La vostra battaglia

Da Inimicizie.

Aprile e Maggio in Europa sono i mesi in cui ricorrono tutte le festività legate alla fine della seconda guerra mondiale.

In Italia – che è un paese sconfitto – non si tengono vittoriose parate militari ne si commemorano gli eroi di guerra, si festeggia la fine del fascismo il 25 aprile. Ovviamente la liberazione ha un suo forte connotato militare, ma la guerra partigiana inizia a diventare un fattore dopo la resa di Cassibile.

I vincitori di una guerra civile (che come vedremo non è stata solo tra due fazioni, ma quasi da subito è iniziata a diventare ben più sfaccettata) festeggiano giustamente l’atto fondativo di quella che sarà la repubblica italiana. E’ però una percezione del conflitto tutta nostra, quasi provinciale.

Fuori dai confini nazionali, non esiste. Fuori dai confini nazionali, l’Italia è un paese sconfitto, e sempre sarà ricordato come tale. La resistenza un fenomeno di poco conto iniziato a guerra già persa, a cui nei manuali storici e militari sono dedicate solo poche righe. Alla conferenza di Potsdam, gli alleati concordano che il presunto stato di “cobelligerante” dell’Italia non debba avere nessun peso nella redazione del trattato di pace.

Basta dare uno sguardo a quanto sia successo prima, durante e dopo la seconda guerra mondiale, per capire che ciò che l’anglosfera festeggia non è la “liberazione dal nazifascismo” ma la vittoria sulle potenze dell’asse. Anzi, vedremo che il poco che rimane del nazifascismo dopo la seconda guerra mondiale (quello vero, non quello inventato nelle redazioni dei media di centrosinistra) è praticamente sempre uno strumento nelle mani degli angloamericani. In particolare dei britannici.

Mussolini e i britannici

Ci sono varie versioni su questa storia, ma è piuttosto pacifico che quando Mussolini fu catturato dai partigiani a Dongo, per poi essere fucilato dopo un processo sommario, trasportasse con se una sorta di “assicurazione sulla vita”: una voluminosa collezione di corrispondenze con il primo ministro britannico Winston Churchill, che poco prima di trovarselo come avversario in guerra era un suo grande ammiratore, avendolo definito il “salvatore dell’Italia” e “il più grande legislatore vivente“.

I rapporti di Mussolini con i britannici, invero, vanno molto più in la.

Iniziano quando il Duce si trova al fronte della prima guerra mondiale in qualità di Caporale, ma soprattutto di giornalista de “Il Popolo d’Italia”. E’ in questo periodo che Samuel Hoare, agente dell’MI5 (il servizio di sicurezza e controspionaggio britannico) in Italia lo “recluta” come agente d’influenza, fornendogli uno stipendio mensile per sostenere la sua attività di “giornalista con l’elmetto” a favore della guerra, più che mai necessaria nel 1917 dopo la sconfitta di Caporetto.
Negli anni successivi alla guerra, gli inglesi vedranno con favore l’ascesa politica del loro ex protegè, sperimentando quella che sarà una costante di tutta la guerra fredda: l’alleanza tra fascismo e liberalismo anglosassone in funzione anticomunista (ai tempi antisocialista).

E’ oggi evidente, e va detto, che gli inglesi non capirono fino in fondo il fenomeno del fascismo e di Mussolini in Italia. Ciò che volevano era un Pinochet ante litteram – un bastonatore di sindacalisti fedele all’anglosfera sul piano internazionale – ma queste aspettative furono frustrate quasi subito da altre anime del fascismo italiano: quella statalista/corporativista e quella revanchista nei confronti della vittoria mutilata.
La prima si manifesta con la creazione della Direzione Generale Combustibili nel 1922 e con l’accordo petrolifero con l’Unione Sovietica nel 1923, dando vita ad uno dei problemi di lungo corso della politica estera britannica nelle relazioni con l’Italia, rilevante ancora oggi: contrastare, con ogni mezzo (dall’omicidio di Mattei alle infowars odierne per interrompere le relazioni tra ENI, Russia ed Egitto, passando per l’attacco alla Libia) una politica energetica indipendente italiana.
La seconda con le rivendicazioni coloniali, che Hoare (quell’Hoare, ora diventato segretario di stato) cerca di soddisfare con gli accordi Hoare-Laval, ma che poi si spingono troppo oltre.

