Il fattore nucleare: come le relazioni tra USA e Russia si sono spaccate sull’atomo

Da Inimicizie.

Il 21 febbraio, milioni di russi e non si sono sintonizzati sull’annuale discorso di Vladimir Putin al Consiglio della Federazione sullo “stato della nazione”, preannunciato come “storico” nei giorni precedenti.

Dopo quasi due ore di analisi sull’”operazione militare speciale”, sul confronto con la NATO nonché su questioni prettamente interne alla Russia, “finalmente” è arrivato quel qualcosa di nuovo che tutti stavamo aspettando: Putin ha annunciato, in diretta, la sospensione (si badi bene, non il recesso) dal trattato New START da parte della Federazione Russa.

Lo Strategic Arms Limitation Treaty è un trattato evoluto nel corso dei decenni, firmato nella sua prima edizione tra gli USA e la moritura Unione Sovietica nel luglio 1991 per limitare a 6000 il numero di testate nucleari strategiche in servizio attivo su non più di 1600 vettori (non ci dilunghiamo sulla definizione specifica), poi modificato con i successivi trattati START II (mai entrato in vigore) SORT e infine New START, firmato nel 2009 da Obama e Medvedev, per limitare ulteriormente il numero di testate in servizio attivo a 1550, su un massimo di 800 tra ICBM, SLBM e bombardieri strategici.
Al 20 febbraio 2023, il trattato START rimaneva l’unico trattato di riduzione degli armamenti nucleari tra le due superpotenze ancora in vigore, caduti negli anni i trattati ABM e INF.

Il progressivo disfacimento di questi trattati internazionali sulle armi nucleari ci porta a riflettere su uno dei filoni più importanti – ma meno esplorati – della rottura delle relazioni tra Mosca e Washington dopo la “luna di miele” – se così possiamo chiamarla – del periodo immediatamente successivo alla guerra fredda: La questione della deterrenza nucleare; dunque come i rapidi cambiamenti nell’equilibrio di potenza nucleare, e le decisioni americane e russe, abbiano portato ad un circolo vizioso, ad un “dilemma di sicurezza” – come lo chiamano gli studiosi di relazioni internazionali – che ha di fatto reso l’escalation una decisione logica da entrambe le parti. In generale, è necessario chiedersi quale sia – e sia stato – il peso, e il ruolo, del fattore nucleare nella competizione tra Washington e Mosca (re)innescatasi gradualmente dopo la fine della guerra fredda.

“La più grande catastrofe”

Nel 2005, Putin definì il crollo dell’Unione Sovietica “la più grande catastrofe geopolitica del XX secolo“. Sicuramente, questo è vero per quanto riguarda l’arsenale nucleare russo: Secondo il “formato di Lisbona”, l’ex arsenale sovietico dislocato in Ucraina, Bielorussia e Kazakistan viene in parte trasferito alla Russia, in parte smantellato, per far aderire i 3 stati al trattato di non proliferazione e far sì che solo uno degli stati successori dell’URSS – il principale – succedesse ad essa anche come superpotenza nucleare.

L’arsenale strategico della neonata Federazione Russa poi, già decisamente ridotto (anche grazie al primo trattato START) rispetto a quello sovietico, sconta negli anni ’90 il complessivo – rovinoso – declino dell’economia del paese, che mal sopporta la “shock therapy” di Yegor Gaidar, accusa la privatizzazione a beneficio di oligarchi affiliati al Partito Comunista, a gruppi criminali o noveau riches dell’”economia grigia” di epoca gorbacheviana; soffre il crollo dei servizi pubblici e la rapida perdita di integrazione con le repubbliche ex sovietiche e i paesi dell’ex blocco socialista. Questo declino interessa anche le forze armate russe, che combattono la prima guerra di Cecenia in condizioni rovinose, e infatti la perdono.

Neanche il più prezioso strumento militare che uno stato può avere – quello nucleare – riesce ad attraversare illeso questa decade disastrosa: Proprio in un momento in cui (grazie al trattato START, che limita notevolmente il numero di testate) il bilanciamento di potenza nucleare diventa principalmente basato sulla qualità degli armamenti, i russi per mancanza di fondi sono costretti a rallentare o cancellare numerosi progetti, ad accontentarsi di un mero mantenimento – di scarsa qualità – dell’arsenale sovietico, che con il passare degli anni si avvicina gradualmente all’obsolescenza. Mentre gli USA – ben contenti di ridurre il numero dei loro armamenti e beneficiare del cosiddetto “dividendo della pace” – sono liberi di concentrarsi su un ammodernamento tecnologico del loro arsenale nucleare strategicoconvenzionale strategico e soprattutto anti-missile, fino a – come vedremo tra poco – minacciare di ottenere nuovamente ciò che circa dalla metà degli anni ’60 era diventato un miraggio inafferabile: Supremazia nucleare. Quindi, libertà d’azione illimitatase accoppiata con la vasta superiorità convenzionale di cui Washington gode in questi anni.

