Originariamente pubblicato su Soho Xiaobao. Traduzione da Marco Fumian, “Quali valori per la modernità occidentale”.
A sessant’anni dalla fondazione della Repubblica Popolare, oggi la Cina si trova ormai profondamente immersa nel flusso della globalizzazione, la quale, contribuendo da un lato a cambiare radicalmente i diversi costumi nazionali, ha nel contempo portato alla creazione di modernità dai diversi retroterra storico-culturali. Ciò ha portato anche la Cina a interrogarsi in modo cruciale su quale sia la modernità di cui ha bisogno.
Su questa questione gli intellettuali si dividono, fra coloro che sostengono da una parte i “valori universali” (pushi jiazhi 普世价值) e coloro che sostengono dall’altra la teoria della cosiddetta “base cinese” (Zhongguo benwei 中国本位). I primi ritengono che la modernità abbia una natura universale, esportabile ovunque secondo i medesimi parametri, Cina compresa: essendo la storia già finita, anche la Cina deve modernizzarsi seguendo la stessa strada dell’Occidente. I secondi invece sottolineano che, come esiste più di un sistema solare, così esistono molteplici tipi di modernità, per cui la Cina deve – e ne ha per giunta facoltà – andare verso una modernità differente da quella occidentale. L’ascesa cinese degli ultimi trent’anni avrebbe già dimostrato il successo della via cinese alla modernità e del modello cinese, cosicché ciò che ancora manca sarebbe soltanto di rompere il monopolio occidentale sul discorso della modernizzazione producendo uno schema interpretativo propriamente cinese.
Alle spalle di queste teorie ci sono due diversi assunti. Da un lato la teoria dei valori universali concede che la modernità può avere sì un modello europeo, uno americano, uno giapponese e uno cinese; nondimeno, essa afferma anche che tutti questi modelli, pur particolari, contengono anche dei valori universali che li rendono commensurabili. La teoria della “base cinese”, viceversa, è una forma di relativismo culturale secondo cui le diverse modernità nazionali sono tutte particolari e irriducibili fra loro, dato che uno standard universale che le renda commensurabili non esiste e, quand’anche esistesse, si tratterebbe solo di uno strisciante “etnocentrismo” occidentale.
In questi diversi modi di intendere la modernità si esprime la tensione fra illuminismo e storicismo. L’illuminismo, dall’alto del suo universalismo, postula che la natura umana e la giustizia sono universali. Lo storicismo per contro afferma, in opposizione ai valori universali illuministi, che tutto acquista senso solo nel concreto contesto storico della cultura nazionale, ragion per cui è difficile trovare un denominatore comune che renda comparabili i diversi contesti storico-culturali nazionali. Lo storicismo ha senz’altro una certa acutezza, vista la sua capacità di risolvere il problema dell’identità nazionale. Ma ha anche una sua pericolosità, dato che comporta il rischio di cancellare la nozione di modernità stessa riducendola a un simbolo vuoto, favorendo così l’insorgere del relativismo valoriale postmoderno se non addirittura del nichilismo, il quale costituisce a sua volta il terreno fertile per lo sviluppo del fascismo. Quello che va dallo storicismo al nichilismo, per approdare alla “modernità antimoderna”, è un pendio piuttosto scivoloso.
Anche l’illuminismo classico da parte sua ha un difetto, ovvero quello di avere prodotto una modernità “monistica”, rigida e unilaterale. Ciò è avvenuto soprattutto a opera della sociologia statunitense degli anni Sessanta, in cui la modernizzazione era spiegata sulla base di un unico modello ricalcato sulla falsariga della modernizzazione americana. Talcott Parsons, per esempio, riteneva che la modernizzazione si riducesse a tre leggi assolute: economia di mercato, democrazia e individualismo. Così, per un paese non occidentale che si fosse voluto modernizzare non sarebbe rimasta che un’unica strada, quella di occidentalizzarsi abbandonando la propria tradizione autoctona. Oggi questo sfacciato etnocentrismo occidentale è stato universalmente rigettato, e nel Ventunesimo secolo esistono a livello globale una moltitudine di progetti moderni simili fra loro e nel contempo diversi, che gli schemi di Talcott Parsons non sarebbero ormai per nulla in grado di spiegare. Qualsiasi interpretazione essenzialista della modernità, ormai, si trova di fronte a degli ostacoli insuperabili.
