L’ideologia dei coloni, l’estrazione di risorse imperialista e la base sociale del fascismo americano

Articolo apparso su Revolution Dispatch, il 1 agosto 2022.
Tradotto da Danilo Silvestri.

Questo articolo di Rainer Shea scritto nel 2022 pone rilievo su una questione fondamentale: gli odierni cittadini degli USA sono, consciamente o meno, parte complice del colonialismo statunitense sulle terre native? Seppur scritto in maniera molto semplicistica, l’articolo porta un punto di vista che fa sorgere riflessioni. Inizialmente, come si può vedere da certe frasi discutibili che leggerete di seguito, Shea era vicino alle posizioni “sinistre” di certi ambienti marxisti statunitensi, come il PCUSA e il PSL. Dall’attacco contro la base popolare di MAGA (che Shea qui non distingueva dai vertici dello stesso), all’implicito invito alla balcanizzazione del Paese a favore delle tribù native, Shea rivisiterà le proprie posizioni grazie ai contributi portati avanti dal futuro ACP guidato da Haz Al-Din. Seppure la soluzione idealista e anacronistica di Shea, basata quasi esclusivamente su base razziale, sia appunto impraticabile, la questione nazionale dei nativi rimane, ed è importante riflettere su come gli USA possano riparare i propri sbagli, i propri crimini storici, applicando modelli di Civiltà-Stato simili a quelli di Russia, Cina, o America bolivariana. Il problema dell’ormai stra-abusato termine “settler colonialism” resta aperta, finché gli USA si comporteranno da “gendarme” e “modello di libertà per il mondo”, mentre i nativi resteranno nelle riserve, in uno stato di apartheid paragonabile a quello dei palestinesi in Terra santa.

La società fondata dal colonialismo dei coloni [settler-colonialism] si basa sul parassitismo. La sua ricchezza non deriva dai propri meriti, ma risulta dal furto alle civiltà da cui vengono estratte risorse. Questo vale per tutti i paesi imperialisti, [anche quelli] non necessariamente colonie di insediamento [settler-colonial]. Tuttavia, il colonialismo di insediamento [settlerism] aggiunge ulteriori contraddizioni all’imperialismo, poiché il gruppo che beneficia dell’estrazione di risorse ottiene ricchezza sottratta ai paesi periferici vivendo sulle terre rubate ai popoli indigeni. Pertanto, beneficia sia di un imperialismo esterno che interno ai propri confini. Questi tipi di impero, in cui i benefattori estraggono sia dall’interno che dall’esterno, sono quelli che perpetuano la base sociale che mantiene gli Stati Uniti.

Lo sciovinismo coloniale come meccanismo di difesa ideologica

Gli opportunisti all’interno di questa struttura parassitaria, che difendono l’ordine imperialista, ne celano l’esistenza attraverso strumenti retorici. Affermano che parlare di colonialismo dei coloni non è altro che essenzialismo razziale, l’argomento del peccato originale che dipinge i bianchi moderni come colpevoli dei crimini dei loro antenati, ammesso che riconoscano tali crimini come eventi storici. La loro principale argomentazione è che non ci sia stato alcun genocidio contro i nativi e che il razzismo, sia storico che attuale, verso nativi e neri, sia stato esagerato. Tali argomentazioni anacronistiche sono coerenti per gli apologeti del capitalismo, poiché esso è intrecciato con il colonialismo e ne ha bisogno per sopravvivere. Tuttavia, per i sedicenti marxisti, sostenere queste idee è imperdonabile e tradisce una concezione opportunistica del socialismo.

