Lo sterminio dei nativi americani

A cura di Eros R.F., dagli articoli di Giulio Chinappi, Raffaella Milandri,

Non se ne parla mai abbastanza del genocidio più grande e vergognoso della storia: lo sterminio dei nativi nel Nord America.

Excursus storico sul termine “genocidio”

Il termine “genocidio”, composto dall’antica parola greca genos (razza, nazione o tribù) e dal latino caedere (“uccisione, annientamento”), fu coniato per la prima volta da Raphael Lemkin, giurista ebreo polacco, nel suo libro del 1944 Dominio dell’Asse nell’Europa occupata. In origine significa “la distruzione di una nazione o di un gruppo etnico”.

Nel 1946, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (ONU) definì il genocidio come un crimine ai sensi del diritto internazionale nella risoluzione 96, che affermava che “il genocidio è una negazione del diritto all’esistenza di interi gruppi umani, poiché l’omicidio è la negazione del diritto di vivere dei singoli esseri umani; tale negazione del diritto di esistenza sconvolge la coscienza dell’umanità… ed è contraria alla legge morale e allo spirito e agli obiettivi delle Nazioni Unite”.

Il 9 dicembre 1948, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite adottò la Risoluzione 260A, o la Convenzione sulla prevenzione e la punizione del crimine di genocidio entrata in vigore il 12 gennaio 1951. La risoluzione osservava che “in tutti i periodi della storia il genocidio ha inflitto grandi perdite all’umanità”. L’articolo II della Convenzione definisce chiaramente il genocidio come uno qualsiasi dei seguenti atti commessi con l’intento di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, in quanto tale: (a) uccidere i membri del gruppo; (b) causare gravi danni fisici o mentali ai membri del gruppo; (c) infliggere deliberatamente al gruppo condizioni di vita atte a provocarne la distruzione fisica in tutto o in parte; (d) imporre misure volte a prevenire le nascite all’interno del gruppo; (e) trasferire forzatamente i bambini dei gruppi a un altro gruppo. Gli Stati Uniti hanno ratificato la Convenzione nel 1988.

Il genocidio è anche chiaramente definito nel diritto interno degli Stati Uniti. Il Codice degli Stati Uniti, nella Sezione 1091 del Titolo 18, definisce il genocidio come attacchi violenti con l’intento specifico di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, definizione simile alla Convenzione sulla prevenzione e la punizione del reato di genocidio.

Una sintesi

Secondo documenti storici e resoconti dei media, sin dalla loro fondazione, gli Stati Uniti hanno sistematicamente privato gli indiani dei loro diritti alla vita e dei diritti politici, economici e culturali fondamentali attraverso uccisioni, deportazioni e assimilazione forzata, nel tentativo di sradicare fisicamente e culturalmente questo gruppo. Ancora oggi, gli indiani devono affrontare una grave crisi esistenziale.

Secondo il diritto internazionale e il suo diritto interno, ciò che gli Stati Uniti hanno fatto agli indiani copre tutti gli atti che definiscono il genocidio e costituisce indiscutibilmente un genocidio. La rivista americana Foreign Policy ha commentato che i crimini contro i nativi americani sono pienamente coerenti con la definizione di genocidio secondo l’attuale diritto internazionale.

Il profondo peccato del genocidio è una macchia storica che gli Stati Uniti non potranno mai cancellare, e la dolorosa tragedia degli indiani è una lezione storica che non dovrebbe mai essere dimenticata.

Guerre di sterminio

Azione di governo

Il 4 luglio 1776, gli Stati Uniti d’America furono fondati con la Dichiarazione di Indipendenza, che affermava apertamente che “Lui (il re britannico) ha suscitato insurrezioni interne tra noi, e si è sforzato di attirare gli abitanti delle nostre frontiere, gli spietati selvaggi indiani”, e calunniava i nativi americani come “gli spietati selvaggi indiani”.

Il governo e i leader degli Stati Uniti hanno trattato i nativi americani credendo nella superiorità e supremazia dei bianchi, si sono proposti di annientare gli indiani e hanno tentato di sradicarne la razza attraverso il “genocidio culturale”.

Durante la Guerra d’Indipendenza americana (1775-1783), la Seconda Guerra d’Indipendenza (1812-1815) e la Guerra Civile (1861-1865), i leader statunitensi, desiderosi di trasformare la propria economia delle piantagioni in aggiunta al colonialismo europeo e all’espansione dei loro territori, presero di mira le vaste terre indiane e lanciarono migliaia di attacchi alle tribù indiane, massacrando capi indiani, soldati e persino civili e prendendo per sé le terre indiane.

Nel 1862, gli Stati Uniti promulgarono l’Homestead Act, che prevedeva che ogni cittadino americano di età superiore ai 21 anni, con una semplice tassa di registrazione di 10 dollari USA, non potesse acquisire più di 160 acri (circa 64,75 ettari) di terra nell’ovest. Attirati dalla terra, i bianchi sciamarono nelle aree indiane e diedero inizio a un massacro che provocò la morte di migliaia di indiani.

I leader del governo degli Stati Uniti a quel tempo affermarono apertamente che la pelle degli indiani poteva essere rimossa per farne stivali alti, che gli indiani dovevano essere annientati o portati in posti dove nessuno sarebbe andato, che gli indiani dovevano essere spazzati via rapidamente e che solo gli indiani morti erano buoni indiani. I soldati americani consideravano il massacro degli indiani una cosa naturale, anzi un onore, e non si sarebbero fermati finché non fossero stati tutti uccisi. Simili retorica sull’odio e atrocità abbondano e sono ben documentate in molte monografie sullo sterminio dei nativi americani.

Sanguinosi massacri e atrocità

Da quando i coloni avevano messo piede in Nord America, avevano sistematicamente ed estensivamente cacciato i bisonti americani, tagliando lafonte di cibo e sostentamento di base degli indiani ecausando la loro morte di fame in gran numero.

