Da L’AntiDiplomatico (Parte I e Parte II).
Indice
Parte I
“La prima volta che ho messo piede a Gaza è stato nel 2012. Avevo ancora nella mente i drammatici e preziosi reportage inviati da Vittorio Arrigoni durante il massacro israeliano denominato piombo fuso di tre anni prima e mi aspettavo solo disperazione, invece trovai tanta povertà ma altrettanta forza vitale.” A raccontarsi e raccontarci della Palestina martoriata, ma mai doma, a “Egemonia” è Patrizia Cecconi, una colonna de l’AntiDiplomatico e una delle massime conoscitrici di quella terra oggetto dello sterminio sionista di questi giorni. Con lei abbiamo cercato di comprendere l’operazione del 7 ottobre di Hamas (in concomitanza con l’uscita di un importante documento dell’organizzazione islamica) partendo dal principio, sfatando molti luoghi comuni e falsità che purtroppo avvelenano il dibattito.
Ragionare con determinati canoni è sbagliato e non si può commettere l’errore di valutare con i paraocchi realtà complesse. Come l’AntiDiplomatico abbiamo criticato negli anni Hamas per le sue posizioni nella distruzione pianificata della Siria e perché il modello di sviluppo laico e socialista resta il nostro modello di riferimento. Ma questa è un’altra storia e Patrizia Cecconi è molto ferma nel rimandare al mittente la prima pericolosa “scheggia” di (piccola) verità che avvelena il dibattito. “Hamas come ‘creatura di Israele’ è un’affermazione diffusa da anni, ben prima del 7 ottobre e ora per così dire rinvigorita. È ripetuta dai palestinesi che si riconoscono nell’Anp ed è stata fatta propria per superficialità di conoscenza o per malafede anche dal nostro cosiddetto centro-sinistra, generalmente filoisraeliano, e da alcune frange della sinistra filopalestinese. In questi ultimi tre mesi si sente e si legge anche che Hamas e Netanyahu avevano concordato l’operazione del 7 ottobre per consentire a quest’ultimo di restare al potere nonostante il dissenso interno.” La fantasia “galoppa” per Patrizia Cecconi e non sempre viene “cavalcata in buona fede”, soprattutto, ci rimarca più volte, quando certe affermazioni vengono presentate come ”analisi”. “In realtà sono semplici ipotesi che a volte poggiano su una scheggia di verità, solo una scheggia, ma dalla quale germogliano ipotesi più o meno elaborate offerte come ricostruzioni attendibili e inconfutabili.”
Quale è la scheggia di verità? Come è nato Hamas? Perché oggi rappresenta il bastione della resistenza palestinese e che tipi di rapporti esistono con le altre organizzazioni palestinesi? Domande complesse che richiedono una conoscenza e un’esperienza che in pochi in Italia possono permettersi. Cecconi ci aiuta a rispondere partendo dal principio, letteralmente. La trattazione che segue è lunga ma ha il pregio di fornirvi tutti gli elementi storici e politici necessari per inquadrare finalmente correttamente l’argomento. Perché per parlare del 7 ottobre va conosciuto il prima. “Hamas nella sua forma politica emerge nel 1987, praticamente in contemporanea con la prima intifada, partita dal campo profughi di Jabaliya in seguito all’ennesima uccisione di cinque palestinesi e poi estesasi dalla Striscia a tutta la Cisgiordania e a Gerusalemme.” Ma Hamas, prosegue Cecconi, non nasce come movimento politico bensì come associazione religiosa caritatevole, secondo i dettami del Corano, nel 1973. Nasce come filiazione dei “Fratelli musulmani”, movimento religioso fondato in Egitto alla fine degli anni “20 del secolo scorso e, contrariamente alla vulgata occidentale, questo movimento solo in alcune fasi ha praticato la violenza politica, mentre sostanzialmente il suo obiettivo era la diffusione di un’educazione, sicuramente conservatrice, ma basata sui principi coranici di solidarietà e altruismo. “Nella Palestina sotto il violento tallone dell’occupazione israeliana questa propaggine della Fratellanza musulmana, dopo una quindicina d’anni dedicati ad attività tese solo a creare una società di buoni musulmani, “ripulita dalla corruzione” della cultura occidentale e migliorata sul piano della salute, della lotta alla povertà, dell’istruzione e del lavoro, deciderà di fronteggiare attivamente l’occupante. Abbandonerà la pratica nonviolenta e si porrà come “braccio combattente” della Fratellanza in Palestina. Non sarà più l’entità caritatevole che era stata lasciata crescere liberamente e che nel 1979 era stata addirittura riconosciuta ufficialmente da Israele come ente di beneficenza (al mujama el islami) fondato dallo sceicco Yassin, tanto da ottenere anche l’autorizzazione a costruire l’università islamica a Gaza city che, detto per inciso, ora è stata completamente distrutta dai bombardamenti israeliani.”
