Le verità e le falsità sull’attentato terroristico al Crocus di Mosca

Sono anni che non accadevano attentati terroristici simili nella Federazione russa.
Il bilancio attuale delle vittime è di 143 morti e 182 feriti. Quella avvenuta a Mosca è una tragedia che rimarrà per anni, forse in eterno nella memoria del popolo russo – un popolo che a differenza dei vicini europei ha una memoria davvero lunga, e che soprattutto non dimentica i danni che gli vengono arrecati.
È triste pensare come il focus di gran parte della popolazione si sia rapidamente spostato dal peso di quelle vite spezzate nel mezzo della quotidianità, al freddo calcolo del mondo delle ipotesi, per capire chi sia stato a commettere quel terribile che atto, che sta diventando più un gesto geopolitico che una tragedia, trasformando le quasi 150 vite in un semplice numero, una statistica.
Anche questo articolo tuttavia si immergerà in quel freddo calcolo. È d’obbligo cercare la verità non solo per aver chiaro il quadro delle dinamiche mondiali che stanno avvenendo, ma anche per rendere giustizia alla memoria dei molti morti.

Chi sono i terroristi

Sono quattro, tutti di nazionalità tajika, le bestie che hanno commesso la carneficina.

Il primo fatto fuori è stato il 19enne Muhammadsobir Fayzov – il terrorista comparso nelle foto con l’occhio di fuori che sembrava esser morto (e dato per tale per diverse ore nei vari media russi e occidentali) ma che è stato invece portato in ospedale e interrogato lì.

C’è poi il 32enne Dalerjon Mirzoyev, probabilmente il più preparato dei quattro, il più serio, inespressivo e tranquillo, nonostante non parlasse russo (tant’è che gli è servito un interprete), e che Intel slava infatti definisce il leader del gruppo, ma che non gli è assolutamente bastato per evitarsi le botte.

C’è il 30enne Shamsidin Fariduni: è lui il mostriciattolo rilanciato su gran parte dei media russi e occidentali, dove, col viso su uno stivale e coi capelli tirati, ha ammesso, tremolante, di esser stato pagato da anonimi su telegram [primo post di Intel slava, secondo post], e che compare infine (probabilmente avvenuto cronologicamente prima dell’interrogatorio) in una foto pubblicata dal Fsb, sul pavimento con i pantaloni abbassati che sembra essere collegato con dei fili elettrici ad “un dispositivo di comunicazione militare TA-57, che le forze di sicurezza utilizzano per torturare con scosse elettriche”, come riporta Meduza. L’occidente ha accusato la Russia di “torture” usando specialmente questa immagine, contornato dalle altre foto dove compaiono con i lividi – a questo fronte, però, il Cremlino ha rifiutato di commentare. “Lascerò questo tema senza risposta”, ha riferito il portavoce Dmitrij Peskov.

E c’è infine il 25enne Saidakrami Rachabalizoda, preso nel bosco mentre si nascondeva dietro un albero, picchiato mentre si dimenava e piangeva come un bimbo, e a cui hanno tagliato l’orecchio (facendoglielo mangiare) perché si rifiutava di parlare, oltre al fatto, non trascurabile, che parlava davvero poco il russo, e che è stato dunque sicuramente sostenuto dagli altri connazionali tajiki.
Anche sul fatto dell’orecchio si è parlato molto, nei salotti televisivi e sui giornali dirittoumanistici, qui in occidente. Il Comitato investigativo russo non avvierà un procedimento penale contro l’agente di sicurezza che avrebbe tagliato l’orecchio di uno dei terroristi (facendoglielo mangiare) per farlo parlare. Stando alle parole dell’analista americano Prosobiec, il Comitato investigativo non ha trovato il colpevole poiché tutti i combattenti russi che hanno partecipato all’arresto si sono assunti la colpa.

Girava voce anche sul coinvolgimento di Rustam Azhiyev – avendo il volto simile a Dalerjon Mirzoyev –, chiamato anche Abdul Hakim Shishani. È leader del Ajnad al-Kavkaz – gruppo fondamentalista salafita con origini nel Caucaso – che ha combattuto in Siria fino al 2022 insieme ad Al-Qaeda e i “moderati” del SDF supportati dagli Stati Uniti.
È stato anche parte del gruppo terrorista “Obon”, membro, 15 anni fa, del gruppo terroristico dell’Emirato del Caucaso, formalmente considerata un’organizzazione terroristica anche dall’occidente stesso.
Era comunque inverosimile che un leader di queste organizzazioni fosse coinvolto in atti terroristici simili, dato che hanno un alto rischio nell’essere missioni suicide; oltre al fatto che, se mai mettesse piede in Russia, sarebbe uno scandalo ancora più grosso da parte delle forze di sicurezza russe non riconoscere ricercati di questa taglia.

Ci sono infine diversi indagati, possibili collaboratori, tra cui una famiglia di 3 tajiki: un padre e due suoi figli, tutti residenti in Russia. Questi hanno venduto recentemente ai terroristi la renault bianca che è stata utilizzata per tutta l’operazione. E un kirghiso, ottavo imputato arrestato nel caso dell’attacco terroristico al municipio di Crocus: Alisher Kasimov, 32 anni, che, secondo i media, ha affittato l’appartamento a Shamsuidin Fariduni.
Tutti e quattro hanno barbe wahhabite con baffi accorciati: “Questo è già un classico” ha commentato Intel slava.

La teoria del “false flag” proposta dall’Ucraina

Sono bastati pochi minuti per avere il duce Zelensky inveire contro la Russia accusando questa di aver orchestrato tutto l’attentato terroristico per accusare l’Ucraina stessa. Un classico ucraino: come già fatto con la diga di Nova Kakhovkanecessaria per la Crimea e un controsenso auto-abbatterla –, il drone kamikaze sul Cremlino stesso, il sabotaggio del gasdotto Nord Stream – che per quanto insensato qua ora è inutile contro-argomentare –, il bombardamento della propria centrale nucleare, il bombardamento del carcere coi prigionieri di guerra dell’Azov catturati dalla stessa Russia, il bombardamento del ponte di Crimea con la successivo ricostruzione (forse è un complotto di matrice keynesiana), l’uccisione di uno dei blogger filo-russi i più influenti, o l’uccisione della filosofia filo-russa Daria Dugina, ecc. ecc.

La tesi è stata condivisa da vari media occidentali: dai salotti italiani lobotomizzanti come i talk show di rete 4 e la7, con il menestrello Sallusti supportato da Mieli e altri leccastivali del padrone nazi-americano, a giornali più rilevanti ma di secondo piano come The New York Post, The Times e Newsweek. Seppure formalmente nessun governo occidentale – neppure quello statunitense – abbia puntato il dito alla Russia (sicuramente perché troppo ridicolo), e seppure relativamente pochi media statunitensi abbiano abbracciato tesi simili, si è creato un certo consenso tra la popolazione occidentale che si può rilevare con il limitato campione preso sui social, dove si trovano tantissimi canali di opinionisti e “influencer” politici che ignorando le posizioni diplomatiche delle cancellerie occidentali, si sono affrettati a prendere per oro colato ciò che proclamava la trombetta del guerrafondaio Zelensky. Come il demagogo Parenzo, che è finito per discutere su ciò che dovrebbe esser ovvio con Santoro, o il pazzo nazista Orlowski, experto di doxxing e dossieraggio per i governi repressivi occidentali, che sparla di “false flag” per poi cancellare dopo un po’ di tempo l’umiliante video.

