Povertà generale e “politiche antisocialiste”

A cura di Jean-Claude Martini.

Ma se la Cina era già entrata nel dopo-Mao, la politica e il programma erano stati tracciati da Mao: nel 1975, come nel 1955, Mao aveva infatti dato gli ultimi ritocchi a una strategia di sviluppo accelerato della Cina.
Questo risultò evidente dal discorso di Chou En-lai, un compendio dei successi passati e degli obiettivi futuri. Tredici anni di buoni raccolti; un incremento del 190% nella produzione industriale dal 1964 al 1974; un aumento del 330% nei fertilizzanti chimici e del 650% nel settore petrolifero (100 milioni di tonnellate nel 1976). Incrementi altrettanto rilevanti si erano registrati in altri settori.
(Han Suyin, Il vento nella torre. Mao Tsetung e la rivoluzione cinese 1949/1976, Bompiani, Milano 1977, p. 369)

Alla fine del 2019, 7.330.000 famiglie povere registrate avevano ricevuto sostegno per la ristrutturazione di alloggi pericolosi, mentre 35.000 zone di reinsediamento e più di 2.600.000 case sono state costruite, rendendo possibile il reinsediamento di 9.470.000 persone povere registrate in aree inospitali. Sono stati così portati a termine essenzialmente tutti i lavori di costruzione previsti dal XIII Piano quinquennale, peraltro con un anno di anticipo rispetto ai tempi previsti. In aree profondamente impoverite come le “tre regioni” (la Regione autonoma del Tibet, le aree di etnia tibetana nelle province del Qinghai, del Sichuan, del Gansu e dello Yunnan, e le quattro prefetture di Hotan, Aksu, Kashgar e Kizilsu nel sud del Xinjiang) e le “tre prefetture” (Prefettura autonoma di Liangshan Yi nel Sichuan, la Prefettura autonoma di Nujiang Lisu nello Yunnan, e quella di Linxia Hui nel Gansu), le iniziative per assicurare alle persone cibo e abbigliamento a sufficienza sono notevolmente migliorate, mentre i problemi più importanti nel garantire l’accesso all’istruzione obbligatoria, ai servizi medici di base e all’alloggio sicuro sono stati generalmente risolti. Sempre nel 2019, il reddito netto pro capite delle famiglie povere registrate a livello nazionale ha raggiunto i 9.808 yuan e la popolazione rurale povera si è ridotta di 11.090.000 persone, completando così al 97% l’obiettivo di togliere le persone al di sopra della soglia di povertà. In 344 prefetture è stata eliminata la povertà, portando dunque a termine il 94% dell’obiettivo. Nel frattempo, il tasso di povertà è sceso allo 0,6%, e la povertà in tutte le regioni è stata in gran parte sradicata.
Alla fine del primo trimestre di quest’anno, l’assicurazione di base per la vecchiaia ha coperto 968 milioni di persone, con un tasso di copertura dell’89%, mentre la quota regolata a livello centrale dei fondi di assicurazione di base per la vecchiaia dei dipendenti delle imprese è stata aumentata dal 3% al 3,5%. Il governo ha iniziato a trasferire una parte del capitale statale ai fondi di previdenza sociale e i pagamenti della pensione di base per i pensionati sono aumentati costantemente. Praticamente tutti i residenti urbani e rurali sono ora coperti da un’assicurazione medica di base, con più di 1.350.000.000 di persone incluse. Inoltre, l’assicurazione medica e i sistemi di assicurazione contro le malattie gravi hanno mostrato continui miglioramenti, e sono stati fatti passi da gigante nel garantire l’assicurazione medica per i poveri. Il governo ha intensificato l’assistenza all’occupazione per i gruppi chiave e per le persone che hanno