Non nega, Cecconi, che Israele ha lasciato crescere Hamas, finché nel 1987 ha capito che l’entità islamica di beneficenza si stava facendo pericolosa. “Ma quando Hamas si afferma come movimento di resistenza, il vero nemico di Israele non è ancora Hamas bensì l’OLP, Organizzazione per la liberazione della Palestina, nella quale confluivano Fatah e altre formazioni laiche molto attive, anche con azioni armate, nella lotta contro l’occupazione.” Quale migliore occasione per dividere il fronte resistenziale se non lasciar ancora crescere un movimento di ispirazione fortemente religiosa e quindi in contrasto con i movimenti politici di ispirazione laica? “Il divide et impera ha sempre funzionato e Israele lo sapeva e lo sa, quindi ha lasciato che Hamas crescesse ancora, che gli arrivassero finanziamenti dai paesi arabi amici, che si radicasse tra la gente fornendo assistenza sociale, perché la sua crescita serviva a incrinare il fronte guidato da Arafat, a dividerlo e indebolirlo. Non importava che nello statuto di Hamas del 1988 (poi modificato ma di questo i mass media non parlano) fosse prevista la distruzione di Israele, di quello si sarebbe trattato in seguito e magari sarebbe tornato utile dal punto di vista comunicativo come, del resto, possiamo vedere oggi.”
In quel momento la priorità per Israele era fiaccare l’Olp, prosegue Cecconi nella sua analisi. 6 anni dopo la prima Intifada, con la ratifica degli accordi di Oslo, il 13 settembre del 1993, Israele, tra una violazione e l’altra del diritto internazionale, continua a perseguire i suoi piani, come dimostrano in modo inconfutabile i fatti sul terreno a partire dagli insediamenti illegali cresciuti a dismisura, così come gli arresti arbitrari, i numerosi omicidi e i soprusi di ogni tipo, compresi quelli di natura burocratica che rendevano e rendono un incubo la vita quotidiana dei palestinesi. Nel contempo Hamas, sottolinea Cecconi, applicando da buon movimento musulmano quei dettami del Corano che nel cristianesimo rispondono alle due virtù teologali della fede e della carità, continua a costruire asili, centri medici, scuole e strutture di beneficenza, a offrire borse di studio all’estero per gli studenti meritevoli e così via, radicandosi sempre più nella società, sia nella Striscia di Gaza che in diverse aree della Cisgiordania. “Nel 2000, in seguito alla provocazione del primo ministro Sharon sulla spianata delle moschee, scoppia la seconda intifada. Hamas stavolta sarà molto attivo nelle azioni armate e questa seconda intifada non vedrà solo vittime palestinesi, non ci saranno solo centinaia di ragazzini uccisi o con le braccia spezzate per aver lanciato sassi contro l’esercito occupante, ma l’intifada entrerà in Israele con gli attentati suicidi e Hamas sarà attore primario, seguito dal braccio armato di altre forze della resistenza comprese le brigate al Aqsa, braccio armato di Fatah.” I morti palestinesi saranno oltre cinquemila ma ci saranno anche più di mille vittime israeliane di cui solo un terzo saranno militari.
In Israele arriva il terrore vero. I civili israeliani, sottolinea Cecconi, vivranno nel panico per anni, “ma non capiranno, ad eccezione di poche associazioni pacifiste, che la loro sicurezza non poteva e non può passare per la continua violazione del Diritto umanitario universale da parte dei loro governi, negando ogni diritto ai palestinesi, né tantomeno può passare per la continua costruzione illegale di colonie, né può rinforzarsi con divieti e soprusi o con gli omicidi – cosiddetti mirati – di militanti e leader della resistenza sia in Palestina che all’estero, seguitando a violare ogni norma del Diritto internazionale e mantenendo l’illegale occupazione dei Territori palestinesi, occupazione propedeutica al tentativo di annessione degli stessi spudoratamente dichiarato.”
Il momento chiave è il 2004 (quarto anno della seconda intifada): invece di rispettare le risoluzioni dell’Onu e riconoscere i diritti dei palestinesi, Sharon decide di uccidere i fondatori di Hamas. L’assassinio della guida spirituale, lo sceicco Yassin, paraplegico e cieco – omicidio condannato da tutto il mondo, esclusi gli Usa di Bush. “Sentimenti di condanna e di forte sdegno verranno espressi anche dall’associazione “Ebrei europei per una giusta pace” che in un documento pubblico accuseranno governo ed esercito israeliani di aver commesso un reato non solo riprovevole in sé ma di essere pienamente consapevoli delle conseguenze sanguinose che avrà per entrambi i popoli in “un’infinita ed insopportabile spirale di violenza”. Ma alle parole di condanna non seguono i fatti e l’impunità per questo come per qualunque altro reato rende Israele sempre più criminale. Infatti ad aprile verrà assassinato il successore dello sceicco Yassin, il medico pediatra Abd Aziz al Rantissi, lo stesso che nel gennaio del 2004 aveva proposto una tregua di 10 anni in cambio del ritiro di Israele dai territori occupati nel 1967 e il riconoscimento dello Stato di Palestina su quei territori, riconoscendo, di fatto, lo Stato di Israele. La risposta del governo Sharon sarà un missile mortale con tanto di “ordinari effetti collaterali”, tanto il sangue palestinese, come ricorda Gideon Levy, è una merce a costo zero.”
