che non vi è differenza sostanziale e di principio tra kimilsungismo e kimjongilismo (termine che peraltro il caro Dirigente rifiutava per modestia rivoluzionaria): entrambi scaturiscono dalla stessa fonte e intendere a mo’ di sineddoche con “kimilsungismo” il complesso teorico del kimilsungismo-kimjongilismo è perfettamente legittimo.
Ci sia consentito di citare i compagni coreani per trarre una sintesi finale della natura e dell’essenza dello sviluppo qualitativo apportato dal kimilsungismo al pensiero comunista:
«Il marxismo, il leninismo e il kimilsungismo riflettono le tappe storiche della lotta rivoluzionaria della classe operaia internazionale e dello sviluppo dell’epoca, e rappresentano le varie fasi di sviluppo dell’ideologia direttrice della classe operaia. Il marxismo, fondato negli anni ’40 del XIX secolo da Marx ed Engels, è una dottrina che forma un sistema coerente. Militando in paesi capitalisti sviluppati d’Europa, Marx ed Engels hanno messo a punto la teoria della rivoluzione proletaria per risolvere le contraddizioni tra le classi al tempo in cui il capitalismo si sviluppava relativamente e hanno così creato il marxismo. Il leninismo è il marxismo dell’epoca dell’imperialismo e delle rivoluzioni proletarie. Lenin, conducendo le sue attività nell’era dell’imperialismo e della rivoluzione proletaria, ha difeso il marxismo contro le falsificazioni degli opportunisti di sinistra e di destra e l’ha sviluppato e arricchito in modo creativo conformemente alle nuove condizioni storiche. Il kimilsungismo rappresenta la nuova fase di sviluppo del marxismo-leninismo, essendo la dottrina che riflette l’attuale tappa elevata della prassi rivoluzionaria in cui l’abbattimento della società sfruttatrice e l’edificazione del socialismo e del comunismo si pongono su scala mondiale come un problema immediato»20.
Passiamo ora a trattare la questione fondamentale di come il kimilsungismo si sia affermato come terza superiore tappa del pensiero comunista nella lotta contro l’imperialismo e il revisionismo e, più specificamente, contro quali tendenze arretrate abbia dimostrato la sua superiorità rispetto alla precedente teoria rivoluzionaria della classe operaia.
1. Il kimilsungismo nella lotta contro l’imperialismo
Lo scritto di Lenin L’imperialismo, fase suprema del capitalismo è restato, per decenni dopo la sua pubblicazione, quanto di meglio la letteratura marxista abbia prodotto sull’argomento. Con ciò si deve riconoscere l’enorme ritardo accumulato nella conoscenza scientifica della realtà dell’imperialismo. Generazioni di comunisti hanno “vissuto di rendita” sulla base dell’analisi leninista, o riproponendola in toto, quasi l’imperialismo fosse un oggetto immobile e non una fase del movimento storico del modo di produzione capitalista, oppure ritoccandola qua e là o cercando di attualizzarla aggiungendovi ecletticamente elementi tratti dall’osservazione empirica e unilaterale dei fenomeni contemporanei.
I partiti comunisti che si formarono nei paesi imperialisti dopo la vittoria della Rivoluzione d’Ottobre non sono mai giunti a una comprensione corretta del movimento economico delle società imperialiste e adeguata ai loro compiti politici. La conseguenza fu il loro insuccesso politico, nonostante l’eroismo, la dedizione alla causa, la fedeltà agli ideali del comunismo di milioni di rivoluzionari, nonostante la lotta clandestina prima e armata poi contro il nazifascismo. In ciò sta anche l’origine dell’impotenza degli esponenti più avanzati di quei partiti di fronte al revisionismo moderno. In particolare, nel nostro paese, il PCI non comprese il movimento economico della società italiana né durante il periodo fascista (interpretò il fascismo come espressione della borghesia arretrata o dell’arretratezza della borghesia italiana) né sotto il regime liberale (fino al 1956 negò che dopo la guerra e la sconfitta del proletariato era iniziato un nuovo periodo di sviluppo del capitalismo e dopo il 1956 sostenne che il movimento economico era diventato governabile dallo Stato).
Sia lo sviluppo continuo delle cose, sia il carattere stesso dell’opuscolo di Lenin impongono di considerare l’opera di Lenin come punto di partenza per successive analisi. Da un lato, Lenin ha limitato la sua indagine ai soli aspetti economici della nuova fase. Dall’altro, pur basandosi sullo studio scientifico di una sconfinata letteratura in materia (come testimoniano i Quaderni sull’imperialismo), l’opuscolo è stato scritto a scopo dichiaratamente divulgativo e di agitazione, come peraltro indica lo stesso sottotitolo Saggio popolare. Infine, va evidenziato il fatto che l’opuscolo non può non risentire della prospettiva concreta dalla quale l’imperialismo è stato esaminato: i comunisti russi si trovavano nella condizione di movimento proletario rivoluzionario di un paese feudale con qualche isolato elemento di capitalismo alle prese con il sistema imperialista mondiale. Niente di più insensato, perciò, del volervi trovare risposte preconfezionate alle questioni che deve affrontare e risolvere oggi un movimento rivoluzionario nella metropoli imperialista.
La teoria rivoluzionaria kimilsungista-kimjongilista ha risolto questo problema e ha elaborato un’analisi esaustiva dell’imperialismo moderno. Lo scritto del grande Dirigente compagno Kim Jong Il Le caratteristiche dell’imperialismo moderno e la sua natura aggressiva (15 gennaio 1962) chiarisce quali sono i suoi capisaldi: il capitalismo monopolistico di Stato in economia e il neocolonialismo in politica estera. È, il primo, un importante punto di differenziazione rispetto all’imperialismo dei tempi di Lenin e da egli studiato, in quanto, se un tempo l’imperialismo si basava sul “semplice” dominio dei monopoli, ai nostri tempi il capitalismo monopolistico è divenuto un fenomeno universale caratterizzato dall’accentramento del potere politico ed economico in mano a pochi grandi monopoli che alimentano i venti di guerra nel mondo e spingono sempre più verso la fascistizzazione della società all’interno dei loro paesi. Ciò perché la crisi generale del capitalismo, in questi decenni, si è aggravata ed è giunta all’ultimo suo stadio.
Il secondo punto indicato dal compagno Kim Jong Il, concernente il neocolonialismo, spiega come questo si distingua dal vecchio colonialismo in quanto è una forma di dominio più subdola e mascherata, esercitata principalmente tramite soggiogamento economico e accordi capestro con i paesi in via di sviluppo e con quelli che pure erano riusciti a conquistare la propria indipendenza alla metà del secolo scorso. Con la penetrazione dei loro capitali e dei loro monopoli mascherati da “aiuti”, gli imperialisti asservono i paesi in via di sviluppo e si assicurano il controllo delle loro leve di governo, installando e spodestando a loro piacimento marionette e fantocci in base ai loro interessi del momento. Non va trascurata neanche la penetrazione culturale, che ai nostri tempi è diventata la principale forma di sottomissione dei popoli, con le offensive ideologiche controrivoluzionarie e degenerate degli imperialisti che si intensificano al parossismo col passare dei giorni.
L’imperialismo moderno, inoltre, diverge dal vecchio imperialismo per la riorganizzazione che esso ha attraversato in seguito alla Seconda guerra mondiale: se prima il fronte imperialista era strutturalmente orizzontale, con varie potenze imperialiste autonome che gareggiavano su un piede di parità per le colonie, dopo il 1945 tutte le potenze imperialiste, vincenti e perdenti, sono state assoggettate allo scettro degli Stati Uniti, i quali impongono la loro volontà anche a questi paesi, oltre che a quelli in via di sviluppo e a quelli antimperialisti, indipendenti e socialisti. Stessa sorte hanno seguito i paesi che, a cavallo tra gli anni ’80 e ’90, sono passati nel campo capitalista dopo la caduta dei loro sistemi socialisti.
