Cuba: eccezione storica o avanguardia nella lotta al colonialismo?

Pubblicato nel 9 aprile 19611

La classe operaia è la classe creativa; la classe operaia produce la ricchezza materiale che esiste in un Paese. E finché il potere non è nelle loro mani, finché la classe operaia permette che il potere rimanga nelle mani dei padroni che la sfruttano, nelle mani dei proprietari terrieri, degli speculatori, dei monopoli e dei gruppi di interesse stranieri e nazionali, finché gli armamenti sono nelle mani di coloro che sono al servizio di questi gruppi di interesse e non nelle loro mani, la classe operaia sarà costretta a condurre un’esistenza miserabile, indipendentemente da quante briciole questi gruppi di interesse lasceranno cadere dalla loro tavola.

Fidel Castro

Mai prima d’ora, in America, si era verificato un fatto dalle caratteristiche tanto straordinarie, con così profonde radici e con conseguenze di tale importanza ai fini del destino dei movimenti progressisti del continente, che sia paragonabile alla nostra guerra rivoluzionaria. Al punto che questa guerra è stata da alcuni definita l’avvenimento cardine dell’America, che per importanza viene subito dopo la triade formata dalla Rivoluzione d’Ottobre, dal trionfo sulle armi hitleriane con le successive trasformazioni sociali, e dalla vittoria della Rivoluzione Cinese.

Il nostro movimento, fortemente eterodosso nelle sue forme e manifestazioni esteriori, ha tuttavia seguito – né poteva essere altrimenti – le linee generali proprie a tutti i grandi avvenimenti storici del nostro secolo, caratterizzati dalle lotte anticoloniali e dal passaggio al socialismo.

Tuttavia certi settori, per interesse o in buona fede, han preteso di scorgere nella rivoluzione cubana un certo numero di radici e di caratteristiche eccezionali e ne elevano artificiosamente l’importanza, relativa in confronto al profondo fenomeno storico sociale, fino a definirle determinanti2. Si parla dell’eccezionalità della Rivoluzione Cubana a paragone della linea di altri partiti progressisti d’America e si deduce, pertanto, che la forma e la via della Rivoluzione cubana costituiscono un prodotto a séproprio di essa, e che negli altri paesi dell’America diverso sarà il cammino storico percorso dai popoli.

Ammettiamo che ci siano delle eccezioni che conferiscono alla Rivoluzione cubana le sue caratteristiche peculiari: è un fatto ormai stabilito che ogni rivoluzione annoveri dei fattori specifici di questo tipo, né è meno incontrovertibile però che tutte le rivoluzioni seguiranno delle leggi la cui violazione non è alla portata delle possibilità della società. Analizziamo quindi i fattori di questa pretesa eccezionalità.

Il primo, e forse il più importante, il più originale, è rappresentato da quella forza tellurica che risponde al nome di Fidel Castro Ruz, un nome che nel giro di pochi anni ha raggiunto dimensioni storiche. Il futuro riserverà il posto adeguato ai meriti del Primo Ministro, ma noi già li riteniamo paragonabili a quelli delle figure più alte della storia di tutta l’America latina. E quali sono le circostanze eccezionali che circondano la personalità di Fidel Castro?

Sono parecchie le caratteristiche della sua vita e del suo carattere che lo pongono di gran lunga al di sopra di tutti i suoi compagni e seguaci. Fidel è uomo di tale possente personalità da dover prendere la guida di qualunque movimento a cui partecipi: e cosi è avvenuto nel corso della sua carriera, da quando era studente fino ad ora che si trova alla guida della nostra patria e dei popoli oppressi d’America. Egli possiede le caratteristiche del grande condottiero, che, sommate alle sue doti personali di audacia, di energia e di valore, ed alla sua eccezionale cura nell’ascoltare sempre la volontà del popolo, lo hanno portato al posto di onore e di sacrificio da lui oggi occupato. Ma possiede delle altre importanti qualità, come, per esempio, la capacità di assimilare le nozioni e le esperienze, di afferrare tutto l’insieme di una data situazione senza perdere di vista i particolari, la fede immensa nel futuro, e l’ampia visuale che lo mette in grado di prevenire gli eventi e di anticipare i fatti, scorgendo sempre più lontano e meglio dei suoi compagni.

Con queste grandi qualità fondamentali, con la sua capacità di coagulare, di unire gli uomini, opponendosi alla divisione, fonte di debolezza; con la sua capacità di dirigere, alla guida di tutti, l’azione del popolo; con il suo amore infinito per il popolo, la sua fede nel futuro e la sua capacità di prevederlo, Fidel Castro ha fatto più di chiunque altro a Cuba per costruire dal nulla l’apparato, oggi formidabile, della Rivoluzione cubana.

Tuttavia, nessuno potrebbe affermare che a Cuba vi siano condizioni politico-sociali del tutto diverse da quelle degli altri paesi d’America e che proprio a causa di tali diversità vi si sia fatta la Rivoluzione. Né d’altro canto, a maggior ragione, si potrebbe affermare al contrario che Fidel Castro abbia fatto la Rivoluzione nonostante questa differenza. Fidel, condottiero grande e abile, ha diretto la Rivoluzione a Cuba, nel momento e nel modo in cui l’ha fatto, facendosi interprete dei profondi sommovimenti politici che stavano preparando il popolo al grande balzo verso le vie della rivoluzione. Esistevano inoltre certe condizioni, che non erano neanche esse specifiche di Cuba, ma di cui difficilmente altri popoli potranno approfittare, giacché l’imperialismo, al contrario di certi gruppi progressisti, sa trarre insegnamento dai propri errori.

Una condizione che potremmo definire un’eccezione è nel fatto che l’imperialismo nordamericano si trovò disorientato e non riuscì mai a valutare esattamente la reale portata della Rivoluzione cubana. C’è qualcosa in ciò che serve a spiegare molte delle apparenti contraddizioni del cosiddetto quarto potere nordamericano.

