Antonio Labriola

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Antonio Labriola (Cassino, 2 luglio 1843 – Roma, 2 febbraio 1904) è considerato essere il primo pensatore marxista italiano. È importante il suo contributo filosofico sul materialismo dialettico ed il materialismo storico.
Il suo pensiero influenzò molti teorici politici italiani dell’inizio del XX secolo, tra cui Benedetto Croce, fondatore del Partito Liberale Italiano, e Antonio Gramsci, fondatore del Partito Comunista Italiano.

Pagina a cura di Eros Rossi Fomìn

Bibliografia

Libri

Il Socialismo e la Filosofia
Moralità e Religione
Del materialismo storico

Raccolte

Saggi sulla concezione materialistica della Storia
Scritti vari di filosofia e politica
Scritti e Discorsi:

  • Contro il ritorno a Kant
  • Socrate
  • In ricordo del manifesto comunista
  • Chiarimenti preliminari sul materialismo storico
  • Saggi sulla concezione materialistica della storia
  • Spaziando tra socialismo e filosofia
  • Da un secolo all’altro

Vita

Filosofo e socialista italiano, padre del marxismo italiano.

Antonio Labriola nacque a Cassino, in provincia di Frosinone, il 2 luglio 1843

Gli studi universitari, l’idealismo hegeliano, la destra storica

Nel 1861 si iscrisse all’Università di Napoli, dove fu allievo di Bertrando Spaventa, che aveva portato in Italia, con De Sanctis, l’idealismo e lo storicismo di Hegel, e che vedeva nello Stato risorgimentale la realizzazione dell’eticità hegeliana. I fratelli Bertrando e Silvio Spaventa erano inoltre degli importanti esponenti della destra storica, liberale ma non democratica.

La prima opera pubblicata di Labriola fu una critica a Zeller (docente di filosofia greca all’Università di Heidelberg), chiaramente ispirata all’hegelismo di Bertrando Spaventa.

Il rifiuto dell’idealismo, il liberalismo e la sinistra

Dopo aver studiato con A. Tari, F. De Sanctis e B. Spaventa all’Università di Napoli, Labriola abbandonò l’hegelismo ortodosso, scrivendo nel 1869 una dura critica alle Lezioni di filosofia della storia dell’hegeliano A. Vera.
Labriola modificò progressivamente le sue idee, separando lo storicismo di Hegel dal suo idealismo, soprattutto grazie alla psicologia etica di Johann Friedrich Herbart. Stato, religione e scuola divennero per Labriola i mezzi per realizzare una strategia politica progressista.

Dopo la laurea rimase a Napoli e divenne insegnante. Durante questo periodo ha sviluppato un interesse, oltre che per la filosofia, anche la storia e l’etnografia. All’inizio del 1870 si cimentò nel giornalismo e nei suoi scritti dell’epoca si esprimevano punti di vista liberali e anticlericali.

Tra il 1870 e il 1874 (prima della caduta della destra), Labriola scrisse per giornali politici appunto liberali, come Gazzetta di NapoliIl PiccoloL’Unità Nazionale e Monitore di Bologna. Da questi articoli si evince già la preoccupazione di Labriola di studiare in modo concreto i bisogni delle masse popolari, in particolare l’educazione nazionale, intesa come riforma intellettuale e morale, tema che si ritrova più e più volte nei suoi scritti filosofici di questo periodo (Origine e natura delle passioni nell’Etica di Spinoza del 1866, La Dottrina di Socrate secondo Senofonte, Platone e Aristotele del 1871, Sulla libertà morale e la morale della religione, entrambi del 1873). Sebbene fosse critico del liberalismo fin dal 1873, il suo approccio al marxismo fu graduale e non espresse esplicitamente un punto di vista socialista fino al 1889.

Nel 1874 fu nominato professore di Filosofia morale e Pedagogia all’Università di Roma, dove trascorse il resto della sua vita insegnando, scrivendo e dibattendo. Successivamente ha tenuto conferenze di filosofia, filosofia della storia e pedagogia.

