A cura di Eros R.F., dagli articoli di Raffaella Milandri,
Indice
Le riserve
Come su molti argomenti legati ai Nativi Americani e ai Popoli Indigeni, anche sulle riserve indiane c’è molta disinformazione, causata principalmente dal tentativo di occultare le ingiustizie e gli abusi subiti tuttora dagli Indiani d’America e anche da molte popolazioni aborigene.
Dopo un accurato studio legislativo, scopriamo che i territori delle riserve indiane sono dati solo in “affidamento” alle tribù degli Indiani d’America e che ricoprono tra l’1% e il 2% degli Stati Uniti.
Il concetto di riserva
Il termine “riserva” pare suggerire un concetto positivo di protezione. Definisce l’Enciclopedia Treccani: “In America, Africa e Australia, la riserva è un’ampia zona, istituita a seguito della colonizzazione europea, riservata a comunità etniche indigene, sia per consentire loro di vivere indisturbate e appartate secondo le proprie forme di vita tradizionali, sia per controllare e tenere a freno tribù bellicose e insofferenti della nuova civiltà”. Tribù bellicose?
Una riserva è altresì un’area di territorio dove gli animali selvatici sono protetti, come spiega il Cambridge Dictionary. Quindi la riserva si potrebbe intendere anche come “riserva di caccia” per chi la istituisce. Il concetto di riserva si applica principalmente, perciò, ai Popoli Indigeni e alle specie animali protette, curiosamente e gravemente abbinati.
Nel mondo, i Popoli Indigeni che notoriamente vivono in “riserve” sono i Nativi Americani negli Stati Uniti e in Canada; anche gli Aborigeni Australiani vivono in aree indigene protette, “indigenous protected area”. Ci sono poi le “terras indigenas” in Brasile, la “indígena originaria campesina” in Bolivia, che include la parte amazzonica, i “territorios indígenas” in Costa Rica, e altre ancora, come la “South Gujarat Tribal Belt” in India, dove vivono diverse tribù di Adivasi. Ma questi territori appartengono davvero alle tribù? E servono, anziché per proteggerle, per ghettizzarle e mantenerle in stato di povertà?
Il primo requisito con cui i territori delle riserve sono stati scelti dai Governi è quello di un’area priva o quasi di risorse. Che cosa dire di quello che è successo ai San, o Boscimani, del Kalahari, in Botswana? Dopo essersi visti assegnare una vasta area a loro destinata, la Central Game Kalahari Reserve, negli anni Novanta ne sono stati privati e deportati con la forza dopo la scoperta di giacimenti di diamanti. Scuole e villaggi sono stati dati alle fiamme e distrutti. Un altro esempio diverso e ancor più drammatico lo abbiamo visto, per il petrolio, con la Nazione Osage in Killers of the Flower Moon. Ho visto molte tragedie attuali, soprattutto in Africa e Asia, a causa dello sfruttamento delle risorse del suolo e sottosuolo, voluto perlopiù da multinazionali in combutta con i Governi. Anche il popolo dei Sami, in nord Europa, ha serie difficoltà a vedere riconosciuti i propri diritti e a tutelarli.
L’opinione molto diffusa sulle riserve in Nord America, per i coabitanti statunitensi, è che, in un mondo che si fa sempre più piccolo, povero di risorse, e oneroso per l’Uomo Bianco, i Popoli Indigeni occupino territori troppo vasti e necessitino di assistenza dallo Stato, ovvero siano un “costo troppo elevato”. Pur se ci sono persone e associazioni che sostengono i Popoli Indigeni – gli originari abitanti di Oceania, Americhe, Africa e il resto del mondo, – una grande fetta di cittadini li considera scomodi, se non anche selvaggi. La crudele perdita di valori e di identità della loro cultura, del resto, facilita anche il degrado delle molte comunità indigene dove disoccupazione, depressione, alcolismo e suicidi non aiutano certo a farli salire ai livelli di “civiltà” della privilegiata società bianca.
Le riserve “indiane” negli Stati Uniti
I Nativi Americani degli Stati Uniti, in base al Census 2020, sono oltre nove milioni. Le tribù riconosciute a livello federale sono 574 – poi ci sono quelle riconosciute solo a livello statale e quelle non riconosciute. Pensate che incredibile e preziosa varietà di popoli, di tradizioni e di culture. Le riserve indiane sono 326 – “circa”, come riporta il sito governativo del BIA, Bureau of Indian Affairs. In alcune riserve convivono anche diverse tribù, mentre altre non hanno alcuna riserva, come, ad esempio, la Little Shell Tribe of Chippewa Indians of Montana.
Mappa delle riserve indiane degli Stati Uniti. Fonte Bureau of Indian Affairs
La “proprietà” delle riserve indiane
Ritengo importante fare un po’ di chiarezza sul concetto di terre tribali: ecco un estratto dei concetti fondamentali, per comprendere fino in fondo che i terreni di proprietà “vera” di una tribù sono, come mi spiegava Mary del consiglio tribale della Confederated Salish and Kootenai Tribes, solo quelli che riescono ad acquistare in moneta sonante o le fee land, come cercherò di spiegare dopo nella maniera più semplice possibile.
Come sappiamo, all’origine di queste “concessioni” di terre ai Nativi Americani ci sono stati centinaia di trattati – ricordiamo i famosi Trattati di Fort Laramie del 1851 e del 1868. Questi trattati in sostanza erano accordi scritti in inglese e firmati perlopiù con una croce dai capi tribali che non sapevano leggere né scrivere, in cui i capi delle tribù accettavano di ritirarsi in un fazzoletto di terra, spesso un decimo di quello esistente o anche meno, e di lasciare libera la maggior parte del territorio in cambio della promessa a rendite annuali in denaro, in bestiame, in forniture regolari di cibo – sono accordi in molti casi ancora in vigore, pur se lascio immaginare la qualità dell’alimentazione. Ma la domanda è: queste 324 riserve indiane quanto occupano dell’attuale territorio degli Stati Uniti? Ebbene, circa il 2,3%.