Contenimento preventivo

Con la fine della guerra fredda, la tradizionale missione della geopolitica anglosassone – ovvero, la prevenzione dell’emersione di un grande polo di potenza in Eurasia – diventa puramente teorica. Non si tratta più di combattere – indirettamente o attivamente – una Germania (guglielmina o hitleriana) che si lancia verso il Rimland europeo e l’Heartland eurasiatico, né di contenere e poi strangolare un’Unione Sovietica a cui sembra mancare veramente poco per guadagnare una posizione di predominio nell’Isola Mondo.

Le minacce sono ora solamente potenziali, bisogna prevenire piuttosto che curare.
Ed è proprio in questo senso che gli USA si muovono negli anni ’90, secondo la dottrina che prenderà il nome di “contenimento preventivo“: Tenere la Germania “sotto” plasmando la costruzione europea nel suo “momento hamiltoniano” e riorientando l’apparato di intelligence, impedire che Iraq o Iran guadagnino una posizione di predominio nel Golfo Persico diventando potenze più che regionali, e soprattutto portare Russia e Cina dentro al nuovo ordine mondiale annunciato da G. H. W. Bush in occasione della Guerra del Golfo e plasmato dalla vocazione multilaterale dell’amministrazione Clinton, un ordine mondiale fondato sul dominio statunitense dei “beni comuni” (mare, aria, spazio, reti, sistemi di pagamento) sul principio economico della porta aperta (Washington Consensus) e imperniato su istituzioni internazionali plasmate per – usando le parole del noto stratega e politologo americano Zbigniew Brzezinski – “istituzionalizzare la preminenza globale dell’occidente“; tramite l’ambivalente logica del congagement (containment + engagement).

Ingaggiare elargendo i “beni comuni”contenere con la supremazia militare, economica, di intelligence. Integrare nel nuovo ordine mondiale a guida americana sia tramite la collaborazione che tramite la coercizione. Bastone e carota, insomma.

Ingaggiare la Cina permettendo la sua entrata nel WTO e tramite l’interscambio economico – come auspicato un secolo prima dall’ammiraglio Alfred T. Mahan – contenerla sviluppando una nuova partnership strategica con l’India, inviando portaerei nello stretto di Taiwan durante le crisi degli anni ’90, appoggiando il riarmo giapponese e cercando di guadagnare l’appoggio russo.

Ingaggiare la Russia accettandone l’entrata nel G8, nella partnership for peace della NATO ed enfatizzando interessi comuni (per quanto veri) come la lotta all’islamismo radicale nel suo estero vicino e il bilanciamento della Cina, “contenerla” (ma, si potrebbe dire, inglobarla) smantellando pezzo per pezzo la sua sfera d’influenza; o con la piena collaborazione dei governi locali – come nei baltici – o creandone di nuovi con metodi più muscolari come in Yugoslavia, Georgia, Asia Centrale, Ucraina, promuovendo con i mezzi del soft power anglosassone – Radio LibertyJamestown Foundation, RAND, USAID, NED, Open Society Foundation, BBC etc etc – delle identità e dei discorsi nazionali nelle repubbliche ex-sovietiche del tutto incompatibili con il mantenimento di forme estese di integrazione post-sovietica, in modo da togliere a Mosca la possibilità di poter puntare su un’alternativa rispetto all’ordine mondiale a guida americana.
E infine, come stiamo per vedere, tentando di privare la Russia del “grande equalizzatore” della deterrenza nucleare.

La famosa foto di Putin, Berlusconi e Bush a Pratica di Mare, in occasione degli accordi che porteranno la Russia nel G8. L'apice dell'"engagement"
La famosa foto di Putin, Berlusconi e Bush a Pratica di Mare, in occasione degli accordi che porteranno la Russia nel G8. L’apice dell’”engagement

Declino russo

Il progressivo declino dell’arsenale nucleare russo – sia in assoluto che relativamente a quello americano – creano nervosismo a Mosca. Si sprecano i paralleli tra l’intervento unilaterale della NATO in Yugoslavia del 1995 e la situazione in Cecenia, congelata ma non risolta dagli accordi di Kasav-Yurt nel 1996. Una NATO che non dovesse temere il deterrente nucleare russo – conscia della sua incontestabile superiorità convenzionale – perché non dovrebbe agire in una futura crisi cecena, o in Tatarstan o altrove nel Caucaso nello stesso modo in cui agisce in Yugoslavia? La deterrenza nucleare va riaffermata a fronte della debolezza convenzionale della Russia. Con un’azione che non fa altro che alimentare il circolo vizioso del “dilemma di sicurezza” (per aumentare la mia sicurezza, compio azioni che spingono altri stati a sentire minacciata la propria sicurezza) nel 1997 Ivan Rybkin – Segretario del Consiglio di Sicurezza Russo – dichiara la fine della dottrina No First Use nucleare, affermando che Mosca potrebbe usare armi nucleari per prima se i suoi interessi fondamentali venissero minacciati.
Fino alla fine degli anni ’80, sono stati gli Stati Uniti (che infatti non hanno mai avuto una dottrina nucleare No First Use) consci della loro inferiorità convenzionale in Eurasia, a fare affidamento sul deterrente nucleare per la sicurezza dei propri interessi strategici, ora questa realtà si è completamente ribaltata.