difficoltà a trovare lavoro, emettendo anche rimborsi per un totale di 55.200.000.000 di yuan dai fondi di assicurazione contro la disoccupazione per aiutare 1.150.000 di imprese a mantenere stabile l’occupazione, beneficiando 72.900.000 lavoratori; più di 100 miliardi di yuan sono stati stanziati dall’eccedenza dei fondi di assicurazione contro la disoccupazione per programmi di riqualificazione e 4.610.000 disoccupati hanno ricevuto sussidi di disoccupazione per periodi di durata variabile. Sono stati fatti progressi costanti nella creazione di un sistema unificato per le indennità di sussistenza nelle aree rurali e urbane, è stato perfezionato il sistema per l’adeguamento della soglia delle indennità di sussistenza ed è stato pienamente attuato il sistema per la fornitura di assistenza e di beni di prima necessità alle persone in condizioni di estrema povertà. È stata ulteriormente promossa l’occupazione dei disabili e ha registrato nuovi miglioramenti il sistema di finanziamento a questo scopo. Infine, nel 2019 sono iniziati i lavori di ristrutturazione di 3.160.000 unità abitative in aree urbane degradate.
«La classe operaia è la classe dirigente della Cina, rappresenta le forze produttive avanzate e le relazioni di produzione del Paese; costituisce la base sociale più solida e sicura per il nostro Partito; è la forza principale ai fini della costruzione di una società moderatamente prospera in ogni suo aspetto e del sostegno e dello sviluppo del socialismo con caratteristiche cinesi.
Dall’introduzione della politica di riforma e apertura, la classe operaia cinese è cresciuta ed è divenuta più forte: la sua formazione è migliorata in ogni aspetto, la sua composizione è stata ottimizzata, il suo aspetto si è rinnovato e il suo carattere progressista si è rafforzato. In futuro, per sostenere e sviluppare il socialismo con caratteristiche cinesi, dobbiamo fare pieno affidamento sulla classe operaia, consolidare la sua posizione di classe dirigente e valorizzare appieno la sua funzione di forza principale. “Fare pieno affidamento sulla classe operaia” non è solo uno slogan o un’etichetta; al contrario, dobbiamo perseguire fino in fondo quest’idea nel lavoro e nel processo di formazione politica del Partito e del governo, renderla concreta nella promozione e nella gestione delle imprese.
In secondo luogo, dobbiamo fare pieno affidamento sulla classe operaia per sviluppare il socialismo con caratteristiche cinesi. […] La classe operaia cinese deve avere salda convinzione nell’ideale del socialismo con caratteristiche cinesi, proseguire il suo percorso a fianco del Partito, sostenere il sistema socialista, la riforma e l’apertura, ed essere sempre il pilastro che sostiene la via cinese. La classe operaia deve praticare consapevolmente i valori centrali socialisti, sfruttare al meglio le proprie grandi qualità morali, influenzare e guidare tutta la società con il proprio pensiero di avanguardia e le proprie azioni esemplari, infondere nuova linfa nello spirito cinese ed essere un modello nell’esaltazione dello spirito cinese. La classe operaia cinese deve abbracciare la missione di rilanciare la nazione, liberare la propria grande creatività e portare avanti la propria gloriosa tradizione di agire nell’interesse generale del Paese, difendere la stabilità e l’unità politica e rappresentare sempre la spina dorsale, che tiene insieme le forze della Cina»
(Xi Jinping, Governare la Cina, vol. I, pp. 53, 54)