Le statistiche rivelano che, dalla sua indipendenza nel 1776, il governo degli Stati Uniti ha lanciato oltre 1.500 attacchi contro tribù indiane, massacrando gli indiani, prendendo le loro terre e commettendo innumerevoli crimini. Nel 1814, il governo degli Stati Uniti decretò che avrebbe attribuito da 50 a 100 dollari per ogni teschio indiano consegnato, cioè dai 887 ai 1.774 dollari attuali [2024]. Lo storico americano Frederick Turner ha riconosciuto in The Significance of the Frontier in American History, pubblicato nel 1893, che ogni frontiera è stata conquistata da una serie di guerre contro gli indiani.

La corsa all’oro in California portò anche al massacro della California. Peter Burnett, il primo governatore della California, propose una guerra di sterminio contro i nativi americani, innescando crescenti appelli per lo sterminio degli indiani nello Stato. In California negli anni Cinquanta e Sessanta dell’Ottocento, un cranio o uno scalpo indiano valeva 5 dollari (89 attuali, 2024), mentre il salario medio giornaliero era di 25 centesimi. Dal 1846 al 1873, la popolazione indiana in California è scesa da 150.000 a 30.000. Innumerevoli indiani morirono a causa delle atrocità. Alcuni dei principali massacri includono:

  • Nel 1811, le truppe americane sconfissero il famoso capo indiano Tecumseh e il suo esercito nella battaglia di Tippecanoe, bruciarono la capitale indiana Prophetstown e commisero brutali massacri.
  • Dal novembre 1813 al gennaio 1814, l’esercito americano lanciò la guerra dei Creek contro i nativi americani, nota anche come battaglia di Horseshoe Bend. Il 27 marzo 1814, circa 3.000 soldati attaccarono gli indiani Creek a Horseshoe Bend, nel territorio del Mississippi. Oltre 800 guerrieri Creek furono massacrati nel combattimento e, di conseguenza, la forza militare dei Creek fu significativamente indebolita. In base al Trattato di Fort Jackson firmato il 9 agosto dello stesso anno, i Creek cedettero più di 23 milioni di acri di terra al governo federale degli Stati Uniti.
  • Il 29 novembre 1864, il pastore John Chivington massacrò gli indiani a Sand Creek, nel Colorado sudorientale, a causa dell opposizione di alcuni indiani alla firma di un accordo di concessione di terreni. Fu uno dei massacri più famosi di nativi americani. Maria Montoya, professoressa di storia alla New York University, ha detto in un’intervista che i soldati di Chivington hanno scalpato donne e bambini, li hanno decapitati e li hanno fatti sfilare per le strade al loro ritorno a Denver.
  • James Anaya, ex relatore speciale delle Nazioni Unite sui diritti dei popoli indigeni, ha presentato il suo rapporto dopo una visita in campagna negli Stati Uniti nel 2012. Secondo i resoconti dei discendenti delle vittime del massacro di Sand Creek, nel 1864 circa 700 uomini armati statunitensi hanno fatto irruzione e sparato a Cheyenne e Arapaho che vivevano nella riserva indiana di Sand Creek in Colorado. I resoconti dei media hanno mostrato che il massacro ha provocato la morte tra 70 e 163 dei circa 200 membri tribali. Due terzi dei morti erano donne o bambini e nessuno fu ritenuto responsabile del massacro. Il governo degli Stati Uniti ha raggiunto un accordo di compensazione con i discendenti delle tribù, che non è stato ancora onorato a questo giorno [2024].
  • Il 29 dicembre 1890, vicino al Wounded Knee Creek in South Dakota, le truppe statunitensi hanno sparato contro gli indiani, uccidendo e ferendo più di 350 persone secondo il Congressional Record degli Stati Uniti. Dopo il massacro di Wounded Knee, la resistenza armata indiana fu in gran parte repressa. Circa 20 soldati statunitensi hanno ricevuto la medaglia d’onore.
  • Nel 1930, l’Ufficio per gli affari indiani degli Stati Uniti iniziò a sterilizzare donne indiane attraverso il programma del servizio sanitario indiano. La sterilizzazione è stata condotta in nome della tutela della salute delle donne indiane e, in alcuni casi, anche all’insaputa delle donne. Le statistiche suggeriscono che all’inizio degli anni ’70, oltre il 42% delle donne indiane in età fertile sono state sterilizzate. Ciò ha portato alla quasi estinzione di molte piccole tribù. Nel 1976, circa 70.000 donne indiane erano state sterilizzate con la forza.

Espansione verso ovest e deportazione forzata

All’inizio, gli Stati Uniti consideravano le tribù indiane come entità sovrane e le trattavano in materia di terra, commercio, giustizia e altre questioni in gran parte attraverso trattati negoziati e, occasionalmente, attraverso guerra. Nel 1840, gli Stati Uniti avevano concluso più di 200 trattati con varie tribù, la maggior parte dei quali erano trattati ineguali che furono raggiunti sotto la pressione militare e politica degli Stati Uniti e attraverso inganno e coercizione, e vincolanti solo per le tribù indiane. I trattati sono stati usati come uno strumento principale per trarre vantaggio dalle tribù indiane.

Nel 1830, gli Stati Uniti approvarono l’Indian Removal Act, che sanciva l’istituzionalizzazione del trasferimento forzato degli indiani nel Paese. La legge privò legalmente le tribù indiane del diritto di vivere negli Stati Uniti orientali, costringendo circa 100.000 indiani a trasferirsi a ovest del fiume Mississippi dalle loro terre ancestrali nel sud. La migrazione è iniziata nella calura estiva ed è proseguita durante l’inverno con temperature sotto lo zero. Percorrendo 16 miglia (25,7 chilometri) ogni giorno, migliaia di persone morivano lungo la strada a causa della fame, del freddo, della stanchezza o delle malattie e della peste. La popolazione indiana fu decimata e la migrazione forzata divenne una “scia di sangue e lacrime”. Le tribù che si rifiutavano di trasferirsi furono lasciate alla soppressione militare, allo sgombero forzato e persino al massacro da parte del governo degli Stati Uniti. Oggi, quel percorso è conosciuto come il Sentiero delle lacrime.