E nemmeno per intero, poiché non tutto il terreno delimitato come riserva è di “proprietà” tribale. Le riserve indiane sono un mix complicato e promiscuo di status di proprietà della terra. La storia tra le tribù indiane riconosciute a livello federale e gli Stati Uniti, che risale a secoli fa, continua a influenzare le questioni attuali relative alla terra delle tribù. Tre casi della Corte Suprema dell’inizio del 19° secolo, noti come la Trilogia Marshall, hanno stabilito un quadro di base per la legge federale indiana e le radici della relazione fiduciaria tra federali e tribù. Questi casi hanno riconosciuto che le tribù hanno il diritto di risiedere sulle terre a loro riservate, ma gli Stati Uniti hanno l’ultima parola; le tribù sono “stati nazionali dipendenti”.
Secoli di politiche federali mutevoli hanno profondamente influenzato il trattamento delle terre tribali. Nel 1800, la politica si è concentrata sulla negoziazione dei trattati con le tribù, portando alla formazione di riserve e con il risultato che le tribù hanno ceduto agli Stati Uniti grandi tratti di terra in cambio di piccoli lotti. Alla fine del 1800 e all’inizio del 1900, nel tentativo di assimilare – o meglio, far scomparire – le tribù e i loro membri alla cultura americana tradizionale, il Congresso autorizzò le terre detenute dalle tribù a essere assegnate ai singoli membri della tribù (allotment del Dawes Act), portando milioni di acri a uscire dal trust (che spiegherò fra poco) e riducendo drasticamente i terreni tribali. Negli anni ‘30 e ‘40, il Congresso pose fine alla politica di assegnazione e concesse più controllo amministrativo alle tribù con il passaggio dell’Indian Reorganization Act del 1934 (IRA). Ma, negli anni ‘50 e ‘60, il Congresso passò di nuovo a porre fine alla relazione federale-tribale e con la Termination Era cercò di cancellare lo status di molte tribù nel tentativo di integrare i Nativi Americani nella popolazione generale. Dalla fine degli anni ‘70, finalmente la politica si è concentrata sull’autodeterminazione e l’autogoverno, ristabilendo il rapporto di fiducia federale e tribale e aumentando il processo decisionale tribale.
Oggi, le terre tribali hanno diversi stati di proprietà. Le proprietà terriere comuni includono terre fiduciarie, terre a pagamento limitate e terre a pagamento.
Le terre fiduciarie (trust land) sono terre di proprietà del governo federale e tenute in amministrazione fiduciaria a beneficio della tribù a livello comunitario o dei membri della tribù a livello individuale. I terreni a pagamento limitato (restricted fee land) sono di proprietà di una tribù o di un membro della tribù, ma sono soggetti a una restrizione contro l’alienazione (cioè la vendita o il trasferimento) o l’ingombro (cioè il pegno, le locazioni, ecc.) per effetto della legge. Le terre a titolo oneroso (fee land), a volte definite come terre semplici (fee simple land), sono terre di proprietà di una persona che può liberamente alienare o ingombrare la terra senza l’approvazione federale. Altri tipi di designazione dei terreni, pur non essendo considerati proprietà, possono includere trust, restricted fee e fee land nel loro ambito. Le terre assegnate (allotted land) sono parcelle di terra in trust o restricted fee detenute da un membro della tribù.
Le riserve federali indiane (Federal Indian Reservation) sono aree riservate a una tribù, o a più tribù, come homeland (patrie) permanenti attraverso trattati, ordini esecutivi, atti del Congresso e azioni amministrative. Indian Country è un termine legale che, ai fini della giurisdizione penale, si riferisce generalmente a tutte le terre all’interno di una riserva indiana federale, a tutte le comunità native americane dipendenti e a tutte le “allotted land” dei membri delle tribù. Il Congresso può prendere in considerazione varie questioni riguardanti il processo di trasferimento delle terre in trust, così come i requisiti per gravare le terre fiduciarie e le terre a pagamento limitate e il frazionamento delle terre assegnate.
Ci sarebbe ancora molto da dire e da chiarire, ma le basi sono queste. I terreni delle riserve indiane NON appartengono, in sostanza, ai Nativi Americani tranne che nel caso delle fee land o di quelle terre che vengono acquistate dalla tribù. Basta riflettere un attimo per comprendere quale gigantesco imbroglio sia stato effettuato ai danni degli abitanti originari degli Stati Uniti.
Aggiungerò solo che, anche negli ultimi decenni, molti “bianchi” si sono appropriati di terreni giacenti sulle riserve acquistandoli per pochi soldi, raggirando in diversi modi membri tribali. Perché purtroppo, o per fortuna di alcuni, pochi Nativi hanno cambiato il loro modo di essere e la loro spiritualità per abbracciare l’avidità occidentale.
Crisi permanente di sopravvivenza e sviluppo
Il genocidio degli indiani da parte del governo degli Stati Uniti ha portato a un precipitoso calo della popolazione delle comunità indiane, al deterioramento delle loro condizioni di vita, alla mancanza di sicurezza sociale, al basso status economico, alle minacce alla loro sicurezza e al crollo dell’influenza politica.