Durante l’Extraordinary China-Africa Summit on Solidarity Against the Covid-19 Pandemic del giugno 2020, Xi Jinping ha annunciato la cancellazione, da parte della Cina, di tutti i debiti a interessi zero contratti dai paesi africani nei suoi confronti, assumendosi peraltro l’onere di costruire il quartier generale dell’Africa Centre for Disease Control dell’Unione Africana ad Addis Abeba.
Attraverso il commercio sino-africano, gli esportatori africani hanno avuto modo di accedere a un mercato stabile con prezzi più alti e maggiori benefici. Contemporaneamente, la Cina ha espanso con vigore le sue importazioni dall’Africa applicando esenzioni tariffarie e istituendo mostre di prodotti africani.
(La cooperazione economica e commerciale sino-africana, a cura dell’Ufficio Informazione del Consiglio di Stato della Repubblica Popolare Cinese, Edizioni in Lingue Estere, Pechino 2013, p. 5 ed. ing.)

Dal gennaio 2012, infatti, ai 30 paesi africani meno sviluppati che avessero relazioni diplomatiche con la Cina sono stati garantiti accordi a tariffe zero per il 60% dei loro prodotti esportati. Alla fine del 2012, 22 di questi paesi ha visto esentarsi da qualsiasi tariffa 910 milioni di yuan, tra cui beni per un valore complessivo di 1.490.000.000 di dollari. Nel maggio 2011 è stato aperto a Yiwu, nel Zhejiang, un Centro di esibizione di prodotti africani che ha attratto 2.000 articoli destinati alla vendita da più di 20 paesi africani.
Sempre alla fine del 2012, la Cina aveva firmato accordi di investimenti bilaterali con 32 paesi africani, istituendo meccanismi di commissioni economiche congiunte con 45 paesi africani. I prestiti effettuati in quell’anno (equivalenti a 1.213.000.000 di dollari) sono stati diretti allo sviluppo dell’agricoltura, della silvicoltura, dell’allevamento, della piscicoltura, della lavorazione e fabbricazione, del commercio e della logistica. Nella Repubblica Democratica del Congo, le imprese cinesi hanno costruito autostrade, ospedali e altre infrastrutture pubbliche come prezzo per l’estrazione di minerali di rame e cobalto. Nello Zimbabwe e in Zambia hanno sponsorizzato l’Azione Luce, organizzando una squadra di oftalmologi professionisti per l’estrazione delle cataratte a beneficio di 623 pazienti in questi due paesi. Esse hanno inoltre investito in raffinerie di zucchero nel Mali, in fabbriche di vetro, pellicce, capsule mediche e automobili in Etiopia, in progetti di produzione di materiale tessile e tubi d’acciaio in Uganda.
In agricoltura le condizioni per i paesi africani sono ancora più vantaggiose poiché detto settore rientra nella politica di tariffa zero applicata dal 2005 ad alcuni di questi paesi. Dal 2009 al 2012, gli investimenti diretti di Pechino nell’agricoltura africana sono aumentati del 175% (da 30.000.000 a 82.470.000 dollari) e hanno riguardato, ad esempio, le forniture di grano e il miglioramento della produttività agricola in un gran numero di paesi: in Mozambico, per esempio, le risaie sperimentali supportate dalle imprese cinesi hanno prodotto 9-10 tonnellate per ettaro in quei tre anni e, sia in quel paese che in Malawi e in Zambia, le imprese cinesi e il Fondo di sviluppo sino-africano hanno investito congiuntamente in un progetto di piantagione e lavorazione del cotone modellato su imprese che lavorino con le famiglie di agricoltori del posto. Il più grande progetto agricolo in Ruanda è un progetto di miglioramento dei terreni agricoli sostenuto dalla Banca per lo Sviluppo Africano e da contratti con investitori cinesi, il quale progetto controllerà i maggiori fiumi e migliorerà l’utilizzazione delle risorse acquatiche nel paese. Dal 2006, la Cina ha contribuito a istituire 15 centri di sperimentazione agricola in Ruanda, nella Repubblica del Congo, in Mozambico e in altri paesi, e vi è il progetto di crearne altri sette; la Cina ha inviato altri gruppi tecnici costituiti da varie centinaia di specialisti per fare da consulenti, insegnanti di tecniche e formatori di personale. Con questi aiuti, il Ciad ha visto crescere i suoi raccolti del 25% su 500 ettari seminati con molteplici varietà di semi e varie migliaia di agricoltori formati.
Quanto alle infrastrutture, è stato firmato un contratto per costruire una rete di trasmissioni a fibra ottica con la Tanzania, collegandola con 6 paesi confinanti e ai cavi ottici sottacquei nell’Africa orientale e meridionale. Stesso dicasi per la cooperazione con la costruzione di centrali idroelettriche e reti elettriche (nel 2010 le imprese cinesi hanno iniziato a costruire l’impianto a gas di Malabo in Guinea Equatoriale, grazie al quale il paese avrà un sistema completo di fornitura elettrica). Anche l’autostrada Addis Abeba-Amama in Etiopia e il porto a Kribi in Camerun sono stati finanziati con prestiti cinesi e tutto ciò è stato fatto con manodopera locale. In Zambia, grazie ai cinesi, sono state riparate strade, ospedali e scuole, sono state donate strutture sportive e denaro per le attività caritatevoli.
Naturalmente la nostra è un’economia di mercato socialista. Dobbiamo continuare a valorizzare la superiorità del nostro sistema socialista e il ruolo positivo del Partito e del governo: il mercato deve giocare un ruolo decisivo, ma non esclusivo, nell’allocazione delle risorse.
Sviluppare un’economia di mercato socialista significa valorizzare sia il ruolo del mercato sia quello del governo, ma con funzioni diverse. […] La Decisione ha precisato che la responsabilità e il ruolo primari del governo consistono nel mantenere la stabilità della struttura macroeconomica, nel potenziare e migliorare il servizio pubblico, nel garantire una concorrenza equa, nell’intensificare la supervisione sul mercato, nel tutelare l’ordine del mercato, nel promuovere lo sviluppo sostenibile e il benessere comune e nel porre rimedio ai malfunzionamenti del mercato. […] Un sistema economico di base, in cui la proprietà pubblica è dominante e in cui, contestualmente, si sviluppano le altre forme di proprietà, costituisce il pilastro attorno al quale consolidare e sviluppare il sistema del socialismo con caratteristiche cinesi. […] La Decisione ha sottolineato la necessità di consolidare e sviluppare con determinazione l’economia di proprietà pubblica, continuare a dare alla proprietà pubblica una posizione dominante e valorizzare il ruolo di guida dell’economia statale, incrementandone continuamente vitalità, capacità di controllo e impatto.
(Xi Jinping, Governare la Cina, vol. I, pp. 94-96)