Israele, dunque, ha utilizzato Hamas contro l’Olp ma poi ha cercato di disfarsene. Ma il nemico giurato del governo israeliano di quegli anni era ancora Arafat. “Arafat viveva sotto assedio a Ramallah dal 2002, rinchiuso alla muqata con le ruspe inviate da Sharon a strappare pezzi di muro per costringerlo a cedere, umiliandolo con l’offerta di un biglietto di sola andata per “un buon posto” all’estero. Arafat aveva risposto che “quello palestinese è un popolo di giganti” e che non avrebbe ceduto, ma piuttosto sarebbe morto da martire.”
In tutta la Palestina, da Gaza a Ramallah a Jenin, a Gerusalemme in quelle settimane si manifesta per Arafat contro Israele. L’IDF spara e uccide, anche i bambini, per intimidire i manifestanti ma le proteste non si fermano e gli fanno eco imponenti manifestazioni anche dall’estero. Stavolta gli Usa tengono conto delle conseguenze possibili e fermano Sharon, il quale comunque dichiara pubblicamente che Arafat è un uomo morto. A Israele è concesso anche di minacciare impunemente, ci penseranno i mass media asserviti a far passare tutto in modo anodino giocando con i termini usati. “Ce lo stanno dimostrando ampiamente anche in questi ultimi tre mesi le inviate televisive chiamando, tanto per fare un altro esempio, “promesse” le minacce criminali di Israele e “minacce” le rimostranze dei paesi nei quali Israele ha commesso sanguinosi crimini.”
Sarà nel 2004, anno chiave, dopo aver eliminato le due figure più significative di Hamas, che Sharon potrà chiudere i conti anche con Arafat.
Probabilmente avvelenato, il presidente dell’OLP verrà lasciato uscire dalla muqata per volare in Francia dove però neanche i migliori specialisti riusciranno a identificare e curare la grave patologia che lo ucciderà nel novembre di quel terribile 2004. “A lui succederà quello che secondo alcuni era uomo gradito a USA e Israele e che lo stesso Arafat aveva definito il Karzai della Palestina. Il governo israeliano, direttamente o indirettamente, si era disfatto sia dei vertici di Hamas, sia del capo dell’OLP, lo stesso che nella trappola degli accordi di Oslo aveva riconosciuto lo Stato di Israele.”
In Hamas la nuova dirigenza nel gennaio del 2005 dichiara unilateralmente la tregua e blocca la seconda intifada. Israele invece non cesserà di commettere omicidi, né ogni tipo di sopruso, ignorando centinaia di risoluzioni ONU e restando regolarmente impunito. Ma Hamas che, ricordiamolo, non nasce come un’entità terrorista ma come movimento nazionalista religioso, decide di prendere la via della politica e infatti nel gennaio successivo si presenterà alle elezioni legislative conquistando inaspettatamente la maggioranza.Ismail Haniyeh, il capo politico di Hamas, verrà nominato primo ministro nell’Anp, ma le dispute per il potere tra le due forze rivali (Fatah e Hamas) porteranno a violenti scontri, anche armati, rischiando di trasformarsi in una vera e propria guerra civile. La conclusione, nel giugno del 2007, sarà la separazione tra la Striscia di Gaza, dove prenderà il potere Hamas, e la Cisgiordania che resterà governata dall’Anp di Abu Mazen. “Lo stesso Abu Mazen nel giugno di quell’anno dichiarerà fuori legge Hamas, e una serie di paesi tra cui spiccano gli Usa, il Canada e la maggior parte dei Paesi europei dichiareranno Hamas – e non solo il suo braccio armato costituitosi nel 1992 – movimento terrorista. La Striscia di Gaza verrà cinta d’assedio da terra e dal mare da parte di Israele che già l’aveva resa impraticabile dal cielo avendone distrutto l’aeroporto – costruito anche con i finanziamenti europei – nel 2001. L’economia della Striscia verrà praticamente strozzata e gran parte dei gazawi sopravvivrà grazie ai sussidi internazionali e, peraltro, sarà costretta ad acquistare le merci israeliane divenendo così, per colmo di prevaricazione, un mercato di sbocco nonché di reddito per i produttori dell’ “unica democrazia del Medio Oriente”.
