Da Il Foglio.
“Le culture straniere hanno capito che siamo diventati più o meno pazzi e per questo ci rifiutano”. Così parla al Foglio Chantal Delsol, la più nota pensatrice francese cattolica contemporanea, la filosofa che ha fondato l’Istituto Hannah Arendt nel 1993 e membro dell’Accademia di scienze morali e politiche, la famosa “cupola” della cultura francese. Liberal-conservatrice, Delsol è stata allieva del filosofo Julien Freund e ha appena pubblicato una delle sue opere più ambiziose, Le Crépuscule de l’universel (Éditions du Cerf, 384 pagine), dove riflette sullo stato della cultura occidentale e sul perché sia entrata in crisi, dentro e fuori dall’occidente. Secondo Chantal Delsol, il radicalismo dell’individualismo occidentale ha portato a eccessi come la distruzione dei legami sociali e delle radici culturali. Di fronte a quest’“uomo senza catene ma privo di identità”, come lo chiama Delsol riprendendo la famosa formula di Jean-Jacques Rousseau, alcuni paesi e civiltà (quelli musulmani, e poi Cina, Russia, Europa centrale) hanno iniziato a sostenere un ritorno a una visione della società caratterizzata dall’importanza del legame tra i gruppi sociali. “Non puoi rimanere a lungo senza religione. Ogni società ha bisogni religiosi. Non tutto è sbagliato nei critici dell’occidente”. La novità oggi è questa: “Troviamo per la prima volta davanti a noi culture straniere che si oppongono apertamente al nostro modello, lo sfidano con argomenti e legittimano un tipo di società diversa dalla nostra. In altre parole, negano la natura universale dei principi che volevamo portare al mondo. Questo sconvolge la comprensione dell’universalismo di cui crediamo di essere i portatori. Cambia la situazione geopolitica”.
“L’avversario di oggi è colui che non accetta il grande destino storico dell’occidente postmoderno”, spiega Chantal Delsol
È possibile che l’occidente abbia finito per attirare l’odio. “È anche possibile che si sia estinto al punto da rendersi insopportabile per alcuni, perché provoca in sé vaste rivolte. Ci troviamo di fronte a un conflitto, non di civiltà, ma di paradigmi antropologici. Sono l’individualismo e l’olismo che si contrappongono. E probabilmente dobbiamo interrogarci”. Non c’è contraddizione tra il dispiegamento del permissivismo morale, dovuto alla caduta delle barriere giudaico-cristiane, e la concomitante moralizzazione che vediamo. “Il relativismo morale degli anni Sessanta fu seguito da un rigido obbligo di virtù: gli ex sessantottini sono apostoli dell’ordine morale. È una moralizzazione che possiamo chiamare imperialista”.
L’ansia di pentimento che ha divampato in occidente dopo la Seconda guerra mondiale rappresenta un eccesso di postmoderno che rivela l’utopismo ideologico che ci portiamo dietro. “Il pentimento, quando è così radicale ed estremo e colpisce tutte le aree, riflette una volontà di sbarazzarsi completamente del male, in ogni caso di ciò che è considerato malefico dalla postmodernità. Oltre a ciò, la definizione di male non è esattamente la stessa ovunque, nelle culture esterne, come nelle correnti conservatrici occidentali, che non credono affatto che potremmo sradicare il male dal nostro mondo. L’avversario di oggi è colui che non accetta il grande destino storico dell’occidente postmoderno. Il carattere ideologico è chiaramente visibile nella sfida contemporanea alla ‘tolleranza’. L’intolleranza postmoderna significa rigidità e pretesa di certezze ideologiche, sotto le sembianze del relativismo generale”.
“L’immigrazione non è solo un problema morale di solidarietà, è anche un problema politico di tutela della cultura ospitante”
Ci si domanda se l’occidente come categoria abbia ancora un qualche significato. “Naturalmente l’occidente ha un significato, come cultura (o civiltà) che, scaturita da un monoteismo in cui Dio conferisce libertà e dignità al singolo uomo, ha generato libertà, diritti umani e democrazia” ci spiega ancora Delsol. “Non è una cosa da poco! Tuttavia, questa cultura bimillenaria dovrà sempre più vedersi come una cultura particolare, e non più come quella che tutti i popoli aspettano di adottare per prosperare”.
