Tradotto da Danilo Silvestri, da The Cradle. Pubblicato il 30 luglio 2022.
Se da un lato Jalal al-Din Rumi rappresenta la mistica islamica, dall’altro un’analisi più approfondita evidenzia come i cambiamenti politici e le turbolenze dell’Asia occidentale abbiano plasmato il suo mondo e la sua visione ultraterrena.
KONYA – Poeta mistico, sufi, teosofo e pensatore, Jalal al-Din Rumi rimane una delle personalità storiche più amate di sempre, sia in Oriente che in Occidente. Pellegrino in cerca della luce, fu egli stesso a definirsi così: “Non sono altro che un umile amante di Dio.”
L’epoca del padre di Rumi – il sultano Bahaeddin Veled (1152-1231) – e la vita del figlio (1207-1273) furono un incredibile ottovolante socio-politico. Oggi, sarebbe assolutamente impossibile comprendere appieno le idee, le allusioni e le parabole che attraversano l’opera magna di Rumi, il Masnevi, che consta di sei volumi e 25.620 distici, senza impegnarci in una sorta di intenso viaggio nel tempo.
Nel Masnevi, scritto in persiano – allora la principale lingua letteraria in Asia occidentale e centrale – Rumi utilizzava la poesia essenzialmente come uno strumento per insegnare i segreti divini, spiegandoli attraverso parabole. Il Progetto Rumi è mostrare all’uomo il cammino verso l’Amore Divino, innalzandolo dallo stadio più inferiore a quello più alto. Forse, al giorno d’oggi, sottomessi e schiacciati dall’inarrestabile potenza (juggernaut) tecno-feudale, avremmo più che mai bisogno di ascoltare le sue lezioni.
Il Masnevi divenne immensamente popolare in tutta l’Eurasia subito dopo la morte di Rumi nel 1273 – dall’India, al Pakistan e dall’Afghanistan fino all’Asia Centrale, all’Iran e alla Turchia. Poi, lentamente ma inesorabilmente, l’uomo e l’opera finirono per raggiungere persino l’Occidente collettivo (Goethe ne fu incantato), ispirando una ricchezza di dotte interpretazioni in persiano, turco ottomano, urdu e inglese.
Indice
Il maestro dell’Anatolia
Il nostro viaggio nel tempo ha inizio nell’XI secolo, quando alcune tribù turche, dopo aver attraversato la Transoxiana, iniziarono a stabilirsi nel nord della Persia. Queste nuove tribù turche – dai Ghaznavidi ai Selgiuchidi (in realtà un ramo di una tribù turcomanna) – diedero vita a dinastie straordinarie, protagoniste negli intrecci tra la cultura turca e quella persiana (ciò che i cinesi oggi, riferendosi alle nuove Vie della Seta, chiamerebbero “contatti tra i popoli”).
L’Islam si diffuse molto rapidamente in Persia sotto il dominio dei Samanidi, noti per la loro tolleranza religiosa. Questa rappresentò una pietra miliare per Mahmud di Ghazna (998–1030) nella creazione di un vasto impero turco, che si estendeva dal nord-est della Persia fino a terre molto remote dell’India. Mahmud fece una grande impressione su Rumi.
Mentre i Ghaznavidi rimasero potenti nell’Iran orientale, i Selgiuchidi crearono un forte impero non solo in certe parti dell’Iran, ma anche nelle terre remote dell’Anatolia (chiamata Arz-i Rum). Ecco perché Rumi è chiamato Mavlana-yi Rum (“il maestro dell’Anatolia”).
Rumi, da bambino, visse nella leggendaria Balkh (parte del Khorasan nel nord dell’Afghanistan), capitale dell’impero Khwarazm. Durante quel periodo, lui e suo padre vivevano sotto il regno di Ala al-Din, proveniente da una dinastia fondata da uno schiavo turco.
Dopo una serie di incredibili guerre tra regni, Ala al-Din si trovò a combattere contro il re di Samarcanda, Osman Khan. Questo portò al massacro del 1212, in cui i soldati di Ala al-Din uccisero 10.000 persone a Samarcanda. Il giovane Rumi ne rimase sconvolto.
Ala al-Din aspirava ad essere nientemeno che il sovrano assoluto del mondo musulmano. Si rifiutò di obbedire al Califfo di Baghdad. Iniziò persino a concepire mire sulla Cina – mentre Gengis Khan aveva già conquistato Pechino.