Nell’agosto del 2005, cioè a pochi mesi dalle elezioni palestinesi, Sharon, prosegue Cecconi nella sua ricostruzione, aveva ordinato l’evacuazione dei 9000 coloni che occupavano Gaza. “Sharon era un uomo tanto intelligente quanto cinico, spregiudicato e crudele. Perché aveva fatto quella mossa? Una delle ipotesi è che supponesse una vittoria di Hamas e volesse isolare la Striscia dal resto della Palestina. Il divide et impera aveva funzionato benissimo per raggiungere quello scopo.” Ma perché isolarla? “Probabilmente aveva messo gli occhi sull’enorme giacimento di gas naturale, il “Gaza marine”, per il cui sfruttamento Arafat aveva iniziato un accordo con la BG britannica nel 1999, accordo rimasto in embrione per le interferenze israeliane”. Ci sono anche altre ipotesi circa la mossa di Sharon ma un ictus lo portò fuori dalla scena politica nel dicembre dello stesso anno e non sapremo mai quale fosse il suo piano…Però la separazione avvenuta nel 2007 tra la Cisgiordania governata dall’Anp, e la Striscia di Gaza governata da Hamas era stato il vero successo della politica israeliana del divide et impera e Sharon ne era stato uno degli artefici. “Dopo averla assediata e senza più la presenza dei coloni, l’assediante periodicamente aggredirà la Striscia con bombardamenti a tappeto di durata e intensità variabile. Quelli estemporanei, di solito di una o due notti, fanno parte della routine e non godono di alcun cenno nella stampa straniera, neanche se colpiscono un luogo di culto perché, non essendoci sinagoghe, non ha senso sprecare due righe per il danneggiamento di una chiesa o di una moschea. I bombardamenti che hanno meritato l’attenzione della stampa estera sono stati quelli del 2008/09, del 2012, del 2014, del 2021, aggressioni militari di durata breve che tuttavia hanno ucciso più di 1000 bambini, circa 5000 adulti e ne hanno feriti gravemente circa 15.000. Tutte vittime giustificate dal “diritto di Israele a difendersi” come fosse la “giusta” reazione al lancio di razzi (che fanno paura, sì, ma danni prossimi allo zero) che in realtà sono, invece, la risposta urlata al mondo, solitamente sordo, come reazione a qualche azione criminale di Israele.”
E solo ora, grazie alla lucida e completa ricostruzione offerta da Cecconi, possiamo arrivare a comprendere il 7 ottobre. Il sogno del popolo di Gaza “è quello di rompere la gabbia creatagli intorno da Israele, soprattutto i giovani sentono questa prigione insopportabile e molti sognano di uscirne, almeno per assaporare quel mondo luccicante che vedono in televisione. Ma il mondo che sbandiera la bellezza della libertà non ha niente da dire contro questa umiliante recinzione lunga circa 40 chilometri per la parte terrestre, né contro le imbarcazioni militari israeliane che si divertono a sparare ai pescatori gazawi se si avvicinano ai 3 chilometri dalla costa per poter pescare in acque meno inquinate. Così come non ha avuto niente da dire quando Israele ha distrutto l’aeroporto internazionale di Rafah”. Eppure, prosegue, in questa situazione che farebbe inorridire chi è abituato alla libertà, almeno a quella di movimento, sono riuscite a nascere esperienze artistiche, sportive, culturali e centri musicali e scuole di pittura e biblioteche e tanto altro che nel sogno dei giovani gazawi un giorno sarebbe stato mostrato ai loro coetanei fuori dalla prigione. “Ma oggi tutto è indistintamente sotto le bombe di quei soldati israeliani così allegri e giocherelloni che diffondono fieramente i loro video sui social mentre brindano all’esplosione di una scuola, o mentre si sbellicano dalle risate rotolando sulle carrozzine dei bimbi palestinesi ammazzati, o mentre dedicano le bombe a qualche ragazzino sulla cui casa sono destinate a esplodere. Tutto ciò che ora il mostro israeliano ha distrutto era stato costruito sotto l’autorità governativa di Hamas. Se la maggior parte delle scuole erano dell’ONU, le 8 università erano palestinesi e così pure un altissimo numero di presidi sanitari, dal grande ospedale Shifa all’ospedale pediatrico Rantissi, intestato guarda caso proprio al dirigente di Hamas assassinato nel 2004. Cosa ti dice tutto questo se non che Hamas, con tutte le critiche possibili dovute al suo conservatorismo religioso e al suo controllo opprimente, è comunque radicato nella società che governa?”
Quindi, conclude Patrizia Cecconi questa prima parte dell’intervista per Egemonia, secondo le sue esperienze dirette chi racconta che i palestinesi di Gaza sono ostaggi di Hamas, o non conosce Gaza o è in malafede. E per spiegarlo ci racconta del suo primo viaggio che vi trascriviamo parola per parola perché fondamentale per comprendere la resistenza palestinese.
