A cura di Jean-Claude Martini.
In soli quattro anni la Rivoluzione realizza l’80% del “Programma popolare di sviluppo”. Sanità, educazione, infrastrutture e rispetto dell’ambiente ne sono il cuore. “Un villaggio una scuola, un villaggio un presidio medico-sanitario, un villaggio un campo sportivo”. Vengono formati ostetriche e agenti sanitari, forniti di biciclette, medicine, le poche disponibili, strumenti medici. In ogni villaggio si trova la capanna sanitaria. Il personale viene formato con corsi di tre mesi, come nella Cina Popolare. Le campagne di vaccinazione sono portentose: morbillo, meningite, febbre gialla, toccano più di due milioni di bambini. Anche l’UNICEF, commosso, deve riconoscere i meriti del marxista Sankara, nonostante l’irritazione di molti altri organismi internazionali, a partire dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale, che disapprovano le politiche della Rivoluzione burkinabé.
I risultati sono strepitosi, la mortalità infantile viene abbattuta. Come a Cuba nel 1961 si lanciano campagne di alfabetizzazione per sradicare l’analfabetismo. Nelle campagne, nella stagione secca si mandano studenti e insegnanti rivoluzionari, dei pochi docenti diplomati una buona parte vengono licenziati, perché fanno mercimonio dei titoli di studio e pensano ai soldi e non ai saperi che sono chiamati a trasmettere creativamente e in forma partecipativa ai giovani e ai tanti anziani senza scolarizzazione. Vengono fondati settemila campi sportivi, sono campi da calcio, a volte con una pista per l’atletica attorno. Non hanno tribune, muri di cinta o spogliatoi, sono semplici campi di gioco, ma sono i primi, sono il segno che l’attività sportiva è bella e importante, ed è un diritto.
Contro la desertificazione che avanza ogni anno, chilometro dopo chilometro, Sankara lancia le tre lotte: contro il taglio degli alberi, contro il pascolo di animali erranti di proprietà di estranei alle comunità locali e quindi non interessati al mantenimento della fertilità della terra, contro l’incendio della savana, praticato da incauti cacciatori e da contadini convinti della possibile trasformazione delle savane, che invece diventavano subito deserto.
(Davide Rossi, Thomas Sankara. La rivoluzione in Burkina Faso 1983-1987, PGreco Edizioni, Milano 2017, p. 38)
Pochi dati bastano a descrivere l’ex Alto Volta. Un paese di sette milioni di abitanti, più di sei milioni dei quali sono contadini; un tasso di mortalità infantile stimato al 180 per mille; un’aspettativa di vita media di soli 40 anni; un tasso di analfabetismo del 98%, se definiamo alfabetizzato colui che sa leggere, scrivere e parlare una lingua; un medico ogni 50.000 abitanti; un tasso di frequenza scolastica del 16%; infine un prodotto interno lordo pro capite di 53.356 franchi CFA, cioè poco più di 100 dollari per abitante. La diagnosi era cupa ai nostri occhi. La causa della malattia era politica. Solo politica poteva dunque essere la cura. Naturalmente incoraggiamo l’aiuto che ci aiuta a superare la necessità di aiuti. Ma in generale, la politica dell’aiuto e dell’assistenza internazionale non ha prodotto altro che disorganizzazione e schiavitù permanente, e ci ha derubati del senso di responsabilità per il nostro territorio economico, politico e culturale.
(Ibidem, pp. 44-45)
Dal punto di vista della pianificazione economica, stiamo imparando a vivere con modestia e siamo pronti ad affrontare quell’austerità che ci siamo imposti per poter sostenere i nostri ambiziosi progetti. Già ora, grazie a un fondo di solidarietà nazionale alimentato da contributi volontari, stiamo cominciando a trovare risposte all’enorme problema della siccità. Abbiamo sostenuto ed applicato i principi di Alma Ata aumentando il nostro livello dei servizi sanitari di base. Abbiamo fatto nostra come politica di Stato la strategia del GOBI FFF consigliata dall’UNICEF; pensiamo che le Nazioni Unite dovrebbero utilizzare il proprio ufficio nel Sahel per elaborare piani a medio e lungo termine che permettano ai paesi che soffrono per la siccità di raggiungere l’autosufficienza alimentare.
In vista del XXI secolo abbiamo lanciato una grande campagna per l’educazione e la formazione dei nostri bambini in un nuovo tipo di scuola, finanziato da una sezione speciale della nostra lotteria nazionale “istruiamo i nostri bambini”. E, grazie al lavoro dei Comitati per la difesa della rivoluzione, abbiamo lanciato un vasto progetto di costruzione di case pubbliche (500 in cinque mesi), strade, piccoli bacini idrici ecc. Il nostro obiettivo economico è creare una situazione in cui ogni burkinabé possa impiegare le proprie braccia ed il proprio cervello per produrre abbastanza da garantirsi almeno due pasti al giorno ed acqua potabile.
(Ibidem, p. 45)