Nonostante questo, i tentativi britannici di cooptare l’Italia fascista nella schiera delle “potenze soddisfatte” non cessano mai.
Non solo prima dell’invasione dell’Etiopia, con gli Accordi di Locarno e il Patto di Stresa, ma anche dopo: le sanzioni della Società delle Nazioni all’Italia sono quasi del tutto simboliche, e i britannici supportano l’intervento italiano nella guerra civile spagnola con gli Accordi di Pasqua del 1938, il “gentlemen’s agreement” che delimita le rispettive aree di influenza nel Mediterraneo.

I contatti con il fascismo non vengono tagliati neanche durante la guerra, quando Mussolini diventa un sincero nemico della “perfida albione”. Gli inglesi in Italia non coltivano contatti solamente con personaggi esterni al fascismo come Adriano Olivetti o il Duca di Aosta, ma anche con esponenti di spicco del regime.
Infatti, le personalità fasciste che esautorano Mussolini nel 1943 per portare alla firma dell’armistizio sono proprio gli “anglofili” che si spesero – prima dell’inizio delle ostilità – per evitare un’intervento a favore della Germania nazista. Uomini come i massoni di rito scozzese Dino Grandi ed Emilio de Bono, o come Galeazzo Ciano, che in qualità di ambasciatore presso il Vaticano prende contatti con il suo omologo inglese per informarlo del golpe che avverrà di lì a poco.

Molte delle ricostruzioni storiche contenute in questo post vengono dal lavoro di ricerca documentale di Giovanni Fasanella, presso gli archivi di stato britannici di Kew Gardens

Cereghino, Fasanella, Il Golpe Inglese
Cereghino, Fasanella, Il Golpe Inglese

Il neofascismo durante la guerra fredda

Già prima della totale sconfitta sul campo delle potenze dell’asse – mentre nell’Alta Italia si combatte ancora la guerra regolare e partigiana – i britannici rinsaldano l’alleanza stretta inizialmente con il fascismo come movimento politico (in realtà mai terminata, visti i rapporti proficui che Londra intrattiene con i regimi para-fascisti di Spagna e Portogallo durante la guerra, assicurandosene la neutralità) e lo fanno tramite due uomini che saranno cruciali per la storia della prima repubblica: Edgardo Sogno e Junio Valerio Borghese.

Il primo è un ex ufficiale di cavalleria anglofilo che dalla Svizzera, per conto del SoE (il servizio segreto militare britannico) gestisce la “Franchi”, un’organizzazione partigiana composta da pochi uomini, pensata per far cambiare casacca a quanti più militanti di Salò possibile, e lavorare alla formazione di un fronte unito anti-comunista all’interno della resistenza.

Il secondo è il “principe nero” comandante della leggendaria X MAS, la più temibile formazione militare della Repubblica Sociale, ritenuta dagli alleati l’unica capace di agire in modo indipendente dagli ordini delle SS naziste. Tramite la mediazione di Sogno, la X Mas diserta la RSI nel gennaio 1945, ma non per combattere le truppe tedesche: Il suo compito è fare fronte comune con la “Brigata Osoppo” in Venezia Giulia, per separarla dalla collaborazione stretta con i partigiani comunisti, comandati da Tito. I reduci delle due formazioni parleranno insieme al Parco del Pincio in occasione del referendum per la repubblica. Borghese sarà sottratto alla giustizia partigiana proprio dai servizi segreti americani, su mandato di quelli britannici.

Edgardo Sogno (che dopo la guerra diventerà ambasciatore) si farà promotore di un’altra importante iniziativa di promozione della collaborazione tra (neo)fascismo ed anglosfera: il convegno dell’hotel “Parco dei Principi” a Roma, nel 1965, finanziato da un ufficio dei servizi segreti italiani e dall’ambasciatore Francesco Malfatti di Montetretto, che anni dopo avrà da dire che la “scomparsa” di Moro dalla scena politica italiana avesse prodotto “un effetto salutare sulla politica italiana”.

E’ un convegno che molti anni dopo verrà definito “inquietante” da Andreotti, a cui partecipa un variegato assortimento di personaggi uniti solo da una battaglia – la crociata anticomunista – e da uno sponsor internazionale – i britannici – tra le cui fila osserviamo: Giorgio Valerio, AD della Edison, Ivan Lombardo, parlamentare socialdemocratico ed agente d’influenza dell’IRD britannico, Renato Mieli, Colonnello dello Psychological Warfare Branch dell’AMGOT nonché fondatore dell’ANSA, Giorgio Pisanò, reduce di Salò e parlamentare MSI, Pio Filippani Ronconi, anfitrione del convegno ed ex tenente delle SS, Pino Rauti, fondatore di Ordine Nuovo e – dulcis in fundo – una ventina di giovani di estrema destra che diventeranno di lì a poco collaterali al terrorismo nero: tra loro il noto Stefano Delle Chiaie.