Nel 1839, prima che il Texas entrasse a far parte degli Stati Uniti, il governo chiese che gli indiani rimasti si spostassero immediatamente o che affrontassero l’intera distruzione dei loro beni e lo sterminio della loro tribù. Un gran numero di Cherokee che si rifiutarono di obbedire furono uccisi a colpi di arma da fuoco.

Nel 1863, l’esercito americano attuò una politica di “terra bruciata” per rimuovere con la forza la tribù Navajo, bruciando case e raccolti, massacrando il bestiame e vandalizzando proprietà. Sotto la sorveglianza dell’esercito, i Navajo dovettero percorrere a piedi diverse centinaia di chilometri fino a una riserva nel New Mexico orientale. Le donne incinte e gli anziani rimasti indietro sono stati uccisi sul posto.

A metà del XIX secolo, quasi tutti gli indiani d’America furono deportati a ovest del fiume Mississippi e costretti dal governo degli Stati Uniti a vivere nelle riserve dei nativi americani.

Come è stato scritto nella Cambridge Economic History of the United States, a seguito dell’espulsione forzata da parte del governo degli Stati Uniti degli ultimi indiani nell’est, solo un numero molto ristretto di indiani che erano singoli cittadini della nazione, o quei singoli indiani che si nascosero durante l’espulsione forzata, rimasero nella regione.

Purtroppo, per nascondere questa parte della storia, gli storici statunitensi spesso glorificano l’espansione verso ovest come la ricerca dello sviluppo economico da parte del popolo americano nella frontiera occidentale, affermando che ciò abbia accelerato il “miglioramento della democrazia americana”, ha aumentato la prosperità economica e ha contribuito alla formazione e allo sviluppo dello spirito nazionale americano. Non fanno menzione del brutale massacro dei nativi americani.

In effetti, fu dopo l’espansione verso ovest che la civiltà in erba delle Americhe fu distrutta e che gli indiani, dall’essere una delle numerose principali razze umane, affrontarono la completa estinzione.

Il conteggio dei morti

Sono decenni che il mondo accademico si interroga sulla stima reale di quello che sia costato in vite umane l’arrivo degli Europei nelle Americhe e l’impatto successivo della dominazione. Le recenti conclusioni dei ricercatori dell’University College London, guidati da Alexander Koch, sono state pubblicate su vari articoli accademici e in una intervista al Business Insider: “Tra il 1492 e il 1600, il 90% delle popolazioni indigene nelle Americhe è morto. Ciò significa che circa 55 milioni di persone sono morte a causa di guerre, violenza e di agenti patogeni mai visti prima, come vaiolo, morbillo e influenza”.

A questa stima vanno aggiunti i Nativi morti tra il 1600 e il 1900, quindi già in “regime” di convivenza e di dominazione degli Europei e dei nuovi Stati da essi creati, e qui la valutazione di vari studiosi oscilla da poche centinaia di migliaia a decine di milioni di morti. Cito qui una frase del 1775 del capo Cherokee Tsi’ yu-gunsini o Dragging Canoe: “Intere nazioni indiane si sono sciolte come palle di neve al sole davanti all’avanzata dell’uomo bianco. Hanno lasciato solo il nome del nostro popolo (…). Verrà proclamata l’estinzione dell’intera razza”.

Nella seconda metà dell’Ottocento alcune fazioni del Congresso statunitense sostennero un vero e proprio sterminio fisico dei popoli nativi; gli “amici” degli indiani, come Pratt della Carlisle Industrial School, sostennero un genocidio soprattutto culturale. Carl Schurz, un ex commissario per gli Affari Indiani, concluse che i popoli nativi avessero “questa severa alternativa: sterminio o civilizzazione”. Henry Pancoast, un avvocato di Filadelfia, sostenne una politica simile nel 1882. Affermò: “Dobbiamo macellarli o civilizzarli, e quello che decidiamo di fare, dobbiamo farlo rapidamente”. L’opera di civilizzazione contemplava, in effetti, una azione decisa per far loro dimenticare cultura, linguaggio e origini e farli diventare “bianchi”.

Concentriamoci ora sugli Stati Uniti. Il professor David Michael Smith della University of Houston, che riporta gli studi, tra gli altri, di Russell Thornton e David Stannard, sottolinea come anche dal 1900 in poi le morti non naturali non si siano fermate. “Le morti di Nativi che si sono verificate negli Stati Uniti dal 1900 in poi, a causa dell’eredità del colonialismo e del razzismo istituzionalizzato contemporaneo devono essere conteggiate. Il numero totale di morti indigene è stato causato da guerre, repressioni e violenze razziste, ma anche dalle dure condizioni economiche e sanitarie. La scarsità di informazioni statistiche sulle nascite, i decessi e la mortalità degli Indigeni per gran parte del ventesimo secolo rende impossibile stimare con precisione il numero totale di morti in eccesso. Una stima di almeno 200.000 decessi totali attribuibili all’eredità del colonialismo e del razzismo istituzionalizzato dal 1900 in poi è molto prudente”.

Per alzare realisticamente le cifre è sufficiente pensare alla sterilizzazione forzata delle donne native americane, terminata (speriamo) alla fine degli anni Settanta, di cui vi parlerò in un prossimo articolo. Oppure alle scuole residenziali indiane, terminate alla fine degli anni Novanta, di cui vi ho raccontato in un articolo precedente. Tutti strumenti di morte creati negli Stati Uniti dove, peraltro, si è iniziato già agli albori con le coperte infette di vaiolo e la famosa “acqua di fuoco”.

La domanda è: perché la parola genocidio non viene automaticamente associata ai Nativi Americani? La risposta è semplice. Come molti media evitano accuratamente di divulgare informazioni sulle condizioni passate e presenti dei Nativi Americani, a maggior ragione non si parla di genocidio, che stona terribilmente con la “terra della libertà”. Approfitto per ringraziare L’Antidiplomatico per avermi dato lo spazio di questa rubrica per parlare di tematiche tanto scottanti quanto evidenti.

