Iosif Vissarionovič Džugašvili, detto “Stalin” [in russo Ио́сиф Виссарио́нович Джугашви́ли] (1878-1953) è stato un rivoluzionario comunista, tra i maggiori partecipi della Rivoluzione d’ottobre. Ha guidato l’Unione Sovietica, ereditata dopo la morte di Lenin, sviluppandola dall’economia agraria che era, fino a portarla ad essere una superpotenza mondiale, dirigendo inoltre il Paese durante la Grande guerra patriottica contro il nazismo.
Pagina a cura di Jean-Claude Martini
Bibliografia
Libri
Raccolte
Vita
Le origini
Nato il 21 dicembre 1879 da un umile calzolaio georgiano e dalla figlia di un contadino servo della gleba, all’età di quindici anni Stalin entrò con una borsa di studio nel seminario ortodosso di Tbilisi, dove si rivelò uno studente brillante, anche se ne fu espulso quando fu sorpreso a distribuire propaganda per il Partito socialista georgiano, che si era unito nel 1898.
Mentre svolgeva attività rivoluzionarie, nel 1902 fu arrestato e deportato in Siberia. Due anni dopo Stalin riuscì a fuggire e a tornare a Tbilisi, dove si unì all’ala bolscevica del Partito operaio socialdemocratico russo (POSDR). Partecipò alla rivoluzione del 1905 e agli scioperi di Baku del 1907, dopo di che fu nuovamente arrestato e inviato in Siberia, da dove fuggì nel 1911.
Stalin si unì quindi al comitato centrale del POSDR e, nominato presidente del Politburo, si recò a Vienna, dove scrisse Il marxismo e la questione nazionale e adottò definitivamente, nel 1912, il soprannome di “Stalin” (acciaio).
Il bolscevismo
Contattò Lenin e gli fu commissionato di pubblicare la Pravda, ma, detenuto a Pietrogrado, rimase in prigione fino al 1917, quando scoppiò la rivoluzione bolscevica di febbraio. Dopo il fallimento di questa impresa e la partenza di Lenin per la Finlandia, Stalin passò a dirigere la Pravda, prendendo parte attiva alla preparazione di una nuova rivolta.
Allo scoppio della Rivoluzione d’Ottobre, Stalin fece parte del governo rivoluzionario in qualità di commissario delle nazionalità, carica che mantenne fino al 1922 e in tale veste scrisse la Dichiarazione dei diritti dei popoli della Russia, testo che preludeva all’organizzazione della Rivoluzione d’Ottobre.
Durante la guerra civile Stalin collaborò efficacemente alla difesa di Pietrogrado e Tsaritsyn, città che dal 1925 al 1961 prese il nome di Stalingrado. Eletto segretario generale del Comitato Centrale nel 1922, lavorò per l’apparato politico del Partito.
Erede di Lenin
Dopo la morte di Lenin nel 1924, Stalin portò avanti l’eredità di Lenin, alleandosi con Zinoviev e Kamenev per difendere la prassi dell’edificazione del socialismo dapprima in un paese solo, contro la “rivoluzione permanente” e l’attesa del trionfo del socialismo nei paesi sviluppati, propugnate da Trotzki.
Nello stesso anno, al XII Congresso del Partito bolscevico, Stalin chiese di lasciare l’incarico ma le sue dimissioni furono respinte a maggioranza assoluta; la stessa cosa accadde nel 1926, nel 1927 al XV Congresso e nel 1952 al XIX Congresso.
Nel 1926, Stalin si unì a Bukharin e Rykov contro Zinoviev e Kamenev, ricordando a tutti il voto di quest’ultimo contro l’insurrezione nel 1917. Zinoviev e Kamenev si unirono poi con la vedova di Lenin, Nadežda Krupskaja, formando l’“opposizione unita”.
Nel 1929, durante il XV Congresso del Partito bolscevico, Trotzki e Zinoviev furono espulsi dal partito e Kamenev perse la sua posizione nel Comitato Centrale. Stalin e il PC(b)R si rivoltarono presto contro l’opposizione di destra rappresentata dai loro alleati dell’epoca, Bukharin e Rykov.
La lotta contro l’esistenza delle fazioni fu un fattore determinante per espellere dalle file del Partito tali membri, che erano stati temporaneamente banditi dalle sue file già durante la guerra civile per i loro gravi errori strategici e tattici.
Dopo aver sconfitto anche l’opposizione di destra di Bukharin, l’URSS, il Soviet Supremo e il PC(b)R iniziarono piani di collettivizzazione e industrializzazione. Stalin era a capo del Partito e ne teorizzò le tesi scientifiche marxiste-leniniste, successivamente approvate dal PC(b)R. Tuttavia, quest’ultimo era pieno di detrattori della rivoluzione socialista, criminali di Stato, ex controrivoluzionari, zaristi e dei menscevichi, che nella Costituzione del ’36 venivano definiti “nemici del popolo”, soprattutto tra gli ufficiali dell’Armata Rossa.