Il punto centrale di questo convegno è l’elaborazione di una risposta rispetto ad una futura (o potenziale) presa del potere da parte dei comunisti. E’ una risposta che viene articolata su 3 livelli di segretezza: il primo, quello più ampio, è quello politico; il terzo, che deve rimanere segreto, è quello prettamente militare.
All’hotel Parco dei Principi nasce il “partito del golpe” che sarà protagonista di molti dei “misteri italiani” della prima repubblica, e si forma il nucleo che andrà poi a costituire la celebre loggia massonica P2.

Se l’appoggio dei settori più armati ed estremisti del neofascismo alla causa atlantica viene suggellato dal convengo del Parco dei Principi, quello della sua anima più mainstream, l’MSI (sebbene equiparato ai comunisti nella conventio ad excludendum della prima repubblica) è dichiarato al Congresso dell’Aquila del 1952, mascherato (come avviene oggi, sui canali dell’ex latitante a Londra, Adinolfi) con un europeismo anti-sovietico.

Edgardo Sogno con Ronald Raegan

Il golpe

Il famoso golpe non avverrà mai, ma verrà più di una volta pianificato nel dettaglio e una volta quasi portato a termine.

Uno dei progetti golpisti è proprio quello di Edgardo Sogno, che passerà alla storia con il nome di “golpe bianco”. Questo golpe – scoperto a metà anni ’70 dal magistrato Violante – era destinato a mettersi in moto nel momento in cui i comunisti avessero preso il potere in Italia, anche se attraverso libere elezioni. Tra le sue fila, erano reclutati il comandante delle regioni militari centrale e meridionale, dei carabinieri e della guardia di finanza, oltre ad esponenti politici dei partiti di centro – come Randolfo Pacciardi e l’eroe di guerra Luigi Durand de la Penne – che avrebbero partecipato al governo di emergenza nazionale.

Il secondo, arrivato ad un passo dall’esecuzione, è invece pianificato da Junio Borghese per il 1970, l’anno successivo all’inizio della stagione del terrorismo in Italia, con la strage di Piazza Fontana.

Dal punto di vista militare, è organizzato in modo del tutto rocambolesco e amatoriale, ignorando completamente i precetti delineati così sapientemente da Luttwak nel suo manuale. Prevede l’occupazione della RAI da parte di una colonna della forestale (già in marcia quando Borghese annulla “sul più bello” il tentativo golpista) quella di Sesto San Giovanni da parte di un reparto dell’esercito guidato da Amos Spiazzi, il rapimento del PdR Saragat da parte di esponenti della P2 e l’occupazione del Ministero dell’Interno da parte di Avanguardia Nazionale (che effettivamente inizia).

Per quanto il proclama del golpe alludesse alla liquidazione di chi voleva “asservire la patria allo straniero” i suoi organizzatori si mobilitarono alacremente per cercare appoggi all’estero. Naturalmente li cercarono (e in parte trovarono) a Londra e Washington.
Ad aprile 1969 un agente dei servizi segreti della Marina incontra un agente della CIA a Roma, a cui espone il piano in linea di massima. L’agente della CIA non può parlare a nome del governo ma vuole sapere i dettagli dell’operazione. Sembra che la porta non sia stata chiusa dagli americani, perché a gennaio 1970 Borghese in persona si reca all’ambasciata americana, dove viene ricevuto dal diplomatico Charles Stout, che dopo aver sentito il piano risponde: “Potrei anche simpatizzare con molte delle critiche rivolte al sistema italiano. Tuttavia, è realistico pensare che un gruppo estraneo al sistema possa rovesciarlo in modo così semplice, stando a quanto esposto?“. E’ in sostanza d’accordo nel merito, quindi, ma dubbioso (comprensibilmente) sul metodo.
Avvengono anche dei colloqui paralleli condotti da Adriano Monti – generale dell’aviazione italiana ed ex comandate dell’aviazione legionaria durante la guerra civile spagnola – che tramite Otto Skorzeny, il parà che guidò la liberazione di Mussolini dal carcere del Gran Sasso, ottiene da un collaboratore di Kissinger le condizioni affinché gli USA non intervengano nel golpe, nella fattispecie: una larga partecipazione da parte delle forze armate, il non-coinvolgimento delle basi NATO, la presa del potere da parte di una figura della DC di garanzia (forse Andreotti, e il suo mancato appoggio potrebbe essere il motivo per l’annullamento del golpe all’ultimo minuto) e l’indizione di elezioni un anno dopo, con la messa al bando di tutti i partiti comunisti e di estrema sinistra.