È naturale quindi che, come succede oggi, ogni capitalista scalci per reclamare la propria “indipendenza”, beninteso, non un’indipendenza rivoluzionaria, ma una “indipendenza” funzionale a riconquistarsi quegli spazi di azione autonoma che i paesi imperialisti avevano prima della Seconda guerra mondiale: è con questa lente che vanno interpretate le contraddizioni degli Stati Uniti con la Francia, la Germania, il Giappone, ecc., e l’analisi scientifica del grande kimilsungismo-kimjongilismo ne esce totalmente confermata.
2. Il kimilsungismo nella lotta contro il revisionismo
A ogni nuova fase del pensiero comunista, la teoria più avanzata che l’ha inaugurata ha dovuto, per far ciò, battere in breccia e superare positivamente le teorie arretrate e controrivoluzionarie che si opponevano ai capisaldi del pensiero precedente. È stato così per l’hegelismo, che ha affermato i primi rudimenti di dialettica contro la metafisica di Kant, Fichte e Spinoza; è stato così per il marxismo, che ha superato le concezioni idealiste del proudhonismo, del fourierismo, del sansimonismo e di altre correnti socialiste utopiche; è stato così per il leninismo, che ha battuto in breccia il revisionismo di Bernstein, Kautsky e Plekhanov e, più tardi, la reazione trotzkista-bukhariniana.
Il kimilsungismo, per parte sua, si è affermato in lotta contro le tendenze del dogmatismo, del servilismo verso le grandi potenze, del determinismo, del meccanicismo e del revisionismo. All’interno del Partito del Lavoro di Corea, queste tendenze sono state impersonate nella teoria e nella pratica da revisionisti controrivoluzionari come Pak Hong Yon, Kim Tu Bong, Choe Chang Ik, Pak Chang Ok, Pak Kum Chol, Ho Ka I, Yun Kong Hum, Jang Song Thaek e altri, mentre all’esterno i loro rappresentanti più influenti sono stati i revisionisti sovietici e i loro seguaci, al potere e non.
La lotta del Partito del Lavoro contro il revisionismo moderno si innestò su tre linee direttrici: l’essenza del revisionismo stesso come miglior alleato dell’imperialismo in seno al movimento comunista (lotta contro l’opportunismo di destra e di sinistra, quest’ultima corrente apparentemente opposta al revisionismo, od opportunismo di destra, ma in realtà suo complemento), la questione di Stalin e la questione economica.
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La storiografia borghese, revisionista o dogmatica presenta solitamente la posizione del Partito del Lavoro di Corea sulla lotta nel movimento comunista internazionale tra marxismo-leninismo e revisionismo come “centrista”. In ciò, essi prendono a pretesto il fatto che il PLC non abbia rotto tutti i rapporti, di partito e statali, con l’Unione Sovietica, contrariamente a quanto fecero altri. Ma è sufficiente un’analisi appena più rigorosa per rendersi conto che le affermazioni sul “centrismo” del Partito del Lavoro di Corea nella lotta contro il revisionismo moderno sono lontane anni luce dalla realtà storica. Anzi, il Partito del Lavoro di Corea, guidato allora dal grande Leader compagno Kim Il Sung, fu in realtà il primo partito comunista nel mondo a riconoscere e denunciare le tesi revisioniste, addirittura con un anticipo di due mesi rispetto al XX Congresso del PCUS.
I revisionisti e gli adulatori delle grandi potenze all’interno del Partito non persero tempo nel propagandare in Corea la linea kruscioviana di resa e di “coesistenza pacifica” senza principi nei confronti dell’imperialismo. Il Presidente Kim Il Sung, nel già citato discorso del 28 dicembre 1955, li smascherò e li criticò senza mezzi termini:
«Pak Yong Bin, al suo ritorno dall’Unione Sovietica, affermò che siccome l’URSS si orientava verso la distensione internazionale, anche noi dovevamo abbandonare i nostri slogan contro l’imperialismo americano. Questa pretesa non ha niente da spartire con l’iniziativa rivoluzionaria; essa addormenterebbe la vigilanza rivoluzionaria del nostro popolo. Gli imperialisti americani hanno stretto il nostro territorio in un cerchio di fuoco, massacrato i suoi innocenti abitanti e ancora occupano la parte sud della nostra patria. Non sono perciò stesso nostri nemici giurati?
È davvero stupido pensare che la lotta del nostro popolo contro gli imperialisti americani sia in contraddizione con gli sforzi del popolo sovietico per la distensione internazionale. Il fatto che il nostro popolo condanni la politica di aggressione alla Corea degli americani e lotti contro di essa non è in contraddizione con la lotta di tutti i popoli per la distensione internazionale e per la salvaguardia della pace, ma costituisce anzi un effettivo contributo a questa lotta. Nello stesso tempo, gli sforzi per la distensione internazionale intrapresi dal popolo sovietico e dagli altri popoli amanti della pace, creano condizioni ancor più favorevoli per la lotta antimperialista del nostro popolo»21.
I comunisti coreani, inoltre, non approvarono mai neanche formalmente il contenuto del “Rapporto segreto” di Krusciov, le calunnie contro Stalin e il rinnegamento della sua figura e della sua opera; in difesa del marxismo-leninismo, il Partito del Lavoro di Corea pubblicò articoli di grande valore come Difendiamo il campo socialista! (1963) e Teniamo alta la bandiera rivoluzionaria della liberazione nazionale (1964). Negli anni a venire, la lotta del Partito del Lavoro di Corea contro il revisionismo moderno non solo non diminuì, ma si intensificò, come vediamo da queste parole del grande Leader:
«I revisionisti moderni negano la direzione del partito marxista-leninista e la dittatura del proletariato, che insieme costituiscono i principi generali della rivoluzione socialista. Essi affermano che la natura aggressiva dell’imperialismo è cambiata e, per questo, il socialismo può andare d’accordo con l’imperialismo; sostengono che la transizione dal capitalismo al socialismo possa essere realizzata pacificamente attraverso la lotta parlamentare. […] Attualmente l’atto più assurdo dei revisionisti è che essi stanno seminando discordia all’interno del blocco socialista, mentre fanno tutto il possibile per ingraziarsi e stringere buoni legami con gli imperialisti. Se i revisionisti non vogliono fare la rivoluzione, sono liberissimi di andare per la loro strada. Il problema è che si oppongono perfino a che gli altri facciano la rivoluzione e si spingono sino al punto di imporre il revisionismo agli altri. Nel far ciò, i revisionisti chiamano i marxisti-leninisti che si rifiutano di seguire la loro linea revisionista “dogmatici”, “nazionalisti”, o “stalinisti”, rigettandoli e tentando di isolarli dal campo socialista»22.
Il celebre discorso del grande Leader compagno Kim Il Sung del 5 ottobre 1966, intitolato La situazione attuale e i compiti del nostro Partito, è del resto pieno di riferimenti al revisionismo sovietico, ai suoi capisaldi teorici e alle ingerenze negli affari interni di altre forze rivoluzionarie e partiti operai (come il Partito Comunista Giapponese). Egli rispose anche alle accuse “ultrasinistre” relative al presunto “centrismo” del PLC:
«Attualmente alcune persone etichettano il nostro Partito e altri partiti marxisti-leninisti come “centristi”, “eclettici”, “opportunisti”, ecc. Essi dicono che noi accettiamo la “via del compromesso senza principi” e che siamo “seduti su due sedie”. […] Per quel che ci riguarda noi staremo sempre seduti sulla nostra sedia dalla forma impeccabile, quella del marxismo-leninismo. Coloro che ci accusano di star seduti su due sedie mentre stiamo seduti sulla nostra sedia dalla forma impeccabile, sono senz’altro i primi a stare su una sedia sbilenca sia a destra che a sinistra. Le calunnie contro il nostro Partito testimoniano che esso non soltanto si oppone all’opportunismo di destra, ma anche che non fa compromessi con l’opportunismo di sinistra e che si attiene fermamente ad una sola posizione di principio, quella del marxismo-leninismo. Siamo marxisti-leninisti, è per questo che combattiamo ogni forma di opportunismo»23.