Spezzando la lancia a loro favore, è stato poi sparso un video molto probabilmente decontestualizzato e modificato dal canale filo-russo di Dimitry Smirnov dove il segretario del Consiglio nazionale di sicurezza e difesa dell’Ucraina, Oleksiy Danilov, ha presumibilmente confermato il coinvolgimento del suo Stato nell’attacco terroristico a Crocus: “È divertente oggi a Mosca? Penso che sia molto allegra. Mi piacerebbe credere che organizzeremo questo divertimento per loro più spesso. Dopo tutto, sono persone “fraterne”, e i parenti dovrebbero essere contenti più spesso e far loro visita più spesso. Quindi ci andremo.”
Nel video secondo la BBC originale, pubblicato 3 giorni prima dell’attentato, Danilov parlava degli attacchi terroristici ucraini – supportati dai nazisti russi – a Belgorod e della “decolonizzazione della Russia”, riproponendo i confini medioevali limitati alla “Moscovia”, con altri deliri simili e a cui ormai anche noi occidentali ci siamo abituati quanto gli ucraini, come spodestare Putin, attaccare la Russia, allargare il conflitto, ecc. L’altro lato (quello a sinistra) del video è preso invece da un’altra trasmissione ucraina, 6 giorni prima dell’attentato.
Il canale telegram di Smirnov ha fatto sicuramente danni e sporcato la tesi che colpevolizza l’Ucraina, portando falsità create per ideologia invece che fatti riportati per onestà intellettuale. Con i suoi 330.000 seguiti, è stato facile spargere il video in giro per tutto il web, con i simpatizzanti della Russia che credevano genuinamente alla montatura e che la usavano come rafforzamento delle proprie tesi.
I video sono molto probabilmente quelli individuati dalla BBC, perché lo sfondo grafico coincide – anche se non è da escludere che una assai minima possibilità è che il video originale sia stato eliminato da qualunque canale ucraino e gli unici che risultano simili sono i due citati sopra. Tuttavia risulta piuttosto strano il fatto che il 26 marzo lo stesso Zelensky abbia deciso di destituire Danilov: è dovuto al video, che comunquesia, falso o meno che sia, rimandava ad un intervento vero con dichiarazioni piuttosto violente, oppure al fatto che il giorno prima l’aviazione russa ha distrutto un’altra sede operativa della polizia politica SBU a Kiev? È comunque da contare che di sedi operative del SBU sono già distrutte molte in questi 2 anni.

La tesi del “false flag” cade comunque per semplici motivi. La storia del metal-detector è ormai ignorata dalle stesse testate occidentali, in quanto i metal detector sono attivi solo quando è presente il personale di sicurezza. In quel momento erano altrove e nei video si notano anche le loro uccisioni. Oltre a ciò, i terroristi sono entrati sparando sulla vetrina, ed è verosimile che abbiano anche sparato contro i dispositivi dei metal-detector stessi presenti proprio davanti l’entrata. La stessa BBC inoltre ipotizza l’utilizzo di bombe incendiarie con benzina o altri dispositivi simili in quanto le fiamme sono state molto rapide nella propria espansione (probabilmente circa 5 minuti) e, se mai qualcuno lì dentro abbia provato ad usare gli estintori o l’attivazione dei dispositivi anti-incendio, contro un incendio simile è evidentemente inutile.
Seppure sia indiscusso il fatto che l’Fsb sia stato disastroso nel prevenire un disastro simile, l’inseguimento che è stato effettuato per prendere i criminali era del tutto genuino e lo si può notare dai particolari. La renault è stata sin da subito dopo l’attentato individuata nei parcheggi del Corcus. Inizialmente, l’Fsb ha addirittura sbagliato l’individuazione del proprietario dell’autoveicolo, tant’è che, stando al canale ucraino Unia (da vedere quanto sia vero) uno dei terroristi la cui foto circolava come ricercato era solo un tajiko “proprietario dell’autoveicolo” ma che sta attualmente a Samara… e ha venduto l’auto 2 anni fa. Al momento della sparatoria stava cenando a casa a Samara con i suoi genitori. Ha visto la sua foto solo al mattino e si è quindi recato in questura per denunciare l’errore.
Anni di narrativa su un regime putiniano, uno Stato di polizia russo che spia costantemente i propri cittadini, cadono con questi errori assurdi che non andrebbero commessi, e che dimostrano anzi, a differenza della narrativa occidentale, che la Russia sia anche poco ferrea nei controlli, finendo persino per non avere dati aggiornati della motorizzazione in mano all’Fsb.

Che i criminali presi siano i terroristi effettivi è dimostrato dal fatto che le immagini catturate prima che si diedero alla fuga coincidono sia con l’auto su cui erano alla guida nel momento dell’arresto, che con il volto del conducente. Non solo: l’averli lasciati andare per diversi chilometri è probabilmente motivato non tanto dalla tardiva tempestività dell’inseguimento da parte dell’Fsb – anche perché la targa è stata rilevata da diverse telecamere lungo le strade percorse –, quanto la volontà da parte di questi di sapere dove fossero diretti e dove avessero un’eventuale base.

Nel momento in cui avevano abbastanza segni sul fatto che erano diretti verso l’Ucraina, l’Fsb ha probabilmente deciso solo allora di fermarli col posto di blocco – a cui non hanno ovviamente voluto fermarsi, costringendo le forze russe a sparare sulle ruote e farli ribaltare – ed arrestarli, nonostante avessero di nuovo provato a fuggire disperatamente a piedi. Solo 2 di loro sono stati inizialmente presi. Il terzo è stato steso a terra (tanto che inizialmente lo si credeva morto) e il quarto si era riuscito a nascondere per un po’ tra gli alberi. Ma su questi torneremo più avanti.
Oltre a tutto ciò, il video inedito girato dagli stessi terroristi e pubblicato il giorno dopo da Amaq news network [qui senza censura, davvero violento, a vostra discrezione], mostra chiaramente le facce dei criminali, togliendo ogni dubbio sulla veridicità delle identità degli arrestati.
Che la direzione fosse l’Ucraina è confermato dal media lettone russofono Meduza, che ha ripubblicato la geolocalizzazione, fatta da un membro di Geoconfirmed – tra l’altro filo-ucraino –, dove è stato girato il video della cattura, concludendo che la strada su cui stavano era diretta esclusivamente in Ucraina, e non “anche la Bielorussia” come affermano ancora gli incompetenti media occidentali. Quella su cui sono stati arrestati, la E101, era l’ultima strada che andava direttamente in Ucraina, e per andare in Bielorussia sarebbero dovuti tornare indietro e prendere la P-120. E ciò avvalora la tesi secondo cui l’Fsb ha aspettato di esser abbastanza certi sulla meta dei terroristi, prima di fermarli ed arrestarli – azione che ha preso alla fine pochi minuti, forse una decina.

Si è fatto sentire anche Lukashenka. Dopo la tragedia, alcuni media non hanno escluso la versione secondo cui i terroristi sarebbero fuggiti verso la Bielorussia attraverso il voblast di Bryansk. Alexander Lukashenko ha risposto categoricamente a queste ipotesi: “Non potevano andare in Bielorussia. I loro responsabili (abbiamo dei sospetti su alcuni di loro, chiamerò Putin e dirò i miei sospetti) – hanno capito che non potevano andare in Bielorussia. Perché nei primi minuti, proprio come in Russia, una parte della regione è passata a un regime di sicurezza rafforzato, così anche noi. Il presidente del KGB (responsabile delle misure antiterrorismo) mi ha riferito nei primi minuti. Abbiamo messo in azione le nostre unità in base alla situazione di maggior combattimento”. In particolare, sono state coinvolte le forze del Ministero degli Interni, sono stati istituiti posti di blocco sulle strade, anche con la Russia, il KGB, il Comitato di frontiera dello Stato, alcune unità dell’esercito. “Per questo non c’era modo di farli entrare in Bielorussia. Se ne sono accorti. Perciò si sono allontanati e si sono diretti verso la sezione del confine ucraino-russo”, ha detto il capo di Stato.
La dichiarazione del presidente bielorusso è stata rilanciata dai media occidentali per smentire la versione russa (nonostante il video dell’arresto sia stato geolocalizzato, come già scritto sopra) [gli articoli di Panorama e di Dagospia ne sono un esempio].
Leggete quello che invece hanno scritto i media occidentali, deviando completamente il concetto e la dichiarazione del presidente bielorusso. Lukashenka afferma infatti che era impossibile fossero diretti verso la Bielorussia, non perché i terroristi vi si sono recati, notando i checkpoint, per poi fare marcia indietro, ma perché molto probabilmente “i loro responsabili”, e non loro, avendo verosimilmente un appoggio con spie e intelligence occidentali, hanno informato i terroristi che era impossibile superare il confine bielorusso senza esser presi. Sul “perciò si sono allontanati e si sono diretti verso la sezione del confine ucraino-russo”, l’interpretazione che viene in mente leggendo la frase decontestualizzata, è che si siano allontanati dal confine bielorusso per poi prendere un’altra strada. Ma leggendo il resto del discorso, viene da sé che il luogo da cui si sono “allontanati“, “diretti verso la sezione del confine ucraino-russo”, è il Crocus. Come afferma Lukashenka, tale impossibilità per i (responsabili dei) terroristi era già chiara dai primi minuti, dato che proprio dai “primi minuti” è stato attivato l’alto regime di sicurezza.
Al netto delle interpretazioni giuste o deviate delle dichiarazioni di Lukashenka, la tesi è smentita semplicemente dai fatti.
Come ricostruito da Izvestija, i terroristi hanno iniziato l’operazione recandosi presso il Crocus verso le 19:50. Dopo a malapena 20 minuti, alle 20:13 scappando da Mosca si dirigono verso Bryansk, superandolo e dirigendosi verso l’Ucraina. Qui, alle 23:30 circa, vengono arrestati. I terroristi hanno dunque percorso (potete verificarlo banalmente con i strumenti di google) 390km in 3 ore e 20, andando dunque ad una media di 108km/h. Se si fossero recati presso i confini bielorussi per poi tornare indietro e giungere sul punto in cui sono stati arrestati, sarebbero stati complessivamente 865km, cioè più del doppio. Con la stessa velocità ci avrebbero messo 8 ore. I conti non riporterebbero assolutamente.

