Per una critica realista dei “12 punti di pace” cinesi

A un anno dall’operazione speciale russa nel contesto della quasi decennale guerra in Ucraina – che si sta sempre più trasformando per la Russia in una guerra ufficiale contro l’Ucraina, come affermato anche da Aleksander Dugin –, la fraterna Repubblica Cinese (“una relazione migliore di un’alleanza“, come ha affermato il ministro degli esteri cinese) ha pubblicato, dopo 4 giorni da una eccellente critica sintetica del mondo unipolare a guida statunitense (“L’egemonia statunitense e i suoi pericoli“), una proposta di pace divisa in 12 brevi punti.

Apprezzata da Zelensky e rigettata dai veri padroni di quest ultimo burattino, la Russia si è dimostrata essere la più restia dall’esprimere un’opinione netta.

Ringraziando lo storico alleato cinese e affermando di apprezzare l’intento fatto in buona fede, il portavoce del Cremlino Peskov ha tuttavia sottolineato che al momento non ci sono concrete possibilità di pace tra i due Stati in questione, e che la volontà di procedere per la giusta via spetta prima di tutto alle due parti in causa. Solo allora, un Paese che si è dimostrato neutrale (come appunto, fino ad adesso, la Cina) potrà ospitare i negoziati di pace.

Ho sottolineato “fino ad adesso”, perché nonostante le critiche obiettive mosse contro la parte occidentale (Usa in primis) e la sua responsabilità nel sanguinoso conflitto fratricida, fino ad ora Pechino si è dimostrato, anche in sede ONU, veramente neutrale, opponendosi a sanzioni e altre ritorsioni contro la Russia, ma mantenendo comunque una via di dialogo con l’Ucraina, non incolpandola mai direttamente, e puntando il dito al massimo contro i suoi padroni. “Fino ad adesso”, perché nonostante il ministero degli esteri cinese abbia smentito le voci occidentali secondo cui la Cina stesse armando la Russia contro l’Ucraina (puntando tra l’altro il dito agli Usa, dicendo che son proprio loro che armano una delle parti in causa per prolungare il conflitto), pochi giorni dopo lo stesso ministro si chiedePerché gli Usa possano armare Taiwan per poi dirci di non armare la Russia?” aprendo così implicitamente ad un cambio di paradigma nel conflitto in corso. Passano altri 2-3 giorni, e il generale Li Shangfu diviene nuovo ministro della difesa in Cina; un generale che dal 2018 è nelle sanzioni USA per la sua “collaborazione militare” con la Russia.

Visti con quest’ottica, i 12 punti cinesi per la pace in Ucraina (ufficialmente “La posizione della Cina sulla soluzione politica della crisi ucraina“) possono esser considerati una formalità diplomatica e storica per dimostrare di aver mosso un tentativo “concreto” di intermediazione e di pace. Così come le (ennesime) richieste disperate di sicurezza avanzate dalla Russia nel dicembre 2021, poi snobbate dall’Occidente, hanno portato all’annuncio del riconoscimento delle Repubbliche del Donbass prima e all’operazione speciale in loro difesa poi, così la proposta di pace cinese potrebbe legittimare una presa di posizione decisiva della Cina, in risposta al silenzio (e anzi disprezzo) pronunciato dal mondo occidentale.

In tal caso, la proposta dei 12 punti, con i suoi limiti, sarebbe contestualizzabile, e questa critica che esporrò di seguito non avrebbe lo stesso senso e valore che avrebbe nel caso contrario.

Procediamo con ordine, seguendo i punti numerati dai cinesi.

“1. Rispettare la sovranità di tutti i paesi. Il diritto internazionale universalmente riconosciuto, compresi gli scopi e i principi della Carta delle Nazioni Unite, deve essere rigorosamente osservato. La sovranità, l’indipendenza e l’integrità territoriale di tutti i paesi devono essere efficacemente sostenute.”

Divido questo primo punto in due parti, per comodità. Continua:

Tutti i paesi, grandi o piccoli, forti o deboli, ricchi o poveri, sono membri uguali della comunità internazionale. Tutte le parti dovrebbero sostenere congiuntamente le norme fondamentali che regolano le relazioni internazionali e difendere l’equità e la giustizia internazionali. Dovrebbe essere promossa un’applicazione paritaria e uniforme del diritto internazionale, mentre i doppi standard devono essere respinti.”

