La via della seta: un progetto (anche) militare

Da Inimicizie.

Nel 2019, un treno della DHL Global Forwarding arriva al porto fluviale tedesco di Neuss, sul Reno. E’ partito 10 giorni prima da Xi’An, un importante hub ferroviario nel nord della Cina dove circa 90 anni fa fu rapito Chiang Kai Shek, leader del Guomindang, allo scopo di formare il fronte unito con il PCC che vinse la guerra contro l’Impero Giapponese.

E’ il treno merci Cina-Germania più veloce inaugurato fin’ora.
Parte dalla Cina per poi entrare in Kazakhstan, attraversare la porzione europea della Russia e la Bielorussia fino alla Lituania, per poi rientrare in Russia – nell’oblast di Kaliningrad – ed infine arrivare in Germania, sul Reno, una posizione strategica da cui può smistare il suo cargo in tutta Europa.
Da quando nel 2013 il governo cinese ha lanciato l’iniziativa “One Belt One Road” – conosciuta comunemente come “nuova via della seta” – progetti di questo tipo si sono moltiplicati. La nuova via della seta ha anche un aspetto marittimo (la “cintura” appunto) ma è il fattore terrestre, quello del trasporto via treno, ad essere veramente dirompente dal punto di vista geopolitico.

Il porto secco di Khorgos, la porta della nuova via della seta
Il porto secco di Khorgos, la porta della nuova via della seta

La nuova via della seta

Il trasporto ferroviario – nelle catene logistiche globali – occupa una posizione intermedia tra quello marittimo (che va di gran lunga per la maggiore) e quello aereo, sia per quanto riguarda i tempi di consegna che per quanto riguarda i costi, sui tragitti lunghi. Questo lo rende particolarmente adatto a diversi tipi di merci. E’ una modalità di trasporto che sta guadagnando quote di mercato: Il settore è cresciuto dell’80%, dal 2010 al 2020.

L’area del mondo dove il trasporto via treno sta vedendo crescere costantemente la sua importanza è il continente eurasiatico, l’”isola-mondo” che rappresenta ancora la massa terrestre più influente sui destini del resto del pianeta.
Il principale motore dietro a questo nuovo sviluppo è il commercio tra il colosso industriale cinese e il ricco mercato di consumatori europei, una vera e propria riedizione dell’antica via della seta. Come il suo predecessore storico, la nuova via della seta passa attraverso l’Asia Centrale – in particolare attraverso il Kazakistan – che beneficia del suo ruolo di paese di transito obbligato.
Non è un caso che il primo presidente kazako – Nursultan Nazarbayev – sia stato il vero ispiratore di tutte le iniziative post-sovietiche di “integrazione eurasiatica” (la SCO, il CSTO, la CEE…) che hanno iniziato a prendere forma più tardi con il supporto a posteriori di Putin e Xi Jinping.

La via della seta ha due principali “ramificazioni”: Il corridoio settentrionale – quello dello “Xi’An express” che passa attraverso Russia e Bielorussia – e il corridoio mediano, che invece dal Kazakhstan – il punto d’ingresso è sempre quello, il porto asciutto di Khorgos – attraversa il Mar Caspio via nave, giungendo in Azerbaijan. A questo punto il cargo si muove nuovamente via treno verso Poti (Georgia) da cui viene nuovamente trasportato via nave verso Costanza (Romania) e Odessa (Ucraina) oppure su rotaia verso Istanbul e Mersina in Turchia. Da queste ultime destinazioni il cargo può raggiungere – tramite nave, asfalto o rotaia – tutta l’Europa danubiano-balcanica, meridionale e anche il nordafrica.
Il corridoio mediano, sebbene sia più costoso e abbia tempi di percorrenza decisamente più lunghi, è diventato ultimamente più appetibile a causa del decoupling tra Russia e UE scatenato dalla guerra in Ucraina.

Il corridoio mediano della nuova via della seta
Il corridoio mediano della nuova via della seta

La nuova via della seta non ha ripercussioni solo economiche sui consumatori europei, gli esportatori cinesi e i paesi di transito dell’Eurasia; ha anche implicazioni geopolitiche potenzialmente in grado di alterare una delle costanti più solide delle relazioni internazionali: Chi controlla il mare controlla il commercio globale.