Il nemico del mio nemico

Se già sostenere tesi complottiste e offuscate dall’ideologia banderista come quella del “false flag russo” sembra folle, e se già sostenere che il trattamento dei terroristi da parte dell’Fsb sia stato “barbaro” – e cose simili le hanno dette veramente, come il Corriere della sera [primo e secondo articolo], Repubblica, Sky Tg24 o il classico controllato direttamente dalla Cia, Radio Free Europe, e Amnesty che tra l’altro, si noti bene, anche se sostengono la tesi dell’attentato isis definiscono questi “sospetti”, “accusati” e “indagati”, usando persino “terrorismo” tra virgolette nel caso di Sky Tg24.
È evidente che non tutti inorridiscono e chiedono vendetta di fronte a un gruppo di banditi che ha venduto l’anima per 5 denari, uccidendo a sangue freddo più di 130 persone e scappando poi verso la frontiera. Sono bastate non anni, non mesi, non giorni, ma poche ore per passare da terroristi a vittime del “regime di Putin” nel linguaggio di certi fondamentalisti liberali in occidente. Apro una piccola nota personale, chiedendomi come mai siano contrari alla tortura di 4 terroristi (sottolineo, non sospetti, ma certi) che poche ore prima degli arresti hanno sparato e dato fuoco senza un minimo di ripensamenti 130 persone inermi, mentre appoggiano “senza se e senza ma” il “diritto all’autodifesa di Israele”, che dovrebbe avere via libera e anzi sostegno nel bombardare a tappeto il più grande campo di concentramento del pianeta per “scovare i terroristi” in mezzo a più di 2 milioni di civili.
Ma se Hamas è un nemico, l’isis per certi è un amico. “Chi è nemico del mio nemico è mio amico“, dice la famosa massima biblica, e nel nostro caso il nemico è la Russia, ma anche l’Iran, la Siria, la Palestina, l’Afghanistan, e molti altri Paesi – il nemico di questi invece è l’isis.
C’è ad esempio Marco Gervasoni, docente universitario presso l’Università Molise di Storia e psicologia e che scrive per l’Huffington post, che sfoggia con orgoglio le bandierine dei Paesi più genocidari della storia umana: israele, Stati uniti, Regno unito e ucraina, specificando ancora, se mai servisse, di essere un “sionista da sempre”. È uno di quelli che perlomeno non ha avuto peli sulla lingua e non si è nascosto dietro la retorica ipocrita tipica dei liberali, affermano senza giri di parole durante le ore dell’attentato che “il nemico del mio nemico è mio amico” – tweet che è stato rilanciato con critiche e che hanno portato l’autore a cancellarlo. Purtroppo il tweet non è stato archiviato da nessuno su Wayback machine, ma ci sono screenshot e il re-tweet che lo umilia è ancora presente.

Ma non si ferma qua. Ore dopo ricalca la sua posizione criticando persino l’ipocrita Macron, accusandolo di esser tornato “amico di Salvini”, solo perché ha dichiarato di esser vicino alla Russia in questo momento tragico, per poi dire anche che un attentato contro i civili russi equivale ad una attentato ai civili tedeschi durante la seconda guerra mondiale (che nella mente del rispettabilissimo docente evidentemente sarebbe stata una cosa positiva) – e metto inoltre in dubbio che durante la seconda guerra mondiale non avrebbe sostenuto l’asse nazifascista in funzione antisovietica ed antibolscevica.
Tornando al presente, dopo l’alleanza di liberali e nazisti, non ci dovrebbe sconvolgere la vicinanza ai fondamentalisti islamici – che, sia chiaro, c’è sempre stata, ma che non è mai stata proclamata alla luce del sole.
C’è chi della tragedia invece giosce internamente, senza esporsi così esplicitamente a sostegno dell’isis come ha fatto il rispettabilissimo docente salafita con la kippah. Troviamo quindi opinionisti che acclamano già l’inizio della caduta del “regime di Putin”, incapace di mantenere ordine e sicurezza. Su Rai 3, ad esempio, continuando (come gran parte dei media occidentali) a dare per certo che sia stato l’isis e ironizzano sul fatto che i terroristi stessero fuggendo in Ucraina, la conduttrice si sbilancia con un “spesso gli attentati terroristici Putin sembra se li sia fatti da solo in passato”, per poi chiedere nel pieno del suo cinismo: “Per noi popoli liberi è una buona notizia che la Russia si sia dimostrata fragile?”.

E che dire poi dei nazisti dei Paesi in lista denazificazione. Troviamo i canali telegram ucraini più popolari che festeggiavano l’attentato, per poi, evidentemente con qualche ordine dall’alto, cancellare i post più espliciti e misantropi, evitando di render troppo ovvia la connessione dell’attentato col sostegno del regime ucraino. Altri ucraini hanno comunque pensato di lasciare nel menu del proprio bar-ristorante il piatto “Crocus City”, per festeggiare l’attentato, con la commissaria russa dei diritti umani che ha denunciato il cattivo gusto dei nazisti ucraini.
Troviamo “attivisti” lituani, come Valdas Bartkevicius, che ha gettato letame sul memoriale dedicato alle vittime russe gridando il motto banderista “Slava ukraini”, o l’altro soggetto che, sempre presso il memoriale a Vilnus, “capitale europea”, si mette a gridare “viva l’isis” e “morte ai russi. Ovviamente nessuno è stato arrestato, in Lituania son democratici (se non sei russo). O il ministro degli esteri lituano Gabrielius Landsbergis, che con un suo tweet nel pieno della tensione durante l’attentato, scrive “Cerchiamo di non perdere il focus”, ovviamente riferendosi al tenere in mente che il vero nemico, 24 ore su 24, è la Russia.
O la Lettonia, con le forze di sicurezza che hanno obbligato chi voleva porgere dei fiori o dei doni di fronte all’ambasciata a farlo dall’altra parte della strada [articolo TopWar e tweet di Sputnik].

E certe cose si notano dai dettagli.
La casa bianca ha espresso cordoglio alla popolazione russa (non ovviamente la Russia), così come tutte le cancellerie occidentali. Ma mentre buona parte di questi Paesi ha avuto il presidente o il primo ministro in persona a mandare i propri messaggi di vicinanza, il vecchio bacucco annusa-bambine nelle ore successive all’attentato ha preferito comunicare vicinanza alla principessa Kate, affermando di pregare per lei e il suo recupero.
Non essendo evidentemente ancora sicuri su quale bandiera reddit adottare per il futuro principato di Moscovia che hanno pianificato nelle proprie partite di Dungeon & Dragons, nessun Paese europeo ha avuto in mente l’idea di proiettare la bandiera russa (quella vera) sui propri iconici monumenti. Ma d’altronde il terrorismo è da ricordare solo quando avviene in occidente o, al massimo, nel caso della Turchia, all’interno dei Paesi Nato. A chi potrebbe mai interessare, in Europa e Nord America, degli attentati che avvengono nel Sud-est asiatico o nel Sahel, dove gli attacchi terroristici avvengono continuamente, a frequenza settimanale, col beneplacido degli occidentali stessi?