I monopoli, com’è loro abitudine in questi casi, cominciavano a pensare ad un successore di Batista, proprio perché sapevano che a questo dittatore il popolo non ubbidiva e gli stava cercando anche lui un successore, ma per via rivoluzionaria.

Quale astuzia più intelligente e più abile di quella di gettare a mare il dittatorucolo ormai inservibile e mettere al suo posto dei nuovi ,”ragazzi” in grado, quando ne venisse il momento, di fare gli interessi dell’imperialismo? Per un po’ di tempo l’imperialismo puntò su questa carta del suo mazzo continentale e finì per perdere miserevolmente. Prima della vittoria, sospettavano di noi, ma non ci temevano: puntavano piuttosto su due carte, con tutta l’esperienza che hanno in questo gioco in cui di solito non si perde. Parecchie volte, emissari del Dipartimento di Stato, travestiti da giornalisti, vennero a tastare il polso alla Rivoluzione montanara, ma non ne riuscirono a rilevare il sintomo di pericolo imminente3. Quando poi l’imperialismo volle reagire, quando si rese conto che il gruppo di giovincelli inesperti che percorreva in trionfo le strade dell’Avana aveva chiara coscienza del proprio dovere politico ed era ferreamente deciso a compiere fino in fondo tale dovere, ormai era troppo tardi. Fu così che nel gennaio del 1959, spuntò d’improvviso l’alba della prima Rivoluzione sociale di tutta la zona dei Caraibi e la più profonda delle rivoluzioni americane.

Non crediamo che si possa considerare eccezionale il fatto che la borghesia, o almeno una buona parte di essa, si mostrasse favorevole alla guerra rivoluzionaria contro la tirannia, mentre nello stesso tempo appoggiava e promuoveva i movimenti tendenti a ricercare soluzioni negoziate che le permettessero di sostituire il governo di Batista con elementi disposti a frenare la Rivoluzione.

Tenendo conto delle condizioni in cui si sollevò la guerra rivoluzionaria e della complessità delle tendenze politiche che si opponevano alla tirannia, non risulti eccezionale neanche il fatto che certi elementi latifondisti adottassero un atteggiamento neutrale, o almeno di non belligeranza, nei confronti delle forze insurrezionali.

È comprensibile che la borghesia nazionale, soffocata dall’imperialismo e dalla tirannia, le cui truppe scorrevano saccheggiando le piccole proprietà e facevano della corruzione un mezzo di sostentamento quotidiano, vedesse con una certa simpatia il fatto che questi giovani ribelli della montagna punissero il braccio armato dell’imperialismo, rappresentato dall’esercito mercenario.

Sicchéforze non rivoluzionarie aiutarono di fatto a facilitare il cammino all’avvento del potere rivoluzionario. Portando le cose all’estremo, possiamo aggiungere un nuovo elemento di eccezionalità, vale a dire il fatto che, nella maggior parte dei luoghi di Cuba, il contadino si era proletarizzato a causa delle esigenze della grande coltivazione capitalista semimeccanizzata ed era entrato in una fase organizzativa che gli dava una maggior coscienza di classe. Si può anche ammettere. Ma dobbiamo notare, ad onor del vero, che sul territorio originario del nostro Esercito Ribelle, costituito dai superstiti della colonna sconfitta che aveva compiuto il viaggio sul Granma, risiede proprio un mondo contadino dalle radici culturali e sociali diverse da quelle che si possono trovare nelle vicinanze della grande piantagione semimeccanizzata cubana. In effetti, la Sierra Maestra, paesaggio del primo alveare rivoluzionario, è un luogo in cui si rifugiano tutti i contadini che, nel loro braccio di ferro contro il latifondo, salgono lí per cercare un nuovo pezzo di terra, che essi strappano allo Stato o a qualche vorace proprietario latifondista, allo scopo di crearsi una piccola ricchezza. Questi contadini devono stare in lotta continua contro le esazioni dei soldati, sempre alleati del potere latifondista e il loro orizzonte è chiuso dal possesso del titolo di proprietà. In concreto, il soldato che veniva a formare il nostro primo esercito guerrigliero di tipo contadino, esce da quella parte di questa classe sociale che dimostra con maggiore aggressività il proprio amore per la terra e per il suo possesso, che dimostra, cioè, più perfettamente ciò che si può definire spirito piccolo borghese; il contadino lotta perché vuole terra: per sé, per i suoi figli, per amministrarla, per venderla e per arricchirsi mediante il proprio lavoro.4

Nonostante il suo spirito piccolo borghese, il contadino impara presto che il suo desiderio di posseder terra non può venir soddisfatto senza rompere il sistema della proprietà latifondista. La riforma agraria radicale, l’unica che possa dare la terra al contadino, si scontra con gli interessi diretti degli imperialisti, dei latifondisti e dei magnati dello zucchero e dell’allevamento. La borghesia ha paura di scontrarsi con questi interessi. Il proletariato no. In tal modo, il cammino stesso della Rivoluzione unisce operai e contadini. Gli operai sostengono le rivendicazioni contro il latifondo. Il contadino povero, beneficiato dal possesso della terra, sostiene lealmente il potere rivoluzionario e lo difende di fronte ai nemici imperialisti e controrivoluzionari.

Crediamo che non si possano allegare altri fattori di eccezionalità. Siamo tanto generosi da portarli agli estremi: vedremo ora quali sono le radici permanenti di tutti i fenomeni sociali d’America, le contraddizioni che, maturando in seno alle società attuali, provocano dei mutamenti che possono tendere ad acquistare l’ampiezza di una Rivoluzione come quella cubana.

