In più di una circostanza ho esposto la tesi che le responsabilità di fondo dell’attuale, pericolosissima, crisi geopolitica sia dovuta alla folle politica tedesca e dei paesi del nord Europa legati a filo doppio a Berlino come l’Olanda, la Danimarca, la Svezia, l’Austria, tanto per non fare nomi.
Il movimento della Storia a cui abbiamo assistito in Europa con la riunificazione della Germania è stato niente di più che il terzo assalto al cielo del potere mondiale tentato dalle élites tedesche. Se i primi due tentativi si sono svolti con strumenti sostanzialmente militari sia dalla Germania guglielmina che da quella nazista, il terzo, sotto le furbe mani di Angela Merkel si è svolto utilizzando le armi del libero mercato e soprattutto i paradigmi neoliberali che dalla caduta del Muro di Berlino sono diventati dogma in tutto il mondo.
La costituzione dell’Unione Europea con il Trattato di Maastricht è servita innanzitutto ad assoggettare paesi come l’Italia che avevano un sistema produttivo in grado di fare concorrenza a quello teutonico: ciò è stato possibile sia grazie all’utilizzo dei parametri del Trattato di Maastricht come delle clave in grado di inibire i fondamentali investimenti pubblici dello stato italiano, sia grazie anche all’introduzione dell’euro che ha azzerato quella formidabile valvola di sfogo delle svalutazioni competitive che era in grado di ridare slancio alla produzione italiane nei momenti di crisi.
Successivamente, l’entrata dei paesi dell’Est Europa nella Unione Europea è servita alla Germania da un lato a delocalizzare le produzioni più mature così da mantenerle competitive grazie al costo del lavoro più basso dei paesi dell’Est e dall’altro lato a garantire un flusso in entrata di manodopera a basso costo per l’abnorme apparato produttivo di Berlino.
Il terzo pilastro fondamentale della politica tedesca è stata certamente l’ostpolitik nei confronti della nuova Russia non più comunista. Certamente ci sono stati investimenti colossali di Berlino in Russia, ma è altrettanto vero che Mosca ha semplicemente regalato materie prime fondamentali alla Germania e all’Europa; questo naturalmente a partire dal gas e dal petrolio. Tutto ciò ha dato un volano di competitività alla Germania rendendola di nuovo paese egemone in Europa, e per giunta senza sparare un solo colpo! La Merkel sembrava aver trovato l’uovo di Colombo.
Il resto della storia non è che un saggio di scaltrezza della Merkel, dote peraltro che la matrona tedesca in più di una circostanza ha dimostrato di praticare con capacità funamboliche. Sfruttando le regole dell’apertura dei mercati mondiali introdotta con l’istituzione del World Trade Organisation (WTO) la Germania è riuscita a spiazzare completamente la competitività del sistema produttivo americano lasciando in questo paese distese di capannoni industriali dismessi e milioni di cittadini disoccupati o sottoccupati.
Nel frattempo i capitalisti tedeschi grazie a questi stratagemmi accumulavano ricchezze sconfinate ben rappresentate dall’andamento del NIIP (Net International Investment Position) tedesco.
Immagine 1: Storico NIIP Germania (Fonte Deutsche Bundesbank)
Va detto che il sulfureo Wolfgang Schäuble in più di una circostanza manifestò l’interesse di Berlino ad ottenere la bomba atomica, o quantomeno un ombrello atomico di protezione indipendente da quello statunitense; segno evidente questo che le élites tedesche sapevano benissimo i rischi enormi della politica economica di Berlino. Le guerre – inutile girarci attorno – iniziano soprattutto per questo motivo: nessun paese è disposto a far demolire il proprio sistema produttivo senza reagire. Questo vale, a maggior ragione quando il paese “spiazzato” è la massima potenza militare del pianeta come, appunto, gli Stati Uniti.