Due anni dopo – nel 1999 – il congresso americano vara il National Missile Defence Program – dichiaratamente in risposta al primo test nucleare nordcoreano del 1998 – con cui gli USA si impegnano a dotarsi “il prima possibile” di uno scudo antimissile, rinnovando il sogno (poi abbandonato) dell’amministrazione Raegan che (inconsapevolmente forse) scaldò la guerra fredda a livelli quasi senza precedenti e spinse l’URSS verso una corsa agli armamenti che – è opinione di molti storici – contribuì in modo sostanziale alla sua disgregazione.

La risposta russa, infatti, non tarda ad arrivare: Pochi mesi dopo la risoluzione del congresso, Mosca sospende i negoziati del rinnovo del trattato START, e tramite direttiva prolunga la vita di servizio di diversi armamenti nucleari che sarebbero stati ritirati nel giro di pochi anni (o mesi). Mentre si consuma l’intervento in Kosovo, la nuova dottrina militare russa afferma: “La NATO ha ormai elevato a livello di dottrina strategica l’impegno in teatri out of area senza la sanzione del Consiglio di Sicurezza“. Con un comunicato congiunto con Pechino, Mosca denuncia il “tentativo statunitense di guadagnare supremazia“.

Washington però non sembra dare conto a questi segnali, e il motivo è spiegato con parole molto chiare dal neoletto presidente G. W. Bush: “America has, and intends to keep, military strenghts beyond challenges – thereby making the destabilizing arms races of other eras pointless“. Gli Stati Uniti credono di poter ottenere e mantenere un livello di superiorità militare tale da rendere futile – e quindi scoraggiare – qualsiasi tentativo di bilanciamento da parte di altre potenze. In sostanza russi e cinesi possono fare ciò che vogliono, ma non potranno evitare la nascita e la permanenza della supremazia (nucleare e convenzionale) americana, con tutte le implicazioni geopolitiche che comporterà. E’ un’idea che trova risonanza anche in ambienti accademici legati al mondo neocon, con William Wohlfort che, ad esempio – in un articolo su International Security che rimarrà influente nel campo delle relazioni internazionali – sosterrà che gli USA abbiano superato la soglia del balance of power e che la vecchia costante del sistema internazionale (se sono eccessivamente forte, gli altri attori si rafforzeranno – balancing interno – e si coalizzeranno – balancing esterno – per bilanciarmi) non si applichi più. Che gli altri attori del sistema internazionale non cercheranno di bilanciare gli USA, nel mondo unipolare in cui la storia è finita. Questa considerazione strategica si dimostrerà errata.

Test di un sistema Ground Based Midcourse Defense in grado di intercettare ICBM. Attualmente installato in California e in Alaska.
Test di un sistema Ground Based Midcourse Defense in grado di intercettare ICBM. Attualmente il GMD è installato in California e in Alaska.

Il recesso dal trattato ABM

Quanto possa sembrare pericoloso agli occhi della Russia uno scenario in cui la sua deterrenza nucleare risulti di fatto neutralizzata non sfugge a Washington: Il Vice Segretario di Stato e noto analista Strobe Tallbot – esprimendosi durante il convulso processo che porterà al recesso unilaterale dal trattato ABM – è addirittura dell’opinione che questo tema, per Mosca, sia una fonte di preoccupazione ancora maggiore dell’espansione ad est della NATO o degli interventi unilaterali in Yugoslavia. Semplicemente, come detto prima, gli USA pensano di poterlo – e in effetti, doverlo – raggiungere a prescindere da ogni obiezione russa o cinese. Nel 2002 – in una testimonianza davanti al congresso – l’allora Segretario di Stato Collin Powell, racconterà che Bush abbia risposto alle obiezioni di Putin riguardo la difesa anti-missile americana con queste parole: “You can do whatever you think you have to do for your security. You can MIRV [multiple independently targeted re-entry vehicle] your missiles, you can keep more, you can go lower. Do what you think you need. This is what we know we need, and we are going to this level.

Da parte russa – in quel periodo che va dall’approvazione del NMDP nel 1999 al recesso dal trattato ABM nel 2002 – si segue una strategia su tre binari, volta a creare diverse opzioni per fronteggiare una minaccia strategica che è ormai a pochi anni (o mesi) dal diventare realtà.