La potenza navale statunitense

Lo stratega navale Alfred Thayer Mahan, alla fine del dicannovesimo secolo, vedeva nella guerra navale un tipo di guerra totalmente diverso da quella terrestre.

Nella guerra terrestre, il territorio viene preso ed effettivamente controllato, perché la terra è dove abitano gli uomini, dove sono in grado di muoversi e svolgere le loro attività in modo stanziale.
Il mare invece – l’oceano – non è mai realmente controllato da nessuno. E’ un piano attraverso cui l’uomo si muove, per giungere a destinazioni terrestri. Pertanto la guerra navale ha un obiettivo principale: L’interdizione, o la facilitazione, del movimento di uomini e merci da un punto all’altro.

Carl Schmitt – nel suo lavoro – vede proprio nella capacità di controllare i flussi di uomini e merci da una parte all’altra degli oceani – o anche di un solo mare – il discriminante che ha segnato l’ascesa e il declino delle grandi potenze nelle relazioni internazionali pre e post-westfaliane (discorso che è stato già approfondito più volte sul blog).

Oggi la potenza navale per eccellenza sono gli Stati Uniti.
La potenza che – pur non essendo egemone – rimane senza dubbio più forte rispetto alle altre. Si potrebbe dire che tutte le strutture dell’influenza globale americana derivino e dipendano da un’unica fonte primaria: Il “controllo” degli oceani da parte della US Navy.

L’uso del dollaro come principale moneta nei mercati globali poggia – come per un effetto domino – in larga misura sulla denominazione in dollari del petrolio mediorientale, che ora la nascente partnership arabo-cinese sta mettendo in discussione. Se gli USA non garantissero la sicurezza fisica delle petroliere che viaggiano nel golfo persico, probabilmente la minaccia di disconnessione dal sistema SWIFT non sarebbe così temuta. Se gli oceani fossero controllati dalla Marina dell’Esercito di Liberazione Popolare, la Maersk, principale compagnia operatrice di navi container, probabilmente si farebbe pagare in Yuan.

“Controllare” gli oceani, come abbiamo detto, è un concetto che va inteso in senso piuttosto ampio: Non significa che ogni singola portacontainer al largo della Somalia viene scortata dalla US Navy, significa che avere contro la US Navy in un conflitto attivo, per qualsiasi motivo e in qualsiasi momento, significa non poter più avere di fatto accesso agli oceani. Questo è ancora vero per ogni singolo paese al mondo.

Anche per la Cina che – nonostante una marina in grado di competere con quella statunitense alla pari nelle sue acque contigue – vede la sua influenza sugli oceani “contenuta” da due barriere fisiche: La prima e la seconda catena di isole, due linee immaginarie presidiate dalla US Navy e imperniate sugli alleati asiatici degli Stati Uniti. Oltre queste due linee, gli interessi marittimi cinesi sono preda facile.

Tre carrier group americani si muovono nel Pacifico Occidentale
Tre carrier group americani si muovono nel Pacifico Occidentale

La creazione di un nuovo sistema di trasporto a lungo raggio in Eurasia ha un implicazione molto importante per le potenze – o aspiranti tali – del continente: Non dover più dipendere dall’oceano per il trasporto di uomini e materiali. Quindi, per l’unica potenza – la Cina – in grado di porre una seria sfida agli Stati Uniti, questo significa stabilire un legame con l’Europa (Russia compresa), con l’Asia centrale e meridionale, persino con l’Africa possibilmente, che non potrà essere interdetto facilmente dall’avversario.

Questi possono sembrare ragionamenti eccessivamente astratti, ma non lo sono.

Il momento unipolare è finito. La musica si sta abbassando, gli invitati al trionfo dell’impero statunitense se ne stanno andando, le luci si stanno spegnendo. Il mondo sta tornando prepotentemente in un’era di serrata competizione multipolare, come avevamo scritto nel primo post sul blog e come ci mostra plasticamente la guerra in Ucraina.
Oggi è normale discutere di un ritorno alla guerra corsara, della sicurezza fisica dei satelliti, dei server e dei cavi sottomarini – di cui quasi ignoravamo l’esistenza prima – della ricostruzione di catene logistiche “interne” indipendenti da potenze ostili.
Il trasporto ferroviario eurasiatico si colloca quindi in questa nuova tendenza, e diventa uno strumento inedito contro le potenze navali.