In quella stessa sede, tra l’altro, il Presidente Kim Il Sung formulò una semplice ma precisa piattaforma pratica per l’unità del movimento comunista internazionale nelle condizioni della rinnovata offensiva antisocialista dell’imperialismo e della prosecuzione della guerra in Vietnam. Tale piattaforma si componeva di tre punti: l’opposizione all’imperialismo, il sostegno ai movimenti di liberazione nazionale e la non ingerenza negli affari interni. I comunisti coreani evitarono infatti di rompere i rapporti con l’URSS e altri paesi socialisti perché misero al centro non le divergenze ideologiche (che indubbiamente, come abbiamo visto, vi erano), ma la natura fondamentale del sistema di quei paesi e la lotta contro il nemico principale, che era, com’è oggi, l’imperialismo americano. Essi si attennero al marxismo-leninismo e non si abbandonarono a una propaganda estremista e quasi provocatoria contro l’URSS, avvalendosi di piattaforme antileniniste come le accuse di “socialimperialismo” e l’equiparazione dell’Unione Sovietica agli Stati Uniti. Ciò permise anche ai comunisti coreani stessi di far giungere in tutti i paesi le proprie analisi e le proprie opinioni a dispetto delle risorse assai più scarse di cui disponevano rispetto ad altri paesi. Questo comunque non impedì alla RPD di Corea di respingere le richieste capitolazioniste sovietiche sulla restituzione della nave-spia Pueblo agli USA dopo l’incidente da questi provocato nel gennaio 1968, richieste che puntavano a sottomettere Pyongyang all’arroganza degli americani.
La lotta antirevisionista del Partito del Lavoro di Corea continuò anche negli anni a venire, con l’avvento al potere di Gorbaciov nell’Unione Sovietica e l’inizio della nefasta stagione della “Perestrojka” e della “Glasnost”. Ebbe infatti a dire, molto perentoriamente, il grande Leader compagno Kim Il Sung nel suo primo discorso del 1988:
«Non dobbiamo nutrire alcuna illusione su cose come riforme e ristrutturazioni, che si stanno sperimentando in altri paesi.
Poiché abbiamo una linea e una politica chiare, non abbiamo bisogno di lanciare alcuna riforma o ristrutturazione. Una volta incontrai uno straniero che mi disse: “Avete costruito un paese prospero sulle rovine della guerra, come vediamo oggi; tutto il vostro popolo sta bene e ogni cosa va per il verso giusto. Sono completamente d’accordo con Voi nel non seguire politiche di riforma e ristrutturazione”. Siccome non abbiamo commesso errori e il popolo intero sostiene la linea e le politiche del Partito, non c’è bisogno che riformiamo alcunché. Potrebbe essere necessario farlo qualora si verifichino delle deviazioni, ma perché mai dovremmo lanciare una riforma se tutto va bene? La linea e le politiche del nostro Partito sono assolutamente corrette. Ogni aspetto del lavoro registrerà successi seguendole alla lettera»24.
La veridicità di queste sue affermazioni risaltò ancor più visibilmente nel giro di pochissimi anni, allorquando l’URSS verrà sciolta proprio da Gorbaciov mentre la RPDC continuerà la sua marcia verso il comunismo senza scossoni o disordini sociali, quali invece si verificarono in quasi tutti gli altri paesi socialisti (anche in quelli che sopravvissero). Il grande Leader compagno Kim Il Sung infatti ribadì il nocciolo dell’analisi antirevisionista dei comunisti coreani un paio d’anni dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica, in occasione della chiusura del Plenum del Comitato Centrale del Partito in data 8 dicembre 1993:
«Dopo la morte di Stalin, Krusciov si è impadronito del potere con subdoli intrighi e ha perseguito una politica revisionista. Col pretesto di opporsi al “culto della personalità”, ha screditato Stalin, ha sminuito sistematicamente il Partito e ha trascurato l’educazione ideologica fra i membri del Partito e i lavoratori, smussando così lo spirito rivoluzionario. Anche negli anni successivi al periodo kruscioviano il lavoro ideologico è stato trascurato. Di conseguenza, la volontà di fare la rivoluzione è scomparsa dalla mente degli uomini ed è sorta al suo posto l’ideologia borghese e revisionista, la quale obnubilava il pensiero del popolo con il denaro, con il lusso di una villa, con il desiderio di possedere un’automobile privata. Così nella società dilagavano usanze improntate alla corruzione e alla licenziosità. In mancanza di educazione rivoluzionaria del popolo, la costruzione economica perdeva anch’essa il suo ritmo. Nell’Unione Sovietica, in seguito al degrado ideologico del Partito e alla diffusione del soggettivismo e della burocrazia nelle attività del Partito e dello Stato, il Partito è rimasto isolato dalle masse popolari, non è riuscito a esercitare la sua direzione politica in tutti gli ambiti della società né è stato, alla fine, capace di difendere il socialismo dall’offensiva antisocialista degli imperialisti. Se avesse rafforzato le sue organizzazioni e armato saldamente i suoi membri e il popolo sul fronte ideologico, l’Unione Sovietica non sarebbe andata incontro alla rovina dall’oggi al domani, malgrado la presenza di traditori della rivoluzione nelle sue fila»25.
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La questione di Stalin è stata uno degli aspetti centrali nella lotta tra due linee nel movimento comunista internazionale dalla metà degli anni ’50. Attaccando Stalin, infatti, i revisionisti moderni puntavano a denigrare il ruolo del leader nel processo rivoluzionario e nell’edificazione del socialismo, confondendo le idee ai comunisti sotto il pretesto della “direzione collegiale” e della cosiddetta “lotta contro il culto della personalità”. Attaccando Stalin, si attaccava di fatto tutto quanto conseguito dal popolo sovietico sotto la sua direzione, anche e specialmente per quanto riguarda la lotta contro i nemici del popolo, che la storia dei paesi socialisti ha dimostrato aumentare in numero e in ferocia man mano che l’edificazione del socialismo prosegue, come da Stalin stesso chiarito. Chi si è opposto a questa tesi, in buona o mala fede, ha fatto purtroppo una fine ingloriosa.
Nel suo colloquio con il compagno Ludo Martens, svoltosi a fine giugno 1994 e avendo ricevuto il suo libro appena pubblicato Stalin. Un altro punto di vista, il Presidente Kim Il Sung ebbe a osservare:
«L’Unione Sovietica è crollata perché venne corrosa dal revisionismo dopo la morte di Stalin. Era un grande paese: il suo territorio occupava un sesto della superficie terrestre del pianeta, ed era popolato da 290 milioni di abitanti. Essa contava 18 milioni di membri del partito e portava avanti l’edificazione del socialismo da più di settant’anni. Ma d’un tratto ogni cosa è perduta. Malgrado una storia di edificazione del socialismo di oltre settant’anni, il partito dell’Unione Sovietica è stato afflitto dalla burocrazia e ha trascurato il lavoro sugli uomini, la parte essenziale del lavoro di partito. In mancanza di educazione ideologica, il popolo ha preso il gusto del denaro, preoccupandosi solo di fare soldi, invece di conformarsi al leninismo. A furia di lasciar che la gente pensasse solo al denaro, all’auto privata e alla dacia, senza inculcarle l’ideologia socialista e comunista, alla fine il paese si è sfasciato.
