Articolo già apparso in Nuovi signori e nuovi sudditi. Ipotesi sulla struttura di classe del capitalismo contemporaneo, di Costanzo Preve e Eugenio Orso.
1. La teoria marxiana dei modi produzione, e del modo di produzione capitalistico in particola-re, è generalmente intesa in forma spaziale-topologica, e cioè con un sopra e con un sotto. Sotto ci starebbe la struttura, intesa generalmente come la relazione fra lo sviluppo e la forma delle forze produttive sociali, e la natura classista dei rapporti di produzione. Sopra, invece, ci starebbe la sovra-struttura, intesa come quel sistema di istituzioni e di ideologie funzionale alla riproduzione globale dei rapporti di produzione classisti di cui si è fatto cenno.
Questa immagine topologica è stata accusata di meccanicismo, come se esistesse una sorta di “legge di causazione”, per cui la struttura determinerebbe meccanicamente la sovrastruttura. La teoria dell’interazione reciproca appare solo una poco rilevante “aggiunta ad hoc” (Thomas Kuhn), in quanto resterebbe comunque la famosa determinazione in ultima istanza da parte della struttura. E così come sovrano è chi è sovrano in ultima istanza nello stato di eccezione (Schmitt), nello stesso modo se si considera determinante in ultima istanza la struttura sulla sovrastruttura è inutile parlare di interazione reciproca. Meglio l’economicismo determinista che la sopravalutazione della produ-zione di ideologia, sia pure apparentemente disfunzionale e “contestativa”.
Altri hanno cercato di polemizzare contro questa topologia spaziale dualistica con la reintrodu-zione del concetto di totalità unica espressiva, considerato spesso “hegeliano”. Ed in effetti all’in-terno di una totalità unica espressiva, sia pure strutturata dialetticamente attraverso una catena di contraddizioni e di determinazioni che spingono oltre se stesse (caratteristica unica di Hegel e di
Marx, che li fanno membri di una stessa scuola filosofica, e non di due diverse), la distinzione di principio fra struttura e sovrastruttura viene a cadere. Questa via, ad esempio, è stata presa da molti insigni pensatori di intenzione soggettivamente marxista, che hanno ridefinito l’intera totalità unica capitalistica come mondo alienato dominato dal feticismo della merce e/o dalla incontrollabilità del nesso di economia e di tecnica.
Non si tratta di sviluppare una (pur legittima) discussione di marxologia critica. Si tratta di se-gnalare al lettore la centralità del concetto di ideologia per la riproduzione del sistema capitalistico.
2. Deve però essere chiaro, contro ogni animalesco riduzionismo, che di per sé la Religione, l’Arte, la Scienza e la Filosofia (scritte volutamente in maiuscolo) non sono ideologie, ma sono attività per-manenti dell’uomo in quanto essere ad un tempo naturale e sociale. Vi è tuttavia un uso ideologico di tutte e quattro, nella misura in cui vengono inserite all’interno dei determinati rapporti classisti di produzione.
Mentre nessuno oggi parla di Fine della Scienza, divenuta non solo principale forza produttiva della riproduzione capitalistica, ma anche principale fattore di legittimazione ideologica, sono sem-pre numerose le stupidaggini sulla Morte della Filosofia, sulla Morte dell’Arte e sulla Morte della Religione.
Senza liberarsi di queste stupidaggini, è inutile proseguire la discussione sulle ideologie, discus-sione che sfocerà nella mia tesi di fondo, e cioè sul Politicamente Corretto (PC) come principale
Formazione Ideologica Unificata (FIU) di una nuova fase del modo di produzione capitalistico post-borghese e postproletario, definibile diversamente come fase speculativa del capitalismo (Hegel), oppure come terza fase del capitalismo segnata dalla fine della precedente fragile alleanza fra critica economico-sociale e critica artistico-culturale al capitalismo (Boltanski).
3. La fine della religione, ovviamente, non esiste e non può esistere, anche se invece siamo in pre-senza di un gigantesco mutamento di esercizio e di funzione sociale della sua pratica individuale e collettiva.
Le basi ideologiche della fine della religione, sostituita dal laicismo, dall’ideologia e dalla scien-za, risalgono al settecento illuministico ed alla teoria della religione come superstizione, trucco dei preti, impostura ed esorcizzazione ritualizzata della paura della morte. Questa teoria fu giustamente contrastata dall’idealismo tedesco e da Hegel, che per molti versi tornò alla corretta impostazione di
Spinoza, ed al fatto che religione e filosofia avevano lo stesso oggetto (l’assoluto), ma lo coltivavano e pensavano in modo diverso, la religione nella forma della rappresentazione, e la filosofia nella forma del concetto. Concetto che in Hegel non significa categoria conoscitiva pura ad uso episte-mologico, ma significa processo di acquisizione della libertà di fronte alla semplice oggettivazione.
Il positivismo perdette tutte le conquiste concettuali di Hegel per tornare integralmente all’impo-stazione dell’illuminismo settecentesco. La religione, definita come stadio teologico dell’evoluzione umana, diventa una forma infantile di questa evoluzione, così come la filosofia era confinata al suo stadio adolescenziale.
L’attuale “laicismo”, sotto la veste di una semplice neutralità dello “spazio pubblico”, riprende gli aspetti peggiori delle riduzioni illuministiche e positivistiche della religione. Le ragioni di questo, però, devono essere cercate al livello marxiano della struttura, e non della semplice sovrastruttura.
Il clero (oratores) è stato per quasi mille e cinquecento anni essenziale per la riproduzione della società tripartita feudale, in quanto anello di collegamento ideologico fra la classe feudale-signorile dominante (bellatores) e l’insieme delle classi dominate (laboratores). Oggi però non è più così. Oggi il clero di collegamento è costituito da tre settori distinti ed interconnessi del tutto post-religiosi, il ceto politico professionale di intermediazione, il circo mediatico di simulazione e di manipolazione, ed infine il clero universitario di gestione della divisione del lavoro intellettuale, che viene ricomposto ex post dalla riproduzione della sintesi sociale capitalistica unificata.
In questa situazione il vecchio clero diventa non più necessario, e viene destinato a funzioni se-condarie, come l’assistenza a marginali e poveracci, aiuto ad extra-comunitari disoccupati, elemosi-na a homeless, e più in generale a supplenza assistenziale di fronte al generalizzato smantellamento dei sistemi di welfare. Solo una parte ideologizzata di questo clero, ricattata con lo spauracchio dei preti pedofili, viene utilizzata per una funzione ideologica rivolta alla islamofobia ed all’appoggio al sionismo, identificato con l’ebraismo e con lo status simbolico di “fratelli maggiori”. Il lettore è qui di fronte alla prima violazione del Politicamente Corretto. Lo rassicuro. Ce ne saranno ancora moltissime altre.
4. La fine dell’arte, ovviamente, non esiste e non può esistere, ma è sicuro che l’arte soffre oggi di una odiosa incorporazione nel mercato capitalistico privato dell’arte come bene di rifugio della rendita petrolifera e del capitale finanziario, ed anche dell’esaltazione dell’estetica del brutto (Ma-vrakis), come riflesso della orrenda bruttezza del profilo culturale delle nuove oligarchie finanziarie e dei loro stili di vita particolarmente puttanesco-drogati.
La grande arte rinascimentale si basò già su di una parziale privatizzazione dell’arte, rispetto al carattere maggiormente pubblico dell’arte medioevale (cattedrali, sculture, pitture religiose e civili, eccetera). Ma il fatto che il principale punto di riferimento culturale delle élites rinascimentali fosse
una grecità, certo mai esistita in quella forma, ma comunque idealizzata, attenuò il carattere dell’in-corporazione privatistica dell’arte.
L’impressionismo e l’avanguardia storica furono gli ultimi due grandi fenomeni di protesta anti-borghese. Dopo ci fu soltanto l’incorporazione, fetida e schifosa, della produzione artistica nel mer-cato capitalistico dei beni di rifugio. Il brutto che ci circonda non significa affatto la morte definitiva dell’arte, ma soltanto il riflesso sovrastrutturale del Brutto Strutturale del gusto delle nuove oligar-chie finanziarie mondialmente unificate.
5. La fine delle filosofie, ovviamente, non esiste e non può esistere. E tuttavia oggi la filosofia è minacciata molto di più della religione e dell’arte. Si tratta di una pianta molto bella ma anche molto fragile, di fronte a quelle vere e proprie querce che sono la religione e l’arte. Dal momento che ragio-ni di spazio mi impediscono qui di parlare della filosofia in generale, mi limiterò a ricordare le forme storiche della sua pratica sociale. Nessuno potrà mai impedire al singolo di filosofare da solo e con i suoi amici. Il problema non è questo e non è mai stato questo. Il problema sta oggi nella sempre maggiore chiusura di spazi per la pratica sociale della filosofia al di fuori degli apparati universitari e del suo complesso manipolato e spettacolare, la conferenza pubblica narcisistica seguita da interviste mani-polate nei giornali delle oligarchie, che non sono appunto né di destra né di sinistra, ma caratterizza-ti dal Politicamente Corretto come nuova forma di totalitarismo ideologico flessibile, soft.
La nascita della filosofia greca è stata direttamente politica, fino a Socrate compreso (in questo senso, paradossalmente, Socrate è stato un vero presocratico). Il filosofo prende la parola per salvare la polis dalla dissoluzione dovuta al crescente potere corrosivo del denaro e della schiavitù per debiti, ed esercita così una funzione direttamente politica (Parmenide, Eraclito, Anassimandro, Pitagora, lo stesso Socrate). In questa prima fase storica non esistono ancora scuole filosofiche. Esistono singole individualità, in rapporto diretto con la comunità politica. La filosofia greca ha una genesi diretta-mente comunitaria. La funzione della manualistica dossografica è appunto quella di occultare questa genesi sociale attraverso lo schermo del sorgere delle differenti “opinioni”. Tutto questo si adatta molto bene all’attuale mitologia della “opinione pubblica” come spazio formale astratto in cui si confrontano diverse “opinioni”.
