Da Inimicizie.
Con una conferenza stampa alla casa bianca, Joe Biden ha annunciato – in compagnia virtuale di Boris Johnson e del PM australiano, Scott Morrison – una nuova partnership strategica denominata “AUKUS” (Australia-Regno Unito-Stati Uniti) per la costruzione di 8 sottomarini nucleari da dare in dotazione alla marina australiana.
E’ evidente – anche al più ingenuo degli osservatori – che sia la Cina il bersaglio di questa iniziativa strategica, il che ci porta a fare delle più ampie considerazioni sull’architettura di sicurezza americana nell’area indo-pacifica.
Prima di tutto chiariamo una cosa: un sottomarino nucleare non è un sottomarino dotato di armi nucleari, è invece un sottomarino dotato di propulsione nucleare. Quali sono le differenze con un sottomarino convenzionale, alimentato a diesel?
Il sottomarino nucleare – sfruttando l’enorme quantitativo di energia a disposizione – gode di un raggio d’azione e di un’autonomia in sommersione molto maggiore rispetto ad un sottomarino convenzionale. Il secondo però, è notoriamente più silenzioso.
Vien da se che, se il sottomarino diesel è consigliato per la difesa della costa contro una marina più capace, quello nucleare è invece adibito alla proiezione in teatri lontani dalla madrepatria. Ha una funzione marcatamente offensiva, o se non altro di “proiezione di potenza”.
Non deve sorprendere nessuno quindi che l’Australia – saldamente parte dell’architettura di sicurezza anti-cinese nell’indopacifico – si sia dotata di questo tipo di sottomarini, dovendo plausibilmente operare al largo dell’isola di formosa o nel Mar cinese del Sud, con funzione d’interdizione presso lo stretto di Malacca.
Indice
Dissapori
E’ quasi impossibile prendere sul serio il PM neozelandese – Jacinda Ardern – quando afferma che suddetti sottomarini non potranno transitare nelle acque kiwi; a causa della messa al bando del nucleare nel paese. E non solo perché un sottomarino transita nelle acque che meglio crede – del resto questo è il suo lavoro – ma anche perché dietro una motivazione pretestuosa – al limite del ridicolo – non possono che celarsi altre intenzioni.
Non è un segreto che l’influenza cinese – commerciale e politica – in Oceania, stia aumentando a dismisura nell’ultimo decennio, soprattutto (anche se non solo) presso le sinistre di cui la Ardern è esponente. Insomma, dietro al “nuclear ban“, si cela una malcelata renitenza ad impegnarsi strategicamente in un conflitto tra Cina e USA.
Detto ciò – anche se ci fosse la volontà e la possibilità da parte neozelandese di applicare seriamente questa politica – va detto che dal punto di vista militare la NZ sarebbe quasi del tutto irrilevante in un ipotetico conflitto, lontana com’è dal raggio di operazione della Marina dell’Armata di Liberazione Popolare.
L’impero americano però, non si presenta come un fronte unito nella competizione contro la Cina; che invece si presenta compatta con il suo miliardo e mezzo di abitanti ferventemente nazionalisti, un’economia in espansione ed un sistema politico stabile e centralizzato in grado di attuare strategie a lungo termine.
E’ esplicativa la reazione sdegnata della Francia a questo accordo. Francia che si è vista tagliare fuori dalla sua commessa per sottomarini in dotazione alla marina australiana.
I motivi sono anche commerciali. La commessa francese, infatti, tardava ad arrivare; con costi erano in costante lievitazione. Ma questo accordo non può prescindere dallo scarso interesse che la Francia – insieme al resto dell’UE – prova per il teatro indo-pacifico e per la competizione con la Cina, concentrandosi maggiormente sul continente africano e sull’Europa continentale. Scarso interesse che è bilanciato invece dal grande interesse inglese, comprovato regolarmente dalle FONOP che l’HMS Queen Elizabeth svolge nello stretto di Taiwan, oltreché dalla recente partnership. E’ possibile che si sia voluto premiare questo impegno britannico nel teatro ad oggi più importante per gli USA con una lauta commessa.
La difesa di Taiwan
Il punto decisivo, come direbbe Jomini – il Re della partita a scacchi sino-americana nel pacifico – è senza dubbio Taiwan, l’isola di Formosa.
Il PCC ha dichiarato che la provincia ribelle sarà riunificata con la Repubblica Popolare in un breve orizzonte temporale; volente o nolente. Non sono parole da prendere alla leggera in un paese in cui il consenso politico non si basa sull’input ma solamente sull’output.
Ci sono molti segni che fanno pensare che la soluzione militare a questo problema non sia assolutamente esclusa: Non solo la progressiva costruzione di una marina che dovrà essere in grado di portare a compimento uno degli assalti anfibi più grandi della storia, ma anche la guerra di logoramento che ogni giorno avviene nei cieli di Taiwan, con regolari incursioni della PLAF al fine di testare le difese aeree dell’isola ma soprattutto di creare un onere economico dovuto alle necessarie intercettazioni da parte dei jet taiwanesi.
Ora non vogliamo affrontare dal punto di vista militare e logistico un possibile attacco a Taiwan (l’abbiamo fatto in un altro post) ma piuttosto vogliamo focalizzarci sull’aspetto politico.
Le guerre, si sa, nascono spesso da asimmetrie informative, dalla proverbiale nebbia di guerra di cui Clausewitz parla nel suo lavoro.
La più grande incognita – nel caso sino-americano – è proprio quella della difesa di Taiwan.
Nessuno realmente sa – ne a Pechino, ne a Taipei e nemmanco a Washington – se, aldilà delle posizioni politiche dichiarate – quando i missili inizieranno a volare, e rabbiosi ufficiali cinesi inizieranno a sequestrare traghetti civili nel porto di Quanzhou per imbarcarvi soldati, gli USA manterranno le proprie promesse.
Nessuno sa se Kamala Harris manderà i marines a Formosa e invierà un carrier group addizionale con seri ordini d’ingaggio, nessuno sa se il Giappone manderà a morire migliaia di marinai nel Mar cinese del Nord per la sua ex-colonia, nessuno sa se la Corea del Sud – con migliaglia di batterie d’artiglieria puntate su Seoul – da parte di una DPRK nucleare, vorrà entrare in un conflitto contro la Cina. Questo non sapere può portare ad errori di calcolo da parte di entrambi gli schieramenti.
E questo ci riporta ai nostri sottomarini nucleari: acquistarli è oggi – per l’Australia – un’importante dichiarazione di fedeltà all’anglosfera, non sappiamo se basata sull’interesse, sull’amicizia o sulla coercizione.
E’ un dire “noi ci siamo”, “costruiamo la nostra marina per questo”, e dirlo sia agli USA, che alla Cina, che ai futuri governi australiani.
Conclusione
La grande alleanza anti-cinese e filo-americana, si rinfranca quindi della fermezza di uno dei suoi membri.
Ma le incognite continuano a rimanere tante, non solo da parte della Nuova Zelanda e dell’Europa continentale, ma anche a Washington, capitale dell’alleanza.
La Cina forse non potrebbe vincere militarmente – per ora, forse ancora per poco – contro un’alleanza USA-Giappone-Taiwan-Australia-UK. Ha dalla sua parte, però, non solo un governo unico al posto di un’instabile alleanza composita, ma anche quell’asimmetria della volontà, che la porta ad essere disposta a sacrificare molto più di quanto sono disposti a sacrificare i suoi avversari, la stessa asimmetria che permise ai talebani di vincere.