L’URSS ha iniziato a vacillare dal tempo di Krusciov. Stalin ha diretto bene il partito quando era in vita. All’epoca si combatteva anche un’aggressiva lotta contro il cosmopolitismo. Il cosmopolitismo è una teoria della società globale. A quei tempi in Unione Sovietica vigeva l’ordine di consegnare allo Stato tutto ciò che la gente riceveva in regalo dagli abitanti dei paesi capitalistici, foss’anche solo una penna stilografica. Senza Stalin, l’URSS non avrebbe potuto sconfiggere i fascisti tedeschi. Ancora oggi guardo spesso il film sovietico dedicato alla battaglia in difesa di Mosca, di cui conservo una copia a casa mia. Stalin organizzò una parata militare a Mosca per commemorare il trionfo della rivoluzione socialista d’Ottobre, con il nemico a meno di 40 km di distanza. Mentre aveva fatto evacuare nelle province gli altri quadri, in primo luogo i membri dell’Ufficio politico del partito, lui restò al Cremlino per continuare a dirigere la battaglia. Il suo eccezionale coraggio gli valse la grande stima e il sostegno dei sovietici. In tempo di guerra, i soldati dell’esercito sovietico combattevano declamando le parole d’ordine: “Per Stalin!”, “Per il Partito!” e “Per la patria!”. Hanno così riportato la vittoria definitiva. Dopo la sua morte invece, con la scusa di opporsi al “culto della personalità”, Krusciov lo ha discreditato e ha disconosciuto le sue imprese. Più tardi Gorbaciov ha svenduto l’Unione Sovietica agli imperialisti. Io sono convinto che il popolo dell’ex URSS ricostruirà la sua patria sovietica costi quel che costi. […] Il giudizio positivo sui meriti di Lenin e di Stalin e la lotta per la vittoria della causa del socialismo e del comunismo sono l’importante dovere conferito ai comunisti. Lottiamo assieme in futuro, fianco a fianco, per la vittoria del comunismo in tutto il mondo»26.
Già quando il krusciovismo era ancora in auge, comunque, il grande Leader continuava a porre il nome di Stalin accanto a quello di Lenin in ambiti di fondamentale importanza come la costruzione del partito:
«Come ho ripetuto più volte, quando parliamo di lavoro di Partito noi intendiamo costruire fermamente e consolidare il Partito, promuovere la sua costante crescita e il suo sviluppo, e mobilitare correttamente le sue organizzazioni così che possa esercitare pienamente le sue funzioni militanti di partito marxista-leninista. […] Come Lenin e Stalin lo hanno correttamente definito, il partito marxista-leninista è il distaccamento avanzato e organizzato delle masse lavoratrici»27.
Stesse parole vennero ripetute, sempre in quel periodo, gli ultimi anni della sua vita, in occasione del colloquio con la delegazione del Movimento Rivoluzionario 8 Ottobre del Brasile (5 aprile 1993) e nel suo colloquio col presidente dell’Associazione per la promozione della riunificazione della Corea nel CSI e la sua delegazione (6 giugno 1993), nonché nel succitato discorso di chiusura al Plenum del CC del Partito (8 dicembre 1993). Anche nell’ultimo volume delle sue memorie troviamo considerazioni analoghe:
«Il fattore principale che permise al popolo sovietico di trasformare il suo paese in una potenza mondiale in un breve lasso di tempo dopo la Rivoluzione d’Ottobre fu il fatto che Lenin si era scelto un buon successore. Stalin, fedele compagno e discepolo di Lenin, rimase fedele alla causa del suo leader per tutta la vita. Dopo la morte di Lenin, Stalin pronunciò un giuramento in sei punti davanti alla sua bara. Dirigendo la rivoluzione e la costruzione egli tenne fede a tutti i suoi giuramenti uno dopo l’altro. Quando i tedeschi giunsero alle porte di Mosca, fece evacuare tutti gli altri membri del Politburo e i quadri, ma egli stesso rimase nel Cremlino a comandare i fronti.
Quando Stalin era vivo, tutto andava bene in Unione Sovietica. Ma le cose iniziarono a peggiorare dopo che Krusciov salì al potere. Il revisionismo moderno fece la sua comparsa nel partito sovietico e il popolo sovietico iniziò a soffrire di malattie ideologiche. Egli dimenticò la premura con cui il suo leader l’aveva cresciuto: svilì Stalin col pretesto del culto della personalità, espulse dall’Ufficio Politico tutti i veterani rivoluzionari fedeli a Stalin e li privò della tessera del partito.
Una volta, visitando il mausoleo di Lenin, Rim Chun Chu incontrò Molotov sulla Piazza Rossa a Mosca, dopo che questi era stato sollevato dalla sua carica. Molotov gli raccomandò di portare avanti la causa del suo leader con lealtà senza cader preda del revisionismo, rifacendosi al precedente del partito sovietico.
In quel momento, Rim Chun Chu realizzò appieno che se la questione della successione non fosse stata risolta adeguatamente, sia la rivoluzione che il partito sarebbero andati a morire, com’ebbe a dire in seguito»28.
Di estrema importanza politica e storica è la definizione che venne data alla voce “Stalin” nel Dizionario Coreano di Filosofia, nell’edizione del 1985:
«Fedele successore di Lenin, marxista-leninista devoto, attivista eminente del movimento comunista e operaio internazionale, dirigente dello Stato sovietico. […] Fu un comunista, un rivoluzionario dedito noto per la sua ferrea volontà, la sua forza d’animo e la lotta senza compromessi contro i nemici di classe e i revisionisti di ogni risma. Si sacrificò illimitatamente per i compiti rivoluzionari della classe operaia e mostrò una fedeltà infinita al leader. Ispirò l’esordio e contribuì al movimento comunista e operaio internazionale. Stalin diede contributi enormi allo sviluppo delle relazioni fraterne tra il popolo coreano e il popolo sovietico e incoraggiò con sincerità i grandi successi della nostra nazione»29.
Se teniamo in considerazione anche la salda posizione rivoluzionaria mantenuta dal grande Leader compagno Kim Il Sung verso i sicofanti delle grandi potenze in seno al Partito, l’epurazione dei quali egli guidò alla Sessione plenaria del PLC nell’agosto 1956, possiamo ben concludere come non solo il Partito del Lavoro di Corea fosse stato il primo a scoprire e denunciare il revisionismo moderno nel movimento comunista internazionale, ma anche come questo fosse stato il partito che ha condotto con più costanza e coerenza la lotta contro di esso senza neppure pubblicare mai il “Rapporto segreto” di Krusciov sui suoi organi mediatici o far concessioni alle tesi ivi esposte.
3
Benché giovanissimo nel periodo dell’apogeo della lotta antirevisionista mondiale (aveva appena vent’anni), il Dirigente Kim Jong Il non lesinò i suoi sforzi teorici e intellettuali al fianco del Presidente Kim Il Sung e pubblicò in quegli anni molti scritti e discorsi che non lasciano dubbi sulla posizione da lui presa come sulla sua assimilazione della scienza marxista-leninista.
Nel suo già citato capolavoro Le caratteristiche dell’imperialismo moderno e la sua natura aggressiva, che potremmo considerare come una prosecuzione e un’attualizzazione della celebre opera di Lenin L’imperialismo, fase suprema del capitalismo, egli scrisse a chiare lettere:
«I revisionisti pretendono che, poiché la comparsa delle armi nucleari trasformerebbero ogni guerra in una guerra termonucleare che, secondo loro, rovinerebbe anche i miliardari, pure gli imperialisti sarebbero portati a pensare in maniera “razionale” e a comportarsi con “discernimento”; è un sofisma. La forza distruttrice di questa guerra termonucleare non può modificare la loro natura aggressiva. Lungi dal mostrarsi “razionali” per la paura di questo potere distruttivo, essi minacciano e soggiogano i popoli del mondo con le armi nucleari.
In breve, intimiditi dalla politica di ricatto nucleare degli Stati Uniti imperialisti, i revisionisti non pensano che a inginocchiarsi davanti agli imperialisti americani, a disarmare il popolo e abbandonare la lotta.
In secondo luogo, i revisionisti moderni affermano che, avendo le sue forze produttive raggiunto un elevato livello di sviluppo, l’imperialismo non ha più bisogno di cercare delle colonie ma è invece pronto ad accordare “assistenza” ai paesi sottosviluppati.
Gli imperialisti sono infinitamente ingordi e più s’ingrassano, più diventano avidi. L’economia imperialista non è strutturata in modo che il ciclo produttivo si svolga all’interno di uno stesso paese. Di conseguenza, più le sue forze produttive raggiungono un grado di sviluppo elevato, più essa esige fonti di materie prime e mercati.
L’“aiuto” accordato dagli imperialisti ai paesi sottosviluppati è una falsità. È di dominio pubblico che questo “aiuto” è, per sua natura, l’insediamento del capitale monopolistico all’estero a nome dello Stato e che questo serve da strumento a un’aggressione e a un asservimento maggiori.