Questo perché un’analisi del colonialismo dei coloni e della base sociale su cui poggia è un’estensione della conclusione di Lenin secondo cui esiste una base sociale per l’imperialismo. Per un marxista, affermare che il colonialismo non sia rilevante nell’America moderna equivale a rinnegare quanto osservato da Lenin ne “L’Imperialismo” riguardo agli interessi materiali di certi strati delle masse popolari dei paesi imperialisti:

“…il monopolio genera superprofitti, cioè un surplus di profitti al di sopra dei profitti capitalistici che sono normali e consueti in tutto il mondo. I capitalisti possono destinare una parte (e non piccola!) di questi superprofitti per corrompere i loro stessi lavoratori… Una manciata di paesi ricchi… ha sviluppato il proprio monopolio in proporzioni immense, ottiene superprofitti che raggiungono centinaia, se non migliaia, di milioni, ‘sfrutta’ centinaia e centinaia di milioni di persone in altri paesi e combatte tra loro per la divisione delle spoglie particolarmente ricche, grasse e particolarmente facili… la borghesia di una potenza imperialista ‘grande’ può corrompere economicamente i ceti superiori dei suoi lavoratori spendendo… i suoi superprofitti.”

La combinazione dell’imperialismo e del colonialismo negli Stati Uniti

Cosa succede quando si unisce questa dinamica, in cui una nazione imperialista costruisce la propria base sociale, corrompendo una porzione sostanziale della popolazione con le basi dell’annessione forzata del territorio degli Stati Uniti? Si ottengono le condizioni attuali, in cui il colonialismo e la sua ideologia hanno una presa profonda su questi elementi, spingendoli ad allearsi con i capitalisti, anche dopo mezzo secolo di peggioramento del tenore di vita. Tuttavia, tale fedeltà al capitale e all’impero non riguarda tutti i lavoratori bianchi e, in realtà, potrebbe non essere nemmeno il caso per la classe lavoratrice bianca nel suo insieme. Eppure, in molti, soprattutto negli strati superiori della classe lavoratrice, e purché abbiano sufficienti interessi materiali, rimangono dalla parte dell’opportunismo. In particolare, nel nostro contesto di crescente lotta di classe, ciò significa schierarsi dalla parte del fascismo, il braccio armato della borghesia.

Ecco perché il concetto di cui parla Lenin è stato definito come la base sociale dell’opportunismo. Cioè, si potrebbe sostituire “opportunismo” con “fascismo” e non vi sarebbe alcuna differenza: la logica conseguenza della difesa dell’imperialismo, opponendosi alle lotte di liberazione anti-coloniali, non può che essere quella repressione violenta incarnata dal fascismo.

Il consenso al fascismo negli Stati Uniti

L’affermazione che negli Stati Uniti esista una sostanziale base di consenso per il fascismo, anche maggiore rispetto ad altri paesi, è stata sostenuta anche da marxisti che rigettano con veemenza l’essenzialismo razziale. Il marxista di cui parlo ha concluso che, a causa della natura imperialista che costituisce la struttura dell’economia statunitense, questa “classe media” (forse meglio definita come lo strato superiore della classe lavoratrice) non si comporta come una normale classe media. È, invece, unita attraverso l’ideologia della classe dominante, come dimostrato dal fatto che un terzo significativo del paese rimane fedele al movimento fascista MAGA [Nota di Katéchon: negli anni a seguire Rainer Shea rivaluterà la base popolare del movimento MAGA], i cui elettori si sono dimostrati essere, nella stragrande maggioranza, piccoli-borghesi – o poco al di sotto di tale livello. La maggior parte degli elettori MAGA può quindi essere più adeguatamente definita come aristocrazia operaia, piuttosto che classe lavoratrice in senso stretto. In sostanza, in un paese imperialista, gli strati superiori di ciò che viene definito “classe lavoratrice” sono in gran parte aristocrazia operaia, e le loro inclinazioni politiche tendono naturalmente verso l’ideologia della classe dominante.

D’altra parte, quasi la metà del paese, che vive in condizioni di povertà, insieme al “precariato”, che lotta costantemente per non precipitare in tale povertà, non costituisce il cuore del consenso della fazione trumpista. Ironia della sorte, essi tendono a essere più vicini ai sostenitori più entusiasti del Partito Democratico, piccoli borghesi opportunisti interessati a supportare l’agenda neoliberale di Biden. L’unica differenza è che i trumpisti tendono a non essere élite costiere, e possono, quindi, stabilire una linea di demarcazione etnica tra sé stessi e questi altri elementi con cui si contendono le quote del bottino imperialista. Si tratta di quella maggioranza di lavoratori impoveriti che detiene il potenziale rivoluzionario del paese e che si mobilizza sempre di più per la conquista del potere proletario.