Mentre la seconda parte – tralasciando la distanza siderale tra la realtà (i Paesi piccoli e deboli sono destinati ad orbitare attorno a polarità più consolidate e forti; realtà ancora valida anche per il mondo multipolare che sta nascendo in antitesi al mondo unipolare) e la formalità ideale (“Tutti i Paesi, grandi o piccoli, forti o deboli, sono membri uguali“) – è nella sua essenza condivisibile da chiunque abbia un minimo di morale e senso di giustizia (con tanto di frecciatina all’Occidente nell’ultima frase sui “doppi standard“), la prima parte è indubbiamente ambigua e interpretabile in più modi.

Esprimendo simili ovvietà, si sta però allo stesso tempo schierando a favore di un ideale, totalmente distante dalla realtà del mondo. Non si fa cenno ad alcuna reale violazione della “Carta delle Nazioni Unite“, così da render felici sia i russi che incolpano da anni l’Occidente collettivo di violare i principi e gli accordi internazionali (dalla generica Carta dell’ONU al caso specifico degli accordi di Minsk), sia gli americani che incolpano i russi di violare qualche nuova cosa ogni tot. mesi.

Viene citato nel primo punto “la sovranità” dei Paesi; concetto così astratto e interpretabile in più modi che si potrebbe arrivare a dire che come soluzione della crisi ucraina sarebbero da sciogliere sia l’Unione europea che la Nato, o che l’Ucraina debba instaurare una democrazia diretta. Oppure sovranità vuol dire poter entrare in un’alleanza offensiva ed imperialista e puntare missili nucleari contro altri Paesi – come hanno innumerevoli volte affermato con sfacciataggine in tutti i media occidentali, giustificando l’entrata dell’Ucraina nella Nato?

L'”integrità territoriale” poi, altra parola che è riecheggiata nelle bocche di tutti gli stolti nel corso di quest ultimo anno, è un altro concetto, in questo caso ancor più ambiguo, che porta la Cina di fronte ad un altro bivio: integrità territoriale stando ai formali confini riconosciuti in sede internazionale, quindi a favore dell’Ucraina e dell’Occidente; integrità territoriale seguendo in primis il principio di sovranità del popolo, riconoscendo quindi la Crimea e le regioni della Novorossiya, dopo i referendum tenuti nelle rispettive, come parte della Federazione Russa; o integrità territoriale adeguata alla realtà dei fatti, dove la Crimea è amministrata dai russi mentre la Novorossiya è ancora occupata in parte dal governo ucraino?

Se si parla di “sovranità” non si può parlare di “integrità territoriale“, e se si parla di “integrità territoriale” non si può parlare di “sovranità“. Per un russo mantenere la Crimea e la Novorossiya è considerabile come mantenimento dell’integrità territoriale, ma la parte occidentale della comunità internazionale la pensa all’esatto opposto.

La neutralità della Cina nel non aver riconosciuto l’indipendenza e poi la riunificazione delle Repubbliche della Novorossiya l’ha portata di fatto a schierarsi con l’Occidente, perlomeno quando parla formalmente di “integrità territoriale“.

L’esplicito riferimento all'”integrità territoriale“, dal punto di vista cinese, è tuttavia sensato se consideriamo la questione taiwanese. La Cina giova dal parlare di integrità territoriale, e non conviene nemmeno, per rigor di logica, riconoscere le Repubbliche indipendentiste della Novorossiya, dato che apparirebbe come una contraddizione con il disconoscimento dell’indipendenza dell’isola di Taiwan. Da sottolineare “apparirebbe”, in quanto, se andiamo a vedere i due casi apparentemente simili nello specifico, le Repubbliche novorusse hanno esercitato il proprio potere sovrano esprimendo per via referendaria la propria volontà d’indipendenza (dai referendum filo-russi del 2014 non riconosciuti, per volontà diplomatica, neppure da Mosca, ai recenti 4 referendum del 2022), mentre Taiwan non ci ha mai tenuto a organizzare referendum per provare la volontà dei cittadini ad essere indipendenti dalla Cina continentale: nel 2007 il governo filo-americano provò ad indire un referendum, ma le proteste interne (oltre a quelle in sede internazionale) portarono i “democratici” a fare marcia indietro, nel 2018 venne annunciata invano la volontà di riaffermare la propria volontà d’indipendenza, mentre col tempo gli abitanti dell’isola si sono sempre più spostati verso una posizione più conciliatrice verso i connazionali continentali, recandosi in netta minoranza (41%) alle urne, di fatto delegittimandole, e finendo per votare sempre più lo storico partito Kuomintang (che ha “fondato” Taiwan, ma che da anni si dimostra esser della volontà di riallacciare i rapporti con la Repubblica Popolare e il Partito Comunista Cinese).