I revisionisti moderni, parlando di un imperialismo “razionale”, pretendono che la salita al potere di un politico borghese “assennato” porterebbe alla modifica della politica imperialista. È la ragione per la quale essi contavano ancora di recente su Eisenhower e basano adesso le loro speranze su Kennedy.
Poiché non esiste politica separata dall’economia, non esiste politico borghese separato dal miliardario. Nella società imperialista il politico borghese è il portavoce dei capitalisti monopolisti e il loro valletto.
La politica esercitata dallo Stato imperialista serve un pugno di grandi capitalisti monopolistici, quindi non ci si può attendere da parte sua alcuna politica che vada contro gli interessi dei miliardari»30.
Impossibile non far riferimento, leggendo queste parole, ai revisionisti di casa nostra come furono Togliatti e Berlinguer, i quali, riempiendo le teste dei comunisti e dei lavoratori con illusioni sul cambiamento della natura dell’imperialismo, sulla possibilità di un “mondo senza guerre” prima della sconfitta definitiva degli imperialisti, su come bastasse eleggere “politici razionali” e far pressioni dal basso per poter poi giungere al socialismo per via pacifica e parlamentare, ecc. ecc., sabotarono l’opera dei rivoluzionari italiani e impedirono loro di prendere il potere e instaurare il socialismo.
Tutte queste tesi, così brillantemente e sinteticamente confutate dai comunisti coreani, ammorbano ancora oggi gran parte del movimento comunista e operaio in Italia nelle forme dell’elettoralismo e dell’economicismo, nella fiducia in quel politicante borghese piuttosto che nell’altro, in questo o in quel partito borghese di più o meno recente formazione, sacrificando così la necessaria indipendenza ideologica e organizzativa che i comunisti devono mantenere sempre e in ogni caso.
L’interclassismo, che è fra questi mali, fu denunciato anch’esso dal grande compagno Kim Jong Il più o meno nello stesso periodo, laddove egli criticò spietatamente la nozione revisionista kruscioviana di “partito di tutto il popolo” in occasione di un colloquio con dei suoi colleghi dell’Università Kim Il Sung alla fine del 1962, pubblicato sotto il titolo Sulla natura reazionaria del revisionismo moderno e la posizione rivoluzionaria del nostro Partito contro questa corrente:
«Sotto l’insegna di un “partito di tutto il popolo”, essi ripudiano il carattere di classe del partito della classe operaia e pretendono che, data la vittoria del regime socialista, il partito comunista non può rappresentare gli interessi di una sola classe e che l’evoluzione del partito della classe operaia in “partito di tutto il popolo” è logico e indispensabile per l’edificazione della società comunista.
È questo un puro sofisma, contrario anche ai principi elementari della costruzione di un partito rivoluzionario della classe operaia. Non si può infatti avere un partito, nel vero senso della parola, privato del carattere di classe.
Il partito della classe operaia resterà in quanto tale; non può trasformarsi in partito di una qualsivoglia altra classe o in “partito di tutto il popolo”.
Se i revisionisti moderni preconizzano un “partito di tutto il popolo” o chissà che altro, è, in sintesi, nell’ottica di ripudiare il carattere di classe del partito e il suo ruolo dirigente e, infine, di rinunciare alla lotta di classe»31.
Pochi anni dopo, avvenuto il passaggio di consegne da Krusciov a Brežnev in Unione Sovietica, il grande Dirigente compagno Kim Jong Il, già membro del Comitato Centrale da cinque anni, si mantenne fermamente sulle posizioni di principio del marxismo-leninismo e fece notare:
«Noi prendiamo la posizione più risoluta contro tutti gli opportunismi apparsi nel movimento comunista internazionale, incluso il revisionismo moderno, così come contro l’imperialismo e gli Stati Uniti. La lotta contro il revisionismo moderno è ugualmente aspra. Nell’Unione Sovietica, Krusciov è stato estromesso, ma il vento del revisionismo moderno non ha cessato di soffiare. In una parola, noi siamo in prima linea non soltanto nella lotta antimperialista e antiamericana, ma anche in quella antirevisionista. Portiamo un grosso fardello sulle nostre spalle»32.
Il grande Dirigente compagno Kim Jong Il fu il primo statista in tutto il mondo a recarsi in visita al mausoleo di Lenin (riaperto apposta per lui) dopo lo scioglimento dell’URSS, il 4 agosto 2001. In quella occasione si intrattenne a colloquio con i funzionari che l’accompagnavano e ricordò loro gli atti nefasti dei revisionisti kruscioviani nei riguardi di Stalin, riprendendo pari pari le stesse parole e tesi del grande Leader compagno Kim Il Sung. Ancora alla fine del 1995, egli rivendicò con orgoglio il patrimonio teorico da cui scaturisce l’essenza rivoluzionaria del Partito del Lavoro di Corea:
«Il nostro Partito e il nostro popolo rispettano Marx, Engels, Lenin e Stalin quali dirigenti della classe operaia, e omaggiano a gran voce i loro distinti servizi. Riflettendo le richieste e le aspirazioni della classe operaia, Marx ed Engels, i loro primi dirigenti, elevarono il socialismo da un concetto utopico a una scienza, e diedero vita al movimento socialista e comunista. Lenin ereditò e sviluppò il marxismo per andare incontro ai tempi che cambiavano, e ottenne la grande vittoria della Rivoluzione Socialista d’Ottobre, organizzando e mobilitando la classe operaia. Stalin, succedendo alla causa di Lenin, costruì il primo giovane Stato socialista, lo trasformò in una potenza mondiale, e difese la patria socialista dall’invasione fascista, portando alla vittoria l’esercito ed il popolo. Nella loro epoca, Marx, Engels, Lenin e Stalin rappresentavano le aspirazioni e le rivendicazioni delle masse lavoratrici sfruttate, e la causa del socialismo era inseparabilmente connessa ai loro nomi. Il fatto che gli imperialisti ed i traditori del socialismo diffamino malignamente i dirigenti della classe operaia e li calunnino, chiamando la loro direzione “dittatura” o li accusino di “aver violato i diritti umani”, dimostra solo che i dirigenti della classe operaia furono zelanti rappresentanti degli interessi del popolo, che godettero della sua fiducia e del suo supporto, che erano rivoluzionari comunisti risoluti e che diedero la priorità ai principi rivoluzionari, senza compromessi coi nemici della rivoluzione»33.
Per contro, non risparmiò critiche, all’indomani della dissoluzione dell’URSS, al modo di fare burocratico e sciovinista del PCUS guidato dai revisionisti nelle loro relazioni con gli altri partiti fratelli:
«Il partito di un certo paese affermava di essere il “centro” del movimento comunista internazionale e ordinava agli altri partiti di far questo o quello. Esso agiva senza esitare a far pressione sugli altri partiti e a interferire nei loro affari interni se si rifiutavano di seguire la sua linea, anche se era sbagliata. Di conseguenza, l’unità ideologica e gli amichevoli rapporti di cooperazione tra i partiti comunisti furono grandemente indeboliti e ciò rese loro impossibile contrastare l’imperialismo come una forza unita. I partiti di alcuni paesi si piegarono alla pressione delle grandi potenze e agirono sotto il bastone altrui e il risultato di ciò fu che essi accettarono docilmente il revisionismo quando i grandi paesi giunsero al revisionismo e accettarono la “riforma” e la “ristrutturazione” quando gli altri lo fecero. Pertanto, nell’Unione Sovietica e nell’Europa orientale il socialismo ha subito uno scacco e questo è uno stato di cose alquanto serio»34.
È da mettere in rilievo, anche qui, tutta una serie di tesi valide per il nostro contesto italiano, laddove ripensiamo al PCI che, seguendo pedissequamente le direttive provenienti dall’URSS, approvò il corso revisionista kruscioviano replicandolo al suo VIII Congresso, fu tra i promotori della socialdemocratizzazione del movimento comunista europeo tramite il cosiddetto “eurocomunismo” e la completò anche formalmente al suo interno sotto la direzione di Natta e Occhetto e l’impulso di Gorbaciov.