Critiche interne a lungo ignorate dal governo degli Stati Uniti sul genocidio degli indiani d’America

In primo luogo, la comunità accademica ha una visione condivisa su tale questione. Dagli anni ’70, gli accademici americani hanno iniziato a usare il termine “genocidio” per denunciare le politiche statunitensi nei confronti degli indiani d’America. Negli anni ’90, American Holocaust: The Conquest of the New World di David E. Stannard, professore all’Università delle Hawaii, e A Little Matter of Genocide di Ward L. Churchill, ex professore all’Università del Colorado, hanno suscitato shock nella comunità accademica. Blood and Soil: A World History of Genocide and Extermination from Sparta to Darfur di Ben Kiernan, professore all’Università di Yale, ha fornito un breve resoconto dei genocidi commessi dagli Stati Uniti contro gli indiani d’America in diverse fasi storiche. E An American Genocide: The United States and the California Indian Catastrophe, 1846-1873 di Benjamin Madley, professore associato all’UCLA, ha portato alla luce i massacri di nativi americani da parte del governo degli Stati Uniti durante la corsa all’oro in California.

Roxanne Dunbar-Ortiz, una storica americana dedita allo studio dei popoli indigeni, ha concluso che tutti e cinque gli atti di genocidio elencati nella Convenzione sulla prevenzione e la punizione del crimine di genocidio possono essere trovati nei crimini commessi dagli Stati Uniti contro gli indiani d’America. I nativi americani sono senza dubbio vittime del genocidio ed è importante ammettere che le politiche statunitensi nei confronti degli indiani d’America sono, in realtà, atti di genocidio.

In secondo luogo, i media hanno chiesto un cambiamento su questo tema. Un articolo pubblicato sul New York Times riportava che l’UC Hastings College of the Law prendeva il nome da un autore di genocidio, il che ha accelerato il processo di modifica del nome del college. Secondo ABC News, le aspirazioni dei nativi americani vanno dalle pretese di sovranità al far sentire la loro voce. Alcuni intervistati hanno affermato che il furto della terra degli indiani d’America e l’annullamento delle lingue indigene erano in realtà genocidi sistemici. Il Washington Post ha pubblicato un articolo accusando gli Stati Uniti di non aver mai ammesso formalmente di aver adottato politiche genocide nei confronti delle popolazioni indigene. Un articolo di politica estera chiedeva che gli Stati Uniti riconoscessero il loro genocidio degli indiani d’America. Bounty, un documentario pubblicato nel novembre 2021, in cui alcuni nativi americani sono stati invitati a leggere documenti storici ufficiali sugli Stati Uniti che promettevano un’alta ricompensa per lo scalpo degli indiani d’America, ha anche innescato riflessioni sulle atroci politiche genocide nel Paese.

Quando l’azione affermativa divenne prevalente dopo la seconda guerra mondiale, la società americana iniziò a riflettere sulla questione degli indiani d’America. Il governo ha approvato una risoluzione chiedendo scusa agli indigeni. Nel 2019, Gavin Newsom, governatore della California, ha rilasciato una dichiarazione per scusarsi con la popolazione indigena della California, ammettendo che le azioni dello Stato contro le tribù indiane a metà del 19° secolo costituivano genocidio.

Tuttavia, la riflessione del governo degli Stati Uniti sembra più una “trovata politica”. Esso non ha ufficialmente ammesso che le atrocità contro i nativi americani siano atti di genocidio. I veri cambiamenti sembrano ancora lontani.

Per riassumere, le successive amministrazioni statunitensi non solo hanno spazzato via un gran numero di indiani d’America, ma anche, attraverso la progettazione sistematica di politiche e atti di bullismo di repressione culturale, li hanno gettati in una situazione irreversibile e difficile. La cultura indigena è stata fondamentalmente schiacciata e l’eredità intergenerazionale delle vite e degli spiriti indigeni è stata gravemente minacciata. Il massacro, la deportazione forzata, l’assimilazione culturale e il trattamento ingiusto che gli Stati Uniti hanno commesso contro gli indiani d’America hanno costituito de facto dei genocidi. Questi atti corrispondono pienamente alla definizione di genocidio nella Convenzione delle Nazioni Unite sulla prevenzione e la punizione del crimine di genocidio e sono continuati per centinaia di anni fino ad oggi. È imperativo che il governo degli Stati Uniti abbandoni la sua ipocrisia e i suoi doppi standard sulle questioni dei diritti umani e prenda sul serio i gravi problemi razziali e le atrocità nel proprio Paese.

Sterilizzazione forzata

Tra il 1970 e il 1980, il 42% delle donne native americane fu sterilizzato contro il proprio consenso. Al piano governativo statunitense diede il via, il 16 marzo 1970, la firma dell’allora Presidente Richard Nixon.

Eugenetica e selezione della razza dominante

Tra i diversi strumenti usati dal Governo statunitense per risolvere il cosiddetto “problema indiano” abbiamo visto, nei miei precedenti articoli, l’istituzione delle riserve e le scuole residenziali indiane. Ma ce ne sono altri, recenti e malefici. Il più subdolo, la sterilizzazione forzata, ci fa tornare subito in mente l’eugenetica e i laboratori nazisti.

L’arrivo del darwinismo esaltò le correnti razziste e sessiste che avevano preso piede all’inizio del XIX secolo. Lo studioso statunitense E. D. Cope identificò quattro gruppi inferiori nella scala evolutiva dell’uomo: i non-bianchi, le donne, i bianchi del sud Europa, inclusi Italiani ed Ebrei, e le classi sociali inferiori. Queste correnti di pensiero crearono il movimento eugenetico. Sir Francis Galton, un cugino di Darwin, decretò che la riproduzione umana doveva essere regolamentata per assicurare ai “migliori”, specialmente delle classi alte, la possibilità di dominare. Nel 1912 a Londra si tenne il primo Congresso Internazionale sulla eugenetica, cui parteciparono anche Winston Churchill e scienziati italiani ispirati dalle teorie degenerazioniste di Lombroso.