In ordine cronologico, e nonostante non sia di grande importanza attualmente, va posto il latifondo. Il latifondo è stato la base del potere economico della classe dominante per tutto il periodo successivo alla grande rivoluzione anticoloniale del secolo scorso. Ma quella classe sociale latifondista, esistente in tutti i paesi, sta di regola in coda agli avvenimenti sociali che scuotono il mondo. In certi posti, tuttavia, la parte più attenta e avvertita di questa classe latifondista s’accorge del pericolo e procede ad un mutamento dei suoi investimenti di capitale, talvolta migliorando in modo da effettuare coltivazioni meccanizzate, a volte trasferendo una parte dei suoi profitti nell’industria o a volte diventando agenti commerciali del monopolio. In ogni caso, la prima rivoluzione libertadora non arrivò mai a distruggere le basi del latifondo che, agendo sempre in modo reazionario, mantengono sulla terra il principio della servitù. È questo il fenomeno che senza eccezioni si affaccia in tutti i paesi dell’America latina e che ha costituito il substrato di tutte le ingiustizie commesse fin dall’epoca in cui il re di Spagna concedeva ai nobilissimi conquistadores grandi compensi territoriali5, lasciando, nel caso di Cuba, ai nativi, ai creoli e ai meticci, solamente i realengos6, vale a dire i beni demaniali costituiti dalla superficie restante tra tre grandi proprietà di forma circolare, tangenti tra loro.

Il latifondista comprese, nella maggior parte dei paesi, che non sarebbe riuscito a sopravvivere da solo, e rapidamente strinse alleanza con i monopoli, cioè con gli oppressori più forti e feroci dei popoli americani. I capitali nordamericani arrivarono a fecondare le terre vergini, per portarsi poi via, insensibilmente, tutta la valuta che in precedenza, “generosamente”, avevano regalato, più altri guadagni che rappresentavano la somma originariamente investita nel paese “beneficiato” moltiplicata parecchie volte.

L’America divenne il campo della lotta interimperialista: e le “guerre” tra il Costa Rica e il Nicaragua7; la secessione di Panama8; l’infamia commessa ai danni dell’Ecuador nella sua disputa col Perú; la lotta tra Paraguay e Bolivia9; tutte queste cose non sono che espressioni di questa battaglia gigantesca tra i grandi consorzi monopolisti del mondo, battaglia che si è decisa quasi completamente a favore dei monopoli nordamericani a partire dalla Seconda guerra mondiale. Da allora in poi l’imperialismo si è dedicato a perfezionare il proprio dominio coloniale e a strutturare il meglio possibile tutta la baracca per evitare che vi penetrino i vecchi e nuovi concorrenti degli altri paesi imperialisti.

Tutto ciò dà come risultato un’economia mostruosamente distorta, che dai pudichi economisti del regime imperiale è stata descritta con una parola innocua, dimostrativa della profonda pietà che nutrono per noi, esseri inferiori (essi chiamano “inditos” i nostri indios spietatamente sfruttati, vessati e ridotti all’ignominia, chiamano “di colore” tutti gli uomini di razza negra o mulatta, diseredati, discriminati, strumenti, come persone e come idea di classe, per dividere le masse operaie nella loro lotta per migliori destini economici): ci chiamano, noi, popoli d’America, ci chiamano con un altro nome pudico e soave: “sottosviluppati.”

Che cos’è il sottosviluppo?

Un nano con una testa enorme ed un torace possente è “sottosviluppato” in quanto le deboli gambe e le corte braccia non sono adeguate al resto della sua anatomia: si tratta del prodotto di un fenomeno teratologico che ha distorto il suo sviluppo. Ecco che cosa siamo in realtà noi, definiti dolcemente “sottosviluppati” e in realtà paesi coloniali, semicoloniali o vassalli. Siamo paesi ad economia distorta a causa dell’azione imperialista, che ha sviluppato in maniera anormale i rami dell’industria o dell’agricoltura necessari a far da complemento alla sua complessa economia10. Il “sottosviluppo”, o sviluppo distorto, comporta pericolose specializzazioni in materie prime, le quali mantengono sotto la minaccia della fame tutti i nostri popoli. Noi sottosviluppati siamo anche quelli della monocoltura, del monoprodotto, del monomercato. Un unico prodotto la cui incerta vendita dipende da un mercato unico che impone e fissa le condizioni: ecco la grande formula del dominio economico imperialista, che va ad aggiungersi all’antico ma sempre giovane motto romano: divide et impera.

Il latifondo quindi, mediante le sue collusioni con l’imperialismo, plasma completamente il cosiddetto “sottosviluppo” il quale dà come risultato bassi salari e disoccupazione. Questo fenomeno dei bassi salari e della disoccupazione apre un circolo vizioso che sbocca ancora in più bassi salari e in ulteriore disoccupazione, nella misura in cui si acutizzano le grandi contraddizioni del sistema che, costantemente alla mercé delle variazioni cicliche della sua economia, creano quello che è il denominatore comune dei popoli d’America, dal rio Bravo al polo Sud. Questo denominatore comune che scriveremo a tutte maiuscole e che serve di base d’analisi a tutti coloro che si occupano di questi fenomeni sociali, si chiama FAME DEL POPOLO, stufo di essere oppresso, di essere vessato, di essere sfruttato al massimo, stufo di vendere giorno per giorno la propria forza lavoro per una miseria (davanti alla paura di andare ad ingrossare l’enorme massa dei disoccupati), perché da ogni corpo umano venga spremuto il massimo di utile, poi sperperato nelle orge dei padroni del capitale.

Vediamo quindi che vi sono grandi e inequivocabili denominatori comuni nell’America latina e che noi non possiamo dire di essere rimasti esenti da nessuno di questi elementi collegati i quali fan tutti capo al più terribile e permanente: la fame del popolo. Il latifondo, sia come forma di sfruttamento primitivo, sia come espressione di monopolio capitalistico della terra, si adegua alle nuove condizioni e si allea all’imperialismo, forma di sfruttamento del capitale finanziario e monopolista che viene da oltre le frontiere nazionali, allo scopo di creare il colonialismo economico, eufemisticamente chiamato “sottosviluppo”, che dà per risultato il basso salario, la disoccupazione, la sottoccupazione: la fame dei popoli. Tutto ciò esisteva a Cuba. Anche qui c’era la fame, qui c’era una delle percentuali di disoccupati più alte dell’America latina, qui l’imperialismo era più feroce che in tanti altri paesi d’America e qui il latifondo esisteva con tutta la forza con cui è presente in qualunque paese fratello.