Insomma, la tensione fra la visione universalista e la visione relativista della modernità è arrivata in Cina a un punto morto, creando un’impasse che potremmo superare ricorrendo alla teoria delle “somiglianze di famiglia” di Wittgenstein. Questi, studiando i significati delle singole parole, notava infatti come essi siano per natura instabili e si definiscano solo all’interno dei concreti contesti storici in cui sono situati; laddove, però, uguali parole in contesti diversi mantengono comunque significati simili. Wittgenstein al riguardo aveva parlato di “somiglianze di famiglia”, riferendosi a come i membri di una stessa famiglia abbiano tratti simili nell’aspetto pur non essendo accomunati da un’unica essenza, e a come, pur non essendoci mai in una famiglia una caratteristica comune condivisa da tutti, pure siano riscontrabili delle caratteristiche di base possedute dalla maggior parte dei suoi membri. Se vogliamo comprendere come i valori universali della modernità acquistino significati stabili pur in contesti storici instabili, tale teoria ci è senz’altro di grande ispirazione. Essa ci ricorda, infatti, che la modernità non è affatto una rigida essenza o un obiettivo prefissato come nel caso delle tre leggi di Talcott Parsons, ma equivale, viceversa, a un insieme di valori, fra cui troviamo naturalmente quelli libertà, diritti, democrazia, uguaglianza, fratellanza, prosperità, felicità, eccetera. Questi sono valori che secondo Isaiah Berlin risultano difficili da armonizzare, e anzi, spesso, finiscono per essere in conflitto fra loro. La modernità, perciò, implica la necessità di effettuare, sul piano dei valori, delle scelte, che è anche il motivo per cui nazioni diverse hanno differenti modi di costruire le loro scale di valori. Inghilterra e Stati Uniti, ad esempio, danno priorità alla libertà e allo stato di diritto, la Francia dà risalto alla democrazia, mentre i paesi dell’Asia Orientale danno rilievo allo sviluppo e alla prosperità. Modernità diverse sottintendono così diverse gerarchie di valori. Il contenuto universale della modernità non è un blocco monolitico né tantomeno immutabile; piuttosto, è un nucleo pieno di tensioni e di conflitti, proprio perché i diversi progetti della modernità corrispondono a diversi insiemi di valori. Per essere moderni, tuttavia, i vari progetti devono comunque esprimere la maggior parte dei valori della modernità stessa, e possedere pertanto le caratteristiche delle “somiglianze di famiglia”. Le varie modernità, pertanto sono ad un tempo sia simili che comparabili, e si distinguono per giunta a livello qualitativo in modernità buone e modernità cattive. Quando una modernità nazionale è troppo sbilanciata a favore di un certo tipo di valore – come nel caso in cui si dia la priorità alla prosperità nazionale, lasciando però i cittadini privi della protezione basilare dei diritti, o ci sia un sistema democratico, ma dominato da corruzione e clientelismo in mancanza di un adeguato ordine legale, o nel caso di una società che ha sì realizzato l’uguaglianza, ma annaspi nella povertà generalizzata: beh, in tutti questi casi possiamo stare certi che quella che abbiamo davanti non è una modernità buona. Se sapremo comprendere ex novola modernità alla luce di questo ragionamento, potremo da un lato evitare di pensare la modernità secondo gli schemi essenzialistici dell’etnocentrismo occidentale – a prescindere da quale sia la maschera con cui si presentano – dall’altro potremo prendere le distanze dal relativismo culturale e dal nichilismo dei valori, difendendo i valori universali della modernità.
La civiltà cinese, al pari di quella giudaico-cristiana e di quella greco-romana, è una civiltà assiale, e in quanto tale è una civiltà universale che ha offerto nel corso della propria storia valori universali. Ogni civiltà importante, occidentale o orientale che sia, è una civiltà universale, contenente al proprio interno gli elementi universali della natura umana. È proprio in virtù della loro universalità, che le porta ad avere similmente a cuore e a riflettere sul destino universale e sui problemi generali dell’umanità, che le varie civiltà possono entrare in contatto e dialogare fra loro. Civiltà e cultura sono due concetti diversi. Come ha detto il grande pensatore francese Edgar Morin, la civiltà si contrappone alla barbarie, la cultura si contrappone alla natura. Civiltà e cultura formano due poli opposti: la cultura rappresenta l’unicità, la soggettività e l’individualità, la civiltà all’opposto rappresenta la trasmissibilità, l’oggettività e l’universalità. L’universale, in ogni civiltà, si manifesta attraverso ciò che essa ha di particolare, al cui interno l’universale è contenuto. A causare gli scontri, fra le varie civiltà, non sono gli elementi particolari, dato che questi, andando ognuno per la propria strada, non hanno né i motivi né le basi per entrare in conflitto. Gli scontri, semmai, sono quelli fra gli elementi universali contenuti nelle diverse particolarità, dato che questi sono gli scontri fra diversi modi di vedere le sorti e il futuro dell’umanità. Le diverse forme di universalità sono pertanto comparabili, proprio perché la loro base comune è l’universalità della natura umana. La nuova civiltà a cui oggi i cinesi aspirano non è affatto una civiltà particolare valida soltanto per la Cina, bensì una civiltà che abbia una valenza universale per tutta l’umanità. Essa, perciò, non può permettersi di voltare le spalle alle altre civiltà universali e alle loro “somiglianze di famiglia”.
Lo scopo ultimo perseguito dalla RPC non è solo quello di diventare uno stato-nazione prospero e fiorente, o una potenza economica ricca e forte, ma, ancor più, è quello di diventare uno stato-civiltà che dia i suoi contributi ai valori universali dell’umanità. Da stato-nazione a stato-civiltà: questa è la strada che la Cina deve percorrere con la sua ascesa. La Cina deve diventare non solo un’entità economica potente, ma anche un’entità politica democratica, libera e governata dalla legge, e, ancor più, un’entità di valori dotati di significato universale. Questo è ciò che si aspettano la storia della Repubblica e un miliardo e 300 milioni di cinesi, ed è anche l’aspettativa dell’intera umanità per la grandiosa civiltà cinese.