Il bilancio fatto dal grande Dirigente compagno Kim Jong Il sulla caduta dei primi paesi socialisti e l’affermazione del revisionismo moderno costituisce un patrimonio inestimabile anche per i comunisti di casa nostra nell’ottica della lotta che ci troviamo a condurre; ciò dimostra quanto sbagliata sia l’attitudine di coloro che sminuiscono le idee dei grandi compagni Kim Il Sung e Kim Jong Il come fossero “valide solo per la Corea” e altrettanto errata sia la posizione di coloro che le studiano con fare accademico, senza rivolgere l’attenzione principale al contesto del nostro paese, della lotta di classe che conduciamo qui in Italia per il socialismo. Ciò tanto più se consideriamo il fatto che le posizioni dei dirigenti della RPDC devono interessarci in quanto se ne riscontra la giustezza a tutt’oggi, nella pratica odierna dell’edificazione del socialismo nella parte settentrionale della penisola coreana, di un paese, cioè, che ha saputo resistere agli sconvolgimenti e ai temporanei indietreggiamenti a livello mondiale del socialismo tenendo alta la bandiera rossa e senza fare alcun compromesso con le forze del capitalismo. Il suddetto bilancio, unico al mondo per completezza, sistematicità, accuratezza e precisione scientifica, è stato svolto dal grande Dirigente compagno Kim Jong Il in numerose opere da egli pubblicate negli anni ’90 e raccolte nel 1999 nell’antologia Per il trionfo della causa socialista, a cura delle Edizioni in Lingue Estere di Pyongyang.
A ciò si deve anche un ulteriore contributo del kimilsungismo-kimjongilismo alla scienza comunista, il contributo pratico che dà potenzialmente a ogni paese socialista e antimperialista le armi per difendersi da ogni tentativo di aggressione dell’imperialismo: le idee del Songun e la politica del Songun del Generale Kim Jong Il. Dando la priorità alle armi nel contesto in cui il mercato socialista era scomparso e la Corea popolare si trovava da sola a fronteggiare le manovre ostili e le provocazioni degli imperialisti americani e dei loro fantocci sudcoreani, la RPDC non ha temuto di rallentare, sia pur temporaneamente, la propria edificazione economica, ma si è data i mezzi per difendere il proprio socialismo e diventare un paese socialista potente e prospero, dotato anche di armi nucleari in grado di colpire il nemico in qualsiasi parte del mondo. La Corea socialista è stata l’unico paese del mondo ad aver concretamente tratto lezioni dalle amare vicende irachene e jugoslave, e la drammatica storia dell’Afghanistan, della Libia, della Siria e di altri paesi nel presente e nel passato dimostra ulteriormente la giustezza della linea del Songun consistente nell’edificare una difesa nazionale autonoma, indipendente dagli interessi congiunturali delle grandi potenze e in grado di difendere l’indipendenza, l’integrità e la sovranità di ogni paese tramite la lotta per raggiungere la parità strategica con gli imperialisti nel campo su cui più di ogni altro puntano per affermare le loro strategie di dominazione ed egemonia: quello delle forze armate.
Oggi, infatti, la RPDC è una potenza nucleare a tutti gli effetti, in grado di produrre e lanciare ogni tipo di missile di qualsiasi gittata e tipologia (a corto, medio e lungo raggio, antiaerei, lanciati da sottomarini, da lanciamissili di ultima generazione e persino dalle ferrovie e in generale da qualunque punto all’interno del paese), con bombe atomiche e all’idrogeno che scoraggiano ogni provocatore e ogni forza ostile dal puerile tentativo di invadere la penisola coreana e rovesciare la dirigenza suprema del paese. È così che lo stimato compagno Kim Jong Un ha salvaguardato la pace nell’Estremo Oriente, in Asia e nel mondo riportando al tavolo delle trattative e a più miti consigli i caporioni e i rappresentanti di ogni rango delle varie forze ostili.
Da ultimo, è d’uopo soffermarsi sulla questione economica, vale a dire, a come i grandi dirigenti coreani smascherarono e criticarono i tentativi di restaurazione pacifica e graduale del capitalismo in certi paesi socialisti dopo il 1956.
Al V Congresso del Partito del Lavoro di Corea, tenutosi nel 1970, il Presidente Kim Il Sung ebbe a dire molto chiaramente, nel suo rapporto:
«Il revisionismo è, in ultima analisi, un’ideologia perniciosa che mina il socialismo e restaura il capitalismo»35.
In discorsi e colloqui come Per valorizzare appieno i vantaggi dell’economia pianificata socialista (8 maggio 1961), Assimiliamo il grande spirito e il grande metodo di Chongsanri (10 febbraio 1962), Alcuni problemi posti dall’edificazione economica del socialismo (1 marzo 1962), Bisogna farsi un’idea chiara dell’incentivo politico e morale e dell’incentivo materiale (13 giugno 1967) e Per neutralizzare il veleno ideologico diffuso dagli elementi antipartito e controrivoluzionari e impiantare l’ideologia unica del Partito (15 giugno 1967), il Presidente Kim Jong Il criticò a fondo, pur se implicitamente, non solo i revisionisti sovietici, ma anche quelli jugoslavi, polacchi e ungheresi che per primi e con più sicumera adottarono riforme capitalistiche, come la vendita dei mezzi di produzione alle cooperative e alle aziende socialiste, rendendole di fatto unità autonome e svincolate dalla centralizzazione statale nella gestione dei mezzi stessi e nella ripartizione degli utili. In un certo senso questi discorsi possono essere visti come un’introduzione alle tesi espresse dal grande Leader compagno Kim Il Sung nel suo discorso del 1° marzo 1969 Su alcuni problemi teorici dell’economia socialista. Questo storico discorso fu concepito all’epoca come una risposta agli economisti dei paesi revisionisti, i quali sostenevano che un paese socialista ha possibilità di crescita estremamente limitate e che, una volta raggiunta una certa fase del loro sviluppo, non possono superare un tasso di crescita del 3-4% annuo. Il grande Leader invece dimostrò che l’economia socialista ha capacità produttive e margini di crescita potenzialmente infiniti, poiché la produzione è pianificata, risponde alle esigenze oggettive della società e delle masse popolari e le forze produttive sono libere dai ceppi imposti loro dalle esigenze di profitto dei capitalisti, ciò naturalmente a condizione che tutti i rami dell’economia siano razionalmente equilibrati. Merita inoltre sottolineare che il Presidente Kim Il Sung già all’epoca riconosceva la natura, il ruolo e l’essenza delle crisi da sovrapproduzione nel capitalismo, di contro a chi, revisionisti e capitalisti, parlava tutt’al più di crisi cicliche.
Tutte insieme, queste opere costituiscono un corpo unico che per la prima volta nella letteratura comunista ha definito con esattezza i principi fondamentali dell’economia socialista, come già Marx fece con quella capitalista.
3. Il kimilsungismo come teoria direttrice della nuova base rossa della rivoluzione socialista mondiale
Il Presidente Kim Jong Il ha compiuto l’analisi più scientifica, più esatta, più precisa e più esauriente delle cause e delle conseguenze della caduta dei diversi paesi socialisti tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90. Ma già decenni prima i compagni Kim Il Sung e Kim Jong Il intravidero i germi della dissoluzione che avrebbero portato alla rovina e al crollo quei paesi socialisti che non sono arrivati a vedere il XXI secolo. Il grande Leader ne parlò apertamente nei suoi discorsi Il nostro Esercito Popolare è un esercito della classe operaia, un esercito rivoluzionario; l’educazione di classe e politica dev’essere continuamente rafforzata (8 febbraio 1963), Per un’attuazione completa dei principi della pedagogia socialista nell’insegnamento (27 dicembre 1971), Sulla situazione dell’edificazione socialista in patria (26 settembre 1975) e altri; il caro Dirigente affrontò il tema in colloqui e discorsi, come Miglioriamo l’insegnamento per formare dei quadri nazionali competenti (17 giugno 1966), Per rafforzare la formazione politica e ideologica del personale della pubblica sicurezza (29 marzo 1970), Ispiriamo i giovani con lo spirito della rivoluzione ininterrotta (1 ottobre 1971), nel suo celebre trattato L’arte cinematografica e altre opere. Nel suo discorso ai dirigenti del CC del Partito, intitolato Difendiamo e sviluppiamo ulteriormente il nostro socialismo inalberando la bandiera delle idee del Juche (21 gennaio 1990), egli previde esplicitamente, con quasi due anni d’anticipo, la dissoluzione della stessa Unione Sovietica.