Non c’è alcun cinese nella lista della Forbes dei 10 uomini più ricchi del mondo, mentre ve ne sono solo 7 nella classifica dei 53 (9 includendo anche Hong Kong), peraltro in perdita nel 2019 rispetto al 2018 dove ne ha “persi” 49 su 53 a livello mondiale. E quali sono le aziende che hanno fatto la fortuna di queste persone? Alibaba, Tencent, Evergrande Group, Midea Group e NetEase. Tranne Evergrande e Midea, che sono pubbliche e perciò statali, le altre sono società ad azionariato diffuso. Il che significa che il capitale è suddiviso in modo tale da impedire ai soci di possedere un numero di azioni superiore ad una percentuale minima del totale (in genere dal 3 al 5%). Ciò comporta che non sia presente un gruppo di controllo tra gli azionisti, ma è invece il gruppo dirigente a prendere le decisioni. Quindi, si tratta di una forma d’impresa che delega la dirigenza effettiva a dei professionisti formati che non ne diventano i proprietari, pertanto non vi è la figura del padrone come nelle imprese capitalistiche. Si tratta anzi di una forma di società molto vantaggiosa e redditizia per le condizioni cinesi: il numero di azionisti viene mantenuto il più alto possibile, con cospicue remunerazioni, e la prospettiva di guadagno e attrazione d’investimenti è immediata, pena la vendita delle azioni che faranno quindi calare margini di guadagno e prezzi. In tal modo le aziende capitaliste occidentali concorrenti saranno costrette ad abbattere i loro prezzi per rimanere in gioco: ecco quindi come i cinesi sfidano il capitalismo internazionale sul suo terreno per batterlo con le sue stesse armi.
In poche parole, il relativo gradualismo con cui sono state portate avanti le riforme e l’azione antagonistica con cui il governo ha cercato di promuovere la sinergia fra un mercato interno in grande espansione e una nuova divisione sociale del lavoro, mostrano che le utopiche convinzioni del credo neoliberale sugli effetti benefici delle terapie d’urto, sulla riduzione al minimo dell’intervento pubblico e sulle capacità di autoregolazione dei mercati sono altrettanto estranee ai riformatori cinesi quanto lo erano a Smith. Nella concezione smithiana dello sviluppo su basi di mercato, […] lo Stato deve fare del mercato uno strumento di governo e, se liberalizza il commercio, deve farlo così gradualmente da non turbare la “pubblica tranquillità”. Lo Stato deve riuscire a mettere in competizione fra loro i capitalisti, piuttosto che i lavoratori, così che i profitti si riducano al valore minimo tollerabile, deve incoraggiare la divisione del lavoro fra le unità produttive e fra le comunità piuttosto che all’interno di ciascuna di esse e investire nell’istruzione per contrastare gli effetti negativi della divisione del lavoro sul livello intellettuale della popolazione. Il governo deve vedere come prioritaria la formazione di un mercato interno e lo sviluppo dell’agricoltura, gettando così le basi dell’industrializzazione e, con il passare del tempo, anche del commercio estero e degli investimenti stranieri. Se però queste priorità dovessero scontrarsi con quello che è “il primo dovere del sovrano”, cioè “proteggere la società dalla violenza e dall’invasione da parte di altre società indipendenti”, Smith ammette che si possa dare priorità all’industria e al commercio estero
(Giovanni Arrighi, Adam Smith a Pechino. Genealogie Del Ventunesimo Secolo, Feltrinelli, 2008, pp. 88-89)