Le sfide del commercio via terra

La nuova via della seta, però, presenta anche dei problemi non facili da risolvere.
Se il mare è contemporaneamente di tutti e di nessuno – come dicono Mahan e Schmitt – la terra ha invece un “nomos” molto più rigido, e questo significa – nel concreto – che per far arrivare un treno da Pechino a Berlino serve il consenso di tutti i paesi che questo treno deve attraversare.
Questo pone i paesi di transito, come la Russia (ma ancora di più il Kazakistan) in una posizione di forza, e i due estremi – l’Europa occidentale e la Cina – in una di debolezza.

Per la Cina, se mettere in sicurezza il proprio impero commerciale non significa più necessariamente dover costruire una marina superiore a quella statunitense (e comunque ci proverà) signfica comunque doversi garantire continuamente il benestare di chi controlla l’heartland.
Ritorniamo sempre al grande classico di MacKinder: Chi controlla l’heartland controlla l’Eurasia, chi controlla l’Eurasia controlla il mondo.

Il fallimento della creazione di un’Europa “terza forza” inclusiva anche della Russia, e la conseguente trasformazione di quest’ultima in una potenza asiatica a tutti gli effetti, non può che essere uno sviluppo estremamente positivo per la Cina.
Ma l’influenza della geopolitica è più duratura e più importante delle tensioni dovute ad una guerra: Per l’Europa occidentale, le materie prime della Russia, il suo vasto confine con la Cina e la sua capacità di influenzare l’artico e il medioriente rimangono di fondamentale importanza. Per la Russia, la penetrazione cinese nell’estremo oriente del paese e nell’Asia Centrale rappresenta una minaccia a cui va trovato un contraltare, per non rischiare la sempre temuta balcanizzazione, o l’irrilevanza.

Come la Cina risponderà a queste future sfide non è ancora del tutto chiaro. E definirà le caratteristiche del nuovo nomos multipolare “con caratteristiche cinesi”.

Certamente ci sono le iniziative di integrazione eurasiatica.
Certamente Pechino non sta mettendo tutte le sue uova in un solo paniere: Sta costruendo, parallelamente alla via della seta, anche una “collana di perle” navale attraverso gli oceani Indiano e Pacifico, congiunta a sua volta con la via della seta terrestre, ad esempio attraverso il porto di Gwadar, in Pakistan.
Ma non è da escludere che un giorno, non troppo lontano, potremmo vedere una grossa base militare cinese in Kazakhstan… e oltre. Una serie di avamposti militari a salvaguardia di una via terrestre di vitale importanza, come avveniva in epoca ottomana per il tragitto Istanbul-Mecca. Il primo in realtà è già stato costruito, silenziosamente, a pochi metri dal confine cinese, in Tajikstan.
Non è neanche da escludere che un giorno, non troppo lontano, la Cina – che oggi viene ritenuta dai più una potenza con poco appetito per avventure militari in giro per il mondo – possa combattere una sua guerra d’attrito, logorante e destabilizzante dal punto di vista interno, non a Taiwan e in Vietnam – nel suo estero vicino – ma in Etiopia o in Arabia Saudita.

Soldati dell'EPL durante un'esercitazione a -30 gradi
Soldati dell’EPL durante un’esercitazione a -30 gradi

Conclusione

Sono finiti i tempi in cui la Cina era semplicemente un grande mercato a cielo aperto e la terra del bengodi per il capitale occidentale. Sono finiti i tempi in cui la Cina può tranquillamente diventare un gigante economico contando sulla leale collaborazione della US Navy.

Ora si fa sul serio, e Pechino deve costruire le sue vie di trasporto – alternative a quelle americane – deve confrontarsi con la dura realtà di essere una potenza globale, e sobbarcarsene gli oneri se vuole godere dei benefici.
Riuscirà a farlo?

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