Nel 1879 compì un viaggio in Germania, su incarico del ministero dell’Istruzione Pubblica, per studiarvi l’ordinamento scolastico: qui cominciò a nutrire forte simpatia per il pensiero socialista.
Verso la seconda metà degli anni Ottanta dell’Ottocento, rispondendo al Movimento popolare spontaneo cresciuto attorno alla figura di Garibaldi, e poi attorno a Bakunin, Labriola cominciò a spostarsi sempre più a sinistra, convinto che una rivoluzione pienamente democratica fosse possibile solo se si trattava anzitutto della difesa delle masse lavoratrici (per Labriola, della classe operaia urbana). Dapprima fu attratto dai radicali come Clevises, poi dai socialisti come Turati. Labriola si accorse che lo Stato era sempre più prigioniero di una borghesia decadente e corrotta. Dal 1880 al 1886 tenne conferenze sullo Stato, sulle sue origini e sulle sue funzioni. Progressivamente maturò nella sua mente l’idea che la vera forza motrice della storia va ricercata nel movimento politico delle masse popolari. Questo avviene nella società e non nello Stato.

Riassumento si possono definire tre fasi diverse nel pensiero di Labriola:
1) Inizialmente, durante gli studi universitari (1861-1869), fu un sostenitore dell’idealismo hegeliano (influenzato da Bertrando Spaventa, di cui fu allievo a Napoli);
2) Una fase segnata dal rifiuto dell’idealismo in nome del realismo herbartiano, con a sua volta
a) un primo periodo liberale (1869-1879)
b) ed un secondo sempre più socialista (1879-1889);
3) Un terzo momento di maturazione (dal 1889), aderisce pienamente al materialismo storico e il comunismo, il marxismo.

Il primo filosofo marxista italiano

Dal 1890 si dedicò dunque all’approfondimento del pensiero marxista. La sua importanza come interprete del materialismo storico non si limitò all’Italia, poiché ebbe un’ampia proiezione europea.

Intorno al 1890 iniziò a studiare le opere di Marx ed Engels e si convinse che nel mondo moderno la forza più creativa e rivoluzionaria è il movimento socialista della classe operaia. Entrò in un’intensa corrispondenza con i maggiori esponenti del socialismo europeo: Engels, Kautsky, Bernstein, Georges Sorel. Considerava la socialdemocrazia tedesca un modello per l’Italia, sebbene considerasse l’Italia una nazione più arretrata. Fu il principale organizzatore delle manifestazioni del Primo Maggio a Roma nel 1891. I suoi Saggi sul materialismo storico non solo furono la prima opera marxista scritta in Italia, ma consacrarono Labriola come uno dei maggiori teorici marxisti europei dell’epoca. La caratteristica principale di quest’opera era l’opposizione al “marxismo neokantiano”: proponendo una scelta tra il “marxismo etico” e il “marxismo scientifico”, Labriola non aveva dubbi nel preferire il secondo.

Labriola si rivolse a Turati, chiedendo la promozione di un vero socialismo proletario e di sinistra. Turati era il leader socialista nella città più moderna d’Italia, Milano, e il redattore di Critica sociale, che iniziò la pubblicazione nel 1891. Le differenze tra i due erano notevoli: Labriola voleva un piccolo partito operaio, omogeneo, combattivo, marxista; Turati voleva invece un partito ampio, aperto a elementi eterogenei, pragmatico e riformista. Al congresso di fondazione del partito a Genova nel 1892, Turati rispose a Labriola, rimuovendo gli elementi anarchici, ma il programma rimase eclettico. Tuttavia Labriola riuscì a convincere Turati a impegnare il Partito nella difesa del movimento dei Fasci siciliano (da non confondere col fenomeno del fascismoche andrà a svilupparsi in futuro). A quel tempo nelle campagne il contrasto tra il blocco manifatturiero-agrario delle classi dominanti e il blocco di opposizione degli operai e dei contadini non era ancora chiaramente delineato. Ma nel Partito, a causa delle sue stesse ambiguità teoriche (“social-positivista”, direbbe Labriola), si svilupperanno ben presto tre correnti opposte.