Il primo binario è quello di provare a proporre alternative alla difesa anti-missile americana. Se – come Washington sostiene pubblicamente – la ratio di questo programma è quella di difendere USA e alleati da missili nordcoreani o iraniani (convenzionali) e non invece di negare il deterrente nucleare di potenziali competitor come Russia e Cina in un’ottica di “contenimento preventivo”, allora alla Russia (che peraltro in questi anni è effettivamente preoccupata dal programma iraniano) dovrebbe essere permesso di partecipare. Mosca propone una “Missile Defence for Europe” congiunta con la NATO, accompagnata dall’entrata della Russia nella PESC, la nascente politica estera e di sicurezza comune dell’Unione Europea. Questa opzione viene rigettata, e il motivo può essere spiegato dalle parole di Steven Hildreth, del servizio di ricerca congressuale US: “Il focus della nostra retorica è la Corea del Nord. La realtà è che stiamo guardando anche, nel lungo periodo, all’elefante nella stanza, che è la Cina“.
Dire Corea del Nord e intendere Cina, dire Iran e intendere Russia. E in effetti, anche dal punto di vista pratico, la differenza non esiste: Già nel 2000, i primi radar x-band (in grado di tracciare missili balistici) dispiegati in Giappone e le prime navi Aegis dotate di sistemi anti-missile – in parte sotto controllo USA, in parte sotto controllo giapponese e sudcoreano – sono in grado di neutralizzare una parte dell’estremamente ridotto arsenale nucleare cinese, nonostante siano dichiaratemente sistemi d’arma pensati in funzione anti-nordcoreana. E in sostanza, per il calcolo strategico di Mosca e Pechino non è minimamente rilevante – a prescindere dal fatto che l’idea che gli USA temessero l’arsenale in fieri di una DPRK apertamente ostile più di quello di una Russia molto collaborativa alla fine degli anni ’90, non sia così folle – che un nuovo sistema d’arma capace di alterare la loro deterrenza nucleare sia stato pensato con altre potenze in mente.

Il secondo è quello di mettere Washington in condizione di scegliere tra un ulteriore disarmo nucleare – e quindi un ulteriore “dividendo della pace” – o una costosa corsa alle armi (che, in retrospettiva appare chiaro, Washington però non teme affatto, e non considera neanche una prospettiva credibile). Nell’estate del 2000 Anatoly Kvashnin – Capo di Stato Maggiore delle Forze Armate Russe – vara un radicale piano di de-nuclearizzazione, che avrebbe ridotto ad appena 1500 (rispetto alle 6000 permesse dal trattato START ai tempi) il numero di testate strategiche russe attive, con una postilla: Ci sarebbero state “conseguenze materiali” se gli USA avessero effettuato il recesso dal trattato ABM.

Il terzo quello di preparare il “bilanciamento interno” ed “esterno”, rafforzare la deterrenza nel caso in cui le altre opzioni non funzionassero. La Russia del 2000 – ancora estremamente dissestata dal punto di vista economico – non può pensare a grandi piani di riarmo (quantitativo o qualitativo) ed è quindi obbligata ad adottare opzioni a costo zero o quasi, come la sopracitata estensione della vita degli armamenti nucleari sovietici. Ma anche – in ottica di bilanciamento esterno – l’esplorazione di un’asse con la Cina (fin’ora, la Russia post-sovietica aveva guardato, e continuerà invero a guardare per ancora diversi anni, ad occidente, con la cosiddetta “Dottrina Kosyrev“) con cui Mosca firma congiuntamente il trattato PAROS del 2002, contro la “militarizzazione dello spazio“: Qui il riferimento allo “scudo spaziale” pensato da Raegan e riproposto teoricamente in questi anni è chiaro. Un’asse destinato ad espandersi gradualmente negli anni, che già nel 2005 porterà ad uno sforzo congiunto (riuscito) per espellere gli Stati Uniti dalle proprie basi militari in Asia Centrale – fatto che complicherà non poco l’impegno di Washington in Afghanistan – e 20 anni dopo alla dichiarazione di “amicizia senza limiti” di Xi Jinping nei confronti della Russia.

Infine – forse il passo più destabilizzante dal punto di vista dell’equilibrio nucleare – abbassando ulteriormente la soglia dichiarata di utilizzo dell’arma nucleare: Se nel 1997 era stata abbandonata la dottrina “No First Use“, nel 2000 la Russia (ri)adotta la celebre dottrina “Escalate to de-escalate“, ovvero la teorizzazione di un primo colpo nucleare in funzione counterforce (contro le armi nucleari dell’avversario) per togliergli opzioni realistiche di escalation e portarlo al tavolo delle trattative (ovviamente, da una posizione di forza).