Ala al-Din inviò un emissario in Cina, che fu accolto molto bene da Gengis, il quale vedeva di buon occhio – e non poteva essere altrimenti – le relazioni commerciali tra i due imperi (ancora una volta, la febbre della Via della Seta). Gengis, a sua volta, inviò i suoi ambasciatori con molti doni, che furono ricevuti da Ala al-Din in Transoxiana, nel 1218.
Tuttavia, il governatore di una delle sue province, un suo stretto parente, derubò e uccise alcuni mongoli. Gengis pretese una punizione, ma il Sultano si rifiutò. Ebbene, non conviene inimicarsi Gengis Khan. Egli iniziò puntualmente una serie di massacri in Persia e, alla fine, l’impero Khwarazm – con le sue grandi città, Samarcanda, Bukhara, Balkh, Merv – collassò. A quel punto, Rumi e suo padre erano già fuggiti.
Così come Baghdad, ognuna di queste città favolose era un centro di cultura. La Balkh di Rumi aveva una cultura mista di Arabi, Sasanidi, Turchi, Buddisti e Cristiani. Dopo Alessandro Magno, Balkh divenne il fulcro della dinastia Greco-Battriana. Prima dell’arrivo dell’Islam, la città era un importante centro buddista e un luogo di insegnamento zoroastriano. Inoltre, fin dalle sue origini, era sempre stata uno dei principali snodi delle antiche Vie della Seta.
Sulla strada con 300 cammelli
L’eroe del Masnevi di Rumi, Ibrahim Adham, come il Buddha, aveva abbandonato il trono per amore di Dio, incarnando l’esempio di sufismo che, in seguito, avrebbe prosperato a queste latitudini, noto come la scuola del Khorasan.
Come spiega il Prof. Dr. Erkan Turkmen, nato a Peshawar e oggi importante studioso presso l’Università Karatay di Konya, nonché autore, tra l’altro, di un incantevole volume intitolato “Roses from Rumi’s Rose Garden”, esistono solo due fonti affidabili sullo straordinario pellegrinaggio del padre di Rumi, Bahaeddin, e della sua famiglia da Balkh a Konya, con libri, cibo e utensili domestici caricati sulla groppa di 300 cammelli, accompagnati da 40 religiosi, e non possono che essere il padre e il figlio (il racconto di Rumi è scritto in versi).
La prima importante tappa fu Baghdad. All’ingresso, le guardie chiesero loro chi fossero. Il padre di Rumi rispose: “Veniamo da Dio e a Lui ritorneremo. Siamo venuti dal mondo del non-essere e lì siamo diretti.”
Il califfo al-Nasir chiamò il suo massimo studioso, Suhreverdi, il quale diede immediatamente il via libera ai nuovi arrivati. Ma il padre di Rumi non voleva restare sotto la protezione del Califfo, noto per la sua crudeltà. Così, dopo qualche anno, partì in pellegrinaggio (Hajj) per la Mecca e poi si diresse a Damasco – che all’epoca degli Abbasidi e dei Selgiuchidi era una città estremamente ben organizzata, con 660 moschee, più di 40 madrase, 100 bagni pubblici e molti famosi studiosi.
Le ultime tappe del viaggio di famiglia furono Erjinzan, in Anatolia – già allora un centro di commercio e cultura – e poi Larende (oggi Karaman), 100 km a sud di Konya. Oggi Karaman è una piccola provincia turca, ma all’epoca si estendeva fino ad Antalya, a sud. Ospitava molti turchi cristiani, che scrivevano il turco utilizzando l’alfabeto greco.
Fu lì che Rumi si sposò. In seguito, suo padre fu invitato dal sultano Ala al-Din Kayqubad I (1220-1237) a Konya, dove si stabilì definitivamente con la famiglia fino alla sua morte, avvenuta nel 1231.
I Selgiuchidi in Anatolia emersero nella storia nell’anno 1075, quando Alp Arslan sconfisse i Bizantini nella leggendaria battaglia di Manzikert. Un secolo dopo, nel 1107, Qilich Arslan sconfisse i Crociati, e l’impero selgiuchide iniziò a diffondersi molto rapidamente. Ci vollero alcuni decenni prima che i cristiani iniziassero ad accettare l’inevitabile: la presenza dei turchi in Anatolia. Più tardi, iniziarono persino a mescolarsi con loro.