L’industrializzazione e il successo sovietico
Senza capitale iniziale, poco commercio internazionale e praticamente nessuna infrastruttura moderna, il governo di Stalin finanziò l’industrializzazione con i profitti realizzati dalle fabbriche e imprese statali, dal commercio, dalle banche e dai trasporti.
Nel 1926-1927 furono investiti nell’industria circa un miliardo di rubli; tre anni dopo ve ne poterono già essere investiti circa 5.000 milioni.
Gli anni ’30 videro la produzione, per la prima volta nella storia dell’Unione Sovietica, di un’ampia gamma di nuovi prodotti, tra cui motociclette, orologi e macchine fotografiche, nonché le macchine e gli strumenti necessari per produrre questi e altri immobili. Nell’industria chimica si è verificato lo sviluppo dell’industria delle materie plastiche, nella metallurgia sono stati sviluppati nuovi tipi di leghe di alta qualità e per la prima volta sono stati prodotti vari metalli non ferrosi.
Migliorarono inoltre notevolmente la portata e l’efficienza con cui venivano fabbricati i prodotti esistenti. Nell’industria siderurgica, alla fine degli anni ’30, la dimensione media dei nuovi forni fusori era maggiore del 40% rispetto a quelli di appena 10 anni prima. Molte innovazioni si basavano esclusivamente sugli sviluppi tecnici locali. Nell’industria aeronautica, ad esempio, gli ingegneri sovietici producevano aeroplani paragonabili a progetti stranieri; nell’industria militare, invece, furono sviluppati carri armati che non avevano equivalenti nel mondo occidentale. L’Unione Sovietica è stata anche il primo paese a produrre gomma sintetica polibutadiene.
Per evitare l’isolamento del paese sovietico, l’URSS entrò nella Società delle Nazioni (1934) e si avvicinò alla Gran Bretagna e alla Francia. Nella politica interna furono giustiziati i criminali di stato: tra il 1936 e il 1938 furono organizzati processi (processi di Mosca) e condanne contro i principali comandanti militari rivelatisi agenti del nazifascismo e criminali di Stato. Nel 1936 fu approvata la Costituzione socialista, furono vietati gli aborti e fu inoltre promulgato il Codice Krylenko, che metteva fuorilegge l’omosessualità e sopravvisse persino alla stessa URSS, per essere abrogato soltanto nel 1993 sotto Eltsin, dietro pressione degli americani.
D’altro canto, già durante la prima metà del XX secolo, ancor prima degli anni Trenta, ampi settori della società sovietica accettarono con ottimismo i grandi progressi della Rivoluzione. La Russia era l’unico paese al mondo in cui le donne venivano pagate come gli uomini per lo stesso lavoro.
La Grande guerra patriottica
Stalin si era sempre opposto al fascismo e a Hitler; il 15 agosto 1939 si tentò di stringere un patto con Gran Bretagna e Francia per attaccare la Germania nazista. Stalin propose di inviare 1 milione di soldati per combattere Hitler, ma i paesi capitalisti rifiutarono.
Il 23 agosto 1939, l’Unione Sovietica e la Germania firmarono a Mosca un patto di non aggressione, un patto tra due nazioni ostili tra loro. Si ritiene fermamente che il patto includesse un protocollo segreto che gli inglesi e gli inglesi avrebbero trovato un accordo segreto una volta sconfitta la Germania.
Una volta iniziata la Seconda Guerra Mondiale, però, Hitler, ritenendo che la caduta dell’Inghilterra fosse imminente, ordinò un attacco all’Unione Sovietica, rendendo il patto lettera morta. Il 18 dicembre 1940, il comando tedesco decise che l’invasione dell’URSS (Operazione Barbarossa) sarebbe avvenuta nell’aprile 1941, ma avrebbe potuto essere effettuata solo il 22 giugno di quell’anno, quando iniziò con più forza l’attacco al territorio sovietico. più di 3.000.000 di soldati tedeschi.
All’inizio del Piano Barbarossa, l’Armata Rossa non riuscì a contenere i principali attacchi tedeschi, poiché oltre il 70% dell’industria militare tedesca era concentrata sul fronte orientale per l’invasione dell’URSS.
Le misure iniziali dell’Armata Rossa per contenere l’invasione tedesca furono inefficaci e non poterono impedire all’avanzata delle forze corazzate di Hitler di penetrare in profondità nel territorio sovietico. Quando la Germania arrivò a Mosca, Stalin non fuggì e pronunciò addirittura un discorso per commemorare la vittoria del potere sovietico in novembre, e presto cominciò a prendere il controllo della situazione e Stalin fu nominato comandante in capo supremo dell’Armata Rossa. A differenza delle forze tedesche e della gerarchia hitleriana, l’autonomia militare sovietica garantì ai suoi generali un processo decisionale democratico e fece uscire dal confine alcuni dei suoi migliori generali, come Zhukov e Vatutin, consentendo anche l’invio dai fronti orientali di migliaia di truppe siberiane già addestrate in combattimento con i giapponesi.