La rivoluzione proletaria e le contraddizioni ideologiche

In teoria, tutti gli strati della classe lavoratrice dovrebbero essere ugualmente entusiasti della rivoluzione proletaria e, dunque, delle richieste di giustizia sociale, del ripristino della giurisdizione delle terre tribali e della fine del dominio imperialista globale. Tuttavia, tra gli strati superiori del proletariato statunitense, alcuni sono troppo influenzabili dalle idee avanzate dai fascisti per difendere il colonialismo, sostenendo che “gli Stati Uniti hanno domato un continente” o che “i programmi scolastici sul razzismo sistemico sono propaganda divisiva”. Nei circoli ideologici più di nicchia, come i marxisti “patsoc”, questi sentimenti assumono articolazioni diverse, solitamente incentrate sull’idea che sperare nella decolonizzazione sia futile. Anzi, si concentrano in modo preponderante sull’eliminazione dei popoli indigeni (come implicato nella narrazione secondo cui le tribù ora non sono materialmente rilevanti per le loro terre ancestrali) e sulla narrativa che sia possibile affrontare le condizioni delle comunità di colore senza concentrarsi sulla questione coloniale. Quando sono onesti, i fascisti dicono semplicemente: “al diavolo tutti, tranne noi bianchi”; ma il nostro clima politico, per quanto sempre più reazionario, non è ancora arrivato al punto in cui parlare in questo modo [esplicito] sia accettabile.

La minoranza che si è investita nel mantenimento dell’imperialismo

Queste idee trovano ascolto non solo tra la piccola borghesia – la base sociale storica dei movimenti fascisti in quasi tutti i paesi – ma anche presso alcuni elementi al di sotto della piccola borghesia. Infatti, in un paese imperialista, ciò che chiamiamo “aristocrazia operaia” esiste davvero. E in un paese imperialista coloniale, le razzie dell’imperialismo raggiungono una porzione di popolazione talmente vasta che alcuni individui della classe lavoratrice hanno tutto l’interesse ad abbracciare le narrazioni fasciste. In tal modo, tentano di migliorare il proprio status, per potersi elevare fino all’aristocrazia operaia o persino alla borghesia, pur non rientrando in nessuna delle due categorie.

Queste sono le condizioni di vita che, sebbene non borghesi per sé, sono più direttamente legate all’imperialismo e al colonialismo. Lo studente che crede che la propria relativa fortuna possa spingerlo alla prominenza all’interno dell’accademia, della struttura politica o dei media imperialisti; l’individuo con una famiglia estesa borghese, in grado di fornirgli benefici materiali; talvolta, anche il lavoratore, il cui modo di fare soldi dipende dalle risorse che l’estrazione di risorse imperialista fornisce, come terreni agricoli su territorio rubato ai nativi o riserve di petrolio e gas rese accessibili attraverso la colonizzazione.

Il potenziale rivoluzionario e le contraddizioni individuali

Ovviamente, studenti, persone economicamente dipendenti e lavoratori di tutti i tipi hanno potenziale rivoluzionario; praticamente chiunque lo ha, e non sarebbe dialettico giudicare prematuramente qualcuno come causa persa sulla base di una contraddizione di troppo. Ciò che rende qualcuno un rivoluzionario non è la sua condizione di status sociale svantaggiato, ma la sua disponibilità a impegnarsi per la causa rivoluzionaria. Tuttavia, le condizioni degli individui influenzano la loro coscienza e, più sono le contraddizioni, meno è probabile che qualcuno scelga di abbracciare il pensiero rivoluzionario. Se tutte le relative comodità di cui si gode sono rese possibili dall’estrazione di risorse imperialista e coloniale, è facile essere persuasi a respingere con veemenza tutte le analisi anti-coloniali e anti-imperialiste.