La tesi dei grandi compagni Kim Il Sung e Kim Jong Il postulava che, di fronte ai ripetuti fenomeni di negligenza dell’educazione ideologica e alle relative conseguenze, i paesi socialisti avrebbero corso gravi pericoli e lo stesso sistema socialista sarebbe stato messo in discussione, qualora le dirigenze di partito non vi avessero posto rimedio. Le loro indicazioni, come sappiamo, non sono state seguite ed è così che il socialismo cadde, in quasi tutti questi paesi, senza che venisse sparato un solo colpo.
Tuttavia, i comunisti coreani non hanno lasciato disgregarsi il movimento comunista internazionale senza batter ciglio, come avrebbero voluto gli imperialisti e come perfidamente cercano di far credere i revisionisti e i traditori di ogni risma.
Dopo aver sostenuto attivamente e concretamente per anni i movimenti di liberazione nazionale, i paesi antimperialisti e gli eserciti rivoluzionari che combattevano armi in pugno per l’indipendenza e la sovranità dei loro paesi, la Corea socialista è stata il primo paese che, prontamente, riorganizzò il movimento comunista dopo la dura battuta d’arresto subita con lo scioglimento dell’URSS e l’abbattimento del sistema socialista in una serie di altri paesi. Dissolta l’Unione Sovietica alla fine del dicembre 1991, a Pyongyang furono convocati decine di partiti e personalità progressiste, socialiste e comuniste in occasione dell’80° compleanno del Presidente Kim Il Sung, nell’aprile 1992. Erano dunque passati poco più di tre mesi, che i rivoluzionari di tutto il mondo ripartirono da Pyongyang sotto la consegna: «Difendiamo e facciamo avanzare la causa del socialismo!» e sulla base della Dichiarazione di Pyongyang da essi contestualmente firmata. Il governo della RPDC ha in seguito rafforzato continuativamente i rapporti coi paesi socialisti, memore della lezione del XX secolo per cui la divisione e la discordia portano alla rovina, e continua su questo cammino con la massima coerenza anche ai giorni nostri: abbiamo ancora negli occhi le immagini delle storiche visite dello stimato Dirigente supremo, compagno Kim Jong Un, in Cina e in Vietnam, nonché le giornate internazionaliste del novembre 2018 a Pyongyang assieme ai compagni cubani al seguito del Presidente Díaz-Canel. I messaggi che periodicamente egli invia ai dirigenti dei paesi socialisti non sono atti formali e diplomatici, ma vere e proprie cariche che il compagno Segretario generale del Partito del Lavoro di Corea suona per l’unità e la riscossa dei paesi socialisti in lotta contro l’imperialismo e il capitalismo. Lo stesso compagno Kim Jong Un, nel suo Rapporto presentato al VII Congresso del Partito del Lavoro di Corea nel maggio 2016, ricordò che l’obiettivo generale del Partito del Lavoro di Corea è rendere indipendente il mondo intero e affermò che dovere del Partito era, ed è, quello di apportare un contributo attivo alla causa dell’indipendenza globale e di svolgere un ruolo di punta nella promozione della rivoluzione mondiale. Egli è stato l’unico dirigente di un paese socialista nel nostro tempo che abbia anche solo fatto menzione di questa parola, e non è assolutamente un caso.
Lo stesso Movimento dei Non Allineati, una conquista storica dei popoli aspiranti all’indipendenza e alla sovranità, fu salvato dal disfacimento (contestuale alle problematiche vissute dal socialismo in vari paesi) grazie alla linea e all’infaticabile opera rivoluzionarie del Presidente Kim Il Sung, e oggi la RPDC, che ne è membro dal 25 agosto 1975, vi svolge un ruolo fondamentale, autorevole e, si potrebbe dire, dirigente.
Con una conoscenza sorprendentemente profonda della realtà delle società capitaliste occidentali, il grande Dirigente compagno Kim Jong Il mise in guardia i comunisti dei paesi capitalisti e imperialisti sul pericolo caratterizzato dalla socialdemocrazia moderna, la quale si spaccia per una forza “alternativa”, “di sinistra” e di “cambiamento” ma in realtà difende il capitalismo, cerca di abbellirlo e spesso e volentieri è in realtà la punta di lancia nella fascistizzazione della società sotto le insegne della “difesa della democrazia” e dell’«antifascismo». Lo abbiamo visto nella Germania degli anni ’20 del secolo scorso, lo vediamo nell’Italia degli anni ’20 di questo secolo e in altri paesi capitalisti, sia pure in forme e con metodi diversi.
Quanto detto dal grande compagno Kim Jong Il nel suo storico discorso del 30 maggio 1990 dal titolo Su alcuni problemi delle fondamenta ideologiche del socialismo è di estrema importanza per i comunisti dei paesi imperialisti: nella lotta tra le due linee consistenti l’una nell’accodarsi alla socialdemocrazia moderna, o sinistra borghese che dir si voglia, immaginandosi comunanze tra le sue vedute e la concezione comunista del mondo (linea arretrata) e l’altra nello smascherarla e combatterla al pari del nemico di classe in quanto sua servitrice più fedele e all’occorrenza anche degna sostituta (linea avanzata), dobbiamo applicare le idee rivoluzionarie kimilsungiste-kimjongiliste per sapere quale fronte scegliere in quest’ambito della lotta di classe. Molti comunisti, infatti, tracciano inesatti parallelismi tra la socialdemocrazia moderna e le “forze intermedie” di cui parlavano alcuni dirigenti marxisti-leninisti discutendo se isolarle o meno. Trattasi, appunto, di parallelismi inesatti perché la socialdemocrazia moderna, per la sua essenza e il suo ruolo, è completamente diversa da queste “forze intermedie”. Essa, un prodotto tipico dei paesi imperialisti, è nata contestualmente al disfacimento dei vecchi partiti revisionisti al seguito dell’Unione Sovietica e di altri paesi socialisti e si è sviluppata nei decenni immediatamente successivi (anni ’90 e 2000). Ponendosi quale “sostituta” di questi vecchi partiti, ha puntato a raccoglierne le vaste masse di tesserati e sostenitori per farne una massa di manovra in chiave elettorale e inquinare le loro menti, le loro idee, con sofismi a proposito della cosiddetta “terza via”: “unire le prospettive di sviluppo del capitalismo a politiche welfaristiche di stampo socialista”, “un altro mondo è possibile”, “per una società inclusiva”, “più diritti civili”, “contro tutti gli autoritarismi e le dittature”, “fascismo e comunismo pari sono”, “le ideologie sono roba del passato”, “ognuno è quello che si sente di essere” ecc. Ovunque governino i moderni partiti socialdemocratici, nulla è cambiato in termini di sfruttamento, oppressione, insicurezza e disuguaglianze per le masse lavoratrici: il capitalismo resta saldo al comando, la proprietà privata dei mezzi di produzione rimane intonsa. Nell’attacco ai diritti sociali e alle conquiste progressive delle lotte operaie del secolo scorso, nella campagna anticomunista e nella repressione delle proteste popolari, la sinistra borghese si è rivelata perfettamente speculare alla destra reazionaria, e spesso e volentieri le ha fatto da apripista. Le loro posizioni sulle tematiche di maggiore interesse per i capitalisti sono assolutamente e completamente identiche, quando non più oltranziste, social-darwiniste e liberiste di quelle della destra. Bisogna poi vedere chi e quali sono queste “forze intermedie”, sia oggi, sia all’epoca, sia nella definizione dei classici del marxismo-leninismo.