Ha fatto tanti danni quello che lei chiama utopismo ideologico. “Credo che il recente sviluppo delle critiche contro l’occidente sia dovuto agli eccessi dell’occidente e al suo carattere utopistico. Siamo convinti di raggiungere la perfezione, e questa perfezione è definita per noi dalla totale emancipazione individuale: un individuo che ha tutti i diritti e deve essere in grado di soddisfare tutti i desideri, anche i più sconcertanti, come ad esempio cambiare sesso. Siamo così sicuri della perfezione ultima di questa ideologia che releghiamo all’inferno tutte le epoche precedenti: ‘la grande oscurità’. Questa nuova utopia causerà gravi danni in termini di mentalità, perché l’individuo che crede che tutto sia possibile impazzirà quando capirà che l’esistenza umana è una tragedia, dove non tutto è possibile in realtà; e danni antropologici, perché molti di questi processi di emancipazione sono in contraddizione con i bisogni umani fondamentali. Le società occidentali sono pazze, dove basta che un ragazzino voglia diventare una ragazza (o viceversa) per fare un’operazione. L’individualismo occidentale è diventato così estremo, così ideologico, che molti gruppi culturali, sia all’esterno che all’interno dell’occidente, sono giunti a pensare che questo non sia più un modello possibile o auspicabile. Il processo più emblematico, l’istituzionalizzazione della solitudine e lo scioglimento dei legami, è considerato da molti inaccettabile”.
Ha molte radici l’attuale intolleranza postmoderna. “L’idea postmoderna è ideologica, cioè è un sistema globale, il cui principio è l’assoluta libertà individuale, e che si comporta in modo intollerante perché è sicuro di sé e convinto di avere ragione. Il postmoderno viene dall’Illuminismo, così come il moderno. Provenendo dall’Illuminismo, è convinto che derivi dalla Ragione, quindi è valido per tutti gli esseri umani e obbligatorio. Si basa, come il moderno, sul mito del progresso attraverso l’emancipazione. È un credo con un’allure religiosa: come direbbe Alain Besançon ‘credono di sapere, ma non sanno di credere’. Questa certezza di realizzare un’idea basata su una scienza genera intolleranza, come il comunismo a suo tempo”.
“La cristianità è morta, anche se ovviamente il cristianesimo è ancora vivo. Ma nessuna società può fare a meno del sacro”
Perché tanta moralizzazione in una società sempre più relativista? “Le nostre società non hanno più una religione, perché sono state strutturate per duemila anni dalla religione cristiana, che oggi ha perso i suoi numeri e la sua influenza: la cristianità è morta, anche se ovviamente il cristianesimo è ancora vivo. Ma nessuna società può fare a meno del sacro. Stiamo assistendo a una rinascita della saggezza nella nostra società, sul modello degli antichi stoici o degli asiatici (che sono in realtà vicini l’uno all’altro). L’ecologia sta diventando una sorta di religione sostitutiva, con i suoi chierici, i suoi profeti, il suo catechismo e i suoi peccati. Ma a mio parere, il più ovvio è questo: la morale compassionevole, nata dall’ideale di uguaglianza, sta diventando una religione. Chiamo questo umanitarismo, che deve essere distinto dall’umanesimo. L’umanesimo classico si basa sulla centralità dell’uomo nell’universo. L’uomo è considerato, dalla Bibbia, come il maestro e il pastore del mondo. Ha più valore degli altri esseri viventi: ha una dignità speciale come ‘immagine di Dio’. Questa credenza è caratteristica dell’occidente: in alcune culture asiatiche, ad esempio, l’uomo non ha più valore degli animali. Il passaggio a quello che io chiamo umanitarismo significa che l’uomo ha perso il suo valore intrinseco e la sua centralità, la natura, invece, è sacralizzata. E nello stesso tempo si sviluppa una morale della compassione, che diventa una vera religione. Il mondo umanista è monoteista – è Dio che conferisce all’uomo la sua intrinseca