Non posso avere contraddizioni, potresti pensare; “io svolgo un lavoro e sono sfruttato in una certa misura tangibile, quindi quelle contraddizioni non possono nemmeno essere reali. Chi sono queste persone che dicono di voler abolire gli Stati Uniti, restituire la terra alle tribù, pagare le riparazioni? Gli Stati Uniti non possono essere così malvagi, non sono mai nemmeno stati in una riserva, e la schiavitù è finita da tempo (o così mi è stato detto). Queste persone devono avere intenti malevoli, devono cercare di portare avanti un genocidio contro di me, stabilire uno stato suprematista indigeno, deportarmi in Europa!” E così inizia il processo di radicalizzazione fascista, potenzialmente terminando con l’individuo radicalizzato che prende un fucile e spara in un negozio di un quartiere non bianco.

La risposta comunista al fascismo e all’imperialismo

Considerato il potere ideologico che il fascismo può esercitare, in quanto comunisti, dobbiamo essere disposti ad accettare chiunque nelle nostre organizzazioni, indipendentemente dallo status sociale, e dobbiamo sempre spiegare le nostre posizioni a coloro che sono disposti ad ascoltare. Impegnarsi nella lotta ideologica non significa idolatrare gli elementi delle masse statisticamente meno propensi ad abbracciare la coscienza rivoluzionaria, né assecondare le idee reazionarie a cui sono esposti. Non dovremmo abbandonare la solidarietà con i popoli colonizzati per abbracciare una qualche versione “patriottica” e distorta di socialismo, nella speranza che ciò porti i destrorsi e il “centro” politico a guardare al marxismo favorevolmente. Un “marxismo” che si oppone all’autodeterminazione indigena e alle riparazioni per la schiavitù non sarebbe nemmeno marxismo, ma qualcosa di simile a quando i fascisti tedeschi adottarono l’etichetta “socialista”.

In altre parole, non sarebbe che un progetto genocida, che estende la guerra coloniale degli Stati Uniti, semplicemente sostituisce lo sfruttamento di classe capitalistico con la sottomissione nazionale. Una logica “pro-lavoratori”, ma distorta, in cui una minoranza esclusiva di lavoratori gode dei frutti del proprio lavoro, negandoli a coloro che sono stati spogliati dal colonialismo, e che si riflette nell’imperialismo sociale portato avanti dai democratici “progressisti”. L’individuo con una mentalità imperialista, di fronte al declino del tenore di vita statunitense, non giunge alla conclusione di doversi alleare col proletariato, contro il capitalismo e l’imperialismo. Al contrario, conclude che dovrebbe lavorare per intensificare o mantenere il dominio coloniale e imperialista. Di fatto, è esattamente questo il ragionamento di Cecil Rhodes quando giustificò l’istituzione di uno stato di apartheid africano genocida: per alleviare la povertà a cui il capitalismo sottopone le masse britanniche, l’imperialismo deve espandersi a spese dei popoli colonizzati.

Un “socialismo” imperialista di questo tipo sarebbe destinato a fallire, fronteggiando la resistenza delle nazioni colonizzate, che infine lo rovescerebbero, oppure verrebbe distrutto dalla borghesia stessa a causa della divisione autodistruttiva che ha causato all’interno del movimento socialista. Il socialismo non può vincere se è snaturato a tal punto da sostenere l’imperialismo. Il suo percorso verso la vittoria passa attraverso la solidarietà con tutte le nazioni che stanno lottando per porre fine all’ordine imperialista. Gli elementi delle masse che hanno un incentivo materiale a opporsi rappresentano una piccola minoranza della popolazione globale, meno del dieci per cento a cui Mao si riferì implicitamente quando predisse che oltre il novanta per cento del mondo alla fine si sarebbe sollevato contro l’imperialismo. Questo elemento ostinatamente reazionario, una minoranza persino all’interno del centro imperialista, non ha futuro. L’ordine parassitario di cui è materialmente portatore sarà spazzato via dalle lotte di liberazione.

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