“La prima volta che ho messo piede a Gaza è stato nel 2012. Avevo ancora nella mente i drammatici e preziosi reportage inviati da Vittorio Arrigoni durante il massacro israeliano denominato piombo fuso di tre anni prima e mi aspettavo solo disperazione, invece trovai tanta povertà ma altrettanta forza vitale. Il ministro per l’ambiente mi spiegò che quando i coloni se ne andarono le tubazioni dell’acqua vennero dirottate andando a servire i kibbutz che ora si trovano oltre la recinzione e questo spiega facilmente perché a 500 metri di distanza, con lo stesso tipo di suolo, i kibbutz hanno una vegetazione lussureggiante mentre dalla parte gazawa della rete prevale il giallo della sabbia.
Quel primo viaggio a Gaza mi servì per saggiare la situazione. Ebbi contatti col presidente dell’associazione agricoltori, una forza della natura “targato” Fronte popolare; con personale e dirigenti della Mezzaluna Rossa, generalmente “targati” Fatah; con medici, insegnanti, militanti di diverse fazioni politiche che non mi sembra si scannassero né, tantomeno, che dovessero nascondere la propria scelta politica non essendo di Hamas. La cosa negativa che avrei percepito, soprattutto nei miei successivi soggiorni, era il timore diffuso di aver accanto un infiltrato, una spia di Israele. Dopo questo primo assaggio durato circa una ventina di giorni sono riuscita a tornare nella Striscia quasi ogni anno fermandomi di 3 mesi in 3 mesi fino a un massimo di 9 mesi nel 2018, quando ho partecipato a tutti i venerdì della Grande Marcia del Ritorno.
Manifestazione non violenta, ma solo da parte palestinese, mentre da parte israeliana i cento tiratori scelti, assoldati per reprimere i manifestanti (intere famiglie con vecchi e bambini) sceglievano i loro bersagli assassinando circa 360 esseri umani colpevoli di essere palestinesi e di rivendicare la Risoluzione 194 dell’ONU, e lasciando mutilate alcune centinaia di persone, soprattutto ragazzi, grazie all’uso di proiettili a espansione, vietati per legge ma non per Israele che, si sa, è al di sopra della legge! Quella straordinaria e quasi folle iniziativa nasceva, come si suol dire, dal basso e non da Hamas, che poi ovviamente l’avrebbe cavalcata. In quell’occasione ho realmente toccato con mano il desiderio dei parteciparti di raggiungere una reale riconciliazione tra le diverse forze politiche sotto un’unica bandiera. Alla Grande Marcia partecipavano tutti, Hamas, Fatah, Fronte Popolare, Jihad, Fronte Democratico e senza partito. Donne, bambini, anziani. E i feriti dei venerdì precedenti, spesso amputati, tornavano a partecipare reggendosi sulle stampelle. I nostri media s’inventarono, anzi ripeterono, quel che gli suggeriva la hasbara e perfino un’iniziativa straordinaria come quella veniva derubricata e raccontata come manipolata da Hamas e, ovviamente, antisemita!Tra il 2016 e il 2019 ho vissuto a stretto contatto con i gazawi e ho conosciuto persone di tutti i tipi, di tutti i livelli sociali e culturali e di tutte le fazioni politiche.
Voglio insistere su quest’ultimo punto: tutte le fazioni politiche, e lo faccio per sfatare la leggenda che a Gaza chi non è di Hamas o almeno della Jihad, non ha voce. Così come vorrei sfatare il ritornello che le ragazze non possono studiare e le poche che possono arrivare all’università possono farlo solo se sono seguaci di Hamas, o, ancora, che sono obbligate a indossare il niqab (l’abito nero con il velo che lascia vedere solo gli occhi), o almeno l’hijab e che sono schiacciate dalla violenza patriarcale esercitata da Hamas.Niente di tutto questo è vero, le università sono piene soprattutto di ragazze e solo se scelgono l’università islamica (distrutta completamente proprio l’altroieri dai mostri dell’IDF, non per crudele gratuità ma per cancellare un simbolo di identità culturale) debbono indossare il velo, ma di università nella Striscia di Gaza, che misura 340 chilometri quadrati, ce ne sono 8, più di quelle che offre il Comune di Roma che di chilometri quadrati ne ha 1.285.
Aggiungo che nel 2018 nel villaggio di Al Qatatwa, distretto di Khan Younis, grazie al finanziamento ottenuto prevalentemente dalla fondazione Vittorio Arrigoni, abbiamo realizzato un ambulatorio pediatrico circondato da un giardino (ora tutto è solo macerie e polvere) collaborando con medici, paramedici e ingegneri del Fronte democratico, del Fronte popolare, di Fatah e di Hamas. Così come posso testimoniare che la presidente di una charity musulmana, l’ingegner Lina A. di fede rigorosamente islamica, collaborava con suor Nabila, la madre superiora della scuola cattolica delle Rosary Sisters, portando aiuti alle famiglie in difficoltà. Anche quella bellissima scuola cattolica, che accoglieva circa mille studenti, maschi e femmine, in maggioranza musulmani, dotata di teatro, auditorium, biblioteca, grande palestra in cui si organizzavano saggi di danze tradizionali con tanto di ministri (ovviamente di Hamas visto che era il partito di governo) ed altri ospiti illustri non c’è più. Così come non c’è più la piccola moschea femminile dirimpetto alla chiesa delle Rosary Sisters, visitata per curiosità dopo che suor Nabila mi aveva detto che era dedicata alla Sacra famiglia, cioè Gesù, Giuseppe e Maria. Incredibile vero! Incredibile per chi crede alle scemenze o alle menzogne che vengono raccontate su Gaza. La Gaza i cui abitanti sarebbero ostaggi di Hamas!”