In un secondo momento la filosofia si organizza per scuole, senza l’intervento di apparati pub-blici. Le scuole sono associazioni di tipo religioso, e si auto-organizzano all’interno, nominando e revocando gli scolarchi (platonismo, aristotelismo, epicureismo, stoicismo, eccetera). Per capirci, sarebbe stato assurdo allora ciò che oggi è la normalità, e cioè un professore platonico che boccia un allievo aristotelico, o un professore stoico che boccia un allievo epicureo, magari con il pretesto di una citatologia inesatta o di un apparato di note insufficiente.
In un terzo momento appare la figura grottesca del “conferenziere brillante” (esempio Luciano di Samosata) che fa della filosofia prendendo in giro la filosofia stessa. Si tratta di una prefigurazione dell’odierno postmoderno. In un’epoca in cui non si crede più in niente (oggi si direbbe: fine delle grandi narrazioni, fine della metafisica, eccetera), la pratica della filosofia coincide con la sua irrisio-ne. Luciano non è diverso dai beffatori postmoderni lautamente pagati da fondazioni bancarie ed enti locali.
La societas christiana trasforma la pratica filosofica in teologia per più di un millennio. La cosa può piacere o meno, ma è comunque più seria delle conferenze sbeffeggiatrici di Luciano.
I grandi sistemi razionalistici della modernità (Spinoza, Cartesio, eccetera) rivelano la fondamen-tale serietà che veniva attribuita ad una fondazione razionale ed universalistica della nuova società. Lo spirito di sistema, oggi sbeffeggiato dai buffoni amanti dell’aforisma irresponsabile, che ad ogni pagina afferma il contrario di quanto affermato nella pagina precedente, indica invece serietà nel lavoro e nelle intenzioni. Il coronamento di questa serietà, mai più per ora raggiunto, sta nel siste-ma di Hegel, in cui la verità coincide con la presentazione sistematica del percorso necessario per giungervi. Prescindo qui dalla differenza fra i vari sistemi (Spinoza, Kant, Hegel, Darstellungsweise di Marx, eccetera). Faccio solo notare che soltanto un clima di buffoni sradicati può non capire che i sistemi di Kant e di Hegel avevano diversi ed opposti contenuti, ma avevano in comune la serietà della fondazione sociale della verità filosofica.
Il positivismo ha dato un colpo mortale, fino ad oggi non ancora sanato, alla serietà della interro-gazione filosofica in quanto tale. La filosofia viene interamente delegittimata come attività veritativa, e per questo deve ripiegare negli apparati universitari come attività erudita, e/o come teoria della conoscenza (gnoseologia ed epistemologia). Come ha correttamente compreso Lukács, la gnoseolo-gia è la teologia del capitalismo, in quanto non è più Dio, ma è la Scienza a diventare il principale fattore ideologico di legittimazione della sintesi sociale.
Per circa centoventi anni (1870-1990) il marxismo diventa praticamente il solo luogo ideologico in cui la filosofia può sussistere al di fuori degli apparati universitari, pur incrociandosi (debolmente) con loro. La discussione filosofica marxista, pur inquinata dalla ideologizzazione partitica e dalla manipolazione degli apparati nichilisti delle burocrazie prima socialiste e poi comuniste, si svolge infatti per sua stessa natura al di fuori degli apparati universitari. Personaggi come Engels, Lenin, Gramsci, Bloch, Lukács, Korsch, Althusser, eccetera, sono impensabili all’interno degli apparati uni-versitari. Persino filosofi marxisti che sono casualmente dentro gli apparati universitari lo sono quasi sempre al di fuori dei riti di riproduzione accademica.
Con la fine del dibattito organizzato, esauritosi in Europa occidentale fra il 1980 e il 1990, muore il luogo residuo per una pratica non universitaria della filosofia. La filosofia è così consegnata intera-mente o ad apparati universitari di riproduzione autoreferenziale, oppure a pagliacci mediatici (non più di una decina per paese) con accesso ben pagato alla televisione o alle conferenze sponsorizzate. La filosofia può certo sopravvivere nelle coscienze individuali, ma rischia di perdere qualunque dimensione politica pubblica, se non nella forma interamente addomesticata e controllata dei cosid-detti “grandi intellettuali” (ad esempio Habermas, Bobbio, eccetera), che vengono definiti “grandi” unicamente perché grande è la loro compatibilità con il sistema delle oligarchie finanziarie.
Il mio pessimismo sulla possibilità di restaurare in tempi non storici il ruolo critico-pubblico della filosofia è oggi come oggi totale. La filosofia non è certo morta, ma solo perché non può morire in quanto insita nell’antropologia umana. Oggi come oggi, però, è ibernata.
6. Siamo quindi in una situazione in cui la religione è passata al clero mediatico, l’arte è nelle grinfie del mercato capitalistico dell’arte e della correlata estetica del brutto che lo accompagna ne-cessariamente, e la filosofia non trova per ora nessuno spazio pubblico. Regnano invece l’ideologia e le sue forme. Di tutte queste forme, quella oggi prevalente è il Politicamente Corretto. Per studiarla sarà necessario muoverci in due tempi. Primo, lo studio della genesi, della natura e della funzione del Politicamente Corretto in generale. Secondo, la segnalazione, che sarà particolarmente scandalo-sa, delle forme principali in cui il Politicamente Corretto si manifesta in Europa occidentale. L’elen-cazione sarà necessariamente incompleta e sommaria, ma sufficiente per fare andare di traverso il cibo a tutti i “politicamente corretti” che per caso leggano questo testo. Testo, peraltro, largamente autocensurato per timore di fastidiose denunce penali, per cui ho scritto soltanto una piccola parte di ciò che penso veramente. Ma il lettore intelligente, certo poco numeroso ma comunque esistente, riempirà lui le caselle vuote.
7. In linea generale, il Politicamente Corretto è semplicemente la tarda elaborazione razionalizzata del sistema dei tabù che regge tutte le società primitive, che al di là delle radicali differenze dei marxia-ni modi di produzione hanno regole che si sono riprodotte fino ad oggi.
L’elemento comune di tutte le società umane sta nel fatto che nessuna società, indipendentemente da quanto dicono i relativisti assoluti, gli storicisti assoluti ed i negatori dell’esistenza di qualsiasi natura umana, può esistere e riprodursi senza un sistema di interdizioni. Questo sistema di interdizio-ni può ovviamente essere diversamente protetto e può diversamente punire la sua violazione, dal cuore strappato al semplice mormorio di disapprovazione, e l’alleggerimento della pena prevista per la sua violazione non dipende da un generico “grado di civiltà”, i cui parametri nessun antropologo comparatista ha mai potuto accertare, ma semplicemente dal fatto che la coesione sociale è ottenuta con altri metodi. Pensare che il capitalismo sia più civile del feudalesimo perché non utilizza il rogo per i dissidenti in base unicamente al parametro astratto dell’evoluzione di una generica “sensibi-lità” o addirittura di una generica “marcia del progresso” significa non capire che se per garantire l’estorsione del plusvalore fosse necessario lo squartamento pubblico cui fu sottoposto l’attentatore Damien nel 1758 a Parigi avremmo squartamenti sulla pubblica piazza ogni domenica. Ma non si può estorcere plusvalore ad un lavoratore libero da gravami schiavistici e feudali minacciando di squartarlo. Su questo punto (ma praticamente solo su questo, il resto della sua concezione è orribile), Michel Foucault ha ragione.
L’elemento differenziale sta invece nel fatto che il tabù nelle società primitive è legittimato dal tri-plice uso del mito, della magia e del totemismo, mentre il tabù dopo l’illuminismo ed il positivismo deve basarsi su di un uso ideologico della ragione. Ne farò più avanti varie esemplificazioni.
Nelle nostre civiltà monoteistiche, il Politicamente Corretto è una secolarizzazione dell’interdetto alla bestemmia. I cosiddetti “laici” vorrebbero liberamente bestemmiare Dio, che da circa duecentoanni ormai ha perso ogni sovranità nella legittimazione sociale (ed è per questo che i laici sono quasi sempre particolarmente islamofobi, in quanto sospettano che nell’Islam Dio continui ad avere un
certo ruolo, sia pure sempre minore, nella legittimazione politico-sociale). Strillano però contro i co-siddetti antiamericanismo ed antisemitismo, se appena qualcuno gli tocca la religione americanista dell’occidente e la religione olocaustica. Si tratta solo di un passaggio funzionale ed ideologico da un tabù ad un altro. Ma è giunto il momento di entrare maggiormente nello specifico. Il Politicamente Corretto, infatti, elabora la proibizione del tabù e secolarizza l’interdetto della bestemmia. E tuttavia, questo non basta ancora, anche se è necessario partire da questo presupposto ben compreso.
8. Il Politicamente Corretto come elemento costitutivo di una nuova formazione ideologica mon-dializzata nasce negli anni sessanta e settanta negli USA, e non poteva essere diversamente. Gli USA non sono infatti solo un impero economico, politico e militare, ma sono un impero culturale. Tutte le forme ideologiche che esportano nel mondo intero, adattandole ovviamente alle diverse situazioni storico-geografiche, derivano in ultima istanza da un processo di secolarizzazione del primitivo ec-cezionalismo messianico seicentesco del puritanesimo protestante. Mentre nel pensiero europeo (ad esempio Hegel, ma anche Marx) il processo di universalizzazione culturale è concepito in modo ra-zionalistico e storicistico, nel pensiero americano l’universalizzazione è pensata secondo il modello della trasmissione biblica veterotestamentaria.