Oltre a ciò, l’indipendenza di Taiwan è un illogico. Mentre la Novorossiya, prima di riunificarsi con la Russia, ha richiesto l’indipendenza dall’Ucraina in quanto da essa ritenuta un’entità esterna ed estranea, Taiwan non si considera un’isola indipendente dalla Cina continentale: Taiwan si reputa in realtà la vera Cina (tant’è che si chiama ufficialmente Repubblica di Cina), momentaneamente ristretta lungo i confini dell’isola, in esilio, in attesa di occupare utopicamente il proprio trono al posto del Partito Comunista Cinese. Proclamare l’indipendenza di Taiwan tradirebbe la missione che si è imposta dall’esilio del governo del Kuomintang nel 1949 (dopo la vittoria dei comunisti nella guerra civile cinese), e proclamerebbe indirettamente la sconfitta definitiva dei nazionalisti di fronte ai comunisti, riconoscendo che non ci sarà mai una vecchia Cina continentale (comprendente tra l’altro la Mongolia; giusto per ricordare i vari deliri irredentisti del governo taiwanese).

In questa chiave di lettura si capisce ulteriormente il senso dell’ultima frase “i doppi standard andrebbero respinti“: chiaro riferimento agli Stati Uniti e le sue colonie, contrari all’indipendenza/sovranità della Novorossiya ma favorevoli, de facto, all’indipendenza di Taiwan, non voluta in realtà neanche da quest’ultima.

“2. Abbandonare la mentalità della guerra fredda. La sicurezza di un paese non dovrebbe essere perseguita a spese di altri. La sicurezza di una regione non dovrebbe essere raggiunta rafforzando o espandendo i blocchi militari. I legittimi interessi e preoccupazioni di sicurezza di tutti i paesi devono essere presi sul serio e affrontati adeguatamente. Non esiste una soluzione semplice a un problema complesso. Tutte le parti dovrebbero, seguendo la visione di una sicurezza comune, globale, cooperativa e sostenibile e tenendo presente la pace e la stabilità a lungo termine del mondo, contribuire a creare un’architettura di sicurezza europea equilibrata, efficace e sostenibile. Tutte le parti dovrebbero opporsi al perseguimento della propria sicurezza a scapito della sicurezza altrui, prevenire il confronto tra blocchi e lavorare insieme per la pace e la stabilità nel continente eurasiatico.”

Seppure si parli implicitamente per tutto il paragrafo delle richieste di garanzia di sicurezza avanzate dalla Russia più e più volte nel corso degli ultimi 30 anni, il titolo riassuntivo del punto – “Abbandonare la mentalità della guerra fredda” – ben rappresenta la inapplicabilità del contenuto in questo stato reale delle cose.

L’Occidente agisce seguendo una mentalità da guerra fredda proprio perché in una guerra fredda ci siamo già, ed è invano ogni tentativo di “fermarla”. Al fuoco, specialmente se nato da materiale infiammabile, spesso non conviene rispondere con l’acqua.

La presa di posizione idealistica e pseudo-neutrale della Cina è sensata se consideriamo il fatto che il gigante asiatico giova ancora oggi dagli indissolubili rapporti commerciali con i Paesi occidentali. Una presa di coscienza dello stato delle cose porterebbe la Cina a doversi schierare nettamente con una delle due parti, contribuendo allo sviluppo dialettico della guerra “fredda” in atto e ponendo fine, in un modo positivo o meno per la Cina, agli export massicci verso l’Occidente.

La scuola realista ci insegna che spesso le potenze emergenti non desiderano affatto scontrarsi con le superpotenze già decadenti. Con l’ultima crisi dello stretto di Taiwan (la visita di Nancy Pelosi e degli altri diplomatici occidentali) la Cina ha per l’ennesima volta dato prova del proprio disprezzo verso lo scontro diretto, anche sotto umilianti provocazioni e violazioni della propria sovranità. La massima di Sun-Tzu “Sconfiggere il nemico senza combattere è la massima abilità” è divenuto un mantra per i cinesi, e l’atteggiamento “taoista” (seguire lo scorrere delle cose senza accelerare od opporsi alla volontà del Cielo) predomina nello spirito della politica estera cinese.