Fu per questo motivo che Labriola preferì dedicarsi agli studi teorici, senza legarsi all’organizzazione. Nei suoi ultimi anni fu impegnato in un dibattito che si accese sull’eredità del marxismo, sulla sua influenza sulla filosofia e sulla strategia politica. Labriola vedeva in questo dibattito più o meno le stesse differenze che aveva analizzato in precedenza nel confronto tra Bernstein e Sorel e tra Gentile e Croce. Morì nel 1904, ma nel 1927-28 furono pubblicate le sue Lettere a Engels.

È soltanto dal 1979 (75° anniversario della morte) che la quantità e la qualità delle ricerche sono state tali da imporre con una certa rilevanza la grandezza e l’originalità della filosofia politica di Labriola.

Pensiero

Ha contribuito a lottare contro le deformazioni del pensiero marxista e a presentarlo come conoscenza critica della realtà e negazione di ogni ideologia. Per Labriola il materialismo storico non elimina la radice volontaristica della prassi ed esclude che la classe rivoluzionaria possa esistere come pura entità sociologica, indipendentemente dalla consapevolezza dei singoli.

La maturazione del pensiero materialista e poi socialista

Labriola, verso il 1869, modifica progressivamente le proprie idee separando lo storicismo dall’idealismo (e quindi da ogni metafisica romantica e da ogni sacralizzazione statuale), grazie all’apporto della pedagogia scientifica di F. Herbart, la cui filosofia prescindeva dal riferimento costante allo Spirito (o coscienza infinita). Herbart cercava il senso del divenire storico nella psicologia collettiva, da accertare in base a documenti (filologicamente) e a partire dagli effetti delle esperienze concrete, senza apriorismi di sorta (vedi gli studi sull’etica antiaprioristica di Spinoza e Socrate). Stato, religione e scuola diventano per Labriola soltanto dei coefficienti morali e pedagogici da usare per indurre le coscienze individuali a realizzare un progetto politico comune. Netta è la sua polemica contro il “ritorno a Kant” dei neokantiani tedeschi.

Riguardo il pensiero politico, nel periodo dal 1887 al 1890 guardò ad un processo di trasformazione democratica dello Stato e della società civile a partire dalla Commune. Egli si era convinto che il “giacobinismo radicale” (anarchico, settario…), escludendo il coinvolgimento collettivo degli strati più popolari della società, di fatto favoriva una critica astratta, élitaria del sistema, riferita solo ai suoi aspetti più appariscenti e scandalosi. In breve, elaborò una strategia per costruire una base per la socialdemocrazia che avesse come elemento caratteristico il coinvolgimento nel governo locale, piuttosto che concentrarsi sul raggiungimento dell’autogoverno popolare. Per comprendere questa fase del suo pensiero, vedere Problemi di filosofia della storia e del socialismo (1889).

Tornando al pensiero filosofico; il grande merito di Herbart e dei suoi discepoli, in particolare della cosiddetta ‘psicologia dei popoli’, consisteva, ad avviso di Labriola, nella ricerca dell’origine storica delle idee, non tanto nella psicologia individuale quanto nella psicologia sociale, tramite la comparazione tra le rappresentazioni mentali dei vari popoli. Labriola riteneva, però, che questa impostazione non fosse in grado di dare una spiegazione unitaria della realtà storica.
Nel discorso tenuto nel 1887 su I problemi della filosofia della storia, egli rifiutava le interpretazioni della storia di tipo hegeliano, ma pure quelle evoluzionistiche, ritenendo che i fenomeni storico-sociali fossero la risultante del gioco di tre fattori, 1) l’attività produttiva, 2) le istituzioni della convivenza civile (cioè il diritto e lo Stato), e 3) il piano culturale dell’arte, della religione e della scienza.
Labriola escludeva tassativamente che le produzioni politiche e culturali fossero ‘un puro riflesso e completamento‘ dei mezzi materiali di esistenza.

