Da Formiche.
Nelle prime ore della notte di ieri, una raffica di scosse di terrremoto ha colpito il Centro Italia. Il sisma, di magnitudo 6, si è sentito fino a centinaia di chilometri di distanza. In molti, anche a Roma, come in numerose città dell’Adriatico, su su fino a Rimini, si sono svegliati di soprassalto: è cominciata così una lunga veglia, in attesa di notizie. Da Amatrice, quasi rasa al suolo, ad Accumuli ed Arquata sono giunte le notizie più preoccupanti: centri storici crollati, morti, feriti e dispersi. Il movimento tellurico è continuato a manifestarsi durante il giorno, aggiungendo il timore per la incolumità dei soccorritori alla ricerca dei superstiti rimasti sotto le macerie.
Mentre si allunga il doloroso resoconto delle perdite umane, ci si deve occupare dei soccorsi e delle spese per la ricostruzione. Ancora una volta, sarà la collettività ad accollarsi l’onere maggiore: “Nessuno sarà lasciato solo”, ha affermato il Premier Renzi, mentre il Presidente della Repubblica Mattarella ha auspicato che “tutto il Paese si stringa, unito, per sostenere lo sforzo della ricostruzione”. Per il governo si tratta di una prova impegnativa, sia per l’efficienza dei soccorsi sia per le modalità con cui si procederà al recupero degli edifici danneggiati ed alla ricostruzione. Il devastante sisma de L’Aquila è ancora un brutto ricordo.
La contabilità della ricostruzione ha a che fare con le disposizioni del nuovo articolo 81 della Costituzione, in cui si prevede la deroga all’obbligo del pareggio di bilancio, facendo dunque ricorso all’indebitamento, solo quando si debbano fronteggiare un ciclo economico o circostanze eccezionali. Tra queste ultime, sono espressamente considerate le gravi calamità naturali. Spetterà al Parlamento, con una conforme deliberazione di Camera e Senato assunta a maggioranza dei rispettivi componenti, dichiarare che si versa in una delle citate situazioni. Anche il Fiscal Compact, ma in maniera più generica, considera due circostanze eccezionali che consentono di derogare all’obbligo di pervenire al pareggio strutturale del bilancio: si tratta degli “eventi inconsueti non soggetti al controllo della parte contraente interessata che abbiano rilevanti ripercussioni sulla situazione finanziaria della pubblica amministrazione”, e quindi nel nostro caso delle gravi calamità naturali. La deviazione temporanea è ammessa, purché non comprometta la sostenibilità del bilancio a medio termine. Nel caso di gravi calamità si attiva la clausole di flessibilità che consente di peggiorare il deficit congiunturale, ma si deve trattare infatti di spese una tantum, che si esauriscono con la soluzione del problema insorto.
Tutte le spese pubbliche e le sovvenzioni concesse ai privati a seguito di una calamità naturale concorrono a far aumentare il prodotto, dacché mobilitano risorse materiali ed umane che altrimenti sarebbero rimaste inerti. A differenza di qualsiasi investimento, o altra spesa pubblica, di questi interventi non si tiene conto ai fini del rispetto degli obblighi costituzionali ed internazionali sul pareggio di bilancio. La considerazione è ancora più amara se si pensa che le spese edilizie volte alla messa in sicurezza a fini antisismici, sia che derivino da spese pubbliche dirette, sia che dipendano da detrazioni di imposta a favore dei privati che le effettuino, non hanno lo stesso trattamento di favore.
Qui sta il paradosso: dopo una catastrofe naturale, si attivano le deroghe che consentono una maggiore spesa pubblica in disavanzo, ed aumenta il pil. Prima della catastrofe, no: non ci sono deroghe per gli investimenti volti a mettere in sicurezza i centri abitati, e nessuno mette mano al portafoglio per evitare le peggiori conseguenze. Il debito pubblico non è mai un bene. Ma, dare la possibilità di contrarlo solo dopo una catastrofe, per rimediare ai danni subìti, senza poter riportare alla vita i morti, anziché ammetterlo prima per poter limitare i danni di un cataclisma, questa sì che è una catastrofe: umana, ancor prima che logica.