Pare non ci sia alcuna volontà di accelerare il crollo dell’occidente, né la volontà di contribuire con tutte le forze allo sviluppo del mondo multipolare.

L’imperialismo non si combatte con la retorica pacifista e l’atteggiamento da “non-allineati”. La Russia, con la scelta presa il 24 febbraio, si è assunta un’enorme responsabilità a nome di tutti i Paesi che non vogliono più sottostare ai dettami di Washington, con la paura di venire annientati a colpi di testate termobariche se non nucleari. Non è l’atteggiamento del Brasile o degli esperti di zen e di antica arte della guerra della Cina ad aver posto l’impero genocida degli Stati uniti al bivio. È stata la scelta sanguinosa della Russia a farlo.

Non è sempre vera la massima di Sun-Tzu sulla vittoria senza spargimento di sangue.

Se è vero che la Cina sta vincendo contro gli Stati Uniti senza sparger sangue, è ancor più vero che ciò sta avvenendo grazie allo spargimento di sangue della Russia. Di fatto, senza dover cadere nel misticismo e nel cieco sentimentalismo verso la Russia, è da ammettere che il mondo intero si sta liberando dalle catene dell’egemonia statunitense grazie allo spargimento di sangue della Russia. Il popolo russo si sta sacrificando per il mondo multipolare, mentre gli altri poli del futuro mondo stanno sfruttando questa situazione epocale a proprio vantaggio, varando politiche economiche rivoluzionarie volte a de-dollarizzare gli scambi di e tra tutti i continenti. Non la Cina, ma la Russia, e Putin alla sua dirigenza, è per questo definibile per tutto il resto del XXI secolo il vero e proprio “Spirito del mondo“.

Quando gli Stati Uniti scapperanno in fretta e furia anche dall’Ucraina (come hanno già fatto contro i contadini delle foreste vietnamite e contro i pastori delle montagne afghane), gli anti-imperialisti, i comunisti, i patrioti, dovranno trarre questa conclusione. Contro l’imperialismo solo la guerra.

Così come la Russia sta liberando la propria vicina, la fraterna Ucraina, così Cuba il secolo scorso con un pugno di uomini liberava l’Africa, e così il Che subì il martirio in Bolivia.

Contro gli Stati Uniti e l’Occidente tutto va fatto. Lo stesso principio non vale contro le altre polarità e zone di influenza, perché ciò minerebbe l’autodeterminazione di un popolo e andando (volontariamente o meno) a favore di qualche altra polarità, che potrebbe rivelarsi divenire imperialista. Ma qui, in questo momento, ogni tentativo, anche con secondo fine, per minare l’egemonia unipolare, è pienamente valido e svolge esattamente una funzione dialetticamente positiva e progressista. Così ad esempio gli afghani radicalisti islamici sono stati più progressisti e utili dei “comunisti” occidentali. E così Putin è stato più utile di qualunque leader socialista attualmente in carica nel mondo (sì, anche più di Xi Jinping, seppur da me personalmente molto apprezzato).

Più guerre scoppiano senza che le inizino gli americani, e più gli Stati Uniti si avvicinano al tracollo. Va applicata la scienza della guerriglia su scala globale. Gli Stati Uniti non potranno agire ovunque, e saranno costretti a perdere sempre più terreno e centralità.

E a questa lezione si ricollega anche un errore compiuto dall’Unione Sovietica: contro le aggressioni imperialiste prevedibili, attaccare per primi. Stalin – leader che personalmente ammiro nel suo complesso – provò a crearsi una zona sicura quando invase la Finlandia (che stava entrando nell’orbita nazista), ma l’area che da questo conflitto guadagnò, come si sa ora a posteriori, non fu abbastanza. L’Unione Sovietica vinse, ma milioni di morti potevano essere evitati se Stalin avesse deciso di attaccare per primo – e no, non è vera la leggenda metropolitana secondo cui Stalin non si aspettava un attacco da parte delle forze naziste; i documenti d’archivio hanno ormai smentito tale frottola, e tanto più per questo ha colpa di non aver attaccato per primo.