Ma è davvero stato l’isis?

Sin dai primi minuti i media occidentali hanno prodotto fondamentalmente due tesi: 1) è un false flag, 2) sono stati i ceceni o l’isis, liquidando a pieno la tesi dell’attentato nazista.
Seppure l’esclusione della matrice nazista sia stata appurata, non è stata assolutamente provata – checché ne dicano i media, i politici e le cancellerie occidentali – la mano dell’isis. Seppure tutti in occidente stiano parlando di “rivendicazioni dell’isis”, non ce n’è stata alcuna nel giro di questi 3 giorni. Nelle ore successive all’attentato infatti, così come è girato il video falso che ritraeva il funzionario ucraino ammettere la colpa del proprio regime, sono girati anche screenshot di comunicati dell’isis che erano totalmente falsi: uno scritto sotto forma di post social, e un altro mostrato con una grafica che veniva usata per i comunicati fino a diversi anni fa.
Sono due invece gli indizi che portano a pensare all’isis:
1) a un giorno dall’attentato, la testata salafita Amaq news network, vicina (sottolineo, vicina) all’isis ha ripubblicato il video inedito girato dai terroristi all’interno del Crocus. Su come abbiano avuto tale video è ancora da capire: i terroristi l’hanno mandato prima di venire arrestati e Amaq ha voluto pubblicarlo a un giorno di distanza? oppure c’è ancora qualcuno a piede libero che aveva i contenuti girati dagli stessi terroristi, con cui ha forse collaborato? C’è stata forse la volontà di vedere prima la reazione e del governo russo e le sue teorie sulla pista, per poi pubblicarlo come sorta di smentita (alla fine apparentemente a favore della narrativa occidentale)?
2) Su una foto che circola sul web compaiono i terroristi, ma stranamente con le rispettive facce avvolte dal blur persino nell’immagine originale, con una bandiera simile a quella dell’isis, ma fatta probabilmente a mano.

Sono invece molteplici i fatti che smentiscono la tesi dell’isis:
1) Innanzitutto, come già detto, non c’è stata alcuna rivendicazione formale e ufficiale da parte di alcuna sezione dell’isis, e ciò è una loro prassi per ogni attentato che viene fatto. È interessante comunque come l’isis non si interessi minimamente neanche di smentire i propri coinvolgimenti, preferendo evidentemente lasciare il dubbio, senza dire alcuna bugia che forse considerebbero un “haram“, un peccato molto grave. Tant’è che gli stessi opinionisti occidentali, quando parlano di “rivendicazioni isis”, dicono “probabilmente da parte dell’isis-k”, non essendo certi quale sezione abbia commesso il gesto (dato che appunto una rivendicazione non c’è). L’isis-k è senza dubbio il più probabile, fosse stato l’isis, perché comprende le zone del Khorasan, cioè del centro asia, insomma turaniche e persiane – quindi Afghanistan (dove lottano contro i talebani), Iran (dove lottano, anche qui, contro lo Stato degli ayatollah), Uzbekistan e, appunto, Tajikistan, cioè il Paese di provenienza dei 4 mostri.
2) A quanto detto negli interrogatori, i quattro sono stati pagati, ciascuno, 500.000 rubli, che sono circa 5.000 euro, di cui la metà dati in anticipo (e no, non è una cifra misera: in Tajikistan è una quantità di denaro che fa indubbiamente gola, e, per intenderci, l’isis-k paga i propri combattenti circa 200-300 dollari al mese). Sono dunque mercenari, e seppure negli interrogatori abbiano parlato di predicatori che li hanno contattati su telegram in forma anonima, non è stato propriamente un arruolamento religioso quanto un vero e proprio pagamento simile all’acquisto di un sicario o di un mercenario privato. Non solo: questa cifra per noi forse misera mette anche in piena luce il rischio di reclutamento di terroristi e mercenari da parte dell’occidente o di signori della guerra locali in quelle zone grige e di “buffering“. È insomma relativamente facile trovare in quell’humus di fondamentalismo religioso e povertà assoluta dei mercenari: bastano 300 dollari al mese l’uno, o 5.000 (di fatto 2.500 se finisce male) per una missione importante come quella avvenuta a Mosca.
3) Le modalità dell’attacco non sono assolutamente tipiche dell’isis. Non c’è stata alcuna cattura degli ostaggi, che è tipico non solo dell’isis ma dei salafiti generale, come Al Qaeda e anche gli islamisti ceceni. È difficile che miliziani dell’isis compiano un attentato terroristico vestiti in mimetica. Sono sempre vestiti con gli stessi abiti della maggior parte delle persone presenti sul posto.
Nonostante il luogo predisposto al gesto, non hanno usato esplosivi, e appunto non si sono fatti saltare in aria – cosa che si fa o all’inizio dell’attentato o comunque alla fine, dopo aver commesso la sparatoria. Non hanno gridato a squarciagola “Dio è grande” fino al punto di morte – seppure nel video inedito pubblicato su Amaq abbiano inneggiato timidamente ad Allah –, mentre per l’isis è ormai da prassi e d’obbligo. Pare che abbiano lasciato le armi addirittura con caricatori ancora pieni abbandonati, e ciò ci porta al terzo punto, che è il più fondamentale e già a sé smonta la tesi dell’isis.
4) Aver lasciato le armi senza aver finito le munizioni, e non aver usato esplosivo, sono ovvi segnali che fanno intuire che non era programmata la morte dei quattro. Sono certamente stati coscienti del rischio di perdere la vita, e stati pagati (secondo loro) abbastanza proprio per questo, ma il piano non era il classico di un attacco dell’isis. Le munizioni non sono finite perché, verosimilmente controllando l’orologio, hanno deciso che era abbastanza e che l’Fsb sarebbe arrivato a momenti. La vicenda di Salah Abdeslam è emblematica, sulla posizione dell’isis. Il terrorista marocchino naturalizzato franco-belga, co-responsabile degli attacchi terroristici dell’isis a Parigi nel 2015, doveva farsi saltare in aria ma all’ultimo minuto ci ripensò e scappò insieme ad altri due terroristi – ma fu l’unico a riuscire a sopravvivere. Per l’isis tali gesti sono da infedeli e vengono di conseguenza disconosciuti i terroristi che all’ultimo ci ripensano ritirandosi dal martirio. Pagare un presunto fedele per fare un attentato senza martirio non è assolutamente nella prassi dell’isis – ed è anzi per loro auspicabile che tale infedele venga ucciso da loro stessi. Per l’isis, così come al qaeda, insomma, la fuga non è assolutamente un’opzione.
5) I terroristi dell’isis praticano l’assunzione di droghe da sempre – in particolare il Captagon –, prima di lanciare attacchi. Ciò li rende psicologicamente invincibili, non temendo più la morte e né sperimentando più alcuna emotività. I 4 terroristi a Mosca hanno commesso la strage a sangue freddo, ma nel momento della cattura hanno reagito da codardi, e sembrano molto terrorizzati – forse ad eccezione di Dalerjon Mirzoyev, che nelle foto e video pare sia rimasto piuttosto serio ed inespressivo – (anche perché li hanno arrestati i ceceni di Kadyrov, che non ci sono andati molto leggeri), mentre i miliziani dell’isis presi prigionieri esibiscono sempre sicurezza, rivendicano in continuazione le loro motivazioni (religiose, e non di denaro) e morire, come già detto, non li spaventa affatto.

Ci sono vari opinionisti ferrati – a differenza di un Rampini, un Friedman, un Sallusti o un Mieli –, come Karim Franceschini, che l’isis l’ha combattuto di persona quando faceva parte dell’YPG, che pur non escludendo che l’attentato sia stato fatto dallo Stato islamico, afferma che è molto improbabile – anzi, “impensabile” – che sia riuscito ad agire da solo: “Ora spiegare cosa sia l’isis in poche battute non è semplice perché se è vero che sia il Mossad che la Cia hanno collaborato con l’isis finanziandolo, tale gruppo è assai complesso. Con riferimento alle drammatiche vicende del Crocus City Hall non escludo che ci possano essere state ingerenze dei servizi segreti statunitensi o ucraini per il tramite dei gruppi jihadisti “nostrani” che stanno combattendo dalla parte ucraina, come i gruppi jihadisti ceceni ed è possibile che queste componenti abbiano anche dato supporto, anche logistico ai terroristi.
Questo perché è impensabile che l’isis senza ausilio esterno e in completa autonomia possa aver fatto un attentato di quel tipo; in Europa negli anni passati per lo più a colpire sono stati lupi solitari o gente che partiva dalla Siria dopo essersi lì addestrata. La grossa rete di supporto in Europa non ce l’ha l’isis ma al qaeda, mentre in Russia il “link” immediato ad un potenziale supporto è appunto ai gruppi jihadisti ceceni, che seppur spesso con l’isis siano stati in contrasto, comunque si parlano e si conoscono ed anche in questo caso possono aver dato supporto, in particolare logistico.”