Il materialismo storico, il marxismo

Nel 1980, poi, la lettura delle opere di Marx e di Engels lo portò a scorgere nel materialismo storico la spiegazione oggettiva della dinamica storica mediante la lotta di classe, in polemica contro l’interpretazione revisionistica che ne aveva dato Bernstein. Labriola indicò il nucleo specifico del materialismo storico non tanto in una concezione materialistica ed evoluzionistica della realtà in generale, quanto nello studio della realtà umana nel suo sviluppo in condizioni storicamente variabili. Alle teorie che separavano il piano dei valori da quello degli interessi materiali di cui le classi sociali sono portatrici, Labriola contrappose la tesi che ‘le idee non cascano dal cielo‘ e la storia delle idee ‘non consiste nel circolo vizioso delle idee che spieghino se stesse‘. In questo modo, Labriola respingeva la teoria dell’indipendenza dei fattori storici, che non era appunto in grado di cogliere un principio unitario dell’interpretazione storica: questo era invece dato dal materialismo storico, secondo il quale i mutamenti nella struttura economica trovano ‘la loro adeguata espressione solo nell’alterarsi delle relazioni esistenti fra le diverse classi sociali ‘.

Per questa strada Labriola si riagganciava al grande tema del rapporto fra struttura e sovrastruttura, ma respingendo ogni interpretazione deterministica implicante una dipendenza immediata dalla struttura economica. Si trattava invece di un processo complicato di derivazione e mediazione tra questi piani, che invitava a guardarsi dalla tentazione di dedurre meccanicamente i prodotti dell’attività storica umana, che si esplica nella religione, nell’arte e nell’agire morale del singolo, a partire dalla situazione economica e sociale, che pure era il fondamento imprescindibile di essi. Labriola asserisce che ‘ l’uomo produce e sviluppa se stesso, come causa ed effetto, come autore e conseguenza ad un tempo, di determinate condizioni, nelle quali si generano anche determinate correnti di opinioni, di credenze, di fantasia, di aspettazioni ‘. In particolare, il rapporto dell’arte, della religione e della scienza con la realtà economica era molto meno diretto e immediato di quello che intercorreva fra gli ordinamenti giuridici e politici e le condizioni economiche e sociali. L’esposizione che Labriola elaborò del materialismo storico, dunque, rifuggì sempre da impostazioni dogmatiche ed astratte, tendendo anzi a porre in evidenza proprio le caratteristiche di concretezza e di oggettività del marxismo, contrario tanto ad ogni mitologismo ideologico quanto ad ogni forma di verbalismo vuoto.

Per Labriola ‘il materialismo della interpretazione storica non è se non il tentativo di rifare nella mente, con metodo, la genesi e la complicazione del vivere umano sviluppatosi attraverso i secoli. La novità di tale dottrina non è difforme da quella di tutte le altre dottrine, che, dopo molte peripezie entro i campi della fantasia, son giunte da ultimo assai faticosamente ad afferrare la prosa della realtà, ed a fermarsi in essa‘. Pur tenendo fisso, infatti, il principio fondamentale che ogni fatto storico trovi la sua origine necessaria nella struttura economica, la quale condiziona altresì l’arte, la religione e la scienza, tuttavia egli si oppose ad ogni forma di fatalismo deterministico e puntò piuttosto a ricostruire la dialettica interiore della società umana nella sua unità.
Contro l’astrattismo Labriola combatte con tutte le sue forze: ‘nello studio dei rapporti e delle vicende umane, le passioni, e gl’interessi, e i pregiudizi di scuola, di setta, di religione, e poi l’abuso letterario dei mezzi tradizionali della rappresentanza del pensiero, e poi la scolastica non mai vinta e anzi sempre rinascente, o fanno velo alle cose effettuali, o inavvertitamente le trasformano in termini, e parole, e modi di dire astratti e convenzionali ‘. Il ‘verbalismo’ , ossia il mito e il culto delle parole, avverso al materialismo propugnato dal marxismo, ‘oblitera il senso dei problemi, perchè non vede che denominazioni ‘.