I contatti con Londra vengono invece rivelati proprio da un rapporto segreto dell’addetto militare dell’ambasciata statunitense a Roma, James Clavio, che riporta a Washington: “Borghese ha contatti con l’intelligence britannica, dalla quale è influenzato“.

Sebbene il tentativo di golpe venga scoperto appena un anno dopo da un’inchiesta di “Paese sera”, le rivelazioni percolano lentamente, così come gli appoggi esterni che il putsch avrebbe avuto. Il messaggio è piuttosto chiaro, tant’è che Berlinguer (che non era comunque gradito al Patto di Varsavia, i servizi bulgari tentarono addirittura di assassinarlo nel 1973) dopo che un’azione del tutto analoga (ma meglio organizzata) avrà invece successo in Cile – con la presa del potere da parte di Pinochet, uno dei migliori alleati e amici internazionali di Raegan, di Franco e della Tatcher – dichiarerà di sentirsi “più sicuro” all’interno della NATO. Forse alludendo alla sua incolumità fisica, ma contribuendo comunque a creare negli USA una cordata favorevole al “compromesso storico”.

Pinochet e la Tatcher
Pinochet e la Tatcher

I barbari di oggi

Oggi gli aspetti più bui della guerra fredda – la strategia della tensione, il partito del golpe, i partiti armati rossi e neri – sono fortunatamente alle nostre spalle, e il neofascismo a causa della “svolta di Fiuggi” dell’MSI (e probabilmente anche a causa del fatto che fosse venuta a mancare una delle sue ragioni d’essere) diventa in Italia un fenomeno del tutto trascurabile, di cui francamente non vale neanche più la pena parlare. Nessun giocatore internazionale ha intenzione di spendere le sue fiches per un movimento irrilevante. Quando i pochi “reduci” contemporanei vengono strumentalizzati, vengono strumentalizzati ad uso interno per condurre battaglie politiche di più ampio respiro, un po’ come le “lettere con proiettili” firmate Brigate Rosse che arrivano di tanto in tanto a qualche politico, sbandierate puntualmente in modo grottesco.

Espandiamo sul punto precedente: senza voler ridurre le importanti dinamiche politiche interne italiane che hanno segnato i primi 45 anni della nostra giovane repubblica ad un’eterodirezione da fuori (valutazione sempre sbagliata) non si può fare a meno di pensare che, in qualche misura, i terroristi e golpisti neri non esistano più perché non servono più.
Come spiega bene Lidell Hart nella sua valutazione della grande strategia di Scipione, l’Impero nel cui cuore si vive con delicati costumi greci, si serve di “barbari” e di “popoli virili” per difendere le sue frontiere dalle (ugualmente barbariche) orde asiatiche.
L’Italia non è più la frontiera con la Yugoslavia, armata con nucleari tattiche da utilizzare in Venezia Giulia e con formazioni suicide schierate alla frontiera per rallentare l’avanzata delle truppe titine, non è più il paese alla cui flotta era assegnato il compito di fermare uno sfondamento della flotta sovietica del Mar Nero nel Mediterraneo orientale e quindi non è più il paese delle trame golpiste, delle stragi non rivendicate e degli “opposti estremismi”.
Oltretutto, non ha più un corpo politico strutturato e guidato da una classe dirigente attenta (secondo le varie sensibilità) all’interesse nazionale, una classe dirigente la cui prosperità dipendeva dalla prosperità dell’Italia. I compradores delle privatizzazioni degli anni ’90, che finanziano l’attuale classe dirigente, si sono arricchiti invece sifonando fuori dai confini nazionali la ricchezza italiana, e continuano a farlo.
L’Italia è diventata – anche se ogni tanto pecca di lealtà – tutto sommato un raffinato hinterland dell’anglosfera, buono per trascorrere la vecchiaia o le vacanze mangiando una carbonara davanti al Colosseo.