Che cosa abbiamo fatto per liberarci dell’imponente fenomeno dell’imperialismo con tutta la sequela di governanti fantoccio in ciascun paese e dei loro mercenari, disposti a difendere questi fantocci e tutto il complesso sistema sociale dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo? Abbiamo applicato delle formule che già altre volte abbiamo dato come ritrovato della nostra medicina empirica per guarire i grandi mali della nostra amata America latina, medicina empirica che rapidamente si è fatta largo tra le spiegazioni della verità scientifica.

Le condizioni obbiettive per la lotta son date dalla fame del popolo, dalla reazione di fronte a questa fame, dal timore che insorge per schiacciare la reazione popolare e dall’alone di odio creato dalla repressione. Mancavano in America delle condizioni soggettive, la più importante delle quali è data dalla coscienza della possibilità della vittoria con l’uso della via violenta contro le forze imperialiste e i loro alleati interni. Queste condizioni si creano mediante la lotta armata, la quale sta rendendo più chiara la necessità del mutamento (e permette di prevederlo) e della sconfitta dell’esercito da parte delle forze popolari e del suo successivo annientamento (come imprescindibile condizione di ogni autentica rivoluzione).

Notando ormai che le condizioni sono al completo mediante l’esercizio della lotta armata, dobbiamo ribadire ancora una volta che sfondo di questa lotta deve essere la campagna e che, dalla campagna, con un esercito contadino che persegua i grandi obbiettivi per cui devono lottare i contadini (primo dei quali è l’equa distribuzione della terra) questa lotta conquisterà le città. Sulla base ideologica della classe operaia, i cui grandi pensatori scoprirono le leggi sociali che ci governano, la classe contadina d’America fornirà il grande esercito di liberazione del futuro, come già è avvenuto a Cuba. Questo esercito creato nelle campagne, nel quale si vanno maturando le condizioni soggettive per la presa del potere, che va conquistando le città dal di fuori, unendosi alla classe operaia e aumentando il capitale ideologico con questi nuovi apporti, può e deve sconfiggere l’esercito oppressore, da principio con scaramucce, attacchi di sorpresa, scontri di piccola entità, e alla fine in grandi battaglie, quando sia cresciuto al punto di abbandonare la sua minuscola dimensione di banda guerrigliera per raggiungere quella di grande esercito popolare di liberazione. Tappa fondamentale del consolidamento del potere rivoluzionario sarà la liquidazione dell’antico esercito, come osservavamo sopra.

Se si pretendesse di ritrovare tutte queste condizioni offerte da Cuba negli altri paesi dell’America latina, nelle altre lotte per la presa del potere in favore delle classi diseredate, che cosa avverrebbe? Sarebbe cosa fattibile o no? E se è fattibile, sarebbe più facile o più difficile che a Cuba?

Cerchiamo di esporre le difficoltà che a nostro parere renderanno più dure le nuove lotte rivoluzionarie d’America: si tratta di difficoltà generali per tutti i paesi e di difficoltà più specifiche per alcuni di essi, resi diversi dagli altri dal loro grado di sviluppo o dalle peculiarità nazionali.

Avevamo notato, all’inizio di questo lavoro, che potevano essere considerati fattori di eccezione l’atteggiamento dell’imperialismo, disorientato davanti alla Rivoluzione Cubana, e, fino a un certo punto, l’atteggiamento della stessa classe borghese nazionale, anch’essa disorientata al punto di guardare perfino con una certa simpatia all’azione dei ribelli a causa della pressione dell’imperialismo sui suoi interessi (situazione, quest’ultima, che è per lo più comune a tutti i nostri paesi). Cuba ha di nuovo tracciato la linea nella sabbia e torna al dilemma di Pizarro11; da un lato ci sono coloro che amano il popolo, mentre dall’altro stanno coloro che lo odiano. E tra questi ultimi, ancor più profondo, è scavato il solco che divide inderogabilmente le due grandi forze sociali: la borghesia e la classe lavoratrice, le quali stanno definendo con sempre maggior chiarezza le proprie rispettive posizioni, man mano che avanza il processo della Rivoluzione Cubana.

Ciò vuol dire che l’imperialismo ha imparato fino in fondo la lezione di Cuba, e che non tornerà a farsi prendere di sorpresa in nessuna delle nostre venti repubbliche, in nessuna delle colonie ancora esistenti, in nessuna parte dell’America. Ciò vuol dire che grandi lotte popolari contro potenti eserciti di invasione attendono coloro che pretendono ora di violare la pace dei sepolcri, la pace romana. Importante questo, perché, se dura è stata la guerra di liberazione cubana con i suoi due anni di combattimento continuo, di sussulti e instabilità, infinitamente più dure saranno le nuove battaglie che attendono il popolo in altri luoghi dell’America latina.12

Gli Stati Uniti affrettano la consegna di armi ai governi fantoccio che vedono più minacciati; fanno loro firmare patti di vassallaggio, per rendere giuridicamente più facile l’invio di strumenti di repressione e di uccisione e di truppe di ciò incaricate. Inoltre intensificano la preparazione militare dei quadri negli eserciti di repressione, con l’intenzione di servirsene da efficace pugnale contro il popolo.

E la borghesia? ci si chiederà. Giacché si sa che in molti paesi d’America esistono delle contraddizioni oggettive tra le borghesie nazionali che lottano per svilupparsi e l’imperialismo che inonda i mercati con i suoi articoli per sconfiggere in un impari lotta l’industria nazionale, così come vi sono altre forme o manifestazioni di lotta per il plusvalore e la ricchezza.

Nonostante queste contraddizioni le borghesie nazionali non sono capaci, in genere, di mantenere un atteggiamento coerente di lotta di fronte all’imperialismo.

Esse dimostrano di temere di più la rivoluzione popolare delle sofferenze sotto l’oppressione e il dominio dispotico dell’imperialismo, che soffoca la nazionalità, umilia il sentimento patriottico e colonizza l’economia.