Quest’ultima sarà la strategia a cui una Russia estremamente impreparata ad una corsa alle armi dovrà ricorrere, quando finalmente nel 2002 il Presidente Bush ritirerà unilateralmente gli USA dal Trattato ABM.
Il trattato, firmato nel 1972 all’apice della distensione (conseguente al raggiungimento della parità nucleare da parte sovietica alla fine degli anni ’60) prevedeva la messa al bando dei sistemi capaci di intercettare missili nucleari strategici (non tattici) salvo un sito per paese a protezione della capitale. La ratio era quella dell’arcinota MAD – Mutually Assured Destruction – la teoria formulata dal SecDef McNamara, secondo cui la presenza di due arsenali nucleari capaci di obliterare il paese avversario (anche dopo aver subito un attacco nucleare, “second strike capability“) avrebbe scongiurato (o notevolmente ridotto la probabilità di) una guerra diretta tra le due potenze. O quantomeno, una guerra nucleare. In quest’ottica, un sistema anti-missile, che avesse minacciato di eliminare la deterrenza avversaria, sarebbe stato un fattore di destabilizzazione per entrambe le parti.

Nello stesso anno, Bush crea la Missile Defence Agency, che sarà responsabile di provvedere ai sistemi anti-missile americani in tutto il mondo. Sempre nel 2002, verrà varata la Nuclear Posture Review, che traccerà una politica nucleare statunitense su tre direttrici: Offesa, difesa (nuovi e vecchi sistemi anti-missile) e modernizzazione dell’intera filiera di produzione e ricerca. Anche quest’ultimo aspetto è particolarmente significativo, perché – usando le parole di Corrado Stefanachi – “equivaleva senz’altro a un ambizioso piano di modernizzazione degli arsenali americani e dunque di proliferazione verticale, seppure ai livelli quantitativi di testate operative fissati dal c.d. Trattato di Mosca del 2002 sulla riduzione delle forze strategiche.“. Razionalmente, gli Stati Uniti che godono di un enorme primato tecnologico ed economico, non vedono nei trattati di riduzione delle testate – che firmano volentieri, anche con il falco Bush – degli ostacoli alla loro (ormai vicina) supremazia nucleare: Se la sfida si sposta sul campo tecnologico, piuttostoche su quello quantitativo – dove possono ancora pesare le scorte sovietiche – tanto meglio. Dal canto suo la Russia non solo non vuole rompere completamente con gli USA rigettando il Trattato SORT, ma sarebbe forse costretta a limitare comunque il suo arsenale, viste le difficoltà economiche da cui non uscirà per ancora diversi anni.

Sul significato della Nuclear Posture Review si esprimerà senza mezzi termini – pochi mesi dopo – un rapporto dell’influente think-tank realista RAND Corporation (sempre libero dalle necessarie ipocrisie e mezze verità che la politica e la diplomazia impongono) intitolato “Future roles of U.S. nuclear forces“, che afferma: “Quello che la forza in costruzione sembra più adatta a fornire, aldilà delle classiche funzioni di deterrenza, è una capacità counterforce preventiva contro Russia e Cina. In caso contrario, i numeri e le procedure operative semplicemente non tornano“.

Rientro nell'atmosfera di un ICBM americano "Minuteman III" nelle isole Marshall
Rientro nell’atmosfera di un ICBM americano “Minuteman III” nelle isole Marshall

Il miraggio della supremazia nucleare

Nei successivi 10 anni, complici la modernizzazione dei sistemi, lo sviluppo della difesa anti-missile e il relativo declino dell’arsenale russo, gli USA arriveranno molto vicini alla – e secondo alcune analisi, effettivamente raggiungeranno la – capacità di disabilitare interamente un arsenale nucleare russo non in stato di allerta con un primo colpo e – cosa ancora più sorprendente – causando un numero minimo di vittime, a causa dell’alta precisione ottenuta con la modernizzazione dei 15 anni precedenti, che consente di usare testate dalla potenza minore.

Gli USA vogliono dotarsi anche di nuove capacità particolarmente adatte ad un first strike e ad attacchi a sorpresa, come le “micro armi nucleari” che possono entrare in una valigetta – la cui messa al bando viene ritirata nel 2004 – o l’ammodernamento delle testate W76 particolarmente adatte a distruggere i silo nucleari – secondo il noto articolo “The End of MAD?” del 2006 su International Security, di Karl Lieber e Daryl Press – “difficile da giustificare a meno che gli Stati Uniti non stiano perseguendo la supremazia nucleare, e abbiano bisogno della capacità di distruggere centinaia di silo rinforzati nemici“.