Dopo la vittoria nella guerra fredda la frontiera si è spostata ad est, e lì i “barbari” servono ancora.
In medio oriente ad esempio, dove le guerre di aggressione di Turchia e monarchie del golfo, coadiuvate da Al-QaedaISIS mercenari bambini, per qualche strano motivo, nonostante ci sia un “aggressore” e un “aggredito” non portano a sanzioni o esclusione dallo SWIFT, non portano ad abbandonare convenienti fonti di idrocarburi, ad inviare armi all’”aggredito”, a spegnere il condizionatore. Perché sono dirette contro gli interessi russi ed iraniani, a favore di quelli imperiali dell’anglosfera. Molto semplice.
O – tanto per passare all’elefante nella stanza – in Ucraina. Ucraina, dove il Maidan senza i neonazisti “sarebbe stato un gay pride“, dove il povero Zelensky non può permettersi di criticare l’eroe nazionale (e nemico dichiarato degli ebrei, collaborazionista nazista) Stepan Bandera e non riesce neanche ad augurare un buon 9 maggio alla sua nazione senza postare la foto di un soldato ucraino in posa, orgogliosamente, con uno stemma delle SS.

Tanto per chiarire: se è vero che la guerra contro le potenze dell’asse avesse poco a che fare con la “denazificazione”, è anche ridicolo sostenere che Putin voglia “denazificare” alcunché. I motivi per cui personalmente penso che l’Ucraina sia stata invasa li ho spiegati, senza menzionare il nazismo neanche una volta. Se anche l’Ucraina fosse uno stato nazista (cosa che non è, come nell’Italia della guerra fredda i “neri” vengono usati solo per fare il lavoro sporco) e la Verkovna Rada fosse decorata di svastiche, questa valutazione non cambierebbe.
L’ideologia è un fattore importante per spiegare le guerre civili, le guerre partigiane, non quelle tra stati, e l’invasione russa dell’Ucraina non fa eccezione. Ricordiamoci che Pol Pot fu sostenuto da Raegan e Tatcher, che la teocrazia iraniana fu sostenuta dalla Corea del Nord e il feudalismo dell’Imam Yaya in Yemen dall’Unione Sovietica. L’invasione russa dell’Ucraina non fa eccezione da questo punto di vista.

Il punto è in effetti proprio questo, e sarebbe divertente se non fosse un insulto all’intelligenza di chi da loro ascolto : chi insiste nel raccontare le guerre tra stati come un film di Harry Potter con i buoni di Hogwarts contro i cattivi mangiamorte di Voldemort, non ha alcun problema ad identificare nei “buoni” dei nazisti dichiarati, che fino a ieri considerava il male assoluto, la cui sconfitta considera(va?) l’atto fondativo del nostro “occidente”.

Il comunismo a livello geopolitico non esiste più; in Italia non abbiamo più il “principe nero” o il Filippani Ronconi di turno, i pochi neofascisti italiani si dividono piuttosto equamente tra filo-russi e filo-ucraini, limitandosi all’attività ultras, al movimentismo e al blogging… ma abbiamo ancora i nostri Edgardo Sogno e Renato Mieli: influenti liberal e trotskisti anglofili per cui il nazismo è un alleato, o un compagno di strada. Alcuni ne sono imbarazzati come Zelensky, e spingono la cosa sotto il tappeto, altri lo rivendicano apertamente.
E quindi leggiamo “un fiore per il battaglione Azov“, vediamo articoli sul neonazismo ucraino sparire, storie sui cyborg nazisti supereroi, sentiamo radicali riciclati nel milieu di centrodestra dire che “sono nazisti, ma nazisti che difendono la loro terra”.

Peraltro, chi vi scrive è un appassionato di cose militari ed ha certamente rispetto della resistenza fino all’ultimo uomo del Battaglione Azov, così come della guerriglia ventennale dei talebani e del vietcong, del sacrificio velleitario dei “ragazzi di Salò” e della Brigata Charlemagne, della guerra solitaria di Hiroo Onoda nella giungla delle Filippine. E’ un rispetto per il guerriero che trascende ogni visione politica, che prescinde da ogni atrocità ed errore commesso dal soggetto in questione; ma onestamente non è ciò che stiamo osservando negli ambienti filo-NATO nostrani.

Essi hanno rispetto solo per un tipo specifico di guerriero: quello la cui battaglia è la stessa di Washington e Londra.
Se siano realmente convinti, in buona fede, di quello che dicono, o se siano agenti d’influenza di una moderna riedizione dell’IRD e del PWB (qualcuno ha detto Atlantic Council?) magari lo scopriremo tra qualche decennio quando si apriranno gli archivi.

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