Su un piano più generale, i processi di privatizzazione e di deregulation sono stati qui assai più selettivi e hanno proceduto a una velocità molto più contenuta che in altri paesi che avevano invece aderito alle prescrizioni neoliberiste. L’effetto della concorrenza ha prodotto una brusca riduzione della frazione dell’occupazione e della produzione totali attribuibili all’industria di stato rispetto al periodo 1949-1979. Ma come vedremo ciò non ha significato una rinuncia del governo alla sua azione di promozione dello sviluppo, che si è invece rinvigorita con poderose iniezioni di risorse per il decollo di nuovi settori industriali, con la creazione dei nuovi distretti dedicati all’esportazione (Export Processing Zones, epz), con l’allargamento e modernizzazione dell’istruzione superiore e con il lancio della costruzione di grandi infrastrutture, il tutto su una scala che non ha precedenti fra i paesi con reddito pro capite paragonabile.
(Ibidem, pp. 393-394)

La “liberalizzazione” non ha per questo significato necessariamente “privatizzazione”. Tutt’altro. Nel 1997 la decisione sulle imprese di Stato: «Tenere saldamente il grande ma mollare il piccolo». Ne è seguito un turbine di fusioni e di esuberi fra le SOE. Nonostante i commentatori occidentali abbiano a volte classificato questo fenomeno come un via libera alla privatizzazione, le cose sono state ben diverse, e il PCC si è sempre guardato dall’usare espressioni simili. Anche quando si è trattato di mollare le cime, il management è sempre rimasto legato a filo doppio al partito, che continua a nominare i dirigenti di alto livello, mentre la liquidità per l’investimento è generata internamente alle aziende o prestata da banche statali.
(Will Hutton, Il drago dai piedi d’argilla. La Cina e l’Occidente nel XXI Secolo, Fazi editore, 2007, p. 97)

Essere più produttivi non implica essere più indipendenti dal Partito. Al contrario, attraverso il SASAC (State Assets Supervision and Administration Commission), Pechino gestisce direttamente le 150 aziende più grandi del Paese. Il SASAC ha infatti il potere di nominare i direttori delle aziende, di promuoverne i dipendenti e di deciderne le strategie. Inoltre, il fatto che i quadri siano funzionari pubblici cui in ogni momento potrebbe essere affidata una carica politica dal Governo centrale, evidenzia un legame molto stretto tra Partito e azienda.
(Claudia Astarita, Le aziende cinesi? Sono in mano al Partito, 2008)

Il totale del fatturato del 2015 delle prime undici aziende cinesi, tutte di proprietà statale (completamente o in gran parte), è risultato pari a 1.944 miliardi di dollari: ossia il 20 percento; un quinto del prodotto interno lordo cinese del 2015. Circa un quinto del PIL cinese del 2015 risultava quindi di proprietà statale e di solo undici aziende cinesi, di solo undici colossi di proprietà pubblica; undici aziende statali il cui fatturato era quasi pari all’intero PIL italiano nello stesso anno di riferimento. Si tratta di un risultato di grande importanza e proveniente tra l’altro da una fonte insospettabile come Fortune, rivista di salda fede anticomunista e ostile a Pechino: ma nel rapporto in oggetto del giornale statunitense emerge altresì un altro dato di fatto, un diverso “fatto testardo” (Lenin) sempre di notevole interesse politico e socioproduttivo. Infatti nella “Top 500” mondiale della lista Fortune del 2016 sono comprese 98 aziende cinesi, escluse le aziende di Taiwan e Hong Kong: e di tali 98 colossi cinesi ben 76 aziende risultano di proprietà e di dominio pubblico. Quindi ben 76 delle più grandi aziende cinesi sono in mano allo stato e alle municipalità cinesi, in tutto o in larga parte, e solo 22 imprese della classifica di Fortune non appartengono alla sfera pubblica: tre quarti di esse quindi sono di proprietà collettiva e, come si è già visto, sempre in mano allo stato risultano le prime 11 aziende cinesi all’interno della “Top 500” di Fortune.
(La Cina prevalentemente socialista del 2017, da La Cina Rossa)