Sebbene le tendenze di Churchill siano state rimosse dalla sua biografia, oggi molte fonti citano i suoi discorsi: “Non sono d’accordo che il cane nella mangiatoia abbia il diritto finale alla mangiatoia, anche se vi è stato per un tempo molto lungo. Non ammetto quel diritto. Non ammetto, ad esempio, che un grande male sia stato fatto ai Rossi Indiani d’America o al popolo nero d’Australia. Non ammetto che un male sia stato fatto a questa gente perché una razza più forte, una razza di più alto livello, una razza più saggia nel mondo è arrivata e ha preso il loro posto” (Discorso alla Peel Commission 1937). In gran parte dell’Europa occidentale e negli Stati Uniti furono applicati provvedimenti di carattere eugenetico, a partire dalla fine dell’Ottocento: sia con una legislazione volta a indirizzare le scelte riproduttive, sia attraverso la sterilizzazione forzata e la rimozione degli “elementi negativi” per la razza. In Italia la sterilizzazione forzata non fu mai approvata, grazie all’opposizione della Chiesa Cattolica.

Nel movimento eugenetico americano, in quegli anni, Carl Brigham faceva notare come l’immigrazione nel paese “scendesse” di qualità: meno sangue superiore nordico, “ariano”, e più sangue inferiore mediterraneo. Le razze inferiori furono additate come parassiti umani e “schifosi, non-Americani e pericolosi”. Il movimento eugenetico promosse a quel punto la sterilizzazione degli “inadatti” e Harry Laughlin disegnò una proposta di legge per la sterilizzazione, che fu adottata in diversi stati americani. Grazie a queste leggi, che erano espressamente rivolte a “epilettici, disabili mentali, alcolizzati, drogati e criminali”, almeno 50.000 sterilizzazioni furono eseguite negli Stati Uniti entro il 1940. Ma il peggio doveva ancora venire.

Anche se le azioni di Hitler avrebbero dovuto far impallidire e vergognare qualunque simpatizzante dell’eugenetica. In merito alla tempesta di sterilizzazioni che travolse migliaia di donne americane e migliaia di donne native americane, così dichiarava nel 1978 il Dipartimento della Salute americano: “La sterilizzazione volontaria è legale in tutti gli stati. Pur se la maggior parte degli stati non ha uno statuto che regola questa pratica, più della metà autorizza la procedura attraverso l’opinione degli avvocati, o le decisioni dei giudici, o regole del Dipartimento della Salute, o implicitamente attraverso il consenso degli interessati”. Proprio l’IHS, Indian Health Service, che avrebbe dovuto prendersi cura della salute dei Nativi Americani, ebbe una parte fondamentale nella sterilizzazione delle donne native americane; solo le ripetute grida di denuncia di genocidio poterono fermare questo abominio.

La cosiddetta “pianificazione familiare” degli Stati Uniti, il Family Planning

Il programma di sterilizzazione forzata, presumibilmente, fu scoperto da membri dell’American Indian Movement durante l’occupazione del Quartier Generale del Bureau of Indian Affairs nel 1972. Nel 1974 uno studio condotto dal WARN (Women of All Red Nations) concluse che fino allora il 42% delle donne native americane in età fertile fosse stato sterilizzato senza consenso.

Il 16 marzo 1970 Nixon firmò il Family Planning Services and Population Research Act. Si intende con Family Planning (pianificazione familiare) la progettazione del controllo delle nascite, nel presupposto di aiutare una coppia ad avere bambini nel modo migliore, o a non averli se così decidono. La legge fu richiesta dalla amministrazione del governo nel luglio 1969, per siglare un impegno nazionale che provvedesse un adeguato servizio di pianificazione familiare a tutti coloro che lo richiedessero, ma non potessero permetterselo. Il Presidente Nixon dichiarò pubblicamente che però era contrario all’aborto e in questo programma non ci sarebbero stati fondi o servizi per l’aborto come soluzione al controllo delle nascite.

Dal 1970, la sterilizzazione è divenuta il più comune sistema di controllo delle nascite per donne oltre i 25 anni negli Stati Uniti. Tra il 1970 e il 1980, le sterilizzazioni triplicarono. Nel 1982, il 15% delle donne bianche, il 24% delle afro-americane, il 35% delle donne portoricane e, in vetta alla triste classifica, il 42% delle donne native americane era stato sterilizzato. Nei primi anni ’70, una stima di 100.000/ 150.000 individui, inclusi uomini a basso reddito, venivano ogni anno sterilizzati sotto i programmi finanziati dal governo statunitense. Come in passato, i pregiudizi sociali e l’ideologia di una classe prevalentemente razzista consentirono che ciò avvenisse. 

Il National Women’s Law Center (NWLC) denuncia in un report del 2022 che in oltre 30 stati americani è tuttora legale la sterilizzazione forzata. Si autorizza la procedura sulla base dell’opinione del giudice, o del Procuratore Generale, o leggi dell’Health and Welfare Department, o attraverso il consenso dell’interessato. Negli anni ’70 la sterilizzazione fu praticata attraverso scappatoie: “consensi” strappati o giocati su poca chiarezza, ricatti, bugie. Quindi sterilizzazione non consensuale. Molte donne erano classificate come “cattive ragazze”, o diagnosticate come “focose”, “maniache assatanate” o “sessualmente difficili”. La sentenza del caso Buck vs. Bell deliberò che, se lo statuto di uno stato permetteva la sterilizzazione obbligatoria sugli inabili, inclusi i “ritardati mentali”, per la protezione e la salute dello Stato, non violava il Quattordicesimo Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti in difesa dei diritti civili. La “Eugenetica Negativa” intendeva migliorare la razza umana eliminando “difetti” dal patrimonio genetico. E spalancò le voragini per migliaia di persone che furono sterilizzate contro la propria volontà o perseguitate come sub-umani.