Della stessa opinione è il veterano giornalista di guerra e analista politico belga, specializzato in Medio Oriente e terrorismo, Elijah Magnier, che analizzato il comunicato di rivendicazione e i filmati diffusi da Amaq (non l’isis) mette in dubbio che sia effettivamente lo Stato Islamico il responsabile dell’attacco al Crocus di Mosca:
“Ho seguito da vicino l’isis sin dalla sua nascita in Afghanistan, Iraq, Siria e Libano, attingendo al mio lavoro sul campo e ai miei studi come esperto e accademico di terrorismo e antiterrorismo e giornalista di guerra. Con queste premesse, metto in dubbio l’affermazione secondo cui lo Stato islamico è responsabile dell’attacco di Mosca. Il mio scetticismo si basa su diverse anomalie e aspetti insoliti che minano l’autenticità delle affermazioni dell’isis:
1. L’uso del termine “Muqatileen” nel comunicato è atipico; precedenti comunicati hanno preferito i termini “Mujahideen” o “Fursan” o “Istishadeyeen”.
2. L’affermazione di amaq, secondo cui gli aggressori si erano “ritirati in sicurezza” contraddice le notizie sulla loro cattura. Amaq di solito aspetta di annunciare i risultati degli attacchi finché non sono disponibili tutti i risultati, ma in questo caso ha prematuramente affermato il successo anche se i terroristi erano stati arrestati.
3. L’isis non ha mai usato cambiavoce nei suoi comunicati. In particolare, anche quando “Jihadi John” ha cambiato voce a causa della sua nazionalità e riconoscimento britannico, non sono stati utilizzati cambiavoce. Gli aggressori in questo caso non erano occidentali, ed è senza precedenti che membri non occidentali utilizzino cambiavoci, anche quando gridano “Allahu Akbar” o fanno riferimento al Corano.
4. La trasmissione in diretta degli attacchi via web non è un metodo utilizzato dall’isis. Sebbene in passato siano state utilizzate telecamere Go-Pro, non sono mai state collegate a un feed Internet in tempo reale per evitare il rischio di intercettazione, a meno che non vi sia una capacità avanzata di codificare il segnale dopo la trasmissione.
5. Amaq pubblica costantemente il nome della sua agenzia media sia in arabo che in inglese quando gli attacchi si verificano al di fuori del Medio Oriente, un dettaglio che manca in questa affermazione.
Per le ragioni sopra esposte, combinate con la mia riluttanza professionale basata sulla passata esperienza di presunti attacchi in Iran, dove i successivi comunicati sono stati corretti, sono propenso a scartare l’affermazione del coinvolgimento dell’isis nell’attacco di Mosca” [articoli di Faro di Roma e TopWar].

Larry Johnson, ex analista della CIA, conferma allo stesso modo, argomentando però più semplicemente che è tipico dell’Ucraina fare attentati simili contro Mosca – ricordando ad esempio l’uccisione di Dugina ed altri gesti compiuti pagando mercenari – e conviene molto più a loro di quanto l’isis abbia capacità di organizzare un’operazione simile.

Anche Jack Prosebiec, ex funzionario d’intelligence statunitense, la pensa uguale: “Ho [già] detto che l’Ucraina sta entrando in una nuova fase della guerra. E ho detto che avremmo assistito ad attacchi terroristici e militanti utilizzando provocazioni false flag, dando la colpa a qualcun altro, dicendo che non siamo stati noi. Zelensky ha detto un paio di giorni fa che il popolo russo dovrebbe sentirne tutto il peso (…) Mi ha colpito il fatto che di solito i jihadisti dell’isis non scappano dalla scena di un attacco, ma vogliono diventare martiri.” E continua “gli Stati Uniti sapevano dei terroristi dell’isis entro 24 ore, ma “non sono ancora in grado” di fare i nomi dei responsabili dell’esplosione delle Nord Stream”, di cui è sicuramente molto più facile capire i responsabili dato che ogni Paese ha delle proprie “firme” quando avvengono sabotaggi simili.

Più coincidenze fanno una prova

Tutti sono ormai a conoscenza del fatto che il 7 marzo l’ambasciata statunitense e britannica – e a ruota tutte le colonie delle due talassocrazie – abbiano avvertito i propri cittadini (sottolineo, i propri cittadini) dell’alto rischio di attentati terroristici a Mosca, invitando questi a tornare in Patria o perlomeno evitare luoghi affollati, eventi, concerti eccetera. L’avviso, in particolare quello statunitense, poneva il rischio in particolar modo per le 48 ore successive al comunicato. Come ha affermato Zakharova e successivamente il ministero degli esteri, la Russia – a differenza di ciò che ora si sta dicendo continuamente nei media occidentali – non ha assolutamente ignorato il comunicato dell’ambasciata anglo-americana, ed ha anzi chiesto dettagli, attivando le comunicazioni tra le due intelligence. Mentre le ambasciate delle colonie, come quella svedese, hanno totalmente ignorato le richieste russe, gli Stati uniti hanno dato informazioni generiche senza voler dare ulteriori dettagli, affermando di non averne. Zakharova l’ha definito un atteggiamento vergognosamente immorale, non aiutare un Paese, anche nemico, nella sfera della sicurezza anti-terrorismo.
È possibile esser a conoscenza di un attentato che sta per avvenire, senza avere dettagli su chi e dove lo si sta organizzando? Se non sono stati direttamente gli americani o i britannici, l’unico modo per esser a conoscenza di un imminente attentato è leggere chat o intercettare telefonate tra presunti terroristi, o avere spie americane che sono venute a conoscenza di dialoghi e pianificazioni varie. In tutti i casi, è indiscutibile che esser a conoscenza di un imminente attentato presuppone la conoscenza della natura e quindi dei dettagli di questo.

Non solo. Appena è stato compiuto l’attentato gli Stati uniti si sono affrettati a dire, senza prove, che l’Ucraina non centrasse niente. Ma per escludere una pista occorre già avere dettagli, che nei primi minuti nemmeno i russi avevano.

Ma d’altronde, siano stati gli Stati uniti, l’Ucraina, o l’isis, la posizione dei primi riguardo gli attentati terroristici contro la Russia è piuttosto chiara. Di dichiarazioni piuttosto esplicite, che invitano la colonia banderista ucraina ad attaccare i civili russi, ce ne sono. La più emblematica e cruda è quella di Mark Milley, ex capo dello Stato maggiore congiunto degli Stati Uniti, dove il 4 dicembre 2023 affermava: “Non ci dovrebbe essere nessun russo che va a dormire senza chiedersi se verrà sgozzato nel cuore della notte“, “Bisogna tornare là [in Russia, oltre Belgorod] e creare una campagna dietro le linee“.

La trama e la rete si infittisce man mano che i giorni passano. Ad esempio, il 24 marzo nella fotocamera di un fotografo part-time che ha lavorato presso il Crocus city hall si è trovata una foto con Shamsidin Fariduni, cioè uno dei terroristi, scattata il 7 marzo. Molto probabilmente era giunto sul posto per studiare l’edificio. Ricordiamo inoltre che l’ambasciata americana e britannica avvisarono i propri cittadini proprio il 7 marzo. Intel slava presuppone che l’attentato era pianificato per quei giorni lì (infatti gli americani avevano parlato di 48 ore), ma è stato rimandato per qualche motivo. È comunque sensato affermare che l’attacco terroristico era pensato per avvenire prima delle elezioni presidenziali, sia per tentare (inutilmente, come si sta vedendo anche ora) di creare sfiducia verso Putin e la sicurezza del Paese sotto il suo governo, e sia per incutere timore nell’elettorato, inducendo i numeri dell’affluenza a diminuire ed eventualmente affermare, nei media occidentali, che le persone non hanno più fiducia nel sistema elettorale (un po’ come in occidente, ma noi preferiamo concentrarci sulle elezioni altrui).

