Da L’Indipendente.
Dai fermi disposti alle manifestazioni per la Palestina o ai flash mob ambientalisti fino ai controlli agli agricoltori o effettuati nei confronti degli attivisti che hanno deposto fiori per Aleksei Navalny: il fenomeno delle identificazioni sembra ormai essere diventato anche un caso politico. È esploso sui social in seguito ai commenti del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e della questura di Milano, che hanno liquidato con “episodio normale” ed «eccesso di zelo» i controlli effettuati alle persone che nel pomeriggio del 18 febbraio si sono riunite per lasciare dei fiori in memoria dell’oppositore di Putin. Eccesso di “zelo” che, però, sembra essersi diffuso a macchia d’olio negli ultimi anni: secondo i dati del Viminale, sono state 53.833.736 le identificazioni nel 2023, un in sostanziale rispetto alle 46,9 milioni operate nel 2022 e un incremento del 52,5% rispetto alle 35,3 milioni del 2021. È stata raggiunta una soglia considerevole che però «non comprime alcuna libertà personale» secondo il segretario generale del sindacato autonomo di polizia (Sap) Stefano Paoloni, che ha commentato affermando che «chi percepisce l’identificazione come qualcosa di pericoloso ha qualcosa da nascondere oppure ha un pregiudizio verso le forze dell’ordine».
Le identificazioni possono essere operate dalle forze di polizia in servizio o, solo in casi di rischio, anche da chi non lo è. Si dividono in due categorie: quelle di tipo giudiziario, previste dal codice di procedura penale, e quelle di sicurezza, previste dall’articolo del testo unico di Pubblica sicurezza. Le prime si riferiscono a persone sottoposte ad indagine, testimoni o potenziali testimoni, mentre le seconde consistono in controlli effettuati per strada, a piedi, in macchina, a manifestazioni o ad eventi di ogni genere in cui vengono richiesti i documenti per procedere alla identificazione del cittadino. Solo nel caso di rifiuto da parte del cittadino a cui viene richiesto è possibile condurlo negli uffici di polizia per portare a termine il processo. Inoltre, nonostante nella prassi le identificazioni siano iniziativa delle forze dell’ordine che operano direttamente sul territorio, davanti ad una situazione sospetta, imprevista o semplicemente di rischio potenziale possono invece essere effettuate da qualsiasi operatore delle forze dell’ordine, che deve limitarsi alla richiesta di documenti. Si spiegherebbero così, ad esempio, i controlli disposti nei confronti della persona che ha gridato «viva l’antifascismo» durante l’inaugurazione della stagione della Scala a Milano.
Si tratterebbe quindi di un processo limitato alla sola esibizione di documenti e al successivo inserimento dei dati all’interno dei database ministeriali per eseguire i controlli che però, secondo alcuni politici come il senatore Filippo Sensi, verrebbe applicato anche nei contesti “meno opportuni”, come nel caso degli attivisti identificati per aver deposto dei fiori in memoria del dissidente russo Aleksei Navalny. «É capitato pure a me nella vita di essere identificato, non è un dato che comprime una qualche libertà personale. L’identificazione delle persone é una operazione che si fa normalmente nei dispositivi di sicurezza per il controllo del territorio. Il personale mi è stato riferito che non avesse piena consapevolezza», ha commentato il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi. D’accordo anche Stefano Paoloni, segretario generale del sindacato autonomo di polizia (Sap), che ha aggiunto: «L’identificazione non comprime alcuna libertà personale, rientra tra i compiti, anzi tra i doveri, di chi ha il compito di garantire la sicurezza e l’ordine pubblico. Chi percepisce l’identificazione come qualcosa di pericoloso, ha qualcosa da nascondere oppure ha un pregiudizio verso le forze dell’ordine. I colleghi hanno fatto semplicemente il loro dovere».
Immediata la risposta di Sensi, che ha dichiarato: «Se per Piantedosi identificare persone che portano un fiore per Navalny è normale, prendere documenti e generalità non comprime le libertà personali, allora il problema non sono gli agenti e l’abuso di potere in uno Stato di diritto. Il problema è Piantedosi. Mi risulta che i manifestanti, una decina, abbiano trovato già in loco degli agenti Digos, che poi hanno provveduto ad identificarli. Perché? Avevano avuto istruzioni in tal senso? Erano persone che portavano un fiore. Il nostro è uno stato di diritto, non di polizia». Per Riccardo Noury poi, portavoce di Amnesty International Italia, «il fatto che non ci siano limiti rispetto alla richiesta d’identificazione, anche in circostanze come la commemorazione di Milano, pone un tema generale che riguarda la libertà d’espressione». L’attuale regolamentazione del processo di controllo, infatti, sembra nascondere un dilemma etico-legale tutt’altro che indifferente: se da una parte c’è la necessità di effettuare controlli per garantire la pubblica sicurezza, dall’altra vi è il fatto che quando viene eseguita un’identificazione i dati anagrafici e di contesto vengono memorizzati nel sistema informatico per anni, costituendo di fatto una schedatura del cittadino basata sulla semplice partecipazione ad un evento.