Da La Fionda.
Oggi studiare Confucio, per un occidentale del XXI secolo, potrebbe sembrare privo di senso: che cosa ha da dirci un filosofo cinese di 2500 anni fa a noi contemporanei?
Credo che non esista niente di più sbagliato. Confucio ha rappresentato e tutt’ora rappresenta per la Cina, il fondamento della loro civiltà. In 2500 anni di storia Cinese, Confucio è stato sempre presente: persino durante la Rivoluzione Culturale Cinese, il più grande movimento anti-confuciano della storia, Confucio era comunque l’orizzonte di riferimento (tanto che la più grande campagna della Rivoluzione Culturale fu chiamata “Critichiamo Lín Biāo, critichiamo Confucio”). Da Hú Jǐntāo a Xí Jìnpíng molti concetti confuciani sono stati ripresi per definire la politica cinese, parallelamente alla promozione del pensiero di Confucio da parte della televisione di stato (CCTV).
Dal momento che oggi la Cina è diventata uno dei pilastri fondamentali del mondo (se non IL pilastro principale), sarebbe opportuno imparare molto dalla loro civiltà, soprattutto in tempi di decadenza come questo. A mio avviso lo studio di Confucio potrebbe portare oggi a riflettere sullo sviluppo di una filosofia e di un’etica comunitaria, in opposizione al pensiero individualista libertario.
Il pensiero di Confucio è caratterizzato da due concetti cardine: Rén (仁) e Lǐ (禮).
Rén (仁) è una parola che, tradotta letteralmente, significa “senso dell’umanità”, ma tradotto in questa maniera non ha alcun significato. Il significato più autentico di questo termine lo possiamo comprendere osservando come è strutturato il suo carattere. Il carattere 仁 è composto dai pittogrammi 人 (uomo) e 二 (due): da questa sua composizione possiamo comprendere che questo termine abbia a che fare con la relazione tra persone.
Dalla struttura del carattere possiamo dunque comprendere che il “senso dell’umanità” consiste nella relazione. Di che relazione stiamo parlando però? Un’altra traduzione del termine Rén, come “benevolenza”, ci viene in aiuto.
Possiamo comprendere, da questi dati forniti, che il “senso dell’umanità” si realizza in una relazione di benevolenza tra persone: spieghiamo meglio questo principio.
Secondo buona parte del pensiero occidentale, l’uomo è un essere isolato, che realizza sé stesso individualmente, astraendosi dalle relazioni sociali: è difficile infatti che un occidentale concepisca la “libertà” (orizzonte massimo di realizzazione) come “relazione”. Casomai, in occidente, la libertà consiste nello slegarsi dai vincoli che legano l’esistenza dell’individuo a un contesto di relazioni.
Confucio invece, similmente ad Aristotele, sosteneva una prospettiva opposta: l’uomo è un “animale sociale”, che realizza sé stesso soltanto in un contesto di relazione con altre persone. Questa relazione è caratterizzata dalla benevolenza, che è la caratteristica propria che rende umani gli uomini: l’uomo quindi realizza sé stesso (il senso dell’umanità) attraverso la benevolenza.
Confucio aveva forse in mente una benevolenza astratta, un amare un generico “prossimo”, una sorta di “amore universale”?
Assolutamente no! L’amore e la benevolenza sono sempre concepiti all’interno di una serie di ruoli sociali: di padre e di figlio, di fratello maggiore e fratello minore, di insegnante e di alunno, di anziano e di giovane, di sovrano e di suddito e via dicendo.
L’amore che un padre dona al figlio, è diverso dall’amore che il figlio dona al padre. L’amore di un padre verso un figlio consiste nel donare l’educazione, nel donare l’esempio, nell’essere appunto un buon padre; l’amore di un figlio per il padre consiste nell’obbedienza, nella disciplina, nella gratitudine e nell’essere un buon figlio. Lo stesso si può dire di tutti gli altri rapporti, come quello tra anziano e giovane, sovrano e suddito eccetera: i rapporti familiari e sociali vengono così trasformati, attraverso Rén, in rapporti propriamente etici.