L’intelligence austriaca – ché, ricordiamo, l’Austria non è nella Nato, e si può quindi permettere di fare affermazioni simili – si è spinta a dire che c’è probabilmente la longa manus ucraina, scrive il quotidiano austriaco Heute. Più che altro per prove empiriche. I servizi segreti austriaci affermano infatti che un gran numero di sospetti sono entrati in Europa attraverso l’Ucraina. Ciò concorda anche con i risultati delle indagini della polizia sui sospetti terroristi di Vienna che sono stati arrestati la mattina del 23 dicembre 2023 in un rifugio per profughi sulla Thaliastrasse. Il 28enne tajiko e sua moglie, insieme ad un complice arrestato in Germania, avrebbero pianificato un attacco alla cattedrale di Santo Stefano a Vienna con esplosivi e kalashnikov. La coppia, infatti, è arrivata nell’UE dall’Ucraina nel febbraio 2022. Presumibilmente vivevano lì prima dell’inizio del conflitto perché sostenevano “la democrazia e lo stato di diritto di Zelenskij”.
Affermano di essere arrivati ​​in Austria in treno “perché Vienna è un posto particolarmente bello in cui vivere”. Tuttavia, i servizi segreti tedeschi sarebbero riusciti a intercettare nella loro chat sui social media messaggi sospetti che contenevano prove concrete di piani di attacchi terroristici contro le principali città europee.

Il presidente serbo Vučić è stato invece molto più esplicito. Avendo probabilmente l’intelligence serba forti contatti e continui scambi di informazioni con i colleghi russi, Vučić, durante un discorso al canale televisivo Prva, si è spinto ad affermare con certezza già nelle prime ore successive all’arresto dei terroristi che “esiste una potenza mondiale, non l’America, la quale ha questa maniera di agire“, aggiungendo, con molto pessimismo, che prevede “un’escalation delle ostilità in Ucraina e un imminente conflitto a livello mondiale”, e che l’avviso ai cittadini americani non era volto solo a invitare appunto i propri cittadini a stare attenti, ma anche ad invitare i propri giornalisti a recarsi in tempo a Mosca per mediatizzare l’attentato.
A quale “potenza mondiale” “la quale ha questa maniera di agire” Vučić si riferisse, escludendo gli Stati uniti, è piuttosto chiaro, dato che le principali intelligence occidentali, e che storicamente hanno pianificato, coordinato o commesso atti di terrorismo e destabilizzazione simili, anche collaborando con gli islamisti, sono CIA e MI6.

Che ci sia (invece o pure) l’Ucraina dietro lo afferma anche il dissidente ucraino Anatolij Sharij. “L’ideale per Kiev era far uccidere questi asini [i terroristi] nella sala concerti da parte delle forze di sicurezza [russe]. L’opzione numero due era quella di finirli al confine, invece di fargli attraversare la frontiera, e fornire loro piombo in faccia. Nessuna delle due opzioni ha funzionato”.
La seconda affermazione è confermata dalla stessa dirigenza ucraina, che ha dichiarato che senza dubbio nel caso in cui i terroristi avessero provato a recarsi in Ucraina, sarebbero stati uccisi.

Poco prima del comunicato dell’ambasciata americana e britannica del 7 marzo, l’ambasciata ucraina presso il Tajikistan “stranamente”, sul proprio portale, aveva lanciato una campagna di reclutamento che cercava stranieri da inserire nella Legione Internazionale e forniva tutti i contatti. Il lavoro sul reclutamento di cittadini stranieri è stato guidato dall’ambasciatore straordinario dell’Ucraina Valery Evdokimov, ex presidente dell’intelligence straniera sotto Zelensky. L’intera pagina su di lui sul sito web del dipartimento è stata cancellata. Non avendo a disposizione il vecchio link, personalmente non posso verificare se sia stato salvato in tempo su Wayback machine.
I nativi del Tajikistan diventano regolarmente obiettivi di reclutamento da parte dei servizi segreti ucraini: uno di loro è stato catturato mentre fotografava oggetti in un’unità militare vicino a Mosca, mentre il 26 marzo un tajiko è stato arrestato, sempre nella capitale russa, per connessioni con l’intelligence ucraina, ipotizzate dopo sue provocazioni contro le forze di sicurezza russe proprio nei pressi del Crocus dopo l’attentato.

Recentemente, infine, è emerso che i terroristi del Crocus sono stati probabilmente addestrati in Turchia per due mesi. È in parte confermato anche dalle dichiarazioni dei terroristi stessi, in cui è stato detto che sono arrivati in Russia dalla Turchia.
A seguito di un’operazione congiunta dei servizi speciali di Russia e Turchia, i campi di addestramento di molteplici terroristi islamici sono stati liquidati nella zona di Istanbul. Addirittura 40 sospetti membri dell’isis sono stati arrestati durante l’operazione turco-russa.
Viene da chiedersi come abbiano fatto ad addestrarsi per almeno 2 mesi più di 45 terroristi nella città più importante della Turchia, e se – nonostante a cose fatte abbiano collaborato con Mosca per arrestare i terroristi dormienti e in addestramento – il governo e/o l’intelligence turca non abbiano collaborato con terzi, con l’obiettivo comune di destabilizzare la Russia.

Le conseguenze dell’attentato

Allargamento del conflitto ucraino?