La morte
A partire dal 1950 la salute di Stalin, già settantenne, cominciò a peggiorare. La sua memoria veniva meno, si stancava facilmente e le sue condizioni generali peggioravano.
Nel 1952 furono proposte libere elezioni e la smilitarizzazione in entrambi i territori per la riunificazione e la sovranità della Germania, che era divisa tra la RFT (Germania Ovest) e la RDT (Germania Est), che divenne celebre come “Nota di Stalin” e fu inviata ai paesi occidentali, poi respinta dagli stessi occupanti della Germania Ovest.
Sabato 28 febbraio 1953, Stalin tenne un incontro nella dacia di Kuntsevo con Lavrentij Beria, Georgij Malenkov, Nikita Krusciov e Nikolaj Bulganin. Durante questo incontro guardarono un film per poi godersi una cena tardiva. Gli ospiti si ritirarono alle quattro del mattino, quando Stalin andò a dormire.
La notte di domenica 1 marzo questi fu trovato disteso sul pavimento, vestito con gli abiti che indossava la sera prima e quasi incapace di parlare. Alcuni medici stabilirono che Stalin aveva avuto un ictus ed era caduto.
Morì alle 21:50 del 5 marzo.
Pensiero
Codificazione del marxismo-leninismo
Stalin entrò nel POSDR nel 1904 e fu sin da subito un ardente sostenitore del pensiero e della prassi leniniste, termine che egli stesso coniò proprio in quell’anno: in una sua lettera da Kutais datata settembre-ottobre 1904, parlando della necessità di elevare il proletariato alla coscienza dei suoi compiti di classe, egli scrisse che «Lenin ha posto la base teorica sulla quale sorge anche questa deduzione pratica […]. Tale è il significato dell’idea leninista. La chiamo leninista perché nessuno nella letteratura russa l’ha espressa chiaramente come Lenin» (Opere, vol. 1, Edizioni Rapporti Sociali, Milano 1998, pag. 68). Tale concetto verrà concentrato e sintetizzato nei suoi scritti Dei principi del leninismo (1924) e Questioni del leninismo (1926). Anni dopo, nel suo scritto Materialismo dialettico e materialismo storico (1938), che formerà un capitolo della Storia del PC(b) dell’URSS. Breve corso, egli definì anche il concetto e la struttura del marxismo-leninismo, a sottolineare l’organica continuità e lo sviluppo dialettico tra il pensiero di Marx e quello di Lenin, e le rispettive prassi.
Pur non avendo apportato un gran numero di contributi al marxismo-leninismo in sé e per sé, egli sviluppò negli anni ’30 la teoria leninista della continuazione della rivoluzione sotto la dittatura del proletariato (vedasi i suoi rapporti al XVII e al XVIII Congresso del Partito bolscevico e il suo discorso Sul progetto di Costituzione dell’URSS, 1936) e applicò egregiamente il materialismo dialettico e storico alle scienze sociali e all’economia politica, come dimostrano i suoi ultimi scritti Sul marxismo nella linguistica (1950) e Problemi economici del socialismo nell’URSS (1952).
Socialismo in un solo Paese e lotta antifascista
Stalin difese la tesi leninista della possibilità di edificare il socialismo in un paese solo, anche arretrato, senza attendere il trionfo della rivoluzione nei paesi più sviluppati: fu questa la vera essenza di ciò che gli storiografi borghesi, trotzkisti e revisionisti chiamarono “teoria del socialismo in un paese solo” (che non è mai esistita e che, semmai, andrebbe ascritta al Lenin del Che fare? e di Sulla parola d’ordine degli Stati Uniti d’Europa) e il vero fulcro delle divergenze con l’opposizione trotzkista che si opponeva alla costruzione del socialismo nell’URSS e nutriva una profonda sfiducia nel proletariato agricolo. Già nel 1927, in due suoi scritti sul decimo anniversario della Rivoluzione d’Ottobre, previde l’epoca di “nera reazione” in cui sarebbero caduti sia i popoli sovietici che quelli occidentali qualora fosse caduta l’URSS.
Stalin, inoltre, prese atto dell’impossibilità di venire in aiuto militare alle rivoluzioni proletarie in Europa, essendo state queste tutte soppresse nel sangue, e con lo scioglimento del Comintern nel 1943 giunse a pieno compimento il processo col quale i bolscevichi si resero conto della necessità che ogni paese avanzi verso il socialismo seguendo la via sua propria in base alla propria pratica e alla propria esperienza e nel rispetto delle leggi universali del socialismo scientifico.