A cura di Jean-Claude Martini.
Indice
Il culto della personalità
[Il poeta rivoluzionario Kim Hyok] ripeteva spesso: la più grande gioia della mia vita è l’aver trovato dei buoni compagni. Questa esperienza lo ha spinto a comporre La stella della Corea, che diffuse tra le organizzazioni rivoluzionarie.
All’inizio io non sapevo nulla di tutto questo. A Xinantun ascoltai dei giovani canticchiare quel canto.
A mia insaputa, avendone discusso con Cha Kwang Su, Choe Chang Gol, Kim Hyok l’aveva composta e diffusa a Jilin e nei sobborghi della città. Lo rimproverai aspramente di essersi permesso di paragonarmi ad una stella e di onorarmi con un canto.
In quello stesso periodo, a causa del canto La stella della Corea, i miei compagni cominciarono a chiamarmi “Han Byol”. Mi avevano dato questo nome, non tenendo conto della mia volontà e mi chiamavano “Han Byol”! In cinese significa “Il Sung”, che vuol dire “una stella”.
Pyon Tae U e altri anziani di Wujiazi, Choe Il Chon e altri giovani comunisti avevano preso l’iniziativa di cambiare questo nome con un omonimo che significava “il sole”. Con i miei compagni avevano deciso di chiamarmi Kim Il Sung.
È per questo che portavo tre nomi: “Song Ju”, “Han Byol” e “Il Sung”.
Kim Song Ju è il nome che mi ha dato mio padre.
Nella mia infanzia venivo chiamato Jung Son. La mia bisnonna mi aveva chiamato così quando era ancora viva, e quel nome mi restò.
Tenevo molto al nome che mi aveva dato mio padre, e non amavo questo altro nome, tanto più che mi si voleva innalzare, io che ero ancora giovane, paragonandomi ad una stella o al sole.
Tutti i miei rimproveri, tutti i miei sforzi di persuasione furono vani. I miei compagni conoscevano la mia opinione, ma avevano piacere di usare l’altro nome: Kim Il Sung.
(Kim Il Sung, Opere, vol. 46, Edizioni in Lingue Estere, Pyongyang 2007, p. 94 ed. ing.)
Kim Jong Il fece del suo meglio per far smettere alla gente di chiamarlo “caro dirigente”, affermando di ritenersi soddisfatto di restar fedele al Paese e al popolo, ma questi continuò a chiamarlo così di propria spontanea volontà.
Furono gli artisti e i letterati che iniziarono a chiamarlo “caro dirigente”.
Beneficiando prima di chiunque altro della sua direzione ai tempi della rivoluzione nella cinematografia, essi lo rispettavano come loro maestro e usarono dapprima un titolo onorifico che faceva riferimento alla sua posizione elevata. Ogniqualvolta lo impiegavano, Kim Jong Il tentava di dissuaderli, dicendo che l’appellativo di “compagno” era più intimo e affidabile, e che egli era solo un semplice militante del Partito che portava a compimento la causa rivoluzionaria di Kim Il Sung assieme a loro.
(Biografia di Kim Jong Il, vol. 2, Edizioni in Lingue Estere, Pyongyang 2006, pp. 3-4 ed. ing.)
I revisionisti moderni descrivono il leader come un semplice individuo ed etichettano la fedeltà e la fiducia delle masse popolari nei suoi confronti come “culto della personalità”, un oltraggio nei suoi riguardi. È un sofisma volto a contrapporre il leader alle masse.
Le masse popolari e il leader formano un’unità monolitica. La fedeltà al leader beneficia sia l’individuo che la collettività.
(Kim Jong Il, Opere scelte, vol. 1, Edizioni in Lingue Estere, Pyongyang 2014, p. 323 ed. fr.)
Il presidente eterno
La Costituzione socialista emendata stipulava espressamente che Kim Il Sung sarebbe stato riverito come Presidente eterno della Repubblica e chiarificava il carattere e la missione di quest’ultima quale Repubblica di Kim Il Sung, dichiarando che le idee e le gesta del Leader dovranno essere fatte proprie e portate avanti. La nuova Costituzione socialista della RPDC è la Costituzione di Kim Il Sung, che traduce in forma di legge le idee e le gesta jucheane del Leader nell’edificazione della nazione.
(Biografia di Kim Jong Il, vol. 3, Edizioni in Lingue Estere, Pyongyang 2008, p. 95 ed. ing.)