E in effetti, in questo stesso (ampiamente citato) articolo si afferma: “Oggi gli Stati Uniti sono sull’orlo della supremazia nucleare” […] “Un attacco a sorpresa avrebbe una ragionevole possibilità di andare a buon fine” contro un arsenale russo non in stato di allerta. E dunque probabilmente anche contro un arsenale cinese (di un ordine di grandezza più piccolo) anche se in stato di allerta, una possibilità concreta che potrebbe presentarsi in caso di un altro flashpoint Taiwan, come quelli della decade precedente. Del resto – proseguono Lieber & Press – la possibilità di un attacco nucleare preventivo non solo non è mai stata negata da Washington, ma è stata anche attivamente considerata e studiata, ad esempio dall’amministrazione Kennedy durante la crisi di Berlino del ’61. Potrebbe diventare inoltre molto più appetibile, se la possibilità di neutralizzare l’arsenale avversario potesse concretizzarsi con un numero minimo di vittime, indebolendo in un certo senso il “taboo nucleare“.

Gli autori concludono con un giudizio che in fondo si dimostrerà veritiero: “Lo sbilanciamento dei rapporti di forza nucleari potrebbe danneggiare significativamente le relazioni tra le grandi potenze“.

La questione dei sistemi anti-missile diventerà particolarmente saliente a causa della problematica del “third site” – il progetto dell’amministrazione Bush di installare una batteria Ground Based Midcourse Defence (GMD) in grado di intercettare anche gli ICBM russi – in Polonia, che rimarrà in fase di attuazione dal 2007 al 2010. Dapprima la Russia cerca di essere inclusa nel sistema anti-missile americano (ormai, viene da pensare, solo per dimostrare a se stessa quanto il progetto sia tutt’altro che limitato al contenimento dell’Iran) proponendo di sostituire il radar x-band in Repubblica Ceca – complementare al third site polacco – con il radar russo classe “Daryal” situato in Azerbaijan (dunque, in posizione perfetta per monitorare l’Iran). Gli americani visiteranno il sito (per la prima volta nella storia) ma declineranno l’offerta russa, citando difficoltà tecniche.

Il clima peggiorerà sensibilmente nei 3 anni successivi, complici la progressiva ripresa economica della Russia (ora più sicura di se e della sua capacità di spesa) e alcuni significativi eventi geopolitici. Nel celebre discorso di Monaco del 2007 – considerato quello di “rottura” con la NATO – Putin citerà proprio la questione del trattato ABM tra le ragioni per cui – a suo dire – la Russia sarebbe minacciata da una superpotenza mondiale in costante ricerca dell’egemonia unipolare. Nel 2008, l’invasione dell’Ossezia del Sud (e l’attacco ai peacekeeper russi) da parte di un esercito armato e addestrato dalla NATO, guidata da un presidente asceso al potere tramite una rivoluzione avvenuta con il fondamentale contributo dell’apparato delle rivoluzioni colorate angloamericano, unita all’ampliamento del progetto Third Site con ulteriori batterie Patriot (capaci di intercettare anche i missili a corto e medio raggio russi, oltre agli ICBM intercettabili dai GMD) e un accordo di sicurezza e ammodernamento delle forze armate USA-Polonia, precipita ulteriormente le relazioni tra Mosca e Washington.

Appena dopo il conflitto, il presidente Medvedev vara un grosso programma di riammodernamento nucleare (oltreché convenzionale) delle forze armate russe: Il 50% delle forze nucleari dovranno essere modernizzate entro il 2015, il 100% entro il 2020, ricomincia la ricerca in armi nucleari a bassa potenza. La Cina – che, sostiene Brzezinski, inizia ad assumere una postura marcatamente ostile agli USA dopo la crisi finanziaria del 2008 – annuncerà un piano simile nel 2010.

Batterie antimissile "Patriot" in Polonia
Batterie antimissile “Patriot” in Polonia

La nuova corsa agli armamenti nucleari

Come nel decennio precedente (con il SORT) paradossalmente, una nuova era di instabilità nucleare viene introdotta dalla firma di un trattato che limita dal punto di vista quantitativo gli arsenali delle due potenze: Il già citato New START – sospeso da Putin a febbraio 2023 – che limita a 1550 il numero di testate strategiche attive. Entrambe le potenze, per ragioni diverse, sono d’accordo nello spostare la contesa sul piano unicamente qualitativo.

La Russia si concentra sullo sviluppo di un arsenale nucleare che non sia neutralizzabile – né con un primo colpo né con difese antimissile, né con una combinazione delle due – iniziando nel 2009 lo sviluppo dell’ICBM “Sarmat“, che entrerà in servizio nel 2022, mentre già i “Topol-M” iniziano ad essere sostituiti con i più avanzati “Yars RS-24” nel 2010, sia nei silo che nelle unità mobili della sezione terrestre della triade nucleare russa.
Ricomincia anche l’investimento in missili a medio raggio, capaci di colpire in Europa sia obiettivi strategici, che siti anti-missile americani. Dal 2010 inizia la sostituzione dei vecchi “Tochka” con gli “Iskander” (poi “Iskander-M” e “Iskander-K“) che verranno installati nel 2015 nell’exclave russa di Kaliningrad, causando le proteste della NATO e – insieme ad altri fattori – il recesso americano dal trattato INF per la proibizione dei missili a raggio intermedio in Europa, nel 2016. Ma anche l’equipaggiamento di sottomarini classe “Yasen” nel Mar Nero con missili “Onyx” e “Kalibr“, in grado di svolgere lo stesso ruolo dal mare (impiegati costantemente in funzione convenzionale nella guerra in Ucraina).