L’universale non è così un possibile risultato finale di un processo (illuminismo, Kant, Hegel, Marx, marxismo, eccetera), ma come un dato già presente fin dall’inizio, che si tratta di diffondere senza fermarsi davanti a nessun confine (border), in quanto la frontiera (frontier) è indefinitamente sorpassabile. Il popolo eletto ha infatti diritto sia a lasciare una terra del peccato (l’Egitto veterote-stamentario, l’Europa cattolico-papista e dispotica), sia a massacrare gli abitanti provvisori della terra promessa (amaleciti e filistei nella Palestina veterotestamentaria, pellirosse ed amerindi vari nella nuova terra promessa). Fucile, bibbia e liquore. Ecco la trinità dell’eccezionalismo messianico americano.
9. Il Politicamente Corretto ha dunque la sua genesi negli USA degli anni sessanta e settanta del novecento. Essa avviene in due momenti.
In primo luogo, la genesi vera e propria. Si tratta di un episodio interno alla cultura radicale di estrema sinistra negli USA, dalla Vecchia Sinistra (old left), ancora socialista e comunista di tipo eu-ropeo, alla Nuova Sinistra ( new left), postsocialista e postcomunista, sconfitta al livello della “strut-tura”, e che cerca una rivincita al livello del costume, dei modi di pensare e della “sovrastruttura”, in particolare per quanto concerne i quattro punti del sessismo maschilista, dell’omofobia, dell’an-tisemitismo antiebraico e del razzismo contro i “diversamente colorati” (neri, amerindi, eccetera).
In secondo luogo, si tratta di una generalizzazione all’intera società “ufficiale” di questo movi-mento, generalizzazione resa possibile e necessaria da un mutamento di natura dell’intera società capitalistica globale, che nel suo passaggio da una fase storica ancora dialettica, e cioè caratterizzata dalla dicotomia Borghesia/Proletariato, ad una fase storica speculativa, e cioè postborghese e post-proletaria, deve far cadere e rendere obsoleti i vecchi modelli razzisti, sessisti ed omofobi.
Trattiamo questi due momenti separatamente, avvertendo però il lettore che questa separazione è largamente astratta e scolastica, perché in realtà questi modelli sono strettamente intrecciati insieme.
10. Alla base di tutto, c’è l’incapacità prima del socialismo e poi del comunismo di diventare fat-tori politici rilevanti nella storia degli USA del novecento. A partire da Sombart e da Weber esiste in proposito una riflessione europea secolare. Essa è molto interessante, ma per ragioni di spazio è impossibile occuparsene in questa sede. La darò quindi per scontata, e partirò nella mia riflessione dal fatto che questa assenza di socialismo e di comunismo negli USA (non parlo di testimonianze minoritarie, cui va la mia massima stima ed ammirazione) è un dato da cui partire.
Chiamo Vecchia Sinistra Americana (old left) l’insieme di movimenti che dal 1870 al 1960 circa ha cercato di trasformare prima il socialismo e poi il comunismo in dato strutturale permanente della politica americana. Il fallimento è stato totale e tragico. Ma lo è stato soprattutto per la violenza siste-matica che ha reso possibile questo sradicamento da parte degli apparati pubblici e privati. Questaviolenza sistematica è costantemente nascosta dalla corporazione corrotta dei contemporaneisti e degli americanisti, per cui sembra che una generica “opinione pubblica americana” abbia educata-mente rifiutato le cosiddette “ideologie totalitarie europee”.
Niente di tutto questo. Data la struttura interna ed esterna dell’impero USA sia il socialismo che il comunismo sarebbero stati comunque fenomeni minoritari negli USA, ma non così irrilevanti e residuali come sono stati e sono. La loro residuale irrilevanza è stata effetto di un processo pubblico
e privato di violenza sistematica durato quasi un secolo, ignorato e minimizzato dai gruppi corrotti dei contemporaneisti e degli americanisti, senza parlare dei seguaci subalterni di Hannah Arendt e compagnia bella. La “leggenda bianca” dell’eccezionalismo democratico USA è semplicemente l’altra faccia complementare della “leggenda nera” che è stata appiccicata alla vicenda globale del comunismo storico novecentesco realmente esistito (1917-1991).
11. Negli anni sessanta e settanta si ha negli USA un passaggio dalla cosiddetta Vecchia Sinistra alla cosiddetta Nuova Sinistra (new left), e su questo passaggio e sulla sua natura bisogna richiamare l’attenzione, perché è lì che bisogna cercare la genesi storica ed ideologica del Politicamente Corretto.
Questo passaggio è l’insieme di due fenomeni distinti ma interconnessi: da un lato, fu l’effetto della spaventosa repressione privata e pubblica del ventennio precedente (1945-1965), che distrusse ogni possibilità di esistenza pubblica delle organizzazioni socialiste e comuniste di tipo europeo, e costrinse i residui militanti a ripiegare sulle cosiddette lotte culturali (vi fu qui la prima ricezione americana di Antonio Gramsci, visto come il grande teorico comunista delle lotte nella sovrastrut-tura); dall’altro, fu l’effetto della demitizzazione del precedente mito dell’URSS, amplificato dopo il 1956 dalla destalinizzazione ufficiale sovietica, ed anche dal crescente benessere del livello di vita della classe operaia americana, che toccò il suo punto più alto nel 1973, e da allora è sostanzialmente in caduta costante (frutto anche del passaggio da un modello capitalistico prevalentemente indu-striale ad un modello capitalistico prevalentemente finanziario).
Credo che anche agli USA si applichi nell’essenziale la diagnosi di Augusto Del Noce sull’insuf-ficienza strutturale del progressismo storicistico nel capire la natura riproduttiva della totalità ca-pitalistica. A causa del fondamentalismo cattolico dell’autore questa diagnosi finisce per applicarsi quasi solo alla povera Italia provinciale del conflitto simulato fra Don Camillo e Peppone e fra DC e
PCI, ma se la si estende e la si concretizza essa diventa illuminante anche per intendere i tratti gene-rali della new left americana. In breve: la “sinistra” (nulla a che fare con le severe analisi strutturali di Marx) crede che il keynesismo in economia e la liberalizzazione dei costumi nella cultura siano tappe di avvicinamento progressivo (e di fatto “stadiale”) ad una società socialista e comunistica (in senso umanistico ed antistaliniano), in quanto crede che per sua stessa insuperabile natura il capi-talismo si fondi su di un profilo razzista, omofobico, maschilista, sessista, autoritario, eccetera. Di fronte al fatto inatteso, invece, che il capitalismo per la sua stessa natura riproduttiva tende a superare il suo primo momento di instaurazione, effettivamente razzista, maschilista, omofobico, sessista, eccetera, per poter allargare le sue basi di consenso e di gestione attiva, includendovi appunto i neri, le donne, gli omosessuali, eccetera, la sinistra resta priva di qualunque teoria di riferimento, non sapendo neppure più dove porre le sue basi culturali identitarie.
12. Chiarisco qui subito un possibile spiacevole e grottesco equivoco. Personalmente considero incondizionatamente positivo che i vecchi sgradevoli “pregiudizi” verso gli ebrei, i neri, le donne egli omosessuali vengano superati. Se il Politicamente Corretto interdice la manifestazione pubblica del disprezzo verso gli ebrei, i neri, le donne e gli omosessuali questo è bene e non è male. Sono disposto a riconoscere questo dato positivo in modo chiaro, limpido e senza tortuosi equivoci. Mi prendo soltanto l’insindacabile diritto ad assumere in proposito un giudizio storico-dialettico, che non deve ovviamente essere scambiato per approvazione a posteriori dei precedenti “pregiudizi”. Anche l’Illuminismo fu positivo in rapporto alla precedente cultura assolutistica e signorile, eppure Horkheimer e Adorno si sono presi il diritto di criticarlo. Non vedo perché a me deve essere proibito ciò che ad Horkheimer ed Adorno ha dato invece la fama e l’approvazione della tartuferia semicolta degli intellettuali.
13. La principale caratteristica del Politicamente Corretto è ovviamente quella di impedire che se ne parli in modo non programmaticamente politicamente corretto. È questa una caratteristica di tutti tabù, per cui parlarne è già violare un tabù, e delle religioni, per cui è già blasfemo parlarne in modo non religioso sulla loro genesi e sulla loro funzione storica.
Facendomi beffe di questo interdetto da pavidi mascalzoni, ne analizzerò ora in due tempi la ge-nesi teorico-filosofica e la genesi storico-sociale. Sebbene la seconda, strutturale, sia più importante della prima, sovrastrutturale, inizierò dalla prima. Il lettore poi inverta l’ordine, se vuole.
14. La genesi teorica del Politicamente Corretto sta in una delle ennesime prognosi errate cui ci ha abituato la tradizione del pensiero marxista, e più in generale di “sinistra”. Esso si basa sul presup-posto che si dice in lingua inglese wishful thinking, e cioè pensiero che scambia i propri desideri per realtà storiche vincenti. Tutti cadiamo ovviamente in questo errore, ma soltanto il pensiero di sinistra ha elevato l’Illusione ad Arte e Scienza.
Le diagnosi illusorie sono moltissime, ma qui ci limiteremo ad analizzarne soltanto due, di cui la seconda in particolare è quella che ci interessa maggiormente in questa sede.