Parte II
Nella prima parte siamo andati a scavare le origini storiche e politiche che hanno portato Hamas a divenire il soggetto di riferimento della lotta palestinese. Nella seconda parte ci concentriamo sul post 7 ottobre: come cambia la resistenza palestinese? Quale il nuovo ruolo di Hamas e il suo coordinamento con le altre organizzazioni palestinesi? “Direi che il ruolo che negli anni “70 era di Fatah, oggi, anzi da vari anni, è stato preso da Hamas.” E questo perché, ci sottolinea più volte, Fatah, sia a Gaza che in Cisgiordania, non è più sentito come espressione della resistenza bensì come il partito che sostiene l’Anp, la quale resta legata al vincolo di collaborazione sulla sicurezza a Israele – e per Israele – derivante da una clausola degli accordi di Oslo “che Abu Mazen ha minacciato numerose volte di rigettare senza averlo mai fatto.”
Hamas, prosegue Cecconi, è sicuramente la struttura più significativa nel rappresentare la resistenza palestinese organizzata e non soltanto per il suo braccio armato, e infatti è anche “la più odiata” da Israele e soci. “I collegamenti con altri partiti e con gruppi di giovani resistenti che rifiutano di riconoscersi in fazioni politiche mi sembra, ma è una pura opinione personale, che sia più fattuale che programmato, comunque esiste. I tentativi di ammissione nell’OLP fatti diverse volte dall’ala politica di Hamas per acquisire un riconoscimento giuridico e quindi avere legittimità verso tutti i palestinesi non hanno mai avuto successo e non perché l’ala militare si opponesse ma perché una riforma dell’Olp necessaria a questo scopo avrebbe minato gli equilibri di potere all’interno dell’Olp stessa.”
E arriviamo al 7 ottobre, obiettivi e prospettivi di un’azione che ha segnato uno spartiacque nella storia della resistenza palestinese. “L’obiettivo immediato dell’azione “diluvio di Al Aqsa” era quello di rapire un alto numero di ostaggi, come viene rivendicato dalla direzione di Hamas in un documento pubblico di 15 pagine, per poterli scambiare con i circa 6000 palestinesi, tra cui molti bambini, rinchiusi delle carceri israeliane”. Nel documento a cui fa riferimento Cecconi si rivendica l’uccisione dei militari ma si afferma che i combattenti palestinesi avevano l’ordine di non uccidere i civili perché salvaguardare soprattutto “bambini e donne e anziani è un impegno religioso e morale di tutti i combattenti delle Brigate Al-Qassam”, sebbene venga riconosciuto che degli errori nel caos dell’attacco siano stati fatti. “Ma, si ribadisce nel documento – e questo è confermato anche da molte testimonianze israeliane – molti civili sono rimati vittime accidentali del fuoco incrociato o dei bombardamenti degli elicotteri israeliani che hanno carbonizzato anche alcune centinaia di militari di Hamas.”
Come evidenziato da più testimonianze israeliane e taciute dai media mainstream, da parte dello stato di Israele sarebbe stata applicata la delibera Hannibal emanata nel 1986 e consistente nel sacrificare i propri cittadini piuttosto che farli prendere in ostaggio. “Nel suo documento Hamas respinge categoricamente ogni accusa relativa all’invenzione dei 40 bambini decapitati o agli stupri di massa. Entrambe le accuse peraltro sono state smentite da indagini promosse da quotidiani israeliani e dallo stesso IDF come giustamente tu affermi, ma i nostri media seguitano a riproporle mentre non dicono che il governo israeliano ha rifiutato un’inchiesta indipendente che avrebbe appurato la verità. A questo punto non è bizzarro ipotizzare che quelle menzogne siano servite a giustificare presso l’opinione pubblica il massacro in corso. La corte mediatica pro-Israele, infatti, continua a utilizzarle per far rientrare il massacro di circa 26.000 civili palestinesi nella categoria sempre pagante, e sempre riferita al solo Israele, del “diritto a difendersi”.