La grande borghesia si oppone apertamente alla rivoluzione e non esita ad allearsi con l’imperialismo ed il latifondismo per combattere il popolo e chiudergli la via della Rivoluzione.

Un imperialismo disperato e isterico, deciso a intraprendere ogni genere di manovre e a dare armi e perfino truppe ai suoi fantocci per annientare qualunque popolo si sollevi; un latifondismo feroce, privo di scrupoli ed esperto delle forme più brutali di repressione; e una grande borghesia disposta a sbarrare, con qualunque mezzo, il passo alla rivoluzione popolare; queste sono le grandi forze alleate fra loro che si oppongono direttamente alle nuove rivoluzioni popolari dell’America latina.13

Tali sono le difficoltà che vanno aggiunte a tutte quelle insite nelle lotte di questo tipo nelle nuove condizioni dell’America latina, in seguito al consolidamento del fenomeno irreversibile della Rivoluzione Cubana.

Ve ne sono altre più specifiche. I paesi che, anche senza che si possa parlare di un’effettiva industrializzazione, hanno sviluppato la propria industria media e leggera o hanno, semplicemente, subìto processi di concentrazione della popolazione in grandi centri urbani, trovano maggiore difficoltà a preparare la guerriglia. Inoltre l’influenza ideologica dei centri popolati impedisce la lotta guerrigliera e incoraggia lotte di massa organizzate pacificamente.

Quest’ultimo elemento dà origine ad una certa “istituzionalità”, secondo la quale in periodi più o meno “normali”, le condizioni siano meno dure del trattamento abituale riservato al popolo.

Si arriva perfino a concepire l’idea di possibili aumenti quantitativi degli elementi rivoluzionari sui banchi del parlamento fino ad arrivare ad un estremo che permetta un giorno un mutamento qualitativo.

Questa speranza, a nostro avviso, molto difficilmente riuscirà a realizzarsi, nelle condizioni attuali, in qualunque paese d’America. Benchè non sia da escludere la possibilità che il mutamento, in qualche paese, prenda l’avvio con i mezzi elettorali, le condizioni in tali paesi prevalenti rendono tale possibilità molto remota.

I rivoluzionari non possono prevedere a priori tutte le varianti tattiche che possono presentarsi nel corso della lotta per il loro programma di liberazione. La reale capacità di un rivoluzionario si misura in base al fatto se sappia trovare tattiche rivoluzionarie adeguate ad ogni cambiamento di situazione, se sappia tener presenti tutte le tattiche e sfruttarle al massimo. Errore imperdonabile sarebbe quello di sottovalutare i vantaggi che il programma rivoluzionario può ottenere da una data campagna elettorale; come sarebbe altrettanto imperdonabile, limitarsi alle elezioni e non vedere gli altri mezzi di lotta, compresa la lotta armata, volti ad ottenere il potere, che è lo strumento indispensabile per applicare e sviluppare il programma rivoluzionario, poiché se non si raggiunge il potere, tutte le altre conquiste sono instabili, insufficienti, incapaci di fornire le soluzioni necessarie, per quanto avanzate esse possano apparire.

E quando sentiamo parlare di presa del potere per via elettorale, la nostra domanda è sempre la stessa: se un movimento popolare giunge al governo di un paese spinto da una grande votazione popolare e decidesse, di conseguenza, di dare inizio alle grandi trasformazioni sociali previste dal programma in base al quale ha avuto la vittoria, non entrerebbe immediatamente in conflitto con le classi reazionarie del paese? E non è stato sempre l’esercito lo strumento di oppressione di tali classi? Se cosi è, è logico dedurre che tale esercito si schiererà dalla parte della sua classe ed entrerà in conflitto con il governo costituito. Può succedere che il governo venga rovesciato con un colpo di stato più o meno incruento e che ricominci il gioco che non finisce mai; ma può succedere invece che l’esercito oppressore venga sconfitto grazie all’azione popolare armata mossa in appoggio al proprio governo. Ciò che ci sembra difficile è che le Forze Armate accettino di buon grado delle riforme sociali profonde e si rassegnino come agnellini alla propria liquidazione come casta.

Quanto a ciò che prima accennavamo a proposito delle grandi concentrazioni urbane, è nostro modesto avviso che, anche in questi casi, in condizioni di arretratezza economica, possa risultare consigliabile sviluppare la lotta fuori dai confini cittadini, dandole caratteristiche di lunga durata. Per essere più espliciti, la presenza di un focolaio guerrigliero in montagna, in un paese dalle città popolose, alimenta perennemente il fuoco della ribellione, poiché è molto difficile che le forze di repressione possano liquidare rapidamente, e magari nel giro di anni, la guerriglia che fondi le sue basi sociali in terreno favorevole alla lotta guerrigliera e laddove esistano persone che adottino coerentemente la tattica e la strategia di questo tipo di guerra.14

Molto diverso ciò che occorrerebbe fare nelle città: lì si può sviluppare in misura insospettata la lotta armata contro l’esercito di repressione, ma tale lotta diventerà frontale soltanto quando vi sia un esercito potente in lotta contro un altro esercito; né si può intraprendere una lotta frontale contro un esercito potente e ben armato quando si possa far conto soltanto su un gruppetto di uomini. La lotta frontale allora andrebbe effettuata con molte armi; e sorge la domanda: dove sono queste armi? Le armi non esistono di per sé, bisogna prenderle al nemico; ma per prenderle al nemico bisogna lottare, e non si può lottare frontalmente. Quindi la lotta nelle grandi città deve cominciare da una fase clandestina in cui accattivarsi dei gruppi militari o conquistarsi le armi, ad una ad una, in successivi colpi di mano.