In generale, tutte le componenti della deterrenza nucleare vengono migliorate sensibilmente: Dai radar – con la nuova classe “Voronezh” – ai sistemi anti-missile intermedi, con la velocizzazione del programma S-400 e la progettazione dell’S-500, fino ai sistemi di comando e controllo, con l’unificazione sotto le “forze aerospaziali” dell’intero sistema di difesa anti-missile. La modernizzazione riguarda anche componenti del tutto nuove della guerra nucleare, come i missili ipersonici “Kinzhal” e “Tsirkon” – che entreranno in servizio nella decade successiva – e i sistemi di guerra elettronica: Ad aprile 2014, nel pieno dell’annessione della Crimea e dell’inizio della guerra del Donbass, un SU-24 equipaggiato con un sistema di guerra elettronica “Khibiny” sorvolerà un moderno cacciatorpediniere americano classe “Arleigh Burke” nel Mar Nero, spegnendone completamente i sistemi elettronici per poi simularne il bombardamento.
In una conferenza stampa del 2017, Putin mostra al mondo le nuove componenti più avanzate della deterrenza nucleare russa, tra cui il “siluro dell’apocalisse” “Poseidon” – di cui si è parlato negli ultimi mesi – e i missili in-container Club-k particolarmente adatti sia a conseguire un attacco a sorpresa, che a sopravviverne uno. La forza nucleare russa – dieci anni dopo – ne esce completamente rimodernata e meno vulnerabile rispetto alla metà degli anni ‘2000, anche se ancora inferiore in determinati aspetti: Uno su tutti la difesa anti-missile, con un solo sistema “A-135” – ereditato dall’era del Trattato ABM – intorno a Mosca in grado di intercettare ICBM, rispetto alle varie installazioni americane in giro per il mondo.

4 Mig-31 russi equipaggiati con il missile ipersonico “Kinzhal“, utilizzabile (e utilizzato) sia con testata convenzionale che con testata nucleare

Contromossa americana: Aegis e Prompt Global Strike

Gli anni ’10 – dal punto di vista americano – sono invece segnati da un ulteriore sviluppo della difesa anti-missile, e da una particolare enfasi sulle armi strategiche non-nucleari: Il sogno della supremazia nucleare non è ancora morto, soprattutto nei confronti di attori con arsenali inferiori a quello della Federazione Russa.

Con quello che inizialmente sembra un atto di distensione – anche a Putin – Obama nel 2010 sostituisce il progetto “Third Site” con l’”European Phased Adapative Approach” (EPAA) un progetto che prevede il graduale sviluppo di una difesa anti-missile in Europa, dapprima basata sulle navi Aegis dotate di missili SM-2 (capaci di intercettare solo missili a corto/medio raggio) e poi SM-3 (che già nel 2020 sono in grado di intercettare ICBM) in seguito con la costruzione di due siti Aegis Ashore proprio in Polonia (aprirà nel 2021) e in Romania (nel 2015). Il risultato è quindi quello di sostituire un “terzo sito” subito, con un terzo e quarto sito per l’intercettazione di ICBM entro una decina di anniunito ad un anello di navi Aegis – regolarmente presenti nel Mar Nero e nel Mare di Barents – e a installazioni radar mobili TPY-2 (una delle quali regolarmente presenti in Turchia) e fisse (nei siti Aegis Ashore). Quindi una capacità di difesa anti-missile addirittura superiore a quella immaginata da Bush.

Degna di nota anche l’iniziativa Prompt Global Strike – particolarmente difesa da Obama – tramite cui gli USA si vogliono dotare (e secondo il SecDef Robert Gates hanno già dal 2010) della capacità di amministrare un massiccio attacco missilistico non-nucleare, entro un’ora, in qualsiasi parte del mondo. Un ruolo cardine nel PGS sarebbe ricoperto anche dalle armi ipersoniche.
E’ un programma a cui i russi prestano particolare attenzione, che ritengono possa mettere in pericolo ben l’80% del loro arsenale nucleare. In una conferenza tecnico-scientifica a Tula, nel 2014, viene discusso l’eterno incubo della Russia post-guerra fredda nei confronti degli Stati Uniti: Uno scenario yugoslavo o libico in cui il deterrente nucleare russo potrebbe essere neutralizzato addirittura senza l’uso di armi nucleari, quindi con un’azione politicamente molto più facile per Washington, che non dovrebbe rompere per prima il “taboo nucleare”. A ben vedere, questo è il vero senso del noto discorso del Capo di Stato Maggiore Valery Gerasimov, poi erroneamente passato alla stampa come “dottrina”: Uno scenario “ibrido” che si trasforma in uno scacco matto per la Russia. Già nel 2015, una pubblicazione scientifico-militare russa ritiene che con “meno di 1000 missili ipersonici convenzionali” gli Stati Uniti possano distruggere completamente l’arsenale nucleare russo, occupandosi dei pochi rimasugli con la difesa anti-missile.