Su un tema Cecconi ci tiene a spendere più di una riflessione perché emblematica di come opera la propaganda dei media asserviti a coprire il genocidio a Gaza: l’utilizzo del patriarcato e del femminismo con un uso volutamente distorto. “Ad un mese e mezzo da quel terribile 7 ottobre, mentre in Italia, in seguito all’ennesimo femminicidio di una povera ragazza, i media si buttavano in massa sul dramma dei femminicidi, spunta una petizione, partita da un gruppo di femministe pro-israeliane francesi, in cui si chiede “il riconoscimento del femminicidio di massa in Israele del 7 ottobre”. “Nella petizione, prontamente firmata da uomini e donne poco attenti all’improbabilità del contenuto, si presentano una serie di orribili dettagli, che nessuno ha mai potuto accertare visto che è stata impedita l’autopsia delle vittime, quali “bacini spezzati in seguito alle violenze sessuali” e altri terribili crimini “diretti contro le donne a causa del loro genere “ chiedendo che vengano riconosciuti come femminicidi i “massacri di donne perpetrati il 7 ottobre in Israele”. Ora, almeno una domanda sorge spontanea, prosegue Cecconi nel punto specifico, “dove hanno preso il tempo i barbari terroristi per far passeggiare nude le ragazze più belle e poi violentarle a ripetizione dopo aver ucciso le più brutte come si legge nella macabra petizione? Visto che niente di tutto questo è stato provato ma che è stato ripetuto e ampliato dai nostri media fino a precipitare nel ridicolo in un servizio del TG1 in cui una superstite raccontava di essere stata violentata anche lei: con lo sguardo! O quella di un sedicente militare israeliano che ha testimoniato di aver assistito a vari stupri conclusi con l’accoltellamento delle ragazze stuprate restando nascosto dietro un cespuglio. Un militare che sta lì per proteggere e invece si nasconde trasformandosi in voyeur e lo racconta pubblicamente senza temere un provvedimento disciplinare! Non commento. La menzogna che ha sempre nutrito la narrazione israeliana, in questo caso ha raggiunto il top e lo ha raggiunto grazie alla cortigianeria mediatica più ancora che al vassallaggio politico.”
Patriarcato strumentale all’uso delle purghe sulla base dell’antisemitismo? “Assolutamente sì. Sappiamo tutti che nei “bottini di guerra” così come nelle situazioni in cui le donne rappresentano l’elemento più indifeso, gli stupri abbondano, ma in questo caso, primo non ci sono prove di stupri di massa ma anzi gli stessi sono stati smentiti al pari della decapitazione dei bambini; secondo, la loro rappresentazione ornata di dettagli fantasiosamente macabri ha la funzione di rendere immune Israele dall’accusa di genocidio, esattamente come la sorte riservata alle voci critiche verso i crimini israeliani, o censurate o tacciate di antisemitismo, accusa che per colmo di paradosso in Italia viene usata dagli antisemiti veri come i fascisti (o post-fascisti se vi piace di più) che sono al governo, senza dimenticare i cosiddetti antifascisti alla Fassino che bollano di comportamento antisemita perfino gli ebrei italiani che chiedono di non fornire a Israele le armi con cui stanno realizzando il massacro del popolo di Gaza. Gli stessi che non dicono una parola neanche davanti a orrori come la scoperta dei corpicini putrefatti di neonati palestinesi lasciati morire nei lettini d’ospedale o i carri armati che hanno stritolato malati e feriti impossibilitati a scendere dalle barelle mentre l’ospedale in cui erano ricoverati veniva devastato dall’esercito più morale del mondo. E sorvolo sulle accuse di antisemitismo rivolte perfino al Segretario generale dell’ONU.“
Non si fa troppe illusioni la Cecconi sulle presunte difficoltà di Israele o sulla prossima elezione negli Stati Uniti che potrebbe portare ad un “ammorbidimento”. “Dopo oltre tre mesi di stragi abominevoli di civili inermi e in particolare di bambini, oltre che di un numero impressionante di giornalisti e di personale medico (roba da Norimberga se la legalità internazionale funzionasse) senza che nessuno abbia legato le mani a Netanyahu, come si può esser certi che Israele sia in profonda difficoltà?” Netanyahu sarà pure contestato, ma deve le sue numerose rielezioni (nonostante le condanne per corruzione) alla reiterata dichiarazione che non permetterà mai la nascita di uno Stato palestinese. “Gli israeliani, almeno il 90 per cento degli israeliani, non lo accusano per le stragi orrende che sta commettendo, ma per non aver eliminato Hamas, per non aver riportato a casa gli ostaggi israeliani e per gli sbagli che hanno consentito alla resistenza palestinese di attuare l’azione del 7 ottobre.”