L’era d’oro dei Selgiuchidi fu sotto il sultano Ala al-Din Kayqubad I (quello che invitò la famiglia di Rumi a Konya), che costruì cittadelle intorno a Konya e Kayseri per proteggerle dalla futura invasione mongola, e trascorreva i suoi inverni sulla splendida costa mediterranea ad Antalya.
A Konya, Rumi non si occupava di politica e non sembra aver avuto stretti rapporti con la famiglia reale. Era ampiamente conosciuto come Mevlana (il nostro maestro) o Rumi (l’anatolico). Oggi, in Turchia è semplicemente noto come Mevlana, e in Occidente come Rumi. Nella sua poesia lirica, usava lo pseudonimo Khamush (Silente). Il Partito AKP del Sultano Recep Tayyip Erdogan – un’impresa altamente materialistica immischiata in affari poco chiari – non nutre particolare simpatia per il sufismo di Rumi.
Sotto la Cupola Verde
Come abbiamo visto, Rumi trascorse gran parte dell’infanzia in viaggio – pertanto, non frequentò le scuole. La prima educazione gli fu impartita dal padre e dagli altri studiosi che seguirono la famiglia a Karaman. Rumi incontrò anche molti altri famosi studiosi lungo il tragitto, specialmente a Baghdad e Damasco, dove studiò la storia islamica, il Corano e l’arabo.
Prima di terminare il sesto volume del Masnevi, Rumi cadde gravemente malato, tormentato da una febbre costante. Morì il 17 dicembre 1273. Fu raccolto un fondo di 130.000 dirham per costruire il suo sepolcro, che include la famosissima Cupola Verde (Qubbat ul-Khazra), completata originariamente nel 1274 e attualmente in fase di ristrutturazione.
Oggi la tomba è un museo (Konya possiede reperti sorprendenti, specialmente nei musei di Etnografia e Archeologia). Tuttavia, per la maggior parte dei pellegrini originari di tutte le terre dell’Islam e oltre, che vengono a rendergli omaggio spirituale, è in realtà considerata il santuario degli amanti (Kaaba-yi Ushaq).
Questi versi, incisi sul suo splendido sarcofago di legno, possono riassumere tutto ciò che Rumi cercò di insegnare durante la sua vita: “Se coltiverete grano sull’argilla della mia tomba, e se ne farete del pane, la vostra ebbrezza crescerà, l’impasto e il fornaio impazziranno e persino il forno inizierà a recitare versi di follia. Quando verrete a visitare la mia tomba, essa sembrerà danzare, poiché Dio mi ha creato dal vino dell’amore e, per quanto la morte possa schiacciarmi, io sono ancora lo stesso amore.”
Un sufi è, per definizione, un amante di Dio. La mistica islamica concepisce tre stadi della conoscenza: la conoscenza della certezza, l’occhio della certezza e la verità della certezza.
Nel primo stadio, si tenta di trovare Dio tramite prove intellettuali (il fallimento è inevitabile). Nel secondo stadio, si può entrare in sintonia con i segreti divini. Nel terzo stadio, si è in grado di vedere la Realtà e capirla spiritualmente. È un percorso non dissimile dal raggiungimento dell’illuminazione nel Buddhismo.
In aggiunta a questi tre stadi, esistono diversi sentieri percorribili per avvicinarsi a Dio. Scegliere un sentiero – Tarikat – è un’impresa molto complicata. Può trattarsi di un qualunque ordine sufi – come il Mavleviya, il Kadriya, o il Nakshbandiya – sotto la guida dello sheikh di quel particolare Tarikat.
In questi assurdi tempi di diplomazia del grano, a malapena in grado di rimediare agli effetti tossici delle sanzioni imperiali – facenti parte di una guerra di civiltà per procura – un verso di Rumi (“Il mulino celeste non rende nulla se non hai grano”) potrebbe aprire prospettive inaspettate.
Rumi solleva una domanda essenziale: se ci si reca a un mulino privo di grano, cosa si ottiene? Solo la polvere biancastra della farina che imbianca la barba e i capelli. Allo stesso modo: “Se non abbiamo buone opere da portare con noi nell’altro mondo, non otterremo nulla se non il dolore nel cuore, mentre se abbiamo sviluppato il nostro essere spirituale, guadagneremo onore e Amore Divino.”
Adesso provate a spiegarlo all’Occidente collettivo e alle sue crociate.