La prima illusione, intrattenuta purtroppo dal Grande Fondatore della Ditta, e cioè Karl Marx, sta in una diagnosi e prognosi del capitalismo basata sulla sciagurata previsione del suo crollo, dovuto ad un insieme di ragioni, che qui sintetizzo in tre, scusandomi per non poter avere ovviamente lo spazio per esporle in modo più decente. Primo, il carattere rivoluzionario anticapitalista della clas-se operaia, salariata e proletaria, vista come l’avanguardia politicamente organizzabile del lavoro collettivo cooperativo associato, dal direttore di fabbrica all’ultimo manovale, alleata con le potenze intellettuali sprigionate dalla grande produzione industriale, definita da Marx con l’espressione in-glese General Intellect. Secondo, la considerazione delle crisi capitalistiche (variamente classificate) non come un fisiologico momento ciclico di ricostituzione delle condizioni di una nuova fase di ac-cumulazione, ma come segnale di incrinamento irreversibile del sistema. Terzo, la presunta incapa-cità del capitalismo di sviluppare le forze produttive sociali, da cui stagnazione, ristagno e necessità del “cambio di manovratore” della locomotiva, dalla borghesia al proletariato ed ai suoi alleati.
Per farla corta, tutti e tre queste previsioni sono completamente e totalmente errate. Questo non cambia di un grammo e di una virgola il giudizio negativo globale sul capitalismo, almeno a mio giudizio, il che fa sì che io continui a rivendicarmi allievo e seguace della “scuola di Marx” intesa in senso lato. Ma nello stesso tempo ogni minuto sprecato nel congedo da questo insieme di (spiegabili e perdonabili) errori è tutto tempo perduto per elaborare una strategia ed una tattica anticapitalistica di oggi.
La seconda illusione, più grave della prima, permane persino in caso di totale abbandono della prima, in quanto è più radicata e quindi più pericolosa e dura a morire. Si tratta dell’ideologia del progresso, di origine illuministica integralmente e soltanto borghese, già da allora del tutto estranea alle classi subalterne, per cui l’avanti è sempre per principio migliore dell’indietro, e per cui il semplice scorrimento del tempo era sempre e comunque inteso come un progresso. Luxuria è sempre avanti a Ratzinger, per cui non può che avere ragione. Nonostante alcuni rarissimi pensatori critici (Ben-jamin, eccetera), la religione del progresso è rimasta, ed ancora rimane, l’unica religione popolare della sinistra europea, all’interno di un popolo rimbecillito dai media che non va più in chiesa ed è invitato ad odiare la cultura letteraria e filosofica degli “antichi”, che essendo antichi devono per forza anche essere “sorpassati”.
Da questa penosa religione per deficienti si è sviluppata l’idea per cui il capitalismo può soltan-to svilupparsi sulla base del paternalismo maschilista, razzista, omofobo ed antisemita. Rimosso questo bestione conservatore si sarebbe fatto un passo avanti anche verso una società più giusta ed egualitaria.
L’esperienza degli ultimi quaranta anni (1968-2008), un periodo storico abbastanza lungo per per-mettere già un bilancio di fondo, dimostra esattamente il contrario. In quarant’anni il capitalismo ha liberalizzato il costume, ha contrastato razzismo, omofobia, maschilismo ed antisemitismo (trasfe-rendo però il ruolo dell’antisemitismo all’islamofobia ed ergendo anzi il popolo ebraico a sacerdozio levitico della nuova religione olocaustica globale, “pezzo forte” del Politicamente Corretto), e nello stesso tempo ha creato una società oligarchica in cui le diseguaglianze sociali sono molto maggiori, provocatorie e schifose di quaranta anni fa. È terribile affidarsi ad un medico idiota che scambia l’artrite reumatoide per dolore ai calli.
15. Quanto detto nel paragrafo precedente è soltanto ideologia sovrastrutturale per deficienti. Marx non era un deficiente, ed è comprensibile che potesse fare la diagnosi che ha fatto fra il 1840 ed il 1880. Ma che i tre punti in questione siano stati mantenuti fra il 1968 ed il 2009 rivela l’incu-rabile decadenza di gruppi sociali residuali guidati da politici nichilisti e da intellettuali ignoranti. Un navigatore miceneo del 1000 a.C. ha diritto a pensare che la terra sia piatta. Uno skipper del 2009 non ha più questo diritto. I problemi del cosiddetto “marxismo” stanno tutti qui, e tali resteranno fino a quando non verrà integralmente sostituita la feccia politica ed intellettuale che ne impedisce la riforma radicale ed il rilancio strategico.
Eppure, ci deve essere qualcosa alla base di questo conservatorismo per deficienti. Si tratta di un fenomeno corrispondente a quanto un tempo i marxisti come Lenin chiamavano “aristocrazia operaia”, e cioè quei settori di classe operaia pagati meglio, sia per i sovraprofitti di origine imperia
listica sia per l’aumento della produttività della nuova industria capitalistica. Alla base c’è sempre il cosiddetto plusvalore relativo, o più esattamente il passaggio dal plusvalore assoluto al plusvalore relativo, nei centri delle metropoli capitalistiche, e dello scarico del plusvalore assoluto nel cosiddet-to “decentramento produttivo” della globalizzazione imperialistica.
La vecchia “piccola borghesia”, matrice storica dell’irrequietezza politica nel capitalismo, stori-camente tentata sia dal fascismo che dal comunismo (Antonio Gramsci e Benito Mussolini avevano la stessa origine sociale, e le loro scelte politiche alternative sono state predeterminate unicamente da opzioni culturali contrapposte, senza nessun determinismo sociologico preesistente), è stata grada-tamente sostituita da un nuovo ceto medio. Ora, i concetti e soprattutto le realtà della piccola borghe-sia e del nuovo ceto medio sono diversissimi, e la loro sistematica confusione, promossa dalla sinergiamortale fra analfabetismo sociologico dei filosofi ed analfabetismo filosofico dei sociologi, sta alla base del Politicamente Corretto come illusione socialmente necessaria della fase storica in cui stiamo vivendo, che non è assolutamente il passaggio dal cosiddetto Moderno al cosiddetto Postmoderno, ma è il passaggio da una fase del capitalismo prevalentemente industriale e nazionale ad una fase del capitalismo prevalentemente finanziaria e transnazionale-globalizzata.
La piccola borghesia di un tempo era guidata nella sua maggioranza statistica (in un contesto storico di aspettative crescenti di promozione sociale di individui e di gruppi), da progetti di inte-grazione nel capitalismo, e nella sua minoranza sensibile da inquietudini indifferentemente fasciste e comuniste. Dicendo “indifferentemente” non intendo affatto proporre una equazione “totalitaria” di fascismo e comunismo, in quanto personalmente considero (qui semplifico orribilmente, violando il Politicamente Corretto) il comunismo molto migliore del fascismo, e fascismo e comunismo co-munque migliori del tradizionale imperialismo anglosassone e francese, massimo responsabile del bagno di sangue della prima guerra mondiale, matrice di tutto il male posteriore del novecento. Mi ripugnano Auschwitz, Hiroshima, Katyn e la Kolyma, ma tutti e quattro derivano in ultima istanza dal 1914 e dal trattato di Versailles del 1919. E con questo, ho reso esplicito il mio personale bilancio, politicamente scorrettissimo, del novecento appena trascorso.
Il nuovo ceto medio, gruppo sociale del tutto privo di ambizioni di guida politica (di qui la sua propensione al pensiero debole, elaborazione sofisticata della sua rinuncia a governare la totalità sociale e la sua riproduzione, in nome di una irresponsabilità lamentosa ed autoreferenziale), non ha più da elaborare nessuna coscienza infelice (ed è infatti anche per questo che odia Hegel e che Marx lo ha “deluso”), è pienamente “appagato” sul piano materiale, anche se deve accettare come frutto di una fatalità economica imperscrutabile le “aspettative decrescenti”. È quindi pronto ad accettare il Politicamente Corretto come suo nuovo profilo filosofico identitario di appartenenza.
Sono sicuro di poche cose, ma di questa sono (quasi) sicuro. Fra mezzo secolo, o forse qualcosa di più, questa rinuncia culturale a giudicare negativamente la totalità sociale verrà giudicata dai nostri posteri, in un mondo in cui certamente gli squilibri sociali ed ecologici saranno ancora aumentati, con la stessa severità con cui noi oggi giudichiamo le tentazioni fasciste e/o staliniane negli anni trenta. Ma i pochi di noi che hanno capito questo non potranno compiacersene, perché il loro ciclo biologico sarà compiuto, e saranno da tempo nel mondo dei più.
16. Ed ora, discussane la genesi storica e teorica, passiamo al Politicamente Corretto vero e pro-prio come formazione ideologica relativamente coerente di un sistema superstizioso di interdizioni e di punizioni di bestemmie sociali laicizzate. Devo limitarmi però alla sola Europa occidentale “ca-rolingia”, e cioè al piccolissimo gruppo di paesi come Italia, Francia, Germania, Spagna e poco altro. Russia, Turchia, Grecia e paesi arabi, ad esempio, non entrano nel quadro. Si tratta di colonie culturali USA integrali, in particolare Italia e Germania, cui si è aggiunta recentemente la Francia dopo losmantellamento del benemerito profilo nazionalistico del generale De Gaulle.
In questo saggio il lettore non può aspettarsi un’esposizione sistematicamente soddisfacente del Politicamente Corretto. Si può aspettare solo un’impostazione iniziale largamente imperfetta, e “ta-rata” sulla situazione italiana, una delle più degradate e disperanti dell’Europa intera, per ragioni storiche che devono essere esaminate a parte. In sintesi, inizieremo con cinque soli elementi fonda-mentali di Politicamente Corretto in Italia:
- Americanismo come presupposto di una collocazione interna ad un mondo esterno dato per preliminare e scontato.