E in effetti, questi due aspetti della deterrenza (difesa anti-missile e capacità PGS) sono intimamente legati tra loro: Nella Missile Defense Review del 2019 viene prevista la capacità di “distruzione dei missili prima che vengano lanciati” nel concetto di difesa anti-missile.

Persino i lanciatori MK-41 dei sistemi Aegis Ashore in Polonia e Romania potrebbero svolgere una doppia funzione, potendo lanciare anche missili di natura offensiva: La Russia infatti ne denuncerà l’installazione come violazione del Trattato INF.

La minaccia di un primo colpo (nucleare o meno) decisivo non è solamente presente nella pubblicistica russa: I già citati Lieber & Press tornano sull’argomento nel 2017, affermando che “L’accuratezza dei sistemi d’arma nucleari è oggi arrivata al punto da permettere dei colpi disarmanti causando minime vittime“, e che individuare e distruggere anche i sottomarini nucleari e i sistemi mobili sia tutto fuorché impossibile, specialmente contro un arsenale quantitativamente ridotto come quello cinese.

Missile SM-3 viene lanciato dalla nave Aegis USS Lake Erie, Oceano Pacifico
Missile SM-3 viene lanciato dalla nave Aegis USS Lake Erie, Oceano Pacifico

Conclusione

Nota: Questo articolo, oltre che su libri e articoli liberamente accessibili, è basato in gran parte su fonti accademiche. Nella prossima newsletter verranno inviati tutti i riferimenti bibliografici di cui non è stato inserito il link qui (in pdf!)

Le analisi sulla rottura dei rapporti tra Russia e USA (anche le nostre) dopo la guerra fredda si basano spesso sulla semplice lettura dei conflitti post-sovietici e dell’allargamento della NATO, in ottica di unipolarismo americano, di revisionismo/revanscismo russo o di entrambi. Come speriamo di aver dimostrato, invece, un peso determinante è stato giocato anche dall’alterazione dell’equilibrio nucleare tra le due superpotenze, che certamente si è intersecato con le altre vicende di cui sempre si parla.

Una nuova era nucleare in cui – questo è interessante notarlo, da un punto di vista realista – entrambi gli attori hanno agito in maniera del tutto razionale: Gli americani volendo cristallizzare anche dal punto di vista nucleare la supremazia mondiale ottenuta dopo il 1991 – in un’ottica di contenimento preventivo – i russi non rassegnandosi all’irrilevanza del proprio deterrente nucleare, ricostruendolo anche tramite azioni aggressive (come gli Iskander a Kaliningrad e l’abbandono della dottrina NFU). Azioni che si alimentano a vicenda, nell’eterno dilemma della sicurezza. La teoria del Balance of Power che riconferma la sua rilevanza, e l’irrilevanza delle idee eccezionaliste sulla fine della storia.

Del resto il tema nucleare – che si ripropone con forza all’opinione pubblica con la guerra in Ucraina – è tutto fuorché limitato a mere (quindi vuote, secondo alcuni) minacce e tintinnar di sciabole. E’ invece estremamente concreto: Se sappiamo – come scrivono autorevoli studi sul tema – che l’arsenale russo in tempo di pace è effettivamente vulnerabile a un primo colpo americano, la messa in stato d’allerta delle forze nucleari russe all’inizio dell’”operazione militare speciale” assume un significato squisitamente pratico. L’analista di questioni militari russe a Forth Levensworth – il Maggiore Charles Bartles – nel 2017 si esprime in questo modo: “La Russia teme degli Stati Uniti che, con un esercito convenzionale e non convenzionale molto più potente, non siano limitati dalla minaccia nucleare russa. La Russia ritiene che l’unica cosa rimasta a dissuadere gli Stati Uniti da un maggiore coinvolgimento in Ucraina siano le armi nucleari russe e la deterrenza strategica che esse forniscono.” E questo essenzialmente è vero, cosa ferma la NATO dall’usare la sua superiorità convenzionale per vincere la guerra in Ucraina (cosa che viene regolarmente proposta)? In ultimo luogo il deterrente nucleare russo, e quello soltanto.

La sospensione del trattato START non fa che rendere ancora più evidente quanto pesi il “fattore nucleare” nella nuova competizione strategica tra USA e Russia. E non solo.

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