In questo senso entra in gioco il concetto di Lǐ (禮), ossia rituale, etichetta, cerimonia: questo termine originariamente indicava i sacrifici religiosi, ma nel contesto di Confucio assume un significato molto diverso.
Si tratta di tutte quelle norme e regole, tradotte in un elaborato cerimoniale, che definiscono la condotta appropriata da tenere nelle varie circostanze e improntata a un rigoroso rispetto delle gerarchie e degli ruoli sociali.
Si tratta dunque di un vuoto formalismo? Certamente no!
Queste regole di condotta sono permeate di intima adesione: sono gesti che traducono ogni sentimento e ogni circostanza in un’impareggiabile esercizio di stile, etico ed estetico insieme, essenziale per costruire un’autentica relazione tra esseri umani.
Rén e Lǐ sono dunque due concetti profondamente interconnessi: Lǐ è l’espressione di Rén, dell’uomo che realizza la sua umanità, la sua benevolenza, all’interno di un sistema di relazioni decodificato da un preciso codice di condotta, che rende autentica la relazione stessa.
Educandosi in questo modo, l’uomo comune diventa Jūn Zǐ (uomo superiore): un uomo giusto e retto, che ha fatto del senso della misura (Zhōng 中) il pilastro della sua esistenza.
Possiamo comprendere l’intima essenza di questi concetti paragonandoli alla musica. Per creare una musica armoniosa, è necessario che ogni nota venga posta in relazione con le altre, senza le quali essa non sussiste: per far sì che la musica sia armoniosa tuttavia, è necessario disporre le note in un ordine ben preciso, che risponde perfettamente alle regole dell’armonia musicale.
E’ proprio pensando a questo genere di armonia che Hú Jǐntāo nel 2005 parlò della costruzione della “Società Armoniosa” (Héxié Shèhuì 和谐社会), che costituisce il paradigma essenziale del cosiddetto “sogno cinese” tanto invocato da Xí Jìnpíng, il quale ha esteso questa visione in senso universale parlando di “mondo armonioso”.
La società occidentale e liberale, fondata sul primato dell’individuo che realizza la sua “libertà” slegandosi dai vincoli sociali e dalla loro forma rituale, da una prospettiva confuciana risulta essere una società non armoniosa, caotica, votata all’ebbrezza e alla disgregazione.
In questi anni abbiamo assistito a una lenta e inesorabile decadenza del paradigma liberale, dall’inadeguatezza del suo modello economico a quella del suo modello antropologico: questa decadenza, a mio avviso, trova il compimento massimo in questi giorni, dove le società liberali occidentali si sono dimostrate totalmente incapaci di gestire la pandemia del Coronavirus.
Dinnanzi a tutta questa decadenza, trovo davvero difficile dar torto a Confucio e al suo pensiero.
Mentre quindi le tenebre della notte avvolgono la società liberale, mentre il pensiero individualista compie il suo ultimo canto del cigno, credo che sia giunto il momento di guardare nella direzione verso cui sorge il sole. Guardare alla società cinese e al pensiero confuciano significa porsi in una dimensione dialettica con noi stessi, mettere in discussione i nostri limiti e guardare verso l’altro per comprendere meglio noi stessi.
Quando la società cinese dovette liberarsi dall’imperialismo delle potenze coloniali, ebbe il coraggio di guardare ad occidente e mettere in discussione i limiti dei suoi paradigmi: dobbiamo oggi trovare lo stesso coraggio e guardare a oriente per mettere in discussione i limiti dei nostri paradigmi!
Dobbiamo trovare il coraggio di imparare da quel pensatore di nome Confucio, da quei concetti di Rén e Lǐ così distanti dal nostro modo di concepire l’uomo e la società, che possono tuttavia aiutarci a costruire la nostra società armoniosa e a dare il nostro contributo alla costruzione di un mondo armonioso.