dignità e lo status di re. Nel mondo umanitario ci sono due religioni: la religione morale della compassione e la religione della natura. L’umanesimo consisteva nel porre l’uomo al centro della creazione, padrone e custode del mondo, che ha più valore degli altri esseri viventi. E’ finita: ci stiamo unendo a culture panteistiche in cui l’uomo e l’animale hanno lo stesso valore intrinseco. Tocqueville l’aveva previsto: le democrazie finiranno, ha detto, nel panteismo, perché è l’unica religione che conferma l’uguaglianza ontologica (è un piccolo capitolo della sua ‘Democrazia in America’)”. Il cambiamento è profondo. “Si sta cercando di passare dalla modernità (ottimista, fiduciosa nel futuro) alla postmodernità (pessimista e persino catastrofica, diffidente di tutto). Ha notato che la modernità scrive utopie mentre la post-modernità scrive distopie? Questo non può che portare a un profondo disagio. E poi la caduta del cristianesimo crea vaghezza: cosa è giusto, e chi può dirlo? Siamo trascinati in un vortice di correnti diverse che cercano di prendere il posto lasciato vacante dalla religione. Le correnti in questione sono: una nichilista, una pagana, una che difende vecchi valori cristiani più o meno riciclati. Questo produce un grande disordine”.
Molti si domandano se l’eredità giudeo-cristiana che ha fatto l’Europa per 1.500 anni abbia ancora un futuro. “Credo di sì, ma naturalmente il cristianesimo dovrà capire che ora deve evolversi come religione minoritaria, cosa che gli ebrei conoscono da molto tempo. Ma questo richiederà una vera e propria interrogazione dall’interno, che non è iniziata affatto. Detto questo, naturalmente il cristianesimo si sta sviluppando in alcuni paesi, a volte in forma protestante e a volte cattolica, e l’ortodossia è molto viva. Naturalmente, se non vuole vedersi interamente divorato dalle correnti pagane, il cristianesimo dovrà interrogarsi”.
“Tocqueville l’aveva previsto: le democrazie finiranno nel panteismo, l’unica religione che conferma l’uguaglianza ontologica”
In gioco oggi, come va ripetendo Alain Finkielkraut, c’è la continuità storica e culturale dell’Europa. “Possono verificarsi molti eventi che cambiano il volto delle cose. Ma credo che l’essenziale sia che l’Europa sia in grado o meno di resistere intelligentemente agli eccessi postmoderni della società di mercato, alla globalizzazione di tutto, all’assoluta emancipazione individuale. Dico ‘resistenza intelligente’ perché credo che alcuni governi cosiddetti ‘populisti’ stiano resistendo con una tale stupidità e scorrettezza da danneggiare la propria causa. Non abbiamo bisogno di bruti che si affrettano a spaccare tutto, ma di governanti calmi che affermano pacificamente verità dimenticate ed essenziali. Come l’idea che il problema dell’immigrazione non è solo un problema morale di necessaria solidarietà, è anche un problema politico di salvaguardia della cultura ospitante. Oppure che la mia libertà non si ferma dove comincia la libertà dell’altro, si ferma dove comincia la mia responsabilità. Credere che il limite della mia libertà si trovi dove inizia quella dell’altro è giustificare una società dove tutto è forza e nulla si ferma se non di fronte alla forza”.
La grande lotta in corso contro tutti i “tabù” ci ha portato a compiere un cammino inverso, dall’homo sapiens di Socrate all’homo homini lupus di Hobbes. Dove nulla esiste che possa essere considerato sbagliato o ingiusto. Emile Durkheim lo chiamava “suicidio anomico”, il suicidio d’un uomo o una nazione che non è più in grado di obbedire a un principio superiore – sia esso civile o religioso – e che conosce solo una realtà senza leggi. E’ l’avvento di un liberalismo senza testa che si piega alla ratzingeriana dittatura del relativismo e che non ha occhi che per una magnifica e progressiva sorte dell’umanità. Ma dove non c’è più nessuno a limare i nostri canini.