La povertà della Jugoslavia, o il suo benessere

A cura di Jean-Claude Martini.

Dati internazionali sull’economia e il benessere jugoslavo
Dati pubblici jugoslavi e sovietici

Fu perseguita come per il passato la linea dell’intensificazione dello sviluppo sociale ed economico dei villaggi e del rafforzamento e della graduale estensione del settore socializzato.
Si procedette quindi a una espansione delle aziende agricole socialiste, che disposero di una superficie coltivabile maggiore, e a una trasformazione delle cooperative agricole comuni che pur conservando le funzioni relative all’approvvigionamento e allo smercio dei prodotti agricoli assunsero i tratti della cooperazione produttiva grazie alla creazione e allo sviluppo al loro interno di aziende sociali dette economie. Le economie venivano create sulle terre che le cooperative agricole comuni ricevevano dal fondo agrario statale o che acquistavano o prendevano in affitto da contadini con aziende a conduzione individuale. L’acquisto o l’affitto di terreni appartenenti a contadini con aziende a conduzione individuale furono anche il mezzo col quale si riuscì ad aumentare la disponibilità di terreni, dei poderi e dei complessi rurali nati sulla base delle grosse tenute.
Una serie di provvedimenti furono appositamente introdotti per stimolare la vendita dei terreni da parte dei contadini o anche la cessione in affitto alle aziende socializzate: la legge sullo sfruttamento obbligatorio dei terreni, il diritto di prelazione a favore delle aziende socializzate sulle terre poste in vendita da singoli proprietari, facilitazioni fiscali per i contadini che avessero ceduto in affitto la propria terra alle organizzazioni del settore socializzato per lunghi periodi di tempo eccetera. Il processo fu favorito anche dalla notevole diminuzione numerica degli occupati nell’agricoltura; i piccoli proprietari di terreni che avevano abbandonato la campagna e si erano trasferiti nelle città furono tra i primi a vendere i propri lotti.
Verso la metà degli anni 60 il settore socializzato dell’agricoltura disponeva di circa il 14 per cento della superficie coltivabile, più del 29 per cento della superficie complessiva, e circa il 9 per cento del bestiame. Il peso specifico delle aziende socializzate sul totale della produzione agricola era incomparabilmente superiore: il 44 per cento della produzione commerciabile compreso il 75 per cento del totale dei cereali ceduti all’ammasso. Nel 1965 nel settore socializzato era concentrata la quasi totalità dei trattori (i nove decimi).
(Accademia delle Scienze dell’URSS, Storia universale, vol. XIII, pp. 101-102)

Mentre nel 1947 i tre quarti della popolazione vivevano dell’agricoltura, oggi [1969] più della metà, e precisamente il 51,5% della popolazione lavora nelle industrie o in altri settori di attività non agricola. Nel 1939 avevamo una popolazione attiva di 920.000 persone che è attualmente aumentata a più di 3 milioni e mezzo di persone. La struttura professionale e il livello di istruzione della popolazione hanno egualmente subito cambiamenti profondi. In tutti i campi della vita sociale il numero degli operai qualificati è aumentato in misura sensibile. Nel decennio 1930-1939 si erano laureati 19.383 studenti mentre attualmente in un solo anno se ne laureano circa 30.000.
(Josip Broz Tito, Socialismo jugoslavo, Editori Riuniti, Roma 1969, p. 13)

Possiamo dire senza tema di esagerazione che, negli ultimi quattro anni [1965-1968], si sono registrati in questo campo [economico] successi innegabili. Oggi i produttori dispongono direttamente del 62% circa dell’intera produzione sociale e questo, se ancora non ci soddisfa del tutto, è già un successo evidente.
[…]
Negli anni dal 1965 al 1968 il reddito nazionale reale del paese è aumentato del 18% circa (e cioè, in media, del 4,2% l’anno). La produzione industriale è aumentata del 18% e nel solo 1968 di oltre il 6%. Questo aumento, alquanto più lento rispetto al precedente periodo, è stato realizzato in condizioni nuove di attività economica col passaggio deciso da una produzione estensiva ad una intensiva, accompagnato da un radicale cambiamento della struttura economica. Questa produzione, in larga misura, è di gran lunga superiore, adeguata alle richieste più esigenti del mercato per quanto si riferisce all’ampliamento dell’assortimento, all’eliminazione di taluni articoli e all’adozione di nuovi, alla riduzione dei costi, e così via.
Considerato nel suo complesso, il tenore di vita ha registrato un netto aumento nell’arco di tempo che comprende gli anni di attuazione della riforma. I consumi complessivi, nel settore del tenore di vita, per il periodo 1965-1968 sono aumentati del 20%, il che dimostra chiaramente che la riforma non è stata e non viene applicata a spese del tenore di vita.
(Ibidem, pp. 64-65)