Naturalmente, i comunisti devono intervenire ovunque possibile nelle loro mobilitazioni, come in ogni mobilitazione in cui sia coinvolto un gran numero di masse popolari e che oggettivamente indebolisca il capitalismo. Il kimilsungismo-kimjongilismo è la migliore ideologia direttrice per i comunisti nell’opera di risveglio delle masse turlupinate e ingannate dai moderni caporioni socialdemocratici per orientarle all’instaurazione del socialismo, e la migliore linea indipendente e rivoluzionaria che essi devono mantenere. Va da sé che, per far ciò, è indispensabile che tutti i comunisti, sia individualmente che organizzativamente, adottino il kimilsungismo-kimjongilismo quale loro unica teoria guida per trasformare il mondo e sé stessi, unendosi monoliticamente attorno a questa bandiera e non accettando alcuna altra idea, teoria o corrente nel loro seno.
Il Presidente Kim Jong Il ha altresì apportato grandi contributi per quanto riguarda la costruzione della forza motrice della rivoluzione. Egli pubblicò molte opere, come Su alcuni compiti delle organizzazioni del Partito (3 dicembre 1980), I compiti dei comitati provinciali, cittadini e distrettuali del Partito (3 aprile 1981), Alcuni compiti per il miglioramento del lavoro di formazione dei quadri del Partito (giugno 1981), Il Partito del Lavoro di Corea è un partito rivoluzionario di tipo jucheano che ha ereditato la gloriosa tradizione dell’Unione Antimperialista (17 ottobre 1982), Su alcuni problemi dell’educazione alle idee del Juche (15 luglio 1986), Per l’instaurazione della concezione jucheana della rivoluzione (10 ottobre 1987), Il Partito del Lavoro di Corea organizza e dirige tutte le vittorie del nostro popolo (3 ottobre 1990), La teoria jucheana sulla costruzione del partito è una linea guida cui aderire per l’edificazione del partito della classe operaia (10 ottobre 1990) e Fondamenti della costruzione del partito rivoluzionario (10 ottobre 1992), egli ha spiegato e analizzato i limiti storici della precedente ideologia rivoluzionaria della classe operaia sulla costruzione del partito e ha avanzato una gran quantità di principi rivoluzionari che hanno illustrato le leggi scientifiche concernenti la costruzione della forza motrice della rivoluzione, il partito comunista, per la prima volta nel quadro della scienza socialista.
Nel terminare questa mia esposizione, sento il dovere e il desiderio sincero di esprimere la mia riconoscenza e grande stima al Partito del Lavoro di Corea e al suo stimato Dirigente supremo, il compagno Kim Jong Un, per il ruolo che svolgono a livello mondiale nella lotta ideologica per diffondere e affermare la tesi che il kimilsungismo è la terza superiore tappa del pensiero comunista.
- Kim Jong Un, Verso la vittoria finale, Edizioni in Lingue Estere, Pyongyang 2013, pag. 63 ed. ing.[↩]
- Kim Jong Il, Opere scelte, vol. 10, Edizioni in Lingue Estere, Pyongyang 1999, pagg. 276-77 ed. ing.[↩]
- Kim Jong Il, Sulle idee del Juche del nostro Partito, Edizioni in Lingue Estere, Pyongyang 1985, pag. 2 ed. fr.[↩]
- Ibidem, pagg. 3-4.[↩]
- Ibidem, pagg. 8-9.[↩]
- Ibidem, pagg. 13-14.[↩]
- Kim Jong Il, Opere scelte, vol. 13, Edizioni in Lingue Estere, Pyongyang 2011, pag. 440 ed. ing.[↩]
- Kim Jong Il, Opere scelte, vol. 15, Edizioni in Lingue Estere, Pyongyang 2011, pagg. 326-27 ed. fr.[↩]
- Kim Jong Il, Opere scelte, vol. 1, Edizioni in Lingue Estere, Pyongyang 2014, pagg. 322-23 ed. fr. (ampliata).[↩]
- Kim Jong Il, Opere scelte, vol. 15, Edizioni in Lingue Estere, Pyongyang 2011, pag. 232 ed. fr.[↩]
- Cfr. Kim Jong Il, Opere scelte, vol. 2, Edizioni in Lingue Estere, Pyongyang 2014, pag. 61 ed. fr. (ampliata).[↩]
- Kim Il Sung, Opere, vol. 20, Edizioni in Lingue Estere, Pyongyang 1984, pagg. 351-52 ed. ing.[↩]
- Cfr. Baik Bong, Biografia di Kim Il Sung, vol. III, Associazione per i rapporti culturali con la Repubblica popolare democratica di Corea, Roma 1974, pagg. 417-21.[↩]
- Kim Jong Il, Opere scelte, vol. 13, Edizioni in Lingue Estere, Pyongyang 2011, pag. 445 ed. ing.[↩]
- Kim Jong Il, Opere scelte, vol. 1, Edizioni in Lingue Estere, Pyongyang 2014, pag. 151 ed. fr. (ampliata).[↩]
- Kim Il Sung, Opere, vol. 14, Edizioni in Lingue Estere, Pyongyang 1983, pag. 392 ed. ing.[↩]
- Ibidem, pagg. 393-94 ed. ing.[↩]
- Kim Il Sung, Opere, vol. 15, Edizioni in Lingue Estere, Pyongyang 1983, pag. 204 ed. ing.[↩]
- AA.VV., Kim Il Sung: genio del pensiero umano, Edizioni in Lingue Estere, Pyongyang 1979, pag. 97 ed. fr.[↩]
- AA.VV., Il compagno Kim Il Sung è un pensatore e teorico geniale, Edizioni in Lingue Estere, Pyongyang 1975, pag. 20 ed. fr.[↩]
- Kim Il Sung, Opere, vol. 9, Edizioni in Lingue Estere, Pyongyang 1982, pag. 409 ed. ing.[↩]
- Kim Il Sung, Opere, vol. 16, Edizioni in Lingue Estere, Pyongyang 1984, pagg. 154, 155 ed. ing.[↩]
- Kim Il Sung, Opere, vol. 20, Edizioni in Lingue Estere, Pyongyang 1984, pagg. 354-55 ed. ing.[↩]
- Kim Il Sung, Opere, vol. 41, Edizioni in Lingue Estere, Pyongyang 1996, pag. 30 ed. ing.[↩]
- Kim Il Sung, Opere, vol. 44, Edizioni in Lingue Estere, Pyongyang 1999, pagg. 239-40 ed. ing.[↩]
- Ibidem, pagg. 408-09, 410 ed. ing.[↩]
- Kim Il Sung, Opere, vol. 16, Edizioni in Lingue Estere, Pyongyang 1984, pag. 121 ed. ing.[↩]
- Kim Il Sung, Attraverso il secolo. Memorie, vol. 8, Edizioni in Lingue Estere, Pyongyang 1998, pagg. 290-91 ed. ing.[↩]
- Dizionario di Filosofia, a cura dell’Istituto di ricerche filosofiche presso l’Accademia delle Scienze Sociali della RPDC, 1985.[↩]
- Kim Jong Il, Opere scelte, vol. 1, Edizioni in Lingue Estere, Pyongyang 2014, pagg. 131-32 ed. fr. (ampliata).[↩]
- Ibidem, pag. 261.[↩]
- Kim Jong Il, Opere scelte, vol. 3, Edizioni in Lingue Estere, Pyongyang 2016, pag. 152 ed. fr. (ampliata).[↩]
- Kim Jong Il, Opere scelte, vol. 14, Edizioni in Lingue Estere, Pyongyang 2014, pag. 113 ed. ing.[↩]
- Kim Jong Il, Opere scelte, vol. 12, Edizioni in Lingue Estere, Pyongyang 2008, pagg. 282-83 ed. ing.[↩]
- Kim Il Sung, Opere, vol. 25, Edizioni in Lingue Estere, Pyongyang 1986, pag. 309 ed. ing.[↩]