Tale principio vale per il conflitto tra Russia e Nato in Ucraina, ma anche tra Cina e USA a Taiwan, tra Paesi mediorientali e Israele nella Palestina occupata, tra Corea del nord e Corea del sud, eccetera. Ogni conflitto è meglio consumarlo appena possibile, appena pronti, prima che siano pronti gli avversari – che saranno tali fino alla morte di uno dei due.

Ogni tentativo di dialogo con l’Occidente è semplicemente inefficace e anzi inutile: storicamente si è sempre dimostrato come parlare con un muro. La Cina, come tante altre potenze emergenti nella storia, ha timore di scontrarsi con la superpotenza statunitense e prendersi il proprio posto assegnato dal destino, ma la storia deve fare e fa il suo corso: il conflitto deve scoppiare, le contraddizioni devono venire al pettine. La Cina prima o poi dovrà abbandonare la propria visione rosea e ideale del mondo e prender atto della natura conflittuale di questo; deve partecipare al declino dell’Occidente, aiutando e supportando lo spirito d’iniziativa espresso dalla Russia.

“3. Cessare le ostilità. Il conflitto e la guerra non giovano a nessuno. Tutte le parti devono rimanere razionali ed esercitare moderazione, evitare di alimentare il fuoco e aggravare le tensioni e impedire che la crisi si deteriori ulteriormente o addirittura sfugga al controllo. Tutte le parti dovrebbero sostenere la Russia e l’Ucraina nel lavorare nella stessa direzione e riprendere il dialogo diretto il più rapidamente possibile, in modo da ridurre gradualmente la situazione e raggiungere infine un cessate il fuoco globale.”

Questa retorica pacifista, seppur utile per conquistare gli spiriti delle persone che auspicano con sincerità la fine dei conflitti, è un abbandono del marxismo.

Come insegna Lenin ne “Il Socialismo e la guerra“, esistono “guerre giuste“,”guerre difensive indipendentemente da chi avesse attaccato per primo“. Il conflitto è nella natura delle cose, specialmente in un mondo dove l’unipolarismo criminale di un impero genocida, seppur decadente, si dimostra esser risoluto nel non voler cedere il proprio passo ad un mondo più giusto, più pacifico e multipolare.

Se un tempo si diceva, citando il Che, “creare dieci, cento, mille Vietnam“, oggi si dovrebbe dire “creare dieci, cento, mille Ucraine“.

Lo stesso Fidel espresse più volte l’opinione secondo cui Cuba avrebbe potuto combattere e indebolire gli Stati Uniti non direttamente (guardando alle dimensioni e alla demografia dei due ci sarebbe da ridere), ma solo aiutando gli altri Paesi a liberarsi dalle grinfie dell’imperialismo. Dal 24 febbraio 2021 è iniziata la controffensiva dei Paesi antimperialisti, per il sorgere di un mondo multipolare. Ogni tentativo di calmare le acque e tornare allo stato delle cose precedente al 24 febbraio è frutto di ingenuità ed ostacola lo sviluppo del nuovo mondo.

Se è vero che non serve sbandierare la volontà di far guerra a più Paesi succubi all’impero, è altrettanto vero che sfoderare le bandiere arcobaleno e le colombe non fa che mantenere lo stesso impero sul proprio trono.

“7. Mantenere sicure le centrali nucleari. La Cina si oppone agli attacchi armati contro le centrali nucleari o altri impianti nucleari pacifici e invita tutte le parti a rispettare il diritto internazionale, inclusa la Convenzione sulla sicurezza nucleare (CNS), ed evitare risolutamente incidenti nucleari provocati dall’uomo. La Cina sostiene l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA) nel svolgere un ruolo costruttivo nella promozione della sicurezza e della protezione degli impianti nucleari pacifici.”

Se il contenuto della prima parte del punto può essere condivisibile senza possibile ombra di critica, la seconda parte, specialmente con il riferimento all’AIEA, diviene nel contesto ucraino una presa di posizione ancora ambigua.

La Russia ha più volte dimostrato di essere aperta alla sorveglianza dell’AIEA presso le centrali nucleari controllate dall’esercito russo in Novorossiya, ma vanno analizzati i casi presi singolarmente.