Se si vuole esprimere un giudizio sul nostro passato sviluppo, non si deve perdere di vista il fatto che, negli ultimi vent’anni del dopoguerra, abbiamo percorso il cammino della trasformazione della Jugoslavia da paese agricolo sottosviluppato a paese industriale-agricolo. In questi anni abbiamo aumentato di tre volte e mezzo la produzione sociale, di circa due volte la produzione agricola, di circa nove volte lo scambio di merci con l’estero; abbiamo realizzato numerosi prodotti nuovi, come ad esempio navi, trattori, automobili, apparecchi radio, televisori, elettrodomestici, e via dicendo. Il prodotto sociale pro capite è salito da circa 200 dollari nel 1947 a circa 600 nel 1968. È un successo enorme, del quale spesso ci dimentichiamo, presi come siamo dai problemi quotidiani.
(Ibidem, p. 68)

I successi maggiori li abbiamo conseguiti nel 1957 e nel 1958. Il 1957 è stato un anno propizio, un anno primato. Il 1958 non è stato un anno di altrettanta abbondanza, ma, nonostante tutto, si è riusciti a mantenere la produzione al livello medio prebellico. La produzione di frumento delle aziende agricole del settore socialista ha progredito anche nel 1958, mentre quella delle cooperative ha subito una lieve contrazione, ma non grande quanto quella del settore privato.
(Vladimir Bakarić, Le vie dello sviluppo socialista in Jugoslavia, Feltrinelli Editore, Milano 1968, p. 379)

Nel settore cerealicolo abbiamo ottenuto indubbiamente dei risultati notevoli. Si sono avuti dei casi in cui – come ho già rilevato – si è impiegato soltanto 1 ora e 19 minuti per un quintale di frumento. Un raccolto di tale portata è impossibile nella piccola produzione contadina. Chi abbiamo fatto scappare, così? A questa domanda bisogna dare una risposta concreta. A prescindere dalla questione degli operai occupati nelle aziende agricole del settore socialista (il cui numero in Croazia, alla fine del 1957 superava le 26.000 unità), s’impone l’interrogativo: quanti contadini abbiamo fatto andar via? Evidentemente finora nemmeno uno. I contadini avevano smesso già prima di coltivare il grano destinato al mercato. Già nel 1955, quindi senza alcuna attività particolare da parte nostra, produceva grano mercantile soltanto il 6 per cento circa delle conduzioni contadine, principalmente nella I zona. Le altre conduzioni in parte provvedono solo alla propria alimentazione, in parte forniscono piccoli surplus per il mercato, ma in genere, prese nel complesso, sono più consumatrici che produttrici. La loro scomparsa dal mercato era un processo già chiuso prima ancora delle misure da noi prese. […] La piccola produzione contadina, poi, coltivando il granoturco e dedicandosi ai prodotti dell’allevamento, era in grado di sfruttare i propri appezzamenti con maggiore efficacia che seminandoli a grano. In questo modo il bestiame e i suoi prodotti avevano finito con l’essere il principale cespite d’entrate in denaro tratte dalla conduzione agricola. Nel 1957, infatti, essi incidevano col 47 per cento sulle entrate in denaro provenienti dalle aziende contadine in Jugoslavia; nel 1955/56 la loro incidenza passava al 53 per cento circa; nelle singole categorie, invece, si aveva il seguente quadro: fino a 2 ettari 55 per cento; da 2 a 3 ettari 58 per cento; da 3 a 5 ettari 56 per cento; da 5 a 8 ettari 56 per cento ed oltre 8 ettari 48 per cento.
(Ibidem, pp. 385-86, 390)

…secondo il calcolo statistico oggi rimane ancora un 53,2 per cento di popolazione agricola. Considerando le proporzioni jugoslave, è un salto straordinariamente grande. Con ciò il vostro distretto ha raggiunto una struttura di popolazione più favorevole che nella Jugoslavia dell’immediato dopoguerra. Sotto questo aspetto sociale, è sicuramente un grande, grande progresso. Progresso grandissimo, tanto più che delle famiglie contadine – avete offerto voi i dati statistici – quelle che si occupano solo di agricoltura sono, in tutto, poco più del 38%, quindi, se non erro, per il 32-33% sono miste, mentre il 29% non sono famiglie agricole. È una struttura che si stacca già notevolmente dalle precedenti percentuali jugoslave. E non soltanto jugoslave. Questa è pressappoco la percentuale che la Croazia, regione più sviluppata, aveva in Jugoslavia.
(Ibidem, p. 399)

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