- Religione olocaustica e sacralizzata del sacerdozio sionista come nuovo rito religioso europeo in epoca di crisi dei vecchi monoteismi prescrittivi ed invasivi della totale liberalizzazione dei corpi e della manipolazione degli spiriti.
- Diritti umani delle etnie e delle minoranze sessuali come nuova legittimazione del diritto all’intervento militare unilaterale al di fuori di qualunque legalità internazionale.
- Mantenimento illimitato dell’antifascismo in assenza completa di fascismo.
- Dicotomia bipolare Destra/Sinistra come manipolazione dello spazio politico e come maschera-mento del partito unico della riproduzione capitalistica.
Siamo solo all’inizio, ma il lettore deve accontentarsi. Se però il lettore non si scandalizza, come dovrebbe fare, significa che non sono stato ancora abbastanza radicale. La reazione alle mie tesi è infatti una vera cartina di tornasole. Chi se ne ritrae inorridito è certamente un buon suddito del Poli-ticamente Corretto, ed ha di fronte a sé buone possibilità di carriera e di cooptazione. Chi le assume come ipotesi di discussione, magari per annacquarle ed ammorbidirle, ma non le respinge inorri-dito a priori, non è ancora un caso disperato. Chi invece le approva, le accetta e le assume, sappia che non potrà mai fare nessuna carriera pubblica, non potrà mai diventare professore universitario di filosofia, storia e scienze sociali, e sarà oggetto di silenziamento e/o di diffamazione. È pertanto sconsigliato di difendere queste tesi prima della pensione.
17. Americanismo non significa assolutamente sostenere sempre servilmente tutto ciò che di volta in volta decidono di fare i governi americani. Il vero americanismo, anzi, consiste nel consigliare all’imperatore cosa dovrebbe fare per essere più amato dai sudditi, più multilaterale, meno unila-terale, ed in genere più portatore di un soft power. Il vero americanista consiglia di chiudere Guan-tanamo, di scoraggiare il Ku Klux Klan, di eleggere al comando il numero maggiore possibile di neri, donne, gay, eccetera. Il vero americanista vuole potersi riconoscere nella potenza imperiale che occupa il suo paese con basi militari e depositi di bombe atomiche a distanza di decenni dalla fine della seconda guerra mondiale (1945) e dalla dissoluzione di ogni patto militare “comunista” (1991). Il vero americanista vuole essere suddito di un impero buono, e pertanto gli spiace che l’impero a volte sia cattivo ed esageri. Massacrando l’Iraq l’impero non ha commesso un crimine, ma un errore. L’americanista utilizza due registri linguistici ed assiologici diversi, il codice del crimine ed il codice dell’errore. Tutti possiamo commettere errori, che diamine!
Hitler, Mussolini, i giapponesi, i comunisti, Milosevic, Mugabe, la giunta militare del Myanmar, i talebani, eccetera, hanno commesso e commettono crimini.
Churchill che massacra i curdi e gli indiani, Truman che getta la bomba atomica ad Hiroshima, Bush che invade l’Iraq nel 2003, commettono solo spiacevoli errori.
L’americanista accusa di anti-americanismo tutti coloro che affermano che gli USA si comporta-no come un impero, e non dovrebbero farlo, e comportarsi invece come un normale stato-nazione, affidando il mondo ad un equilibrio fra le potenze, senza velleità messianiche imperiali. Qui l’ame-ricanista raggiunge il massimo della cialtroneria, perché accusa di anti-americanismo paradossal-mente la stessa cultura americana, che afferma a chiare lettere di essere un impero, di voler essere un impero e di voler continuare ad essere un impero, e non è affatto disposta a rinunciare a questo eccezionalismo messianico.
L’americanismo, pertanto, non consiste in un variabile insieme di opinioni su questo o su quell’at-to specifico degli USA, ma in un presupposto di internità illimitata a questo mondo, in cui contrattare poi le modalità di adesione specifica.
Come la penso in proposito? Beh, il discorso sarebbe lungo, e diventerebbe storico e filosofico. Ma per sintetizzarlo nel modo più breve, provocatorio e politicamente scorretto possibile, dirò che per me l’americanismo è l’equivalente storico-analogico dei mongoli nel 1280, di Hitler nel 1940, eccetera, e mi scuso per aver fatto analogie troppo lievi, perché considero l’americanismo proporzionalmente ancora più pericoloso, perché possiede armi nucleari e perché tende ad un dominio mondiale, cosa che ai loro tempi Ciro il Grande, Alessandro il Macedone, Giulio Cesare, Carlo Magno, Gengis Khan, Filippo II, Cromwell, Luigi XVI, Pietro il Grande, Bismark, Churchill, Hitler, eccetera, non potevano fare per semplici ragioni tecniche.
18. La religione olocaustica è una religione esclusivamente europeo-occidentale, ed i pellegrinaggi guidati ad Auschwitz sono l’equivalente della Virgen de Guadalupe in Messico e della Casa di Con-fucio in Cina. Ma vediamo meglio.
Un inciso, inutile in un mondo normale, ma necessario sotto la spada di Damocle del Politicamen-te Corretto. Parlare di religione olocaustica non ha nessun rapporto con il giudizio sull’antisemiti-smo europeo moderno e sui progetti razzisti e sterministici di Hitler e dei suoi alleati, più o meno “buoni”, recalcitranti o entusiasti. Su entrambi i punti il mio giudizio storico e morale è incondizio-natamente negativo, il che significa che non mi pongo sulla strada scivolosa della contestualizzazione, della relativizzazione, eccetera. Naturalmente, non fu un Male Assoluto, ma non certo per cercare
ipocrite giustificazioni, ma per il semplice fatto che non esistono mali assoluti, e tutti i mali compiuti da uomini sono sempre relativi all’epoca ed ai soggetti che li hanno compiuti. Ad esempio Hiroshi-ma, che per me fu un male ancora peggiore di Auschwitz, perché non lasciò scampo alle sue vittime innocenti (almeno ad Auschwitz un Primo Levi poté uscirne vivo), non fu neanch’essa un male as-soluto, insieme con alcune altre decine di mali del novecento (Hiroshima, Nagasaki, genocidio degli armeni, giapponesi in Cina 1937, USA in Iraq 2003, Congo 1998-2008, eccetera).
La religione olocaustica, inoltre non ha neppure nulla a che fare con il cosiddetto “negazionismo”. Il Politicamente Corretto interdice legalmente qualunque controversia sulle modalità e sul numero degli sterminati da Hitler 1939-1945, per cui si tratta dell’unica controversia storiografica illegale della storia contemporanea. Qui il contesto religioso dell’interdizione del tabù della bestemmia è eviden-te. In proposito io non ho nulla da dire, non sono uno storico, non sono un contemporaneista, non ho studiato il problema, e posso fare solo dichiarazioni aprioristiche. Mi basta essere contrario in via di principio al razzismo, all’antisemitismo moderno ed allo sterminismo. Delle modalità dei numeri si occupino gli storici contemporaneisti, e smettano di fare dell’ideologia identitaria travestita da contemporaneistica.
Sigmund Freud ha proposto in Totem e Tabù una stimolante ipotesi, per cui il sentimento reli-gioso nasce dall’elaborazione ulteriore di un complesso di colpa per un crimine precedentemente compiuto (nel suo caso, l’uccisione del padre ed il banchetto cannibalico delle sue spoglie). Questa ipotesi non mi sembra affatto verosimile, ma si applica molto bene al senso di colpa olocaustico. Gli europei ed i tedeschi hanno massacrato gli ebrei, e dovranno pagare per sempre per questo crimi-ne, trasformando l’olocausto in religione espiatoria a tempo indeterminato, accettando per sempre l’occupazione militare di basi americane simbolicamente investite del compito di far sì che mai più i cattivi europei irresponsabili possano ricadere in Hitler (o facsimili) o in Stalin (o facsimili), ed in questo modo condannando all’irresponsabilità ed alla subordinazione infernale (infernale perché è per sempre – solo il purgatorio è a tempo determinato, ma se lo fosse, direi che sessant’anni 1945-2005 dovrebbero essere sufficienti) tutte le generazioni di europei nate ampiamente dopo il 1945.
Che cosa ne penso? Ne penso tutto il male possibile. L’idea di responsabilità collettiva, totalmente estranea allo spirito ed alla lettera della filosofia greca (che era centrata sull’anima dell’individuo singolo, psychè), è una ripugnante eredità assiro-babilonese, o meglio ne è una contorta secolarizza-zione. Sono nato nel 1943. Non mi sento affatto, e non sono, minimamente responsabile del cosid-detto Olocausto. Se faccio l’operazione mentale artificiale di spostarmi retroattivamente nel tempo, sarei stato contro, ed anzi spero che avrei avuto il coraggio di oppormi attivamente. Il popolo tede-sco non è affatto responsabile dell’olocausto, ma soltanto chi vi ha attivamente partecipato lo è. Il popolo americano non è responsabile per Hiroshima, ma solo la sua classe dirigente criminale lo è. Il popolo ebraico non è affatto responsabile per gli atti criminali del nazismo sionista, ma solo i nazisti sionisti lo sono.
Accettando la religione olocaustica e l’irrazionale principio assiro-babilonese della responsabilità collettiva gli europei hanno accettato di poter essere ricattati per sempre. Questa idolatria dovrà essere abbattuta, e sostituita (ed è possibile farlo, purché lo si voglia) da una riconsiderazione razio-nale della storia del novecento, senza mali assoluti e senza demoni, in cui si arriverebbe comunque alla totale inaccettabilità di ogni tipo di razzismo e di sterminismo. Ma è appunto questo approccio razionale che non si vuole.