Il “trapianto di utero”

Una giovane donna indiana di ventisei anni entrò nello studio della dott.ssa Connie Pinkerton-Uri, a Los Angeles, in un giorno di novembre del 1972. E chiese un “trapianto di utero”, per poter avere dei bambini con suo marito. Un medico del Servizio Sanitario Indiano le aveva praticato un’isterectomia completa sei anni prima, quando lei aveva avuto problemi di alcolismo. E le aveva assicurato che l’isterectomia era reversibile. La dottoressa Pinkerton dovette dire alla donna piangente la verità: non esisteva nessun “trapianto di utero”.

Due giovani donne indiane entrarono nell’ospedale del Servizio Sanitario Indiano del Montana per appendicite, in un giorno di ottobre del 1970, e ricevettero un “servizio extra gratuito”: la legatura delle tube. Bertha Medicine Bull, membro della tribù dei Northern Cheyenne, riporta: “Le due ragazze sono state sterilizzate all’età di quindici anni, senza consenso e senza dir loro nulla. Né avvisare i loro genitori”.

In un caso di molestie sessuali in Oklahoma, nella struttura di Claremont, a una donna nativa fu detto da assistenti sociali e da altro personale dell’ospedale che era una cattiva madre, e che le avrebbero portato via i suoi bambini. Avrebbero dato in affidamento i suoi bambini se non avesse accettato di sottoporsi alla sterilizzazione. Ho avuto modo pochi anni fa di raccogliere dal vivo testimonianze di native vittime della sterilizzazione forzata, giovanissime negli anni Ottanta (per approfondire: “La mia Tribù. Storie autentiche di Indiani d’America”, Raffaella Milandri, Mauna Kea Edizioni).

Mentre, sull’onda dei movimenti pacifisti del ’68 e post-vietnam degli anni ’70, il cinema americano iniziava a “riscattare” gli indiani con pellicole come Soldato Blu e Un uomo chiamato cavallo, rendendo finalmente giustizia laddove i ”pellirosse” erano sempre stati “i cattivi”, veniva attuato il Family Planning Act del 1970. Un piano di efferata sterilizzazione forzata e contro la volontà delle donne native americane, e non solo, tra i 15 e i 44 anni. Dopo ripetute proteste e segnalazioni, nel 1976 il Government Accounting Office condusse un’inchiesta che sfociò nel GAO Report. Il GAO Report non verificò se fossero state praticate sterilizzazioni forzate, ma attestò che vi erano stati difetti procedurali, che i moduli di consenso non erano a norma, e che i medici non avevano “compreso” le disposizioni. Diversi moduli di consenso, inoltre, erano stati firmati il giorno dopo la sterilizzazione. Nessuna nativa americana fu chiamata a testimoniare.

Perché avvennero queste sterilizzazioni in tempi non sospetti, a cavallo tra gli anni ‘60 e gli anni ‘80? Non solo su donne indiane, ma in gran misura anche su afro-americane e di razza ispanica. Le ragioni del Governo degli Stati Uniti furono sociali ed economiche. Limitare le nascite in famiglie povere e appartenenti alle minoranze razziali era un “bene” per la società e un aiuto per le famiglie povere, che potevano sopravvivere meglio senza troppi bambini. E si limitavano le spese del Medicaid, il programma di assistenza sanitaria statunitense per i meno abbienti. Vari studi, tra cui quello della dott.ssa Choctaw-Cherokee Connie Pinkerton-Uri rivelano che l’Indian Health Service tra il 1970 e il 1976 sterilizzò dal 25 al 50% di donne native americane, di età compresa fra i 15 e i 44 anni. Prediligendo le donne di puro sangue indiano. E usando spesso minacce e ricatti, o facendo firmare moduli durante il dolore del travaglio. Il giudice tribale Marie Sanchez interrogò 50 donne Cheyenne e scoprì che 26 di esse erano state sottoposte a sterilizzazione forzata dai medici dell’IHS. L’abuso di sterilizzazioni non consensuali afflisse l’intera comunità degli Indiani d’America: un’epidemia di divorzi, alcolismo, abuso di droghe, depressione mise i Nativi Americani per l’ennesima volta in ginocchio, oltre a metterne a rischio la sopravvivenza.

Emily Moore nei suoi studi mette in risalto come, tra i Nativi Americani, i figli siano vitali per la famiglia, ma anche per la sopravvivenza del gruppo e dell’identità tribale. La politica di “controllo delle nascite” dell’IHS produsse una serie di effetti che non sono certo secondari: le comunità tribali, diminuendo di popolazione, ebbero assistenza e servizi ridotti, numero di votanti per le elezioni limitato e un numero minore di rappresentanti che potessero tutelarli. Quindi potere politico minore sia ai consigli tribali e sia al governo. Torna sempre, di fronte a tutto ciò, lo spettro della prima ragione per gli stermini di Nativi Americani: la terra e il denaro. Farli fuori una volta per tutte, tagliare i costi assistenziali e prendere le risorse naturali delle riserve. Un crimine perpetrato con lucidità e determinazione, per “stemperare” il sangue indiano in una tonalità sempre più “bianca.”

Sperimentazioni

Una causa collettiva, certificata all’inizio di febbraio 2024 dalla Corte Suprema della Nova Scotia, in Canada, fa rivivere la dolorosa storia di un governo che ha condotto esperimenti medici sui popoli indigeni e la persistente discriminazione che essi continuano ad affrontare nel sistema sanitario del Paese. Ma facciamo insieme un passo indietro.

Esperimenti sulla popolazione indigena del Canada

A partire dalla fine dell’Ottocento, gli studenti di varie scuole residenziali indiane canadesi (Indian residential schools) furono utilizzati come cavie involontarie in una serie di efferati esperimenti1, e tra questi in studi sull’alimentazione, secondo quanto riportato dalla Truth and Reconciliation Commission of Canada.

Agli studenti veniva somministrato più o meno latte, ad alcuni venivano date compresse di vitamina C (e ad altri no), ad alcuni veniva data farina arricchita di vitamine e ad altri no. L’intento era quello di determinare se questi interventi dietetici riducessero l’incidenza di varie malattie. Ma agli studenti sottoposti agli esperimenti non è mai stata data la possibilità di condividerne i benefici e, in alcuni casi, ai bambini è stato negato l’accesso alle cure dentistiche o agli integratori di ferro. Inoltre, sono stati utilizzati come soggetti di ricerca senza il loro consenso o quello dei loro genitori.