Nei media occidentali si sta sentendo da giorni (in verità accade ogni volta che succede qualcosa in Russia o est Europa) il mantra “allargamento del conflitto ucraino” o “mondiale”. Il fatto che il presidente russo Vladimir Putin abbia pronunciato il proprio discorso ben 19 ore dopo l’attentato, e più di 15 ore dopo l’arresto e i primi interrogatori, sta già di per sé a dimostrare il fatto che da parte russa si è voluto aspettare prima di giungere a conclusioni affrettate e peggiorare l’escalation con l’Ucraina e l’occidente.
Il primo discorso è stato molto cauto e calibrato, e non ha parlato né di matrice islamica, né di matrice nazista, né di colpevolezza ucraina, americana o britannica. Il primo terzo del discorso esprime cordoglio ai familiari delle vittime, ringraziando poi tutte le forze pubbliche e i volontari che hanno trovato, aiutato, curato le vittime. Riporto qui le parti più rilevanti per questo articolo: “[i terroristi] hanno cercato di fuggire e stavano viaggiando verso l’Ucraina, dove, secondo i dati preliminari, era stata preparata per loro una finestra sul lato ucraino per attraversare il confine di Stato. In totale sono state arrestate 11 persone. Il Servizio di Sicurezza Federale russo e le altre forze dell’ordine stanno lavorando per identificare e scoprire l’intera base ausiliaria dei terroristi: coloro che hanno fornito loro i mezzi di trasporto, hanno pianificato i modi per allontanarsi dalla scena del crimine, hanno preparato cache e nascondigli con armi e munizioni.”
“È già evidente che non siamo di fronte solo a un attacco terroristico pianificato con cura e cinismo, ma a un omicidio di massa preparato e organizzato di persone pacifiche e indifese. I criminali avevano intenzione di uccidere a sangue freddo e di proposito, di sparare a bruciapelo ai nostri cittadini e ai nostri bambini. Come i nazisti che un tempo compivano massacri nei territori occupati, hanno pianificato di organizzare un’esecuzione spettacolo, un sanguinoso atto di intimidazione.”
“Chiunque siano, chiunque li abbia diretti. Ripeto: identificheremo e puniremo tutti coloro che stanno dietro ai terroristi, che hanno preparato questa atrocità, questo attacco contro la Russia e il nostro popolo.
Sappiamo qual è la minaccia del terrorismo. Contiamo qui sulla cooperazione con tutti gli Stati che condividono sinceramente il nostro dolore e sono pronti a unire realmente le forze nella lotta contro il nemico comune, il terrorismo internazionale, con tutte le sue manifestazioni.
I terroristi, gli assassini, i subumani, che non hanno nazionalità e non possono essere nazionalizzati, hanno solo un destino poco invidiabile: la punizione e l’oblio. Non hanno futuro. Il nostro dovere comune ora, i nostri compagni di lotta al fronte, tutti i cittadini del Paese: stare insieme in un’unica linea. Credo che sarà così, perché nessuno e niente potrà scuotere la nostra coesione e la nostra volontà, la nostra determinazione e il nostro coraggio, la forza del popolo russo unito. Nessuno potrà seminare semi velenosi di discordia, panico e disaccordo nella nostra società multinazionale.”
Si parla dunque solo di “finestra” aperta sul confine ucraino, ma non si parla di chi l’abbia preparata per i terroristi. Ha invitato tutti i Paesi del mondo a collaborare insieme contro il terrorismo, a prescindere dagli schieramenti geopolitici e strategici, usando bene la frase “tutti gli Stati che condividono sinceramente il nostro dolore”, perché, tra chi si è espresso, tutti i Paesi (ad eccezione dell’Ucraina) hanno condannato il gesto terroristico, ma non tutti l’hanno fatto sinceramente, usando piuttosto la formalità e la retorica mediatica. Per il resto, sono le solite parole d’obbligo per un presidente: minacciare i responsabili, e affermare l’unità del proprio popolo anche dopo queste disgrazie, e che nessuno può separare il popolo russo, spargendo ad esempio odio etnico o religioso, in una società multinazionale (e Putin l’ha voluto implicitamenre rimarcare nella conclusione del discorso) come è quella russa.
Il 25 marzo Putin ha tenuto una riunione con i capi del governo, delle regioni, dei servizi speciali e delle forze dell’ordine in videoconferenza sulle misure adottate dopo l’attacco terroristico al complesso concertistico Crocus City Hall.
Qui, il presidente russo apre di nuovo rimarcando la natura multinazionale e multietnica del popolo russo: “So che tra coloro che stanno inviando parole di cordoglio alle famiglie delle vittime ci sono persone di diverse nazionalità, provenienti da tutte le regioni del nostro Paese, di tutte le età, compresi bambini, scolari e studenti. Chi ha pianificato questo attacco terroristico sperava di seminare panico e discordia nella nostra società, ma si è scontrato con l’unità e la determinazione ad affrontare questo male”. In questa occasione Putin è stato più esplicito riguardo le ipotesi sull’attentato, avendo più prove alla mano: “Sappiamo che il crimine è stato commesso da islamisti radicali, la cui ideologia il mondo islamico stesso combatte da secoli. Ma vediamo anche che gli Stati Uniti stanno cercando di convincere i loro satelliti e gli altri Paesi del mondo attraverso vari canali che, secondo la loro intelligence, non ci sarebbe traccia di Kiev nell’attacco terroristico di Mosca, e che il sanguinoso attacco terroristico è stato commesso da seguaci dell’Islam, membri dell’organizzazione isis vietata in Russia.
Sappiamo da chi è stata commessa questa atrocità contro la Russia e il suo popolo. Ci interessa sapere chi l’ha ordinata. Nel corso del lavoro congiunto dei nostri servizi speciali e delle nostre forze dell’ordine, dobbiamo ottenere risposte a tutta una serie di domande.”
“Ad esempio: le organizzazioni islamiche radicali e addirittura terroristiche sono davvero interessate a colpire la Russia, che oggi sostiene una soluzione giusta all’escalation del conflitto mediorientale? E come fanno gli islamisti radicali, che tra l’altro si presentano come musulmani fedeli, professando il cosiddetto Islam puro, a commettere gravi atrocità e crimini durante il mese sacro del Ramadan [per di più, di venerdì; nota mia], che è sacro per tutti i musulmani?”
“E la domanda sorge immediatamente spontanea: chi ne trae vantaggio? Questa atrocità non può che essere un anello di una serie di tentativi da parte di coloro che, dal 2014, sono in guerra con il nostro Paese per mano del regime neonazista di Kiev. E i nazisti, si sa, non sono mai stati schizzinosi nell’usare i mezzi più sporchi e disumani per raggiungere i loro obiettivi.
A maggior ragione oggi, quando la loro controffensiva pubblicizzata è completamente fallita. Questo è già riconosciuto da tutti e non è in discussione. Le Forze Armate russe mantengono l’iniziativa lungo tutta la linea di contatto e tutte le misure adottate dal nemico per stabilizzare il fronte non hanno successo.
Da qui i tentativi di entrare e prendere piede nei nostri territori di confine, i bombardamenti, anche con l’uso di lanciarazzi multipli, di quartieri pacifici e di infrastrutture civili, comprese quelle energetiche, e i tentativi di lanciare attacchi missilistici contro il ponte di Crimea e la penisola stessa.
I sanguinosi atti di intimidazione, come l’attacco terroristico a Mosca, si inseriscono in modo del tutto logico in questa serie. L’obiettivo, come ho già detto, è seminare il panico nella nostra società e allo stesso tempo dimostrare alla nostra popolazione che non è ancora tutto perduto per il regime di Kiev.”
“Naturalmente, bisogna anche rispondere alla domanda: perché i terroristi hanno cercato di andare in Ucraina dopo aver commesso il crimine, chi li aspettava lì? È chiaro che coloro che sostengono il regime di Kiev non vogliono essere complici del terrore e sponsor del terrorismo. Ma ci sono davvero molte domande.”

Chi cerca l’escalation sembra invece essere l’occidente, che parla appunto di possibile escalation, coi giornalai ed analisti scalpitanti e quasi con la bava alla bocca, che han sparso e continuano a spargere versioni false sia dei discorsi della parte russa (e come abbiamo visto, bielorussia), sia su presunte rivendicazioni ufficiali dell’isis, liquidando tutte le indagini ancora in corso perché l’oracolo statunitense, detentore della verità assoluta, ha già espresso il proprio verdetto a 7.827 chilometri da Mosca. A che pro insabbiare già ogni indagine? Si vuole già convincere la popolazione di una tesi, prima che le indagini finiscano per provare chi sono i veri mandanti?

La volontà di intensificare la guerra in Ucraina portandola ad un nuovo livello, mandando truppe occidentali, da cui sarà difficile tornare indietro, è piuttosto evidente esser l’obiettivo principale dell’amministrazione Biden in questo momento, a relativamente pochi mesi dalle elezioni. Alzare l’asticella “punzecchiando” l’orso e sperando che risponda specularmente sembra attualmente essere la strategia della Nato. Da mesi ormai si parla sempre più di un possibile nuovo fronte in Moldavia, sui Baltici, o addirittura in Polonia, continuando con la narrazione decerebrata secondo cui l’intervento russo a Kiev sia motivato da mire espansionistiche ed imperiali, invece che difensive-geostrategiche.
La paura dei “democratici” statunitensi è quella dell’eventualità della vincita di Trump e quindi dello schieramento politico contrario alla guerra in Ucraina, che andrà a minare gli interessi oligarchici di una fetta della plutocrazia americana rappresentata dai “dem” e dal governo Biden. L’unica opzione per evitare che i grossi introiti dell’industria militare si fermino è allargare il conflitto, rischiando persino il conflitto atomico.
Sentiremo ancora parlare a lungo – salvo sorprese con Trump – del fronte ucraino, perché, seppure si stiano intensificando anche gli “aiuti” a Taiwan (e non mancano dichiarazioni “bomba” con ovvie volontà provocatorie [articoli di FocusTaiwan e DefenseHere] e i rapporti militari col Giappone (con spese militari che tornano ai tempi dell’ultima guerra mondiale, con l’approvazione statunitense dato che va contro gli accordi sanciti 60 anni fa), il fronte del pacifico che ancora in ebollizione e ci vorranno verosimilmente anni, se il rafforzamento della linea di “contenimento” continua di questo passo. D’altronde la guerra contro la Russia è da anni che era programmata come tassello fondamentale prima di lanciarsi contro la Cina.

Discontento russo?