In questo secondo caso si può fare molta strada, e non esiteremmo ad affermare che sarebbe inibito ogni successo ad una ribellione popolare che abbia base guerrigliera all’interno delle città. Nessuno può opporsi teoricamente a questa idea, non è questa almeno la nostra intenzione, ma dobbiamo d’altronde notare quanto sarebbe facile, per mezzo di qualche delazione o semplicemente con una serie di perquisizioni, eliminare i capi della rivoluzione. In compenso, ammettendo che vengano operate tutte le azioni pensabili in ambiente cittadino, che cioè si ricorra al sabotaggio organizzato e soprattutto a quella forma particolarmente efficace di guerriglia che è la guerriglia suburbana, conservando però il nucleo fondamentale su terreni favorevoli alla lotta guerrigliera, se le forze d’oppressione sconfiggono tutte le forze popolari della città, annientandole, il potere politico rivoluzionario rimane incolume, giacché si trova relativamente al riparo dalle vicende belliche. Purché sia sì relativamente al riparo, ma non fuori della guerra, né la diriga da un altro paese o da luoghi distanti: purché sia tra il suo popolo, nella lotta.Sono queste le considerazioni che ci fanno pensare che, anche prendendo in esame paesi in cui ci sia grande predominio urbano, il focolaio centrale della lotta si possa sviluppare nelle campagne.

Venendo al caso che si possa contare su cellule militari che aiutino a vibrare il colpo e che forniscano le armi, bisogna prendere in esame due problemi. Primo, se davvero tali gruppi militari si uniscono alle forze popolari per vibrare il colpo, considerandosi però essi stessi un nucleo organizzato e capace di autodecisione: in tal caso si tratterà di un colpo di una parte dell’esercito contro un’altra e, probabilmente, resterà incolume la struttura di casta dell’esercito.

L’altra eventualità, che cioè l’esercito si unisca rapidamente e spontaneamente alle forze popolari, a nostro avviso si può verificare soltanto in seguito al fatto che quell’esercito sia stato vigorosamente battuto da un nemico potente e incalzante, cioè in condizioni catastrofiche per il potere costituito.15 Alla condizione che si tratti di un esercito sconfitto, distrutto nel morale, si può verificare questo fenomeno, ma perché ciò accada è necessaria la lotta. Sicché si ritorna al primo punto: come realizzare questa lotta? La risposta ci condurrà allo sviluppo della lotta guerrigliera su terreno favorevole, appoggiata dalla lotta nelle città e contando sempre sulla più ampia partecipazione possibile delle masse operaie e, naturalmente, sotto la guida dell’ideologia di questa classe.

Abbiamo fin qui analizzato a sufficienza le difficoltà in cui incorreranno i movimenti rivoluzionari dell’America latina. Ora bisogna chiedersi se ci siano o nodelle situazioni più vantaggiose rispetto alla fase precedente, quella cioè in cui si trovò Fidel Castro sulla Sierra Maestra. Crediamo anche in questo caso che vi siano delle condizioni generali che facilitano l’esplosione di questi focolai di ribellione e condizioni specifiche di certi paesi che la rendono ancor più facile.

Due ragioni soggettive dobbiamo notare quali conseguenze più importanti della Rivoluzione Cubana: la prima è la possibilità della vittoria, giacché ora si è perfettamente a conoscenza della possibilità di coronare col successo un’impresa come quella compiuta nella loro lotta di due anni sulla Sierra Maestra, da quel gruppo di illusi che avevano intrapreso la spedizione del Granma: ciò indica immediatamente che si può dar luogo ad un movimento rivoluzionario che agisca dalla campagna, che si leghi alle masse contadine, che vada via via crescendo, che distrugga l’esercito in lotta frontale, che conquisti le città dalla campagna, che riesca ad incrementare, mediante la lotta, le condizioni soggettive necessarie alla presa del potere. L’importanza detenuta da questo fatto è misurabile dalla grande quantità di “eccezionalisti” che sono spuntati in questi tempi.

Gli “eccezionalisti” sono quegli esseri speciali che trovano che la Rivoluzione Cubana sia un avvenimento unico ed inimitabile sulla terra, condotto da un uomo che, abbia difetti o no, a seconda che l”‘eccezionalista” sia di destra o di sinistra, ha tuttavia guidato, evidentemente, la Rivoluzione per dei sentieri apertisi unicamente ed esclusivamente perché li percorresse la Rivoluzione Cubana. Completamente falso, diciamo noi: la possibilità di vittoria delle masse popolari dell’America latina è chiaramente espressa dalla via della lotta guerrigliera, basata sull’esercito contadino, sull’alleanza degli operai con i contadini, sulla sconfitta dell’esercito regolare in lotta frontale, sulla presa delle città partendo dalla campagna, sulla dissoluzione dell’esercito regolare come prima tappa del crollo totale della sovrastruttura del mondo colonialista precedente.

Possiamo osservare, quale secondo fattore soggettivo, che le masse non solo conoscono la possibilità della vittoria, ma ormai conoscono il proprio destino. Sanno con sempre maggior certezza che, quali che siano le vicissitudini della storia nel breve periodo, la vittoria finale è del popolo, perché la vittoria finale è della giustizia sociale. Ciò aiuterà a destare il fermento rivoluzionario a livelli anche superiori a quelli attualmente raggiunti nell’America latina.

Potremmo notare alcune considerazioni non tanto generiche e non applicabili con la stessa intensità a tutti i paesi.

Una di esse, sommamente importante, è l’esistenza di un maggiore sfruttamento contadino in genere, in tutti i paesi d’America, di quel che vi fosse a Cuba. Va ricordato a coloro che pretendono di vedere nel periodo insurrezionale della nostra lotta il ruolo della proletarizzazione delle campagne, che, a nostro avviso, la proletarizzazione delle campagne servì ad accelerare rapidamente la fase di cooperativizzazione nel successivo passaggio alla presa del potere ed alla Riforma Agraria, ma che, nella lotta originaria, il contadino, nucleo e spina dorsale dell’Esercito Ribelle, è lo stesso che oggi si trova sulla Sierra Maestra, padrone orgoglioso del suo podere, intransigente e individualista. È ovvio che in America esistano delle particolarità: un contadino argentino non ha la stessa mentalità di un comune contadino del Perù, della Bolivia o dell’Ecuador, ma la fame di terra è permanentemente presente nei contadini, e il mondo contadino dà il tono generale all’America; e siccome, in genere, esso è ancor più sfruttato di quanto fosse stato a Cuba, aumentano le possibilità che questa classe si levi in armi.