Nel caso di Zaporizhzhia ad esempio l’AIEA è stata strumentalizzata dall’esercito ucraino (bombardando le centrali) per avanzare un’ipotesi internazionale che avrebbe costretto l’esercito russo a ritirarsi dalle zone che potevano mettere a rischio il funzionamento dell’infrastruttura, quando la soluzione era piuttosto far ritirare l’esercito ucraino – ipotesi che poteva difficilmente (anzi, impossibile) esser presa in ambito internazionale.

“8. Riduzione dei rischi strategici. Le armi nucleari non devono essere utilizzate e le guerre nucleari non devono essere combattute. La minaccia o l’uso di armi nucleari dovrebbe essere contrastata. La proliferazione nucleare deve essere prevenuta e la crisi nucleare evitata. La Cina si oppone alla ricerca, allo sviluppo e all’uso di armi chimiche e biologiche da parte di qualsiasi paese e in qualsiasi circostanza.”

Come negli altri punti, anche l’ottavo esprime ovvietà ideali che nessun sano di mente oserebbe obiettare: “le armi nucleari non devono essere utilizzate e le guerre nucleari non devono essere combattute“; “La Cina si oppone” alle “armi chimiche e biologiche (…) in qualsiasi circostanza“.

La realtà dei fatti è purtroppo molto distante dai sogni cinesi. Dal momento in cui Paesi storicamente criminali come gli Stati Uniti, il Regno Unito o la Francia posseggono armi batteriologiche, è di importanza vitale che i Paesi che si oppongono alla supremazia di questi facciano “ricerca” e “sviluppo” di “armi chimiche e biologiche“. Si può ovviamente concordare con l’opposizione “all’uso” di queste armi, in quanto il possesso di queste non porta necessariamente al loro utilizzo. Il possesso funge da deterrente, per evitare che dei Paesi imperialisti attacchino Paesi più deboli sapendo che questi non sono capaci di rispondere specularmente.

Lo stesso discorso, purtroppo, è da fare con le armi nucleari.

Mearsheimer a ragione ha definito le bombe atomiche “armi di pace in quanto armi di deterrenza“. Opinioni simili sono apparse persino sulle stesse riviste americane, come il prestigioso “Foreign affairs” (che tra i tanti è quello che dà più voce a tutti, senza eccessive censure), dove Kenneth Waltz nel suo articolo “Why Iran should get the bomb” (2012) ha affermato appunto che uno sviluppo delle armi atomiche da parte di una polarità come l’Iran potrebbe portare ad un buon equilibrio in Medioriente, dato che al momento l’unica potenza ad aver il nucleare nella zona, ed avere quindi potenzialità egemonica, è Israele. È indubbio ad esempio che se Saddam Hussein e Gheddafi avessero per davvero avuto “armi di distruzione di massa“, gli Stati Uniti non avrebbero scatenato le sanguinose guerre nei rispettivi Paesi.

Seppure questo discorso possa apparire cinico, è da ammettere che la realtà delle cose è questa. Il pericolo della guerra è ineliminabile, non per il discorso “homo homini lupus” hobbesiano, ma per il semplice fatto che al momento il sistema internazionale, citando ancora i realisti come Mearsheimer, è “anarchico“, è una “gabbia di ferro“, un “ring” in cui tutti gli Stati sono costretti a difendersi o combattere. Questa scuola di pensiero ha i suoi limiti, avendo trovato l’oggetto del caos, ma non la sua causa (che è il Capitalismo predominante e la sua conseguente economia di saccheggio su un sistema internazionale caotico e permissivo), ma ha ben centrato il punto. Questa è la “Tragedia delle grandi potenze“.

“9. Facilitare le esportazioni di grano. Tutte le parti devono attuare pienamente ed efficacemente, in modo equilibrato, l’iniziativa per i cereali del Mar Nero firmata da Russia, Turchia, Ucraina e Nazioni Unite e sostenere le Nazioni Unite affinché svolgano un ruolo importante in tal senso. L’iniziativa di cooperazione sulla sicurezza alimentare globale proposta dalla Cina fornisce una soluzione fattibile alla crisi alimentare globale.”