La religione olocaustica è quindi bivalente, in quanto serve sia all’asservimento simbolico dell’Eu-ropa, chiamata ad espiare per sempre, sia alla giustificazione indiretta delle atrocità razziste del sioni-smo colonialistico. Vi è però un terzo aspetto, generalmente meno compreso. Il capitalismo ha supe-rato da tempo lo stadio ascetico-weberiano dell’accumulazione e lo stadio freudiano della necessità del Super-Io paterno baffuto, barbuto e peloso con completamento amoroso materno in busto stretto a stecche di balena soffocanti, ed in questo modo ha soltanto più una fondazione individualistica e consumistica. Il vecchio Dio monoteistico può essere quindi detronizzato, e lasciato soltanto ai seguaci di Padre Pio e San Gennaro. Non c’è più famiglia, ma solo omo e etero. Non ci sono più pro-fessori, ma soltanto prof chiamati a fare gli intrattenitori sociali e gli specialisti nelle Tre I (inglese, impresa, informatica). Non ci sono più identità, ma fantocci televisivi intercambiabili che si pronun-ciano nei talk-show per individui del tutto passivizzati. In questa società in cui è vietato vietare qua-lunque cosa, e la sola cosa vietata è il battersi per una società diversa, la vecchia religione invasiva dei costumi familiari e sessuali deve essere smantellata e delegittimata (pensiamo all’alluvione di libercoli dedicati a dimostrare l’inesistenza scientifica di Dio ed a provare che Cristo era un pove-raccio come tutti gli altri, soltanto un po’ più estremista, illuso e fanatico). La religione olocaustica è invece in sé perfetta, perché non richiede normatività familiare e sessuale, ma richiede soltanto ela-borazione interminabile del senso di colpa per una responsabilità collettiva di tipo assiro-babilonese.
Avverto il lettore. Quanto detto, ovviamente, non ha nulla a che fare con il cosiddetto “antisemiti-smo”. Ma questo non conta niente. Chiunque dica oggi qualcosa del genere verrà infamato ed isolato come antisemita, in modo che, attraverso una serie di passaggi simbolici fortemente preconsci, gli venga caricata addosso la responsabilità ideale di Auschwitz. Molti ebrei illuminati lo hanno capito (Shahak, Finkelstein, Atzmon, Shamir, Pappe, eccetera), ma essi vengono subito isolati con l’etichet-ta odiosa ed assurda di “ebrei che odiano se stessi”.
A breve termine, non c’è assolutamente niente da fare. Dobbiamo tenerci addosso questa peste.
19. La teologia dei diritti umani è oggi un vero e proprio pilastro del Politicamente Corretto, in quanto esplica una funzione multiuso: risposta al senso di colpa del consumismo individualistico occidentale, che cerca un risarcimento morale nel bombardare gli stati-canaglia in nome dei diritti umani, e si sente così “coinvolto” nella lotta del Bene contro il Male; legittimazione delle guerre di aggressione imperialistica USA, fatte per ragioni materiali, come il petrolio e la geopolitica di accerchiamento di futuri concorrenti strategici, ma “coperte” con motivazioni umanitarie pseudo-universalistiche (liberare dal burka le donne afghane, liberare gli iracheni da un dittatore nazionalista baffuto, eccetera).
Da un punto di vista storico, la teologia dei diritti umani (perché di ideologia idolatrica si tratta, o più esattamente di una teologia idolatrica al servizio di un eccezionalismo messianico imperiale con applauso servile della claque neroniana degli intellettuali europei ex-marxisti scoppiati) si può defi-nire come una secolarizzazione individualistica manipolata del vecchio giusnaturalismo. Prego il lettore di non passare oltre distrattamente, ma di fare attenzione a questa proposta definitoria. Ora, però, mi spiegherò meglio.
La teoria dei diritti naturali, o giusnaturalismo, è una teoria che ha bensì avuto precedenti antichi, stoici e medioevali, ma è nell’essenziale nuova, e rappresenta la prima formulazione teorica organiz-zata di contestazione dell’ordo sacralizzato feudale-signorile, che per un millennio si era legittimato in modo direttamente religioso. Ora, la teoria del diritto naturale si fondava sulla pura ragione, come se Dio non fosse neppure esistito (etsi Deus non daretur). Ha avuto ragione Ernst Bloch, quando ha sostenuto che il diritto naturale dovrebbe essere rivendicato dai comunisti come un’eredità da accet-tare e far fruttare.
L’economia politica inglese (Smith, Ricardo) è nata sulla base della teoria della natura umana di David Hume, una teoria elaborata contro il diritto naturale, considerato un insieme di sciocchezze metafisiche del tutto indimostrabili ed astratte. L’economia politica, e cioè l’unica possibile teologia monoteistica ed idolatrica del capitalismo, non sopporta fondazioni esterne ad essa (volontà di Dio, diritti naturali, contratti sociali, utopie egualitarie, eccetera), e deve fondarsi su se stessa. La sua autofondazione si basa infatti sul rapporto di scambio come unico rapporto normale della natura umana. La teoria della natura umana di Hume non è quindi una derivazione del diritto naturale, ma è al contrario un’arma da guerra ideologica contro il diritto naturale.
Hegel e Marx, sia pure per ragioni opposte a quelle di Hume, furono anch’essi avversari del dirit-to naturale. Per ragioni che qui per brevità non posso discutere (ma sarebbe interessantissimo farlo), essi ritenevano che il diritto naturale non fosse adatto a legittimare la comunità politica statuale moderna (Hegel), fosse pericolosamente incline a legittimare l’estremismo giacobino di Robespierre su basi russoviane (sempre Hegel), e non si prestasse a fondare la concezione materialistica della storia, nella misura in cui era sorpassato come ideologia settecentesca della borghesia rivoluzionaria (Marx).
Il pensiero borghese dopo il 1795 (termidoriani) abbandonò del tutto il diritto naturale, conside-rato potenzialmente pericoloso in quanto fattore di possibile legittimazione di una rivoluzione so-ciale (Bloch), per adottare il cosiddetto “positivismo giuridico”. Dietro questa espressione pomposa c’era semplicemente l’abbandono di qualunque fondazione filosofica della società, in quanto “po-sitivismo giuridico” significa semplicemente che quello che fanno i legislatori capitalistici è valido in sé, e non ha bisogno di nessuna legittimazione filosofica esterna al principio stesso della legge. Si riproponeva così la brutalità del punto di vista degli imperatori medioevali, per cui il principe deci-deva lui che cosa fosse legale e che cosa no (quod principi placuit legis habet vigorem).
La necessità nuova, da parte del capitalismo dominante, di contrapporsi alle nuove anomalie fasciste e comuniste, non previste nella politologia classica, portò ad una strumentale ed ipocri-ta riscoperta del diritto naturale. Insisto sul carattere strumentale di questa riscoperta, puramente ideologica e per nulla umanistica e universalistica. Karl Schmitt fece correttamente notare che in nome dell’Umanità si legittimava oggi una guerra senza quartiere, in cui l’avversario diventava un Nemico Assoluto (in quanto appunto “disumano”). Danilo Zolo ha fatto abbondantemente notare che “chi dice Umanità” (titolo di un suo magnifico saggio chiarificatore) si sente abilitato a fare qua
lunque cosa, a sferrare qualunque aggressione, eccetera.
Il discorso sarebbe certamente lungo, ma nell’essenziale sono d’accordo con le tesi di Alain de Benoist. Abbasso l’ideologia dei diritti umani! Viva la sovranità nazionale che si oppone alle pretese interventistiche! Nel male, meglio i talebani che difendono il loro paese delle cavallette umanitarie che sbarcano al servizio delle mire geopolitiche USA!
Detto questo, io resto un apprezzatore della teoria dei diritti naturali, in quanto considero l’uomo un animale sociale, politico e comunitario (Aristotele), un animale dotato di linguaggio, ragione e capacità di calcolo distributivo e giusto delle risorse (sempre Aristotele), un ente naturale generico (Marx), eccetera. La teoria dovrà essere ripresa e valorizzata in un futuro non ancora determinabile. Per ora, nella congiuntura in cui viviamo, la teoria dei diritti umani non esiste, ed il suo fantasma ideologico ricopre la stessa funzione ricoperta a suo tempo dalla teoria della razza di Hitler.
E scusatemi per la pacatezza e la moderazione del paragone!
20. Il mantenimento illimitato di un antifascismo cerimoniale in assenza completa di fascismo è la peste ideologica peggiore del paesaggio culturale italiano, peggio del berlusconismo, eccetera. Mi rendo perfettamente conto di stare dicendo qualcosa di inaccettabile per l’italiano di sinistra medio, pio e politicamente corretto, ma in un caso di gravità come questo non sono possibili mezze misure: l’antifascismo in assenza completa, evidente e conclamata di fascismo è la peggiore peste ideologica dell’Italia di oggi.
Una premessa, anche se so perfettamente che sarà inutile. Avendo fatto l’insegnante di storia e filosofia nei licei italiani per trentacinque anni (1967-2002) comunico solennemente di essere detta-gliatamente informato sulla storia dei fascismi italiani ed europei (1919-1945). Il lettore si fidi. La mia opinione storiografica sul fascismo è fortemente negativa, a differenza della mia opinione sul comunismo dello stesso periodo, che è largamente positiva. Del cosiddetto “stato liberale” non parlo, perché lo considero responsabile della prima guerra mondiale e del suo bagno di sangue. Tutto il chiacchiericcio sulla cosiddetta “età giolittiana” mi esce dalle orecchie, ed è per me infinitamente meno interessante dei costumi dei Mitanni, dei Sumeri e degli Aynu (Giappone). Sono quindi un totale antifascista retroattivo, frase totalmente formale e vuota, perché retroattivamente sono anche un sostenitore di Mario contro Silla, dei Gracchi contro il Senato e di Costantino XII contro Maometto II.