C’è inoltre un altro fatto. L’esercito di Batista, con tutti i suoi enormi difetti, era un esercito strutturato in modo tale che tutti, dall’ultimo soldato al generale più elevato in grado, erano complici nello sfruttamento del popolo. Era un esercito mercenario completo e ciò conferiva una certa coesione all’apparato repressivo. Gli eserciti d’America, per la maggior parte, contano su ufficiali di carriera e su un reclutamento a scaglioni.

Ogni anno perciò, i giovani ascoltando le lamentele per le quotidiane sofferenze patite dai loro padri, vedendole con i propri occhi, toccando con mano la miseria e l’ingiustizia sociale, abbandonano la loro casa e vengono arruolati e inquadrati nell’esercito. Se un giorno vengono mandati a fare da carne da cannone nella lotta contro i difensori di una dottrina che essi sentono essere giusta nella propria stessa carne, la loro combattività sarà profondamente incrinata e, con adeguati sistemi di propaganda, mostrando alle reclute la giustezza della lotta, il perché della lotta, si potranno ottenere dei risultati magnifici.

Possiamo dire, dopo questo sommario studio del fatto rivoluzionario, che la Rivoluzione Cubana ha contato su fattori eccezionali, che le conferiscono la sua particolarità, e su fattori comuni a tutti i popoli d’America, i quali esprimono la intima necessità di questa Rivoluzione. E vediamo anche che vi sono condizioni nuove che renderanno più facile l’esplosione dei movimenti rivoluzionari, dando alle masse coscienza del loro destino, la coscienza della necessità e la certezza della possibilità; e, allo stesso tempo, vi sono le condizioni che renderanno difficile che le masse in armi possano raggiungere rapidamente l’obbiettivo di prendere il potere. Tali sono le condizioni costituite dalla stretta alleanza esistenti tra l’imperialismo e tutte le borghesie americane, volta alla lotta spietata contro la forza popolare.

Tempi oscuri attendono l’America latina, e le recenti dichiarazioni degli uomini di governo degli Stati Uniti sembrano indicare che tempi oscuri attendono il mondo intero. Lumumba, selvaggiamente assassinato, nella grandezza del suo martirio insegna quali siano i tragici errori che non vanno commessi. Una volta dato il via alla lotta antimperialista, è indispensabile essere conseguenti e bisogna tener duro, costantemente e senza mai fare un passo indietro: avanti sempre, contrattaccando sempre, rispondendo sempre ad ogni aggressione con una pressione più forte delle masse popolari. Questo è il modo per trionfare.

In altra occasione esamineremo se la Rivoluzione Cubana, dopo la presa del potere, abbia percorso queste nuove vie rivoluzionarie con fattori di eccezionalità o se invece, anche in questo caso rispettando certe caratteristiche speciali, abbia seguito fondamentalmente un cammino logico derivante da leggi immanenti ai processi sociali.