Tali esperimenti sull’alimentazione in particolare sono stati condotti dal Department of Pensions and National Health (oggi Health Canada) negli anni ’40 e ’50. Gli esperimenti sono stati condotti su almeno 1.300 persone indigene in tutto il Canada, di cui circa 1.000 erano bambini. Le molte morti legate agli esperimenti sono state descritte come parte del genocidio canadese delle popolazioni indigene.

Esperimenti sull’alimentazione

Gli esperimenti coinvolgevano indigenti comunità indigene isolate e scuole residenziali indiane ed erano progettati per rilevare l’importanza relativa e i livelli ottimali delle vitamine e degli integratori nutrizionali appena scoperti all’epoca. Essi includevano una malnutrizione deliberata e prolungata e, in alcuni casi, la negazione dei servizi dentistici. Il Governo del Canada era a conoscenza della malnutrizione nelle sue scuole residenziali e ha concesso l’approvazione per l’esecuzione di esperimenti nutrizionali sui bambini2. Gli esperimenti sulla alimentazione condotti sui bambini indigeni nelle scuole residenziali sono venuti alla luce nel 2013 grazie alla ricerca dello storico dell’alimentazione Dr. Ian Mosby.

L’obiettivo inizialmente era quello di indagare i modelli di alimentazione e gli stati nutrizionali degli Indigeni delle comunità scelte, somministrando test fisici, esami del sangue e radiografie. Fu notata una grave malnutrizione, tra le altre anche nelle comunità Cree del nord, dove era presente una alta mortalità infantile (otto volte il tasso nazionale).

Recenti ricerche sulla storia dell’alimentazione hanno indicato che la malnutrizione dei bambini nelle scuole residenziali era intenzionale, come dimostra la consapevolezza del governo canadese della malnutrizione nei bambini delle scuole residenziali prima dell’inizio degli esperimenti3. Altri esperimenti con i bambini indigeni includevano la riduzione deliberata delle razioni di latte a meno della metà della quantità raccomandata per due anni, la fornitura ad alcuni bambini di integratori di vitamine, iodio e ferro, ma non ad altri, il calo indotto dei livelli di vitamina B1, e una scuola non ha fornito alcun integratore ad alcuno studente, al fine di stabilire una linea di base rispetto ai risultati raccolti da altre scuole4.  Nel 1947-48 fu portato avanti il James Bay Survey, che ampliò il precedente studio facendo ricorso a antropologi, medici, un dentista, un fotografo medico e un tecnico dei raggi X. 

Nel 1948, in un comunicato stampa che promuoveva lo studio condotto nelle comunità indigene e nelle scuole residenziali indiane, l’Ufficio canadese degli Affari Indiani, dichiarò: “Gli indigeni hanno abbandonato le abitudini alimentari native dei loro antenati e hanno adottato una dieta che manca di valori alimentari essenziali, li porta alla malnutrizione e li lascia preda della tubercolosi e di altre malattie. L’uomo bianco, che involontariamente è responsabile del cambiamento delle abitudini alimentari degli Indiani, ora sta cercando di salvare l’uomo rosso indirizzandolo verso canali alimentari adeguati…”5.

Racconta un sopravvissuto, Ray Silver, ex studente della scuola residenziale di Alberni, nel British Columbia, alla Truth and Reconciliation Commission of Canada: “Noi bambini, di nascosto dalla scuola, dovevamo camminare per circa un miglio, attraversare di nascosto il ponte e andare a una discarica e raccogliere mele mezze marce, che non erano più buone da vendere, ma noi bambini che stavamo morendo di fame, andavamo lì e raccoglievamo quella roba, riempivamo le nostre magliette e correvamo indietro attraverso il ponte e tornavamo alla scuola”6.

 La causa collettiva del 2018

Una causa collettiva è stata intentata contro il Governo canadese per conto di un gruppo di indigeni che sostengono di essere stati sottoposti a esperimenti medici nelle scuole residenziali indiane e nei sanatori senza il loro consenso. “Procedure mediche ed esperimenti inappropriati sono stati condotti dal Governo del Canada o dai suoi rappresentanti, a partire dagli anni ’30 e fino agli anni ’70”, si legge nella causa, depositata a maggio 2018 in un tribunale del Saskatchewan.

Tony Merchant, avvocato del gruppo Merchant Law, ha dichiarato: “Gli indigeni canadesi sono stati oggetto di test medici forzati e immorali e meritano un risarcimento per questo trattamento crudele”. Ha aggiunto che sono stati praticati su di loro interventi chirurgici diversi dal modo in cui i canadesi non-indigeni venivano trattati. La causa chiede un risarcimento finanziario per gli indigeni colpiti.  C’è da dire che questa non è la prima causa collettiva sul trattamento del Canada nei confronti dei popoli indigeni in relazione alle cure mediche (e alle scuole residenziali e le loro vittime). A gennaio 2018, una donna di Edmonton ha intentato una causa contro il Canada denunciando abusi nei 29 “Ospedali Indiani” per indigeni gestiti dal Governo federale dal 1945 fino alla chiusura dell’ultimo nel 1981. La sua dichiarazione di rivendicazione afferma che i pazienti indigeni hanno subito aggressioni fisiche e sessuali, sono stati privati di cibo e bevande, alimentati a forza con il loro stesso vomito e trattenuti a forza nei loro letti7.

2024: la Pictou Landing First Nation accusa due radiologi di esperimenti medici segreti

Per questa causa, che fa rivivere la dolorosa storia del Canada che conduce esperimenti medici sui popoli indigeni, occorre dire che non è ancora arrivata in tribunale e la leader della Pictou Landing First Nation della tribù Mi’kmaq sta ancora raccogliendo prove e testimonianze per poter procedere e accedere al dibattito.