Chi mi volesse accusare di filo-fascismo, quindi, dovrebbe prima pulirsi la bocca dalla merda. In un
“gioco della torre” io salvo Gramsci e getto giù Mussolini, salvo Stalin e getto giù Hitler, salvo Marx e getto giù Nietzsche, salvo Lukács e getto giù Weber, e via giocando a questo gioco dopolavoristico per deficienti acculturati.
La mia valutazione sul carattere pestifero dell’antifascismo in assenza completa di fascismo non può essere ispirata da un giudizio storiografico o politico in favore del fascismo. Sono retroattiva-mente per i libici contro Graziani, per gli etiopici contro gli italiani razzisti e colonialisti nel 1935, per i greci contro gli italiani nel 1940, e mi spiace soltanto che i greci non siano arrivati prima a Tirana, poi a Bari, ed infine a Roma per insufficienza di armamento. Chi pensa che un “fascista” possa par-lare così dovrebbe iscriversi ad un corso per analfabeti storici. Non è mai troppo tardi!
L’antifascismo in assenza completa di fascismo è in realtà un meccanismo ideologico pestifero per impedire la valutazione dei fatti attuali. La costituzione italiana è stata distrutta per sempre nel 1999 con i bombardamenti sulla Jugoslavia, e da allora l’Italia è senza costituzione, e lo resterà finché i responsabili politici di allora non saranno condannati a morte per alto tradimento (parlo letteralmente pesando le parole), con eventuale benevola commutazione della condanna a morte a lavori forzati a vita. Eppure, questi crimini passano sotto silenzio, perché si continuano ad interpretare gli eventi di oggi in base ad una distinzione completamente finita nel 1945.
E tuttavia anche la follia ha una spiegazione razionale. L’antifascismo in assenza completa di fascismo è stato dopo il 1956 la nuova trincea di legittimazione del mastodonte PCI dopo la delegit-timazione kruscioviana di Stalin. Inoltre, l’antifascismo in assenza completa di fascismo permette il
“gioco dei faccioni”, per cui nella casella vuota chiamata “fascismo” è sempre possibile mettere figu-rine di fascisti sempre nuovi (Almirante, De Gasperi, Scelba, Fanfani, Craxi, le Brigate Rosse, Berlu-sconi, eccetera). Con l’arrivo dell’americanismo (gli USA, la potenza antifascista che ci ha liberati), della religione olocaustica (il fascismo antisemita e sterminista delle leggi razziali), ed infine della te-ologia dei diritti umani (e cioè Ahmadinejad fascista, Mugabe fascista, Milosevic fascista, eccetera) la continuazione dell’antifascismo in assenza completa di fascismo è destinata a fiorire gloriosamente.
Per sempre? No, certamente. Ma presumibilmente fino a quando durerà la nostra bovina sotto-missione, inginocchiati come siamo nella cosiddetta “posizione del missionario”.
21. Non certo in tutto il mondo, ma nella maggior parte dei paesi dell’Europa occidentale (con alcune possibili eccezioni, Grecia in primo luogo, ed in generale paesi in cui si conserva una certa sensibilità per la questione dell’indipendenza nazionale – e quindi sicuramente non in Italia), la dico-tomia Destra/Sinistra, che ha avuto grande importanza per quasi due secoli, è oggi una pura protesi di manipolazione politologica, la cui conservazione è funzionale soltanto allo spettacolo capitalisticodelle false contrapposizioni in un mondo simulato (Debord, Baudrillard).
Non fu sempre così. E non fu sempre così per ragioni intuitive, che però ad ogni buon conto richiamerò. Prima, una rapida confessione autobiografica. Sono nato nel 1943. Ho avuto una edu-cazione politica familiare da “piccola borghesia d’ordine”, cattolicesimo tiepido, distinzione fra un fascismo “buono” prima del 1940 ed un fascismo “cattivo” posteriore (stavamo tanto bene, e poi Mussolini si è messo a dare retta a quel pazzo di Hitler!), moderata invidia sociale per i ricchi, mode-rata paura di cadere fra i poveri (del tipo: studia, se no ti mando a lavorare!). A venti anni circa (1963) sono diventato “comunista” senza neppure sapere chi fosse stato Marx, per pura lotta contro il padre (tipica dell’epoca, oggi ignota, in quanto il padre è stato nel frattempo ucciso dal Sessantotto e dal femminismo), e rifiuto del modello di integrazione borghese subalterna da lui propostami. Sono poi andato a studiare filosofia a Parigi, ho imparato chi era stato Marx, e da allora sono diventato un membro permanente della “scuola di Marx” (non del marxismo, che ho sempre aborrito, ma della scuola di Marx – se qualcuno non capisce la differenza è un caso incurabile, ed io non ho certamen-te voglia di perdere tempo a curarlo), e certamente lo sarò per tutto il resto della mia vita terrena (sull’aldilà non mi pronuncio per cautela). Intorno ai primi anni novanta (crollo dell’URSS, per-manenza del comunismo italiano sotto la tenda ad ossigeno fra urli plebei di nicchia identitaria di appartenenza, colpo di stato giudiziario extraparlamentare di giudici ed ex PCI, eccetera) ho iniziato a staccarmi dalla sinistra, che fino ad allora avevo identificato con l’ala più coerente e colta della so-cietà. Ho rotto l’alleanza intima con questa gente nel 1999, quando la sinistra, per farsi riconoscere dall’imperatore USA, ha fatto la guerra alla Jugoslavia sulla base di sporchissime menzogne. Il 1999 è stato un anno-chiave. Ho rotto il tabù identitario dell’impossibilità di dialogare con la destra, e ne sono stato ricompensato con il gossip telematico di “fascismo”. Ho atteso invano la difesa da parte di chi avrebbe dovuto conoscermi benissimo, ed il loro rumoroso silenzio è stato alla fine catartico e benefico, perché ha interrotto i miei ultimi legami “sentimentali” con questa feccia antropologica ed umana. Sono molto più comunista che in gioventù, ma questo non interessa la feccia cui ho fatto riferimento. Fine della parentesi autobiografica, credo utile per un giovanissimo, certamente ignaro del clima politico-culturale esistito fra il 1945 ed il 1990.
Torniamo alla dicotomia. In proposito, ci sono subito da dire almeno tre cose importanti.
In primo luogo, la dicotomia Sinistra/Destra è frutto di una secolarizzazione imperfetta di una precedente fondazione religiosa della legittimazione globale della società classista. La precedente fondazione era di tipo religioso, e veniva pensata con la dicotomia verticale Dio/Uomo, Gerusalem-me/Babilonia, eccetera. Dal momento che la legittimazione era verticale, ne conseguiva che l’eretico era automaticamente un potenziale ribelle politico, e per questo era giustamente bruciato vivo. Lo stesso Dante, e persino il pacifico Francesco d’Assisi, non ci avrebbero avuto nulla da ridire, ed il massimo di umanitarismo sarebbe consistito nel pregare il boia perché strozzasse il condannato prima dell’onesto soffocamento per fumo della pira e del pio arrostimento delle sue carni peccami-nose. Ma la borghesia non poteva cercare la sua legittimazione nella religione, e non certo per il fatto congiunturale per cui gli ipocriti vescovoni stavano ancora dalla parte dei nobilastri, ma per un fatto molto più strutturale, che in genere sfugge ai superficiali, per cui il capitalismo deve autofondarsi in modo assoluto nel concetto di scambio come dimensione principale della natura umana, e non può tollerare un Dio sopra di lui, un Dio che allora era signorile, ma può diventare “comunista” da un momento all’altro (vedi Gesù che frusta i mercanti del tempio e può diventare incontrollabile). Il capitalismo non può assicurare la sua causa nelle opinioni di una soggettività trascendente.
La trasposizione della legittimazione verticale Uomo/Dio in legittimazione orizzontale Destra/ Sinistra, che instaura uno spazio liscio di scorrimento omogeneo, è quindi un portato strutturale (o più esattamente sovrastrutturale) della transizione dal tardo-feudalesimo signorile al proto-capita-lismo borghese. Qui però si origina il tallone d’Achille filosofico della sinistra, il disprezzo verso la religione, vista come residuo superstizioso di una fase ormai sorpassata della storia dell’umanità. Si tratta di una concezione, nata nei materialisti francesi del settecento, passata poi a Comte ed a
Feuerbach, accettata totalmente da Marx e dai marxisti successivi, che ha finito per inquinare la concezione del mondo della sinistra, fino all’attuale laicismo ultracapitalistico, che in Italia ha preso la triplice forma della religione olocaustica, della teologia dei diritti umani e della permanenza illi-mitata dell’antifascismo in assenza palese e conclamata di fascismo. Personalmente, non sono credente né praticante. Non credo in nessun Dio personale, considero ogni personalizzazione del divino una indebita e superstiziosa antropomorfizzazione, e sono per
tanto in linea di massima d’accordo con Spinoza. Ma ritengo anche la religione, così come la scienza, l’arte e la filosofia, dati permanenti dell’antropologia umana in quanto tali destinati a durare tutto il tempo in cui durerà il genere umano . La sinistra (e si veda l’interpretazione di Rousseau data da Cassirer)ha invece avallato, sia nella forma laico-borghese che nella forma staliniano-comunista, l’idea della sostituzione della religione con la “ragione”, e cioè di Ratzinger con Pannella e le sue sguaiate urla oscene e spiritate. Se è così, allora, fra Scalfari e Pannella e Ratzinger e Khomeiny, non ho dubbi, ed è bene che su questo non lasci dubbi al lettore. Mille volte meglio l’islam ed il cristianesimo (se pos-sibile, non troppo secolarizzato) piuttosto del laicismo e dell’ateismo positivistico!