Una possibile conseguenza del sanguinoso attentato può essere il discontento russo. Nessuno in Russia mette in dubbio l’assurdità del fatto che un gruppo di terroristi armati sia stato capace di entrare indisturbato dentro un enorme centro affollato, per di più nella capitale moscovita. Dov’era l’Fsb? E perché ci ha messo così tanto – circa 30 minuti – a raggiungere il posto? Come caspita hanno fatto i terroristi ad arrivare, facendo tutto nel giro di 20 minuti, e scappare con la renault, armati fino ai denti? Mentre l’ultima domanda può avere come risposta la volontà dell’intelligence russa di sapere dove erano diretti i terroristi, e qual’era l’eventuale rifugio, le prime due domande non hanno veramente risposta (a parte magari il fatto che la centrale principale dell’Fsb era distante 40 minuti in macchina, che non vale come giustificazione), se non l’incompetenza e la poca preparazione da parte delle forze antiterroristiche russe. L’immagine è stata parzialmente riscattata grazie alla tempestività e la violenza (sì, anche quella) con cui hanno preso i terroristi prima che arrivassero in Ucraina.
Seppure l’attenzione la si sta (giustamente) spostando su chi siano stati i mandanti, l’opinione russa rimane scioccata della facilità con cui i terroristi sono riusciti a compiere una strage di queste dimensioni, e la sfiducia verso le capacità antiterroristiche delle forze di sicurezza russa sono andate di pari passo con la compattezza del sostegno del popolo russo verso il proprio governo, con uno sdegno verso il regime ucraino e l’occidente collettivo che va progressivamente ad accentuarsi.
Altro aspetto da non metter in secondo piano è lo scontento e la demoralizzazione dei russi di Belgorod. Mi è personalmente capitato di imbattermi su certi post social russi – in particolare questo pubblicato dal cantante russo del gruppo Lyube, Nikolaij Rastorguyev – dove i belgorodiani, pur stringendosi in cordoglio per le vittime dell’attentato di Mosca, si sono lamentati di sentirsi trascurati ed ignorati dal resto della Russia, nonostante gli attentati ucraini lì siano molto frequenti, praticamente a cadenza settimanale. Solo nel giorno dell’attentato a Crocus, a Belgorod sono morti 16 russi. Se il 24 febbraio 2022 è ricordato dai russi della Novorossiya e della Russia intera come un giorno di riscatto, in cui la situazione globale del Paese è migliorata, avendo finalmente il Donbass e le altre popolazioni russofone della (ex)costa “ucraina” la garanzia di sicurezza da parte di una grande Patria di cui tutti fanno parte, per i belgorodiani non è andata allo stesso modo. Mentre gli abitanti del Donbass sono “abituati” ai continui bombardamenti ucraini da 10 anni, gli abitanti di Belgorod hanno sperimentato i terrori della guerra con i nazisti solo dal 2022. Certi politici hanno persino proposto di evacuare l’intera popolazione civile della regione, de facto ammettendo che ci sia un certo tipo di invasione da parte dell’Ucraina, e che il fronte sia dunque ormai entrato dentro i confini russi. Tale proposta è stata più volte liquidata e per ora non sembra esser all’orizzonte, ma la popolazione che risiede a ridosso del confine, specialmente chi ha figli che vanno a scuola, è stata recentemente (proprio il giorno prima dell’attentato) invitata a spostarsi più ad est.
Non è inverosimile che in futuro, se la situazione rimarrà invariata, la popolazione di Belgorod e i suoi rappresentanti si rivolteranno contro il governo centrale o i vertici militari.
Riporto qui la foto e la traduzione automatica di certi commenti che trovo rilevanti (con la traduzione automatica).

Infine, non è da dimenticare che il supporto della popolazione per Shoigu e Gerasimov, cioè le due teste del vertice militare russo, è ormai a livelli minimi, soprattutto dalla rivolta di Prigozhin verso questi. Putin e il governo farebbero bene a sostituire i due con qualcun altro, come Surovikin. Sergei Shoigu in particolare, membro del Centro Eltsin – centro più politico che “culturale”, che si è espresso contro l’operazione speciale in Ucraina ed ha storicamente posizioni più filo-occidentali di Eltsin stesso – è una possibile quinta colonna all’interno dei vertici russi, ed è a tutti inspiegabile come faccia ancora a ricoprire il suo ruolo di ministro della difesa, da ormai 12 anni.

La possibile reintroduzione della pena di morte

Intanto, a quanto riporta Kommersant, Nicolai Vasilev, leader del gruppo Russia Unita nella Duma, ha affermato che la prossima sessione plenaria del parlamento sarà dedicata all’attacco terroristico al Crocus City Hall. In particolare, secondo Mikhail Sheremet, deputato della Duma di Stato come rappresentante della Crimea, è necessario rivedere il quadro legislativo dopo l’attacco terroristico al municipio di Crocus: “Intendo avviare a livello legislativo la questione dell’introduzione della pena di morte nel nostro Paese per terrorismo, distribuzione di droga e reati contro i minori” – ha dichiarato il deputato a RIA Novosti.
La popolazione russa è da sempre a favore della reintroduzione della pena di morte per crimini che comprendono il terrorismo, l’omicidio o la pedofilia – secondo i sondaggi al 50% nel 2019, in via crescente dagli ultimi anni, contando che nel 2017 concordava il 44%, ma è da dire che la posizione generale sulla questione oscilla, dato che nel 2014 la cifra dei giustizialisti era pari al 55%.
Il sociologo del Levada center Denis Volkov ha raccontato a RBC news che l’argomentazione predominante che usano i russi contro la pena capitale non ha tanto uno sfondo moralistico ed umanitario come lo potrebbero avere i figli dell’illuminismo, gli occidentali, ma una motivazione prettamente razionale e pragmatica: è possibile che vengano condannati per sbaglio degli innocenti.
La Russia ha abolito la pena capitale in stato di pace sin dal 1997, quando firmp il sesto protocollo della “Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali”, necessario per entrare nel Consiglio europeo. Organizzazione che la Russia ha abbandonato a fine 2022.
Fino ad ora, l’opposizione comunista del KPRF ha da sempre, periodicamente, proposto la reintroduzione della pena di morte per reati di terrorismo (nel 2004, nel 2010, nel 2013, nel 2014, nel 2019, nel 2021) con le solite risposte da parte della maggioranza parlamentare a cui apparteneva Putin: la pena di morte non cambia il tasso di criminalità ed esistono errori giudiziari in tutto il mondo compresa la Russia, come ha affermato ad esempio Pavel Krasheninnikov, Comitato della Duma di Stato per la costruzione dello Stato e la legislazione, nel 2019.
La situazione però sta cambiando. Sempre più politici russi stanno abbandonado il sogno liberale dell’occidente. Nel 2023 il partito Russia Giusta ha esplicitamente aperto uno spiraglio alla possibilità della reintroduzione della pena di morte, con Sergeij Mironov che ha dichiarato “mai dire mai.
Putin è aspramente contro la reintroduzione della pena di morte e persino nel 2022, cioè da quando l’occidente ha di fatto tranciato ogni ponte con la Russia (e viceversa), ha dichiarato che le posizioni del Paese (e la sua) rimangono ferme e invariate a riguardo. Il tempo tuttavia passa e più l’occidente varca linee rosse, con uccisioni di cittadini inermi in territorio russo (si pensi al camionista ucciso sul ponte di Crimea, Daria Dugina, e i belgorodiani, e ora il piuttosto palese attentato a Mosca) e non “semplicemente” sul fronte di guerra, l’opinione pubblica russa diventa inevitabilmente più giustizialista e violenta verso questi ma anche altri tipi di criminali – come i pedofili (nella mente di molti occidentali solo un perverso da isolare o curare, o persino tollerare nelle sue forme più moderate) e gli assassini. La Duma e il governo farebbero bene ad ascoltare il popolo russo invece di seguire ideali francesi settecenteschi, ma è altrettanto vero che sui terroristi è verosimile che la contrarietà verso la pena di morte da parte dei vertici russi sia motivata da questioni meno ideologiche e più pragmatiche. Avere un terrorista vivo, anche dopo esaustivi interrogatori, potrebbe esser utile per ricavare informazioni ulteriori col passare del tempo.

Conclusione

Che siano stati dei signori della guerra islamisti, l’isis, l’Ucraina, gli Stati uniti o il Regno unito, lo dirà il tempo (che siano giorni o anni).
Una cosa è certa. I terroristi islamici ce l’hanno in particolare con la Russia, l’Iran, l’Afghanistan ed altri Paesi nemici dell’occidente, in cui vengono sventati attentati continui, riuscendo comunque a commetterne diversi. Per ora gli attentati in Ucraina, così come in Israele, sono esclusi. Anche perché, in Ucraina fanno parte dell’esercito stesso.

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