I membri di questa First Nation affermano nella causa che i radiologi li hanno sottoposti ad uno studio segreto senza che ne fossero a conoscenza o che avessero dato il loro consenso e che li ha fatti sentire “violati e umiliati”. In una dichiarazione di rivendicazione, depositata presso la Corte Suprema della Nova Scotia  nel giugno 2020 e certificata come azione collettiva il 7 febbraio 2024, il Capo Andrea Paul, il principale querelante, afferma che lei e altri 60 membri della Pictou Landing First Nation hanno partecipato a una risonanza magnetica nel marzo 2017 presso il QEII Health Sciences Centre di Halifax per un progetto di ricerca medica amministrato dalla Canadian Alliance for Healthy Hearts and Minds. Ma dopo la fine del test, il personale dell’ospedale di Halifax l’ha trattenuta per un secondo test senza che lei ne fosse a conoscenza o avesse dato il suo consenso. Un anno dopo, Paul, che ricopre anche il ruolo di capo regionale per l’Assemblea delle First Nations in Nova Scotia, ha appreso che due radiologi avevano presumibilmente utilizzato la seconda procedura per condurre l’elastografia a risonanza magnetica per studiare il fegato di soggetti indigeni, senza il loro consenso.

Paul è venuta a conoscenza dei test segreti il 21 giugno 2018 e in seguito ha incontrato Miller e Clarke. Miller, professore associato presso la facoltà di medicina della Dalhousie University e in precedenza presidente dell’Associazione canadese di Radiologia, le avrebbe detto che i risultati erano stati condivisi in una conferenza di radiologia ad Halifax, dopo aver inizialmente negato la divulgazione dei risultati del test. Lo studio era intitolato: “Risultati di risonanza magnetica di malattie del fegato in una prima nazione del Canada Atlantico”(MRI Findings of Liver Disease in an Atlantic Canada First Nations Population).

La causa collettiva ha nominato i radiologi Robert Miller e Sharon Clarke di Halifax come imputati. Né i ricercatori della Canadian Alliance for Healthy Hearts and Minds né i querelanti hanno ricevuto i risultati del test. Nel testo della dichiarazione si legge: “Conoscendo la lunga storia in cui gli Indigeni in Canada sono stati sottoposti a esperimenti medici crudeli… e per confermare il diritto degli Indigeni a possedere e controllare i dati della ricerca sugli Indigeni, il Andrea Paul si è sentita impotente, vulnerabile e discriminata perché Mi’kmaq”. “C’è una sfiducia storica e basata su prove nel sistema sanitario”, si legge nella denuncia, in cui Paul afferma di aver lavorato per convincere i membri della comunità a partecipare all’esame iniziale di risonanza magnetica e che le azioni dei due radiologi sono emblematiche della sfiducia delle comunità indigene.

Paul e 60 membri di Pictou Landing accusano gli imputati per invasione della privacy, detenzione illegale, negligenza, violazione del dovere fiduciario, violazione del contratto, aggressione e percosse per aver presumibilmente tenuto i partecipanti all’interno dello spazio ristretto della macchina per la risonanza magnetica più a lungo di quanto avrebbero dovuto. Inoltre, i radiologi sono accusati di non aver avvisato immediatamente i partecipanti dei gravi problemi di salute scoperti durante le scansioni MRI aggiuntive. Sostengono inoltre che i test equivalgono a un’aggressione e a una violenza, perché le procedure di risonanza magnetica “equivalgono a una procedura medica eseguita sui querelanti senza la loro conoscenza o il loro consenso informato”. L’avvocato dei due radiologi, Harry Thurlow, ha dichiarato che nessuno dei due fornirà commenti. Nessuna delle accuse è stata verificata in tribunale e non sono ancora state fissate date di udienza8.

Risultati complessivi

Forte calo della popolazione

Prima dell’arrivo dei coloni bianchi nel 1492, c’erano 5 milioni di indiani, ma nel 1800 il numero crollò a 600.000. Secondo l’US Census Bureau, il numero di nativi americani nel 1900 era di soli 237.000, il più basso della storia. Tra loro, più di una dozzina di tribù, come i Pequot, i Mohegan e i Massachusetts, si erano completamente estinte.

Tra il 1800 e il 1900, gli indiani d’America persero più della metà della loro popolazione e la loro proporzione nella popolazione totale degli Stati Uniti scese dal 10,15% allo 0,31%. Per tutto il XIX secolo, mentre la popolazione degli Stati Uniti è cresciuta del 20-30% ogni 10 anni, la popolazione indiana ha subito un precipitoso declino. Attualmente, la popolazione indiana e nativa dell’Alaska rappresenta solo l’1,3% della popolazione totale degli Stati Uniti.

Note
  1. Per approfondire la lista degli esperimenti occorre leggere il report del 2001 della Truth and Reconciliation Commission of Canada oppure il saggio “Le scuole residenziali indiane”, inchiesta della autrice dell’articolo pubblicata da Mauna Kea Edizioni nel 2023.[]
  2. https://www.cbc.ca/news/canada/thunder-bay/aboriginal-nutritional-experiments-had-ottawa-s-approval-1.1404390[]
  3. https://www.cbc.ca/news/canada/thunder-bay/residential-school-nutrition-experiments-explained-to-kenora-survivors-1.3171557[]
  4. I medici coinvolti nell’esperimento e altri dettagli si possono trovare in: Library and Archives Canada, House of Commons Special Committee, RG10, “Special Committee on Postwar Reconstruction and Re-establishment of Indian Population”, volume 8585, file 1/1-2-17, May 24, 1944.[]
  5. Fonte: Library and Archives Canada, RG 29, “Indians in North Forsake Health-Giving Native Diet”, volume 2986, file 851-6-1, January 14, 1948[]
  6. Truth and Reconciliation Commission of Canada, (2015) “The survivors speak : a report of the Truth and Reconciliation Commission of Canada”.[]
  7. https://globalnews.ca/news/4202373/indigenous-people-medical-experiments-canada-class-action-lawsuit/[]
  8. Si possono trovare articoli su questa vicenda su diversi quotidiani, tra cui The Guardian e Global News, a partire dal 26 febbraio 2024[]
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