Tutto questo meriterebbe un’integrazione filosofica per poterlo spiegare, ma non c’è qui lo spazio. Sarà per un’altra volta. In breve, al minimo comun denominatore della frazione scrivo “vita quoti-diana” concreta della persona normale. Al numeratore scrivo numeri diversi, tipo opinioni politiche, gusti personali, interessi soggettivi, arte, religione, scienza, filosofia, eccetera. Tutto quello che la vita quotidiana ritiene legittimo, automaticamente anch’io lo ritengo legittimo. In base a quale principio potrei dire che la scienza è più grande della religione (o viceversa)? In questo, nessun relativismo. Io non sono relativista. Semplicemente, la verità si presenta in molti modi, generalmente complemen-tari.
In secondo luogo, la dicotomia Sinistra/Destra nasce casualmente nella collocazione sui banchi dell’assemblea legislativa francese del 1791. Ma essa presuppone un secolo di illuminismo e di di-battiti illuministici. È bene sapere che la sinistra precede totalmente Marx ed il marxismo, che vi si innestano solo in un secondo tempo, la trovano già costituita con un codice originario illuminista fondato sull’idea di progresso, insieme con altre idee satellitari (scientismo, critica della religione, laicismo costituzionalistico, eccetera). La sinistra ha quindi un codice filosofico illuministico, e “sop-porta” il nuovo codice marxista soltanto nella misura in cui esso accetta tutti i suoi presupposti illuministici (non parlo di marginali critiche al progresso alla Adorno e alla Benjamin, che restano sempre periferiche, marginali ed irrilevanti nel grande e torpido corpaccione conservatore della si-nistra). Chi non accetta il ticket Illuminismo-Marxismo è fuori della sinistra. Ma ci fu un oscuro pensatore (intendo “oscuro” perché ignoto alla sinistra, che lo confonde con un cretino che giustifica qualsiasi cosa in quanto avvenuta, tipo Barbablù), chiamato Hegel, che a suo tempo fece già una cri-tica all’astrattezza illuministica, critica che Marx sbagliò a non prendere sufficientemente sul serio. Ma su questo rimando a studi specifici.
In terzo luogo, infine, la dicotomia Destra/Sinistra, lungi dall’essere stata illusoria, ha funzionato per almeno duecento anni (1789-1989), ed è finita soltanto quando la sinistra ha accettato integral-mente la società capitalistica come medium intranscendibile in cui deve svilupparsi la concorrenza politica fra ex-estremi ora omogeneizzati. A questo punto per me la dicotomia perde di ogni residuo interesse, e diventa unicamente una protesi di manipolazione politologica, insaporita da profili psi-cologici alla Teofrasto. Teofrasto, e non più Marx, è oggi il pensatore principale della protesi poli-tologica di manipolazione, ridotta a galleria di caratteri e di profili teatrali: l’operaio sindacalizzato di sinistra; la casalinga televisiva di destra; lo studente rocchettaro di sinistra; il commercialista di destra; l’insegnante maniaco della scuola psico-pedagogica di sinistra; il vecchio pensionato bron-tolone PCI di sinistra; il prete messianico allucinato di destra; il magistrato ideologizzato di sinistra; l’attricetta un po’ puttanella di destra; il popolo dello stipendio fisso di sinistra; il primario d’ospe-dale di destra; il popolo della partita IVA di destra; eccetera.
Il passaggio dal Capitale di Marx ai Caratteri di Teofrasto è passato inosservato agli stupidi, che compongono sempre la maggioranza del genere umano imperfetto segnato dal peccato originale. Ma non vedo perché dobbiamo essere costretti anche noi ad intrupparci nelle platee di deficienti che votano i vincitori dell’Isola dei Famosi (di cui peraltro non ho mai visto neppure un fotogramma, ma di cui ho sentito parlare).
22. E qui concludiamo con una serie di previsioni artigianali. Ricordo al lettore che questo non è ancora un Trattato di Politicamente Corretto, che ho peraltro intenzione di scrivere, in cui i cinque punti principali indicati (americanismo come collocazione presupposta, religione olocaustica, teologia dei diritti umani, antifascismo in assenza completa di fascismo, dicotomia Sinistra/Destra come protesi di manipolazione politologica) verranno discussi in modo più analitico e preciso. In attesa del pasto completo, che sarà ottimo e abbondante, il lettore si limiti a questi “assaggini” dell’antipasto.
Pongo invece il problema: quanto durerà questa pestifera formazione ideologica di manipolazio-ne e soprattutto di paralisi?
Non lo so, ovviamente. Ma posso pur sempre ipotizzare qualcosa. Ed ipotizzo su tre distinti archi temporali: a breve, a medio e a lungo termine. Avendo già io stesso 65 anni, ed essendo già entrato nella terza età, soltanto il breve termine interessa la mia restante vita terrena. Il lettore quarantenne
può essere invece interessato al medio termine, ed è addirittura possibile (anche se improbabile) che il lettore ventenne possa anche vivere nella sua vecchiaia una situazione di lungo termine. Ini-ziamo dal breve termine . Non esiste assolutamente nessuna possibilità (vorrei insistere sulla paroletta “nessuna”) che a breve termine questa odiosa formazione ideologica possa essere fatta sparire, ed io ritengo che non possa essere neppure significativamente indebolita. Questo per molte ragioni, che qui compendierò per brevità in due soltanto.
In primo luogo, il Politicamente Corretto si manifesta oggi come sovrastruttura ideologica ideale (nel senso darwiniano di fittest, e cioè più adatta) del capitalismo globalizzato. Nonostante la (anco-ra piccola, purtroppo) crisi finanziaria scoppiata nella seconda metà del 2008, il sistema è ancora in piedi, ha ancora purtroppo enormi riserve (in particolare, la corsa all’individualismo capitalistico di paesi come l’India, la Cina, la stessa Russia, eccetera), e non si vede all’orizzonte ancora nulla di serio (per serio intendo l’equivalente del 1917 in Russia), in quanto per ora non ci sono che gesticolazioni mediatiche di buffoni marginali. Ci vorrebbero come minimo dei Robespierre e degli Stalin, ma essi purtroppo non sono ancora all’orizzonte. Spero che il lettore abbia apprezzato la mia moderazionelinguistica.
In secondo luogo, la generazione intellettuale europeo-occidentale, che nel cruciale decennio ide-ologico 1975-1985 ha smantellato la visione classista ed anticapitalistica della società per introniz-zare al suo posto lo svaccamento postmoderno, è al potere nei tre apparati del ceto politico, del circo mediatico e del clero universitario. E non è soltanto al potere, cosa del tutto intuitiva ed evidente e che non richiede complicate dimostrazioni sociologiche, ma ha addirittura saturato tutti i pori di respirazione spirituale della società. Il potere intellettuale è integralmente Politicamente Corretto, così come era Cristiano nel medioevo.
Alle estreme periferie della società, silenziati e pressoché invisibili, ci sono bensì dei Dissidenti del Politicamente Corretto, puniti con l’irrilevanza pubblica, ma essi non sono organizzati in ten-denza culturale omogenea, e ci sono poche speranze che una simile organizzazione possa avvenire presto. È anche normale che sia così. Un giovane che volesse prendere parte a questa organizzazione verrebbe immediatamente colpito con l’interdetto all’accesso al ceto politico, al circo mediatico ed al clero universitario.
La situazione cambia da paese a paese (in questo senso l’Italia è forse la situazione peggiore), ma per ora la situazione è questa. Nessuna speranza realistica a breve termine. Non siamo neppure al livello dei piccioni viaggiatori. Siamo al livello dei messaggi nelle bottiglie.
Passiamo al medio termine. Il medio termine è completamente imprevedibile, dato che non credo (e non ho mai creduto) alla prevedibilità del futuro, sia pure in linee generali. Tutto dipende da un lato imprevedibile, e se cioè la crisi sociale potrà suscitare movimenti politici inediti, in grado di andare al di là della dicotomia Destra/Sinistra. Poco probabile, a mio parere. L’ideale per il pote-re sarebbe incanalare tutto il dissenso sociale nel teatrino gestibile di movimenti di sinistra contro movimenti di destra. Lo scenario ideale sarebbe la conflittualità drogata e spettacolare fra i seguenti gruppi: Partito Razzista dei Nemici dei Negri; Partito della Proibizione dei Gay; Partito Bergamasco del Vero Leghista Intransigente; Partito Cattolico della Restaurazione dell’Inquisizione; Partito del Linciaggio Legale del Diverso; Partito dei Veri Valori dell’Occidente contro l’Islam; Partito Trotzkista Rivoluzionario Integrale; Partito dell’Antifascismo Militante; Partito Leninista dei Precari; Sinistra Critica; Sinistra Antiberlusconiana delle Persone Colte e Sensibili; Associazione Tutto il Potere ai Magistrati contro la Corruzione del Biscione; eccetera.
Purtroppo, non stavo affatto scherzando. È anzi lo scenario più probabile del medio periodo. Le oligarchie dominanti hanno migliaia di centri studi al loro servizio. Non sono mica come noi che lavoriamo con il computer e le fotocopiatrici a pagamento! È probabile che cerchino di incanalare la conflittualità sociale nella simulazione Destra/Sinistra.
Passiamo al lungo termine. Dal momento che sono un pessimista generazionale ed un ottimista sto-rico, e sono abituato a studiare i secoli ed i millenni, dò per scontato che questa abietta formazioneideologica del Politicamente Corretto certamente sparirà. Ma quando? Sospetto che questo non solo non riguardi me, ma neppure gli attuali ventenni.
Troppo pessimista? Chi pensa che Preve sia troppo hard, può sempre rivolgersi all’immortale Mike Buongiorno ed al suo immortale motto televisivo: “Allegria!”.