L’iniziativa citata dalla Cina non è più attuabile per via dell’irresponsabilità dell’Ucraina. Vantando della garanzia di poter mantenere un accesso sul Mar Nero, l’Ucraina ha sfruttato l’occasione per poter dare per scontata la difesa di Odessa e concentrarsi quindi sugli attacchi contro la Russia in mare e sulle coste. Oltre a ciò il grano, a parole diretto in Africa, si è rivelato essere destinato ai sfacciati Paesi europei. Odessa, che piaccia o no, in quanto filo-russa è destinata a tornare tra le braccia della Russia, e quando ciò avverrà – presto o tardi è indifferente – il grano ucraino che fino ad ora è transitato via Mar Nero non avrà più sbocco su mare, in quanto l’Ucraina preferirà farlo marcire o incendiare (come già fece provocando l’holodomor il secolo scorso) piuttosto che farlo passare per territori russi.

Gli accordi per il transito del grano sono ormai astorici.

“11. Mantenere stabili le catene industriali e di approvvigionamento. Tutte le parti dovrebbero mantenere seriamente l’attuale sistema economico mondiale e opporsi all’uso dell’economia mondiale come strumento o arma per scopi politici. Sono necessari sforzi congiunti per mitigare le ricadute della crisi e impedire che interrompa la cooperazione internazionale nei settori dell’energia, della finanza, del commercio alimentare e dei trasporti e comprometta la ripresa economica globale.”

Come già scritto in precedenza, la Cina non ha intenzione di distaccarsi dall’Occidente, ed anzi vuole continuare a cavalcare il fenomeno della globalizzazione, nonostante questo sia destinato a morire per poi risorgere con altre forme, più equo, col nascere del sistema-mondo multipolare. Questo punto esprime appieno la posizione della Cina, che non vuole ancora svegliarsi nel nuovo mondo, non vuole iniziare a parteggiare per la sua vincita sul mondo vecchio e decadente.

“12. Promuovere la ricostruzione postbellica. La comunità internazionale deve adottare misure per sostenere la ricostruzione postbellica nelle zone di conflitto. La Cina è pronta a fornire assistenza e svolgere un ruolo costruttivo in questo sforzo.”

Nella sua brevità ed astrattezza, anche il dodicesimo punto non specifica in quali forme questa promozione della ricostruzione postbellica si debba avverare. Ricostruzione gestita da privati, come ha già pianificato l’Occidente con i suoi monopoli immobiliari e bancari (Confindustria compresa) che si sfregano già le mani, o una ricostruzione gestita a livello statale tra i vari Paesi? Ricostruire è sì dispendioso, ma è un investimento, e permettere di ricostruire ai Paesi colpevoli di aver fomentato la guerra è far loro un piacere. I Paesi imperialisti occidentali dovrebbero pagare dei risarcimenti senza ricevere nulla indietro. Con tali risarcimenti di guerra la Russia e la nuova Ucraina potranno ricostruire e far “circolare moneta” nelle due economie.

Questa della “ricostruzione” è un’altra ingenuità che da un Paese maturo come la Cina non ci si aspetterebbe.

I punti 4) Riprendere i colloqui di pace, 5) Risolvere la crisi umanitaria, 6) Protezione dei civili e dei prigionieri di guerra, e 10) Stop alle sanzioni unilaterali, non sono stati qui citati perché esprimono anch’essi contenuti ovvi e a cui tutti auspicherebbero, pur avendo in sé anch’essi certe ambiguità e contraddizioni. La risoluzione della crisi umanitaria quando data in mano all’Onu è spesso degenerata, con l’introduzione dei caschi azzurri e bianchi come strumento dell’imperialismo statunitense.

In conclusione, quella che è chiamata “La posizione della Cina sulla soluzione politica della crisi ucraina” sembra più essere una “Non-posizione“. Un astratto, una volontà espressa per un mondo ideale dove la pace viene fatta col semplice dialogo tra due persone che si sono magari fraintese. La realtà è che un Paese-bullo, gli Stati uniti, non sono aperti ad alcun dialogo: è nel manifesto destino del loro Paese estendere i propri tentacoli su tutto il mondo, sia quello vecchio che quello nuovo.

Le vie per la pace sono due, alla Cina spetta decidere che strada intraprendere: o tutto lo sforzo per il sorgere del multipolarismo verrà fatto esclusivamente, come è stato fino ad adesso, dalla Russia, o saranno le varie polarità ad aiutarsi a vicenda, attaccando congiuntamente le capillarità dell’impero statunitense così da portarci alla nascita di un nuovo mondo, veramente e finalmente diverso.