Labriola combatte contro le volgari interpretazioni del marxismo date dai cosiddetti ‘riformisti’ o ‘revisionisti’; contro costoro e contro la loro astratta antitesi di reale e ideale, di strutture e di sovrastrutture, ‘come se le cose stessero da un canto e avessero dall’altro canto le proprie ombre e fantasmi nelle idee‘, egli ha riaffermato con Marx che la storia, al contrario, ‘è sempre tutta d’un pezzo, e poggia tutta sul processo di formazione e di trasformazione della società‘ : per questo reale e ideale o, come dice Labriola, ‘nocciolo e scorza fanno uno‘; il grande merito di Labriola resta comunque quello di non aver considerato il marxismo come rigida teoria o come sistema volto a costringere in prefissi schemi l’infinita varietà dei fatti storici, ma solo come metodo di ricerca, come il nuovo metodo per intendere la storia. Perché, come egli asserisce integrando il pensiero di Marx con quello di Vico, la storia è il prodotto dell’umano lavoro : è l’uomo che, producendo i vari ambienti sociali, produce via via se stesso.

L’importanza degli scritti filosofici di Labriola

Della concezione marxista del materialismo storico chiarì l’origine e spiegò il significato in due scritti di fondamentale importanza, che ancor oggi conservano una loro attualità: In memoria del ‘Manifesto dei comunisti’ (1895) e Del materialismo storico, Dilucidazione preliminare (1896), ambedue tradotte in lingua francese precedute da una prefazione di Sorel. Nel 1898 apparve una raccolta di lettere a Sorel, Discorrendo di socialismo e di filosofia , la quale comprendeva anche un’interessante appendice in cui si discutevano le ben note critiche di Croce alla dottrina del materialismo storico. Postumi invece furono pubblicati da Luigi Dal Pane un quarto saggio, Da un secolo all’altro (1925) e le Lettere ad Engels (1927-1928).

Trotsky scrisse nella sua autobiografia, La mia vita:
“Fu nella mia cella [nel 1898] che lessi con gioia due famosi saggi di un vecchio hegeliano-marxista italiano, Antonio Labriola, che arrivarono al carcere in una traduzione francese. A differenza della maggior parte degli scrittori latini, Labriola aveva padroneggiato la dialettica materialistica, se non in politica – nella quale era impotente – almeno nella filosofia della storia. Il brillante dilettantismo della sua esposizione nascondeva in realtà un’intuizione molto profonda. Ha elaborato in breve, e in modo meraviglioso, la teoria dei molteplici fattori che avrebbero dovuto abitare l’Olimpo della storia e governare da lì i nostri destini.
“Nonostante siano passati trent’anni da quando lessi i suoi saggi, l’andamento generale della sua argomentazione è ancora saldamente radicato nella mia memoria, insieme al suo continuo ritornello del ‘le idee non cadono dal cielo’. Dopo Labriola, tutti i sostenitori russi della molteplicità dei fattori, Lavrov, Mikhaylovsky, Kareyev e altri, mi sembravano del tutto inefficaci. Molti anni dopo non riuscivo assolutamente a comprendere alcuni dei marxisti che avevano ceduto all’influenza dello sterile trattato su “Economia e diritto“, scritto dal professore tedesco Stammler. Era solo un altro degli innumerevoli tentativi di forzare il grande flusso della storia naturale e umana, dall’ameba all’uomo contemporaneo e oltre, attraverso gli anelli chiusi delle categorie eterne – anelli che hanno realtà solo come segni nel cervello degli uomini. Un pedante.

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