Il deterioramento delle condizioni di vita
Gli indiani furono spinti da est all’arido ovest, e la maggior parte delle riserve indiane erano situate in aree remote non adatte all’agricoltura, tanto meno agli investimenti nello sviluppo industriale. La maggior parte delle tribù, con riserve sparse di varie dimensioni, non era in grado di ottenere terreni adeguati per lo sviluppo ed era quindi soggetta a gravi vincoli di sviluppo .
Attualmente ci sono circa 310 riserve di nativi americani negli Stati Uniti, che rappresentano circa il 2,3% del territorio degli Stati Uniti, e non tutte le tribù riconosciute a livello federale hanno le proprie riserve. Queste riserve sono per lo più situate in aree remote e aride con condizioni di vita precarie e un accesso inadeguato all’acqua e ad altre risorse vitali, dove il 60% del sistema stradale è sterrato. In apparenza, gli indiani non sono più oggetto di “sterminio”, ma solo “dimenticati”, “invisibili” e “discriminati”; eppure in realtà, sono semplicemente lasciati lì per l’auto-sterminio.
Il governo degli Stati Uniti ha anche utilizzato sistematicamente le riserve indiane come discariche di rifiuti tossici o nucleari attraverso l’inganno e la coercizione, sottoponendole a un’esposizione a lungo termine all’uranio e ad altri materiali radioattivi. Di conseguenza, l’incidenza del cancro e il tasso di mortalità nelle comunità interessate è significativamente più alto che in altre parti del Paese. Le comunità indiane sono effettivamente diventate i “bidoni della spazzatura” nel processo di sviluppo degli Stati Uniti.
Ad esempio, nella riserva della nazione Navajo, la più grande tribù indiana degli Stati Uniti, circa un quarto delle donne e alcuni bambini hanno grandi quantità di sostanze radioattive nel loro corpo. Durante gli oltre 40 anni prima del 2009, il governo degli Stati Uniti avrebbe condotto un totale di 928 test nucleari nell’area abitata dalla tribù Shoshone degli indiani d’America, producendo circa 620.000 tonnellate di ricadute radioattive, quasi 48 volte la quantità di ricadute radioattive causate dal bombardamento atomico del 1945 a Hiroshima, in Giappone.
Mancanza di sicurezza sociale
Secondo un rapporto pubblicato dall’Indian Health Service, l’aspettativa di vita degli indiani d’America è di 5,5 anni inferiore a quella degli americani medi e l’incidenza di diabete, malattie croniche del fegato e dipendenza da alcol sono 3,2 volte, 4,6 volte e 6,6 volte superiori rispetto alla media statunitense. Studi accademici mostrano che tra tutti i gruppi etnici negli Stati Uniti, gli indiani hanno l’aspettativa di vita più breve e il più alto tasso di mortalità infantile; l’incidenza dell’abuso di droghe e alcol tra gli adolescenti indiani è 13,3 volte e 1,4 volte superiore alla media nazionale e il tasso dei suicidi è 1,9 volte quello della media nazionale. Questi fenomeni sono strettamente correlati all’insufficiente investimento del governo in risorse sanitarie pubbliche, alle disuguaglianze sanitarie sottostanti e al generale sottosviluppo delle comunità minoritarie.
Il governo degli Stati Uniti fornisce assistenza medica e educativa limitata agli indiani. Il 99% di tale assistenza è andato ai residenti della riserva, ma il 70% degli indiani vive in città e quindi non può essere coperto. A parte il servizio sanitario indiano, molti indiani non hanno accesso all’assicurazione sanitaria e sono spesso soggetti a discriminazione e barriere linguistiche nei servizi sanitari non indiani e nelle strutture sanitarie non tribali.
Lo stato di svantaggio degli indiani nell’assistenza sanitaria è stato ulteriormente esposto nel mezzo della pandemia di COVID-19. Le statistiche statunitensi del CDC mostrano che al 18 agosto 2020, l’incidenza di COVID-19 e i tassi di mortalità per caso tra gli indiani erano 2,8 volte e 1,4 volte maggiori rispetto a quelli degli americani bianchi. Un rapporto prodotto dal Relatore speciale delle Nazioni Unite sul diritto ad un alloggio adeguato, ai sensi della risoluzione 43/14 del Consiglio per i diritti umani, rileva che i nativi americani e gli afroamericani sono colpiti in modo sproporzionato dal COVID-19, con un tasso di ospedalizzazione cinque volte quello dei bianchi non-ispanici americani. Il tasso di infezione da COVID-19 nella nazione Navajo, la più grande riserva indiana degli Stati Uniti, a un certo punto ha persino superato quello di New York, divenendo il più alto del Paese.
In termini di istruzione, le condizioni delle riserve indiane sono molto più povere di quelle delle comunità bianche americane. Secondo le statistiche del 2013-2017 dell’US Census Bureau, solo il 14,3% degli indiani d’America possedeva una laurea o un livello di istruzione superiore, in contrasto con il 15,2% per gli ispanici, il 20,6% per gli afroamericani e il 34,5% per i bianchi americani. Molte riserve indiane stanno lottando con le scuole e sistemi di istruzione in frantumi.
Il New York Times riferisce che solo il 60% degli studenti indiani d’America della riserva Wind River ha terminato la scuola superiore, mentre l’80% degli studenti bianchi nel Wyoming si è diplomato al liceo; il tasso di abbandono nella riserva è del 40%, più del doppio della media statale del Wyoming; e gli adolescenti indiani d’America nella riserva hanno il doppio delle probabilità di suicidarsi rispetto ai loro coetanei nel Paese.