Il primo a protestare e a chiedere agli europei (rectius, i tedeschi) un riequilibrio della bilancia commerciale è stato Barack Obama che propose il Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP), con il fine di aumentare l’export americano in EU. Anche Trump protestò molto contro l’opportunismo tedesco che importava energia a basso costo dalla Russia, facendo una concorrenza forsennata alle aziende di oltreoceano, per non parlare poi del fatto che Berlino si faceva pagare le spese militari dagli americani guadagnando così margini di bilancio per “aiutare” le sue aziende esportatrici.
A ribaltare le sorti della situazione in favore degli americani è stato il Dipartimento di Stato di Washington che imbastendo il colpo di stato di Majdan è riuscito a rovinare i rapporti tra Europa e Russia elevando una nuova Cortina di Ferro tra est e ovest dell’Europa.
Il resto è cronaca dei nostri giorni. Il conflitto in Ucraina e le conseguenti sanzioni occidentali alla Russia hanno demolito buona parte della competitività europea e tedesca. Il colpo di grazia, a tale proposito, è arrivato con l’incredibile sabotaggio del gasdotto Northstream che portava il gas dalla Russia in Germania bypassando paesi ostili come la Polonia grazie alla sua condotta sottomarina posata sui fondali del Baltico.
La competitività di Berlino è così profondamente minata che anche il ministro dell’economia tedesco, Robert Habeck ha definito la situazione drammatica portando le previsioni di crescita per il 2024 al + 0,2% dal + 1,3% precedentemente stimato.
Per quanto riguarda la fuga delle aziende dal paese sta diventando emblematica la situazione del settore automotive, un tempo fiore all’occhiello del Made in Germany: ora anche la Porsche annuncia di voler lasciare la Germania per gli USA, grazie ai sussidi e al sostegno alle imprese varato dal governo di Washington. Porsche non vuole più costruire uno stabilimento per la produzione di batterie elettriche “Cellforce Gigafactory” nel Baden-Württemberg, come aveva già annunciato, ma vuole aprirlo negli Stati Uniti, dove fino ad ora la Casa di Stoccarda non ha ancora nemmeno uno stabilimento produttivo. Secondo gli esperti il fattore principale che ha influenzato la decisione sono stati i sussidi governativi: in America le autorità sono pronte a dare 2 miliardi di dollari mentre in Germania la casa automobilistica può ottenere al massimo 800 milioni di euro. Per fare un altro esempio, anche la BMW sta costruendo uno stabilimento in Carolina del Sud, così come la Audi sta progettando di aprire stabilimenti negli Stati Uniti e il suo CEO ormai lo dice apertamente che gli USA sono molto più competitivi della Germania. Una situazione questa che solo due anni fa era inimmaginabile anche per uno scrittore di romanzi distopici.
Come sempre si verifica quando l’economia reale entra in fibrillazione anche le banche teutoniche iniziano a soffrire. Per ora ad aver lanciato un allarme è stata la Deutsche Pfandbriefbank AG che ha aumentato gli accantonamenti a causa della crisi del settore immobiliare commerciale americano dove ha fortemente investito. Ma è chiaro che se l’economia tedesca non fosse così fiacca, le eventuali perdite sarebbero state abilmente nascoste.
Infine molto interessante anche un articolo del Financial Times che prefigura possibili tagli al Welfare Tedesco per finanziare il riarmo di Berlino. Per ora, spiega il giornale inglese che dei 72 miliardi di euro destinati alle spese militari, 52 miliardi di euro proverranno dal bilancio ordinario mentre i rimanenti 19,8 miliardi di euro da un fondo di investimento che però si prosciugherà entro il 2027 costringendo la Cancelleria a porre mano alle forbici per tagliare il Welfare e finanziare le ora inderogabili spese militari.
Insomma stiamo assistendo – anche nella migliore delle ipotesi, ovvero quella che l’Europa non sia coinvolta direttamente in un conflitto bellico – ad un vero e proprio cambio di paradigma della politica di Berlino, che non potrà più essere fondata sull’abile opportunismo utilizzato negli ultimi 20 anni che alla lunga ha portato alla rovina economica e politica.
Un cambio di paradigma però tutto da scrivere e che vede la Germania (e con lei l’Europa) ripartire per la terza volta in un secolo da zero.