L’importante per la maggioranza degli israeliani, prosegue Cecconi, sarà salvare la vita dei 139 ostaggi ignorando le vite stroncate di 25.000 palestinesi o dei futuri 30 o 100 mila o quanti saranno se nessuno fermerà le azioni benedette dal “Dio degli eserciti”. “In fondo non si è sconvolto nessuno quando Netanyahu, riferendosi ai palestinesi, ha citato Amalek e chi conosce un minimo la Torah (e gli israeliani la conosco ben più di un minimo) ha capito che stava “promettendo” la soluzione finale per gli abitanti di Gaza.” Ultima brillante idea presentata senza vergogna da un ministro di Netanyahu, il ministro degli esteri Israel Katz, è quella di creare un’isola artificiale di fronte alle coste di Gaza e deportarvi i palestinesi. “La fantasia dei razzisti israeliani supera perfino quella dei criminali che usciti dalle galere europee andarono a colonizzare il Nuovo Continente! Quelli, dopo aver ammazzato il numero massimo possibile di nativi rinchiusero gli altri nelle riserve e poi si proclamarono democratici dando vita a quella che ancora oggi viene chiamata la più grande democrazia del pianeta. Israele riesce a fare di più. Eppure la proposta dell’isola artificiale non è stata definita criminale, ma semplicemente bizzarra, tutt’al più grotteca!”
Alla luce di tutto ciò, la posizione di Cecconi è pessimista. Anche sulla “coraggiosa denuncia del Sud Africa” che “andrà ad aggiungersi all’enorme volume delle Risoluzioni ONU non rispettate, delle condanne parolaie dell’Unione europea, dei garbati rimproveri dei padrini, subito compensati dalle carezze dei vassalli e così via”. Israele, con o senza Netanyahu, seguiterà a commettere crimini contro l’umanità e ad agitare la clava dell’olocausto contro chi osi criticarlo, e i suoi cortigiani seguiteranno a sostenerlo, a meno che – ma questa è per la Cecconi più una speranza – i paesi del Brics+ non riescano ad ottenere che lo Stato ebraico venga trattato come un Paese normale e quindi venga posto davanti alle sue gravissime responsabilità e costretto a pagare secondo le norme del Diritto internazionale.
Torniamo al 7 ottobre, in conclusione. “Come ogni pagina di storia, anche questa è stata cruenta, non come è stata raccontata dai servitori della hasbara, ma comunque cruenta. Però è indiscutibile che abbia aperto uno scenario del tutto nuovo”. Visto che le super armate forze militari israeliane non riusciranno mai a cancellare totalmente né Hamas, né le altre forze minori della resistenza che invece credo si rinforzeranno perché l’odio che Israele sta seminando è tale da nutrire tre generazioni di superstiti, e visto che i tempi biblici in cui si poteva annientare tutto il popolo di Amalek sono lontani, sottolinea, Israele dovrà scegliere se vivere nel terrore scaturito dai suoi stessi abominevoli crimini o se rassegnarsi a un compromesso con la resistenza palestinese. “Ho detto la resistenza e non Abu Mazen come vorrebbero gli USA che, mentre chiedono ipocritamente “moderazione nei massacri” seguitano a fornire al loro sodale altre micidiali armi. Ma anche a questo probabilmente verrà posto un limite grazie alla reazione dell’opinione pubblica statunitense, temuta perché capace di cambiare gli equilibri alle vicine elezioni. Lo dimostra l’insistenza, davanti al diniego di Netanyahu, nel chiedere la nascita di uno Stato palestinese. In tutto ciò i palestinesi non vengono neanche consultati, secondo la migliore tradizione della cultura coloniale, come rilevato anche nel documento ufficiale di Hamas nel punto in cui sottolinea che “il popolo palestinese ha la capacità di decidere il proprio futuro e di organizzare i propri affari interni, e quindi nessun partito al mondo ha il diritto di imporre alcuna forma di tutela o di decidere per suo conto.”
Un ultimo messaggio, “stavolta di speranza”, in conclusione è rivolta all’imprevedibile discesa in campo degli Houthi che ha sconvolto il Mar Rosso a sostegno della lotta dei palestinesi, oltre alla prevedibile reazione di Hezbollah “entrambe palesi prove che Gaza non è sola”. Mentre Israele seguita a bombardare ovunque, violando impunito gli spazi aerei di Stati sovrani e sembra far di tutto per costringere l’Iran a scendere in campo direttamente, conclude la Cecconi, il “diluvio di Al Aqsa” potrebbe essere la vera pietra miliare capace – sebbene ad altissimo costo umano – di portare finalmente al rispetto del diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese, secondo quello che è non un programma terroristico, ma un diritto fondamentale stabilito nella Carta Onu e non solo. Concludo con le parole dello sceicco Yassin (che, dopo aver visto rifiutare da Israele la costituzione di uno Stato palestinese sui confini del 1967, proposta gelosamente tenuta nascosta dai media) aveva profetizzato, in una sorta di “ci rivedremo a Filippi”, che entro il primo quarto del XXI secolo Israele si sarebbe disgregato grazie alle sue stesse azioni. La disgregazione di Israele non significa l’eliminazione degli ebrei, lo specifico ad usum delphini, così come la disgregazione dello Stato fascista non significò l’eliminazione degli italiani, bensì il passo necessario verso la Libertà. A volte le profezie si avverano.