Scarse condizioni economiche e di sicurezza
Molte riserve nella terra arida del Midwest sono state alle prese con la stagnazione economica e sono diventate le aree più povere del Paese. Il tasso di povertà di alcune riserve ha addirittura superato l’85%. Secondo le statistiche dell’US Census Bureau nel 2018, il tasso di povertà degli indiani d’America, al 25,4%, era il più alto tra tutte le minoranze etniche, rispetto al 20,8% per gli afroamericani, al 17,6% per gli ispanici e al 8,1% per i bianchi americani. Il reddito medio delle famiglie degli indiani d’America era solo il 60% di quello delle famiglie bianche.
In una visita alla riserva di Pine Ridge nel South Dakota, The Atlantic ha rivelato che il tasso di disoccupazione locale raggiungeva l’80%. La maggior parte degli indiani nella riserva viveva al di sotto della soglia di povertà federale e molte famiglie non avevano accesso all’acqua corrente e all’elettricità. Poiché gli aiuti alimentari forniti dal governo federale erano generalmente ricchi di zuccheri e calorie, il tasso di incidenza del diabete locale era otto volte superiore alla media nazionale e l’aspettativa di vita media era di soli 50 anni circa.
Le cattive condizioni economiche hanno portato a seri problemi di ordine pubblico. Nella riserva di Pine Ridge, i giovani disoccupati spesso si rivolgono alla cultura delle gang in cerca di identità e appartenenza, mentre l’alcolismo, la lotta e l’abuso di droghe sono all’ordine del giorno nelle comunità locali. Secondo una ricerca del National Institute of Justice degli Stati Uniti, più di 1,5 milioni di donne indiane americane e native dell’Alaska negli Stati Uniti, ovvero l’84,3% della popolazione totale del gruppo, avevano subito violenza nel corso della loro vita. Inoltre, molti trasgressori della legge hanno approfittato delle lacune nelle leggi locali per condurre attività criminali, portando a un ulteriore peggioramento delle condizioni di sicurezza nelle riserve.
Status politico svantaggiato
Nella politica americana tradizionale, gli indiani e altri nativi americani non scelgono di essere “silenziosi”. Piuttosto, sono stati “silenziati” dal sistema e “sistematicamente cancellati”. Gli indiani d’America hanno una popolazione relativamente piccola e non hanno un forte interesse per la politica. Con un tasso di affluenza alle urne inferiore a quello di altri gruppi etnici, i loro interessi e le loro richieste sono spesso ignorati dai politici. Di conseguenza, gli indiani d’America sono stati ridotti a cittadini di seconda classe negli Stati Uniti, e sono spesso chiamati la “minoranza invisibile” o la “razza in estinzione” nel Paese. Fu solo nel 1924 che agli indiani d’America fu concessa la cittadinanza statunitense con riserva e solo nel 1965 fu concesso loro il diritto di voto.
Nel giugno 2020, il Native American Rights Fund e altre istituzioni hanno condotto uno studio sulle barriere alla partecipazione politica incontrate dagli elettori nativi americani, con la partecipazione di società civile, esperti legali e studiosi di tutto il Paese. I risultati hanno mostrato che solo il 66% dei 4,7 milioni di elettori nativi americani idonei erano registrati e più di 1,5 milioni di elettori nativi americani idonei non potevano esercitare in modo significativo il loro diritto di voto a causa di barriere politiche. Secondo i risultati, gli elettori nativi americani devono affrontare 11 pervasivi ostacoli alla partecipazione politica, inclusi orari limitati degli uffici governativi, mancanza di fondi per le elezioni e discriminazione. Nell’attuale Congresso degli Stati Uniti, solo quattro membri sono indiani d’America, che rappresentano circa lo 0,74% dei membri del Congresso in entrambe le camere. L’impegno politico e l’influenza dei nativi americani sono sproporzionatamente inferiori rispetto ad altri gruppi della popolazione americana.
Le comunità di nativi americani hanno sofferto a lungo di abbandono e discriminazione. Molti programmi statistici del governo degli Stati Uniti li lasciano da parte completamente o semplicemente li classificano come “altri”. Shannon Keller O’Loughlin, amministratore delegato e procuratore della Association on American Indian Affairs, ha affermato che la più grande aspirazione dei nativi americani è ottenere il riconoscimento sociale. I nativi americani hanno culture e lingue diverse, ma spesso non sono visti come un gruppo etnico, ma come uno strato politico con un’autonomia limitata basata su trattati con il governo federale. La Brookings Institution ha recentemente pubblicato un articolo in cui si afferma che il rapporto mensile sull’occupazione degli Stati Uniti ignora gli indiani d’America. Il benessere economico di questo gruppo riceve poca attenzione ed è in gran parte escluso dalla discussione. Ci sono quasi 200 tribù di indiani d’America in California, solo la metà delle quali è riconosciuta dal governo federale. Sebbene l’amministrazione Biden abbia nominato il primo ministro del gabinetto degli indiani d’America, il tasso di partecipazione politica e l’influenza politica degli indiani sono ancora troppo bassi rispetto alla loro quota sulla popolazione americana.
Secondo un sondaggio condotto dalla Harvard TH Chan School of Public Health, più di un terzo dei nativi americani ha subito negligenza, violenza, umiliazione e discriminazione sul posto di lavoro e gli indiani d’America che vivono in aree popolate da indiani hanno maggiori probabilità di essere soggetti a discriminazione nei rapporti con la polizia, sul lavoro e durante le votazioni. Secondo il Dipartimento degli interni degli Stati Uniti, gli indiani d’America hanno il doppio delle probabilità di essere incarcerati per reati minori rispetto ad altri gruppi etnici. Il tasso di incarcerazione degli uomini indiani è quattro volte quello degli uomini bianchi e il tasso delle donne indiane è sei volte quello delle donne bianche.