Note
  1. Pubblicato in “Verde Olivo”, aprile 1961[]
  2. Questo lavoro, in cui si analizzano comparativamente le condizioni nelle quali si iniziò, si sviluppò e trionfo il movimento di liberazione cubano, rispetto agli elementi principali della situazione sociale economica e politica prevalente nel resto dell’America latina, fu scritto da Guevara nei primi mesi del 1961, mentre egli era coinvolto, con altri esponenti “castristi,” in un’aspra polemica con i teorizzatori del vecchio Partito Socialista Popolare. Costoro sostenevano il carattere “eccezionale” della Rivoluzione cubana nella fase insurrezionale, in contraddizione con gli uomini della Sierra per i quali l’esperienza cubana avrebbe costituito il punto di riferimento valido per gli altri paesi del continente.[]
  3. Questa allusione si riferisce chiaramente almeno a Andrew Saint-George.[]
  4. Più avanti Guevara dirà che questo contadino, “centro e midollo dell’Esercito Ribelle, è quello stesso che è oggi sulla Sierra, orgoglioso padrone del suo pezzetto di terra e intransigente individualista.” Si tratta dei centomila e più precaristi, mezzadri e affittuari con non più di 26,8 ettari, che la Riforma Agraria del 17 maggio 1959 trasformò in proprietari.[]
  5. Concessioni di terre.[]
  6. V. n. 2, p. 232 delle opere complete.[]
  7. Questo conflitto fu creato ad arte nel 1918 dagli USA, scatenando il governo fantoccio del Nicaragua (il presidente era stato imposto l’anno prima con l’ausilio dei marines) contro quello di Cesta Rica, per impedire che l’amministrazione di quest’ultimo stato, con a capo Federico Tinoco, ratificasse a un’impresa britannica certe concessioni di ricerca petrolifera.[]
  8. Nel 1903 Theodore Roosevelt, quello della politica interamericana del “big stick”, separò Panama dal territorio della Colombia per accaparrarsi tutte le concessioni necessarie alla costruzione del canale interoceanico, così come per l’installazione di basi militari e l’usufrutto di una zona di sovranità nordamericana su entrambi i margini della futura via d’acqua tra Caraibi e il Pacifico. Roosevelt, che nelle sue memorie avrebbe annotato: “Mi impadronii di Panama senza interpellare il gabinetto”, aveva già ottenuto dalla Gran Bretagna tutti i diritti per il controllo in esclusiva del canale.[]
  9. El Chaco, una regione desertica grande quasi come l’Italia, situata nella regione settentrionale del Paraguay al confine con la Bolivia, fu la scintilla di una guerra scatenata dalla Standard Oil Company of New Jesery tra quei due paesi, per assicurarsi il controllo delle riserve petrolifere del Chaco, allora in mano alla Union Oil Co. consociata della Royal Dutch Shell. Il conflitto armato si protrasse dal 1932 al 1935, creando vuoti cruenti da ambo le parti: quarantamila morti paraguaiani e sessantamila boliviani. Il Paraguay conservò quasi intatto il suo territorio (il pretesto della guerra era stato una artificiosa rivendicazione territoriale boliviana), ma vide accentuarsi vertiginosamente la sua miseria, eredità dello spaventoso conflitto condotto contro lo stesso Paraguay dall’lmpero brasiliano, dall’oligarchia feudale argentina (poi sua alleata per il Chaco) e dall’Uruguay sul finire del decennio 1850-60. La Bolivia, oltre a subire gravi perdite, restò legata alla Esso che, dopo averla spinta alla lotta, continuava, e continua ancor oggi, a controllare la stragrande maggioranza delle risorse petrolifere e gasifere boliviane. Ma questi non sono ancora gli aspetti più iniqui di quella guerra: le riserve di grezzo restano inutilizzate nel sottosuolo del Chaco paraguaiano, poiché il cartello del petrolio si guarda bene dallo sfruttare nuovi giacimenti finché bastano quelli già in produzione.[]
  10. Per molti teorici marxisti moderni dell’America Latina il concetto di distorsione definisce più chiaramente le condizioni di questi paesi che non quello del sottosviluppo. Per essi questo sottosviluppo (risultato del satellitismo rispetto alle potenze coloniali) non è paragonabile con quello di un paese a economia indipendente (come per esempio, nel caso di buona parte dell’Europa) che oggi rivela un elevato grado di espansione. Si sostiene, in pratica, che tra il sottosviluppo di una colonia e le difficoltà superate da una nazione in seguito sviluppatasi esiste, in un certo senso, la stessa relazione che corre tra un bambino e un nano: sono entrambi insufficientemente sviluppati, ma, mentre il bambino conserva intatte tutte le possibilità di crescita, il nano è un mostro, un organismo deformato che può crescere soltanto con una trasformazione biologica d’entità tale da potersi paragonare allo sforzo che un paese colonizzato deve compiere per svilupparsi.[]
  11. Guevara allude qui a un episodio della fase precedente alla conquista del Perù, episodio di cui fu protagonista Pizarro con la sua futura armata di spedizione. Trovandosi nell’Isola del Gallo, di fronte alle coste peruviane, in situazione critica, la truppa si divise tra l’intenzione di Pizarro di proseguire l’avventura, e il malcontento degli uomini che intendevano far ritorno alla base panamense. Le cronache narrano che Pizarro tracciò una linea sulla sabbia, invitando coloro che desideravano accompagnarlo nella spedizione a passare da un lato della linea, e quelli che volevano abbandonare la spedizione a passare dall’altro lato. Soltanto una dozzina di uomini seguirono il futuro conquistatore dell’Impero Inca e, con lui, il gruppo passò alla storia come “I tredici della gloria.”[]
  12. Il carattere drammatico delle lotte per entrare in America Latina per iniziare la rivoluzione è ribadito da Guevara in un crescendo che tocca il suo punto culminante nel messaggio indirizzato alla OSPAAAL nei primi mesi del 1967. Qui sostiene “che l’imperialismo ha appreso la lezione di Cuba”, e poi venne l’invasione della Repubblica Dominicana del 28 aprile 1965. Nella “Guerra di guerriglia: un metodo”, citando Castro, aveva ripetuto che la “Cordigliera delle Ande è chiamata a diventare la Sierra Maestra d’America”, per concludere che “tutti quegli immensi territori diventeranno il teatro di una lotta fino alla morte contro il potere imperialista.” In Due, tre, molti Vietnam, appello alla guerra totale contro l’imperialismo, egli afferma che “… sarà una lotta lunga, cruenta, il cui fronte starà (… ) nella popolazione contadina massacrata, nei villaggi e nelle città distrutte dal bombardamento nemico.” “Che nessuno si inganni quando la lotta inizierà, che nessuno vacilli nell’iniziarla per tema delle conseguenze che possono ricadere sul popolo. È quasi l’unica speranza di vittoria.” Tuttavia questo alto prezzo (che Guevara, a dispetto delle prevedibili accuse di guerrafondaio, incendiario e persino bakuninista, esorta a pagare), ha la sua contropartita, come sostenne Castro, o forse lo stesso Che, nella Seconda Dichiarazione dell’Avana del 4 febbraio 1962: “Ogni anno che acceleri la liberazione dell’America significherà milioni di bambini salvati alla vita, milioni di intelletti salvati alla cultura, infinite spine di dolore estratte dalle carni dei popoli.”[]
  13. V.n. 14 p. 414 delle opere complete.[]
  14. I casi del Venezuela e dell’Argentina (V. n. 2, p. 166 delle opere complete, sul fallito tentativo dell’Esercito Guerrigliero del Popolo che contava sull’appoggio di Guevara) si possono assimilare alle implicazioni di questo concetto. L’EGP non conseguì il suo scopo, però la FALN e il MIR, nonostante gli insuccessi, persino quelli imposti da fattori inerenti al campo sinistrista, almeno “mantengono acceso il fuoco della ribellione in Venezuela.” La medesima funzione è assolta, infine, in Colombia dall’Esercito di Liberazione Nazionale, ELN, e dalle Forze Armate Rivoluzionarie di Colombia, FARC.[]
  15. È possibile affermare, però, che la particolare esperienza dominicana dell’aprile 1965, in cui un settore delle FF.AA., agli ordini di un capo progressista dotato di gran coraggio intellettuale, insorse per ristabilire il regime costituzionale, distribuendo armi al popolo per condurre avanti la lotta e arrestandosi soltanto quando l’intervento straniero era alle porte, già si pone di per sé contro questa considerazione di Guevara. Invece si trova una maggior flessibilità nella Seconda Dichiarazione dell’Avana, dove si ammette che il movimento di liberazione “potrebbe trascinare con sé gli elementi progressisti delle forze armate, anch’esse umiliate dalle missioni militari yankee, dal tradimento degli interessi nazionali da parte delle oligarchie feudali e dal sacrificio della sovranità nazionale di fronte alle imposizioni di Washington.[]