The Atlantic commentò che dall’espulsione, dal massacro e dall’assimilazione forzata indietro nella storia fino all’attuale diffusa povertà e abbandono, gli indiani d’America, un tempo proprietari di questo continente, ora hanno una voce molto debole nella società americana. La scrittrice indoamericana Rebecca Nagel ha sottolineato acutamente che essere resi invisibili è un nuovo tipo di discriminazione razziale contro gli indiani d’America e altre popolazioni indigene. Il Los Angeles Times ha commentato che il trattamento ingiusto dei nativi americani è profondamente radicato nella struttura sociale e nel sistema legale degli Stati Uniti.
Assimilazione forzata ed estinzione culturale
Dal 1870 alla fine del 1920, il governo degli Stati Uniti ha implementato con la forza il sistema dei collegi degli indiani d’America nelle aree dei nativi americani per imporre l’istruzione inglese e cristiana ai bambini indiani. Si sono verificati anche casi di bambini indiani rapiti e costretti a frequentare le scuole in molti luoghi. Il sistema dei collegi degli indiani d’America imposto ai nativi americani, come parte della storia degli Stati Uniti, ha causato danni irreparabili, soprattutto ai giovani e ai bambini. Molti nativi americani della generazione più giovane si sono trovati incapaci di prendere piede nella società tradizionale e sentivano la difficoltà del preservare e promuovere la propria cultura tradizionale, il che li lasciava disorientati e angosciati dalla propria cultura e identità.
In questi collegi, le trecce dei bambini indiani d’America, simbolo di coraggio, venivano tagliate e i loro vestiti tradizionali bruciati. Era severamente vietato parlare la loro lingua madre e i trasgressori sarebbero stati picchiati duramente. In queste scuole veniva imposta una gestione in stile militare ai bambini nativi americani che subivano non solo punizioni corporali da parte di mentori, ma anche abusi sessuali. Non pochi bambini indiani d’America si ammalarono e morirono persino a causa di metodi di istruzione severi, stile di vita forzato, nostalgia di casa e malnutrizione.
Il governo degli Stati Uniti aveva anche promulgato leggi che proibivano ai nativi americani di eseguire rituali religiosi che sono stati tramandati di generazione in generazione, e coloro che erano coinvolti in tali attività sarebbero stati arrestati e imprigionati. Dal 20° secolo, con l’ascesa del Movimento per i diritti civili negli Stati Uniti, la protezione della cultura e della storia tradizionali dei nativi americani è migliorata in una certa misura. Tuttavia, a causa del grave danno che era già stato inflitto, ciò che è rimasto ora sono per lo più reliquie culturali conservate dalle generazioni successive che utilizzano invece la lingua inglese.
Rebecca Nagle ritiene che le informazioni sui nativi americani siano state sistematicamente rimosse dai media mainstream e dalla cultura popolare. Secondo un rapporto della National Indian Education Association, l’87% dei libri di testo di storia degli Stati Uniti a livello statale non menziona la storia post-1900 delle popolazioni indigene. Secondo la Smithsonian Institution, le cose insegnate sui nativi americani nelle scuole americane sono piene di informazioni imprecise e non riescono a presentare il quadro reale delle sofferenze degli indigeni. Rick Santorum, un ex senatore repubblicano della Pennsylvania, ha dichiarato “pubblicamente” alla Young America’s Foundation che “abbiamo dato vita a una nazione dal nulla. Voglio dire, non c’era niente qui… ma, sinceramente, non c’è molta cultura dei nativi americani nella cultura americana“. Le sue osservazioni respingevano e negavano l’influenza delle popolazioni indigene nella cultura americana.
Per difendere le azioni ingiuste del governo degli Stati Uniti, alcuni studiosi americani nel XIX secolo strombazzarono la dicotomia “civiltà contro barbarie” e dipinsero i nativi americani come un gruppo selvaggio, malvagio e inferiore. Francis Parkman, un famoso storico americano del XIX secolo, affermò persino che l’indiano d’America “non imparerà le arti della civiltà, e lui e la sua foresta devono perire insieme“.
George Bancroft, contemporaneo di Parkman e un altro noto storico americano, ha anche affermato che rispetto ai bianchi, i nativi americani erano “inferiori per ragione e qualità morali“, aggiungendo che “né questa inferiorità è semplicemente attribuita all’individuo; è connessa con l’organizzazione, ed è la caratteristica della razza”. Un tale tentativo di “giustificare” il saccheggio coloniale umiliando gli indiani non è altro che discriminatorio dal punto di vista razziale.
Negli anni ’70 e ’80 dell’Ottocento, il governo degli Stati Uniti adottò una politica più aggressiva di “assimilazione forzata” per cancellare il tessuto sociale e la cultura delle tribù indiane. L’obiettivo principale della strategia era distruggere l’appartenenza al gruppo originario così come l’identità etnica e tribale degli indiani, e trasformarli in individui americani con cittadinanza americana, coscienza civica e identificazione con i valori americani tradizionali. A tal fine sono state adottate quattro misure.
Primo, privare completamente le tribù indiane del loro diritto all’autogoverno. Gli indiani d’America avevano “vissuto” in unità tribali nel corso degli anni e le tribù erano state la loro fonte di forza e sostegno spirituale. Il governo degli Stati Uniti abolì con la forza il sistema tribale e gettò gli indiani in una società bianca con tradizioni completamente diverse. Incapaci di trovare un lavoro o guadagnarsi da vivere, gli indiani divennero economicamente indigenti, politicamente privati e socialmente discriminati. Hanno vissuto un grande dolore psichico e una profonda crisi esistenziale e culturale. Nel XIX secolo, le fiorenti tribù Cherokee godevano di una vita materiale quasi paragonabile a quella dei bianchi di frontiera. Tuttavia, con il loro diritto all’autogoverno e il “sistema tribale” gradualmente abolito dal governo degli Stati Uniti, la comunità Cherokee declinò rapidamente e divenne il gruppo più povero tra gli indigeni.
In secondo luogo, il tentativo di distruggere le riserve indiane attraverso la distribuzione della terra e infine di disintegrare le loro tribù. Il Dawes Act approvato nel 1887 autorizzava il presidente degli Stati Uniti a sciogliere le riserve indiane, ad abolire la proprietà della terra tribale nelle riserve originali e ad assegnare la terra direttamente agli indiani che vivevano all’interno e all’esterno delle riserve, formando un sistema de facto di privatizzazione della terra. L’abolizione della proprietà terriera tribale ha disintegrato le comunità degli indiani d’America e minato gravemente l’autorità tribale. In quanto forma più elevata di unità tribale, il rituale della tradizionale “Danza del Sole” era considerato “eresia” e quindi proibito. La maggior parte della terra nelle riserve originali è stata trasferita ai bianchi tramite asta; gli indiani che erano meno preparati per l’agricoltura persero la loro terra appena acquisita a causa di frodi, tra l’altro, e le loro vite si deteriorarono di giorno in giorno.
Terzo, adottare misure per imporre pienamente la cittadinanza americana agli indiani. I nativi americani identificati come “razza mista” dovettero rinunciare al loro status tribale, mentre altri furono “detribalizzati”, cosa che danneggiò gravemente l’identità indiana.
Quarto, sradicare il senso di comunità e identità tribale degli indiani adottando misure su istruzione, lingua, cultura e religione e una serie di politiche sociali. A partire dal Civilization Fund Act del 1819, gli Stati Uniti hanno istituito o finanziato collegi in tutto il Paese e forzato bambini indiani a frequentarli. Secondo un rapporto della National Native American Boarding School Healing Coalition, ci sono stati in tutto 367 collegi negli Stati Uniti. Nel 1925, 60.889 bambini indiani erano stati costretti a frequentare collegi. Nel 1926, l’83% dei bambini indiani furono iscritti. Il numero totale di studenti iscritti rimane ancora poco chiaro fino ad oggi. Guidati dall’idea di “Kill the Indian, Save the Man”, gli Stati Uniti hanno vietato ai bambini indiani di parlare la loro lingua madre, di indossare i loro abiti tradizionali o svolgere attività tradizionali, cancellando così la loro lingua, cultura e identità in un atto di genocidio culturale. I bambini indiani soffrirono immensamente a scuola e alcuni morirono di fame, malattie e abusi. Questa è stata seguita da una politica di “affidamento forzato” — i bambini sono stati affidati con la forza alle cure dei bianchi, che era una continuazione della politica di assimilazione e di negazione dell’identità culturale. Queste pratiche non furono vietate fino al 1978 quando l’Indian Child Welfare Act fu approvato. Nell’approvare la legge, è stato riconosciuto al Congresso che un gran numero di bambini indiani era stato trasferito in famiglie e istituzioni non indiane senza permesso, provocando lo smembramento delle famiglie indiane.
Come hanno affermato eminenti storici, con l’assimilazione forzata, una delle cose più spregevoli della storia americana raggiunse il suo apice. Questo è stato forse il capitolo più sfortunato per gli indiani.
Portare stupratori, pedofili e assassini nelle riserve dei nativi
Immagina un mondo in cui la tua gente viene rapita, aggredita sessualmente e/o uccisa al tasso più alto del paese, quasi esclusivamente da altre razze, ma il sistema si rifiuta di fare altro che incoraggiarlo. Le forze dell’ordine non sono autorizzate a sporgere denuncia contro altre razze per qualsiasi crimine violento commesso contro la tua gente. E’ razzismo evidenziare il fatto che a farli sia una determinata razza? O è forse razzismo legittimare ogni sopruso contro una razza specifica?
I dati e le testimonianze in questo capitolo riportati sono presi dall’articolo Murdered and missing Native American women challenge police and courts del Center of Public Integrity.
In alcune contee degli Stati Uniti composte principalmente da terre di nativi americani, i tassi di omicidio delle donne native americane sono fino a 10 volte superiori alla media nazionale per tutte le razze, secondo uno studio per il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti condotto da sociologi dell’Università del Delaware e dell’Università della Carolina del Nord, Wilmington.
I rapimenti non sono da meno. Nel 2016, sono stati segnalati al National Crime Information Center 5.712 casi di donne native americane scomparse.
“I numeri sono probabilmente molto più alti perché i casi sono spesso sottostimati e i dati non vengono raccolti ufficialmente”, ha affermato la senatrice americana Heidi Heitkamp, democratica del Nord Dakota, che ha introdotto una legislazione per migliorare il modo in cui le forze dell’ordine tengono traccia dei dispersi.
La testimonainza di Annita Lucchesi
Negli Stati Uniti, molte vittime dei nativi americani non vengono rintracciate dalle forze dell’ordine, ha affermato Annita Lucchesi, dottoressa presso l’Università di Lethbridge in Canada. Ha raccolto rapporti online e documenti pubblici per creare un database di oltre 2.600 casi di donne indigene scomparse e uccise da tutti gli Stati Uniti e dal Canada. Quasi la metà delle vittime provengono dagli Stati Uniti.
Uno degli ex studenti di Lucchesi, Ashley Loring HeavyRunner, è scomparso nel giugno del 2017 dalla Riserva dei Piedi Neri nel Montana. Sua sorella ha detto di aver chiesto aiuto al Bureau of Indian Affairs, ma dopo nove mesi di ricerche non ha ricevuto nuove informazioni. L’FBI non è intervenuta fino a marzo del 2018, ha aggiunto. A più di un anno dalla sua scomparsa, Loring HeavyRunner risulta ancora disperso.
“Ashley era molto brillante. Era davvero orgogliosa di essere Blackfeet. Amava la sua gente, amava la sua cultura, progettava di trasferirsi all’Università del Montana con sua sorella a Missoula per studiare Scienze Ambientali e poi tornare a casa e prendersi cura della sua terra natale”, ha detto Lucchesi.
“Viviamo in una società in cui le rappresentazioni delle donne indigene sono spesso vittime di violenza o ipersessualizzate”, ha detto Lucchessi. “Quando il resto del paese pensa solo alle donne native in questi modi, è facile vederci nella vita reale come donne facili da vittimizzare.”
Lucchesi ha detto che una volta è stata violentata da un uomo non indigeno che ha commentato che assomigliava a Pocahontas, anche se non si assomigliano per niente, ha detto.
Ha anche ricordato che più tardi, mentre camminava per Spokane, Washington, di ritorno da un concerto con i suoi amici, si è trovata di fronte a un uomo bianco che ha insistitodi pagarla per il sesso.
“Grazie a Dio il mio amico aveva una mazza da baseball in macchina”, ha detto Lucchesi. “Ci seguiva, ci urlava contro, ci ha offerto 50 dollari a testa e ha detto ‘è tanto per le ragazze indiane, non vali nemmeno tanto'”, ha detto Lucchesi. “Era tutto basato su uno stereotipo di chi siamo come donne native.”
“(L’omicidio e la violenza sessuale) sono una vera paura tra le donne native americane”, ha affermato Lisa Brunner, co-direttrice dell’Indigenous Women’s Human Rights Collective e professoressa e coordinatrice culturale al White Earth Tribal and Community College di Mahnomen, Minnesota.
“Le donne native americane sono vittime di una violenza molto più grande di qualsiasi altra popolazione del paese semplicemente a causa di ciò che siamo, come donne native, e di ciò che rappresentiamo, le nostre nazioni tribali”, ha affermato Brunner.
Secondo uno studio del 2016 del National Institute of Justice, più della metà delle donne native americane sono state aggredite sessualmente: un tasso di stupro quasi 2,5 volte superiore a quello delle donne bianche.
A differenza delle donne di ogni altro gruppo razziale, le donne native americane hanno maggiori probabilità di essere aggredite sessualmente da persone che non sono native americane. Uno studio condotto dall’Università del Delaware e dall’Università della Carolina del Nord ha rilevato che più di due terzi delle aggressioni sessuali contro le donne indigene sono commesse da bianchi e da altri non nativi americani. Mentre secondo il rapporto del 2013 redatto da NCAI Policy Research Center, sappiamo che il numero è più vicino all’86%.
Eppure gli uomini non nativi che aggrediscono le donne native americane nelle riserve non possono essere arrestati o perseguiti dalle autorità tribali (delle riserve) in base a una decisione della Corte Suprema del 1978.
“Se una persona bianca commettesse un omicidio o uno stupro contro un nativo americano, il governo federale avrebbe giurisdizione su quei crimini, invece del governo della tribù o dello Stato”, ha detto Cheryl Bennett, una professoressa dell’Arizona State University che studia i crimini d’odio contro le popolazioni indigene.
Ma quando le forze dell’ordine tribali hanno inviato casi di abusi sessuali all’FBI e agli uffici della Procura degli Stati Uniti, i pubblici ministeri federali hanno rifiutato più di due terzi di essi, secondo un rapporto del Government Accountability Office del 2010.
La regione del Bakken
Il problema è particolarmente acuto nella regione di Bakken, di 200.000 miglia quadrate, a cavallo del confine di Stato tra Montana e Nord Dakota, dove gli attacchi contro le donne native americane sono aumentati mentre decine di migliaia di lavoratori petroliferi temporanei confluiscono in unità abitative “temporanee” chiamate “campi maschili”, vicino alle terre tribali.
“Dei milioni di acri che si trovano su una mappa che dice Fort Berthold, ne possediamo meno di 500.000 come nazione tribale, anche se è formalmente la riserva indiana di Fort Berthold: è così che gli accampamenti umani [dei bianchi] riescono a stare nella riserva,” ha affermato Kandi Mossett, membro della MHA Nation e direttore della Native Energy and Climate Campaign dell’Indigenous Environmental Network.
Campi di stupro a Bakken
Durante l’ultimo picco di produzione nella formazione petrolifera di Bakken, terminato nel 2014, le aggressioni sessuali contro le donne sono aumentate, secondo uno studio dell’Università del North Dakota che ha analizzato i dati del CAWS North Dakota, una coalizione statale contro la violenza sessuale e domestica. L’area ospita le nazioni Assiniboine e Sioux della riserva indiana di Fort Peck nel Montana e le tribù affiliate Mandan, Hidatsa e Arikara, note collettivamente come nazione MHA, nella riserva indiana di Fort Berthold nel Nord Dakota.
Le forze dell’ordine tribali non hanno giurisdizione su questi lavoratori, compresi quelli che vivono in campi costruiti su terre indigene di cui detiene il titolo il governo federale.
Le interazioni tra i nativi americani e i lavoratori petroliferi non nativi sono inevitabili, ha affermato.
Gli operatori dei servizi per le vittime della MHA Nation “hanno detto che erano i lavoratori temporanei a commettere questi crimini… e con l’arrivo di tutti questi uomini, le vittime di stupro erano triplicate”, ha detto Lisa Brunner. “Non se lo aspettavano né sapevano cosa stava per succedere con tutti questi uomini in vista del boom petrolifero”.
Mosset ha affermato che i membri della comunità della MHA Nation hanno creato pagine Facebook per avvisare i residenti dei pericoli. “Lì vedrai avvisi relativi a un furgone che ha cercato di rapire tre bambini indigeni che passavano vicino alla scuola elementare”, ha detto. “Ne ho visti quattro adesso, presumibilmente delinquenti bianchi.”
Dopo una flessione durata alcuni anni, la produzione di petrolio di Bakken sta rapidamente aumentando. “Il boom sta riprendendo di nuovo, quindi stiamo iniziando a vedere più persone che si trasferiscono”, ha detto Mossett.
Testimonianza di Angeline Cheek, Fort Peck
Cheek, della riserva di Fort Peck, ha preso parte alla protesta contro l’oleodotto Keystone XL ei previsti accampamenti umani. Durante l’ultimo boom petrolifero di Bakken, i lavoratori del settore petrolifero hanno molestato e minacciato la sua famiglia e i suoi amici.
Sì, ricordate come i media liberali hanno interpretato la protesta come se riguardasse (solo) il petrolio nell’acqua? Questo è ciò di cui si trattava in realtà.
“Un gruppo di residenti di Scobey ha seguito i manifestanti e ha urlato contro di loro, dicendo che l’oleodotto stava attraversando, che gli piacesse o no. Ad un certo punto, i residenti hanno minacciato di scalpare Cheek, mentre gli agricoltori locali osservavano i manifestanti con le pistole puntate verso il cielo”
“Abbiamo dovuto saltare sui nostri veicoli perché la situazione era diventata troppo pericolosa e c’erano camion che continuavano a seguirci”, ha detto Cheek.
Quindi alcuni membri della riserva volevano tenere la criminalità fuori dalle loro comunità e fermare gli autobus di stupratori e pedofili. Come hanno risposto? Con stalking e minacce di morte credibili. Ricordiamo che Scobey è composto da bianchi al 95%.
Testimonianza di Annita Lucchesi
“Negli Stati Uniti, molte vittime dei nativi americani non vengono considerate dalle forze dell’ordine” – Annita Lucchesi, dottoranda presso l’Università di Lethbridge in Canada.
“Una delle ex studentesse di Lucchesi, Ashley Loring HeavyRunner, è scomparsa nel giugno del 2017 dalla Blackfeet Nation nel Montana… L’FBI non è intervenuta fino a marzo del 2018, ha aggiunto. A più di un anno dalla sua scomparsa, Loring HeavyRunner è ancora disperso.”
Lucchesi ha detto che una volta è stata violentata da un uomo non indigeno… Ha anche ricordato che più tardi, mentre stava camminando per Spokane, Washington, mentre tornava da un concerto con i suoi amici, si è trovata di fronte a un uomo bianco che insisteva per pagarli per il sesso.
“Meno male che il mio amico aveva una mazza da baseball in macchina… Ci seguiva, ci urlava, ci ha offerto 50 dollari a testa e ha detto ‘questo è tanto per le ragazze indiane, tu non vali nemmeno tanto'” ha detto Lucchesi.
Assassinio di Lonette Keehner da parte dei neonazisti
“Il 21 dicembre 2015, mentre Keehner puliva una suite, Scott Price e Sarah McKnight entrarono nella stanza, chiedendo le chiavi della sua Chevrolet Malibu rossa del 2009, secondo i documenti del tribunale. Quando McKnight fuggì per avviare il veicolo, Price aggredì Keehner , le ha rubato la chiave principale dell’hotel e l’ha costretta a entrare in una nuova stanza, pugnalandola a morte più volte nel processo…”
Oh ma questa storia migliora.
“Price ha i numeri “14” e “88” tatuati sul collo… McKnight ha 6 svastiche e un “88” [ottava lettera dell’alfabeto, HH, cioè “heil hitler”] su varie parti del corpo. Ha anche la parola “Aryan” tatuata sull’indice sinistro… .. Durante le indagini, McKnight ha detto che Price ha ucciso Keehner perché era nativa americana, secondo un rapporto del tribunale… Il crimine non è stato perseguito ai sensi della legge sui crimini d’odio del Montana… Price e McKnight avevano consumato metanfetamine prima di commettere il crimine”.
I metalmeccanici neonazisti hanno esagerato con il LARP e hanno ucciso un membro della nazione Blackfoot e le hanno rubato l’auto, mentre gridavano denunciando il “genocidio bianco”.
Testimonianza di Lisa Brunner
“Una notte del 2011, la figlia di Brunner, che all’epoca aveva 17 anni… camminava per la comunità alla ricerca di sua cugina, un SUV nero si avvicinava a lei con quattro uomini a bordo… gli uomini l’ hanno inseguita e trascinata nel veicolo.”
“I quattro uomini non nativi americani indossavano bandane sul viso come cowboy. Uno guidava, due di loro la tenevano ferma e uno di loro la violentava… Quando ebbero finito con lei, la gettarono fuori da un ponte alla periferia della città.. . Minacciarono di ucciderla e di venire a uccidere la sua famiglia se lo aveva detto a qualcuno disse Brunner.
Come la maggior parte dei casi, non ha ricevuto alcun seguito. Questo è il motivo per cui accade così frequentemente. Alle forze dell’ordine